BENEDETTO XIV papa
Prospero Lambertini nacque in Bologna da nobile famiglia della città, il 31 marzo 1675. Tredicenne, si avviava alla carriera ecclesiastica, allievo del Clementino di Roma: e la sua fu la brillante carriera del prelato di curia. Benedetto XIII nel 1727 lo nominava arcivescovo di Ancona e l'anno appresso lo elevava alla porpora; Clemente XII nel 1731 lo trasferiva all'archidiocesi di Bologna, dove il Lambertini godé di una grande popolarità e mostrò caldo zelo pastorale. La morte di Clemente XI (6 febbraio 1740) aprì una successione insolitamente laboriosa, ché nel conclave si disputavano il successo un partito austriaco, uno francese e uno spagnolo. Dopo una lotta di sei mesi, una soluzione conciliativa, caldeggiata dal cardinale Neri Corsini nipote del potefice defunto, portò il Lambertini al soglio pontificio (17 agosto 1740), ov'egli assunse il nome del papa che lo aveva elevato alla mitria e alla porpora.
Il pontificato di B., durato quasi diciotto anui (egli morì il 3 maggio 1758), fu contrassegnato da una grande moderazione, così nelle relazioni con gli altri stati, come nella linea di condotta tenuta di fronte alle tendenze che si contrastavano il terreno in grembo alla chiesa.
Numerosi furono i trattati e gli accordi ch'egli conchiuse con gli stati, a dirimere o prevenire controversie. Mediante due concordati (5 gennaio 1741) col re di Sardegna Carlo Emanuele III, questi venne nominato da papa Benedetto vicario apostolico nei feudi pontifici (Cisterna, Montafia, Lombardone, Tigliole, Montanaro, principato di Masserano e contea di Crevalcuore) e fu regolata la materia beneficiale, con un regolamento modificato in parte da altro concordato 24 giugno 1750. Un concordato fu concluso il 2 giugno 1741 col re di Napoli. La bolla Iniuncta Nobis del 6 luglio 1751 approvò e diede esecuzione al trattato tra Maria Teresa e il doge di Venezia circa la soppressione del patriarcato d'Aquileia. Il concordato 1 gennaio 1753 fu molto onorevole al re di Spagna. Un concordato 17 dicembre 1757 con Maria Teresa regolò la materia della immunitȧ reale nel ducato di Milano. Giovanni V di Portogallo ottenne nel 1748 il titolo di re fedelissimo e il diritto di nominare a tutti i vescovati ed abbazie. Il re di Prussia fu la prima volta riconosciuto con tale titolo (e non più soltanto come marchese di Brandeburgo) dalla Santa Sede; e in compenso favorì i cattolici, riconoscendo la supremazia giurisdizionale ecclesiastica su tutti i cattolici di Prussia del vescovo di Breslavia, cardinale di Zinzendorf.
A papa Lambertini per questa sua mitezza non mancarono gli elogi di tutti i potentati d'Europa (Giuseppe II, visitando il conclave del 1769, formulava l'augurio che esso potesse durare quanto quello del '40, se ciò fosse indispensabile per fare ascendere al soglio un nuovo Lambertini); non mancarono le simpatie di tutta l'opinione pubblica giurisdizionalista, di quella che era la classe culturale enciclopedista e illuminista già in formazione. E più tardi, la storiografia liberale ha avallato questo favorevole giudizio. Resta a vedere se con questa politica pacifista ad oltranza, che accresceva sempre più l'ingerenza degli stati negli affari interni della Chiesa, non sia stato reso più difficile e penoso il pontificato del successore, e non si sia cooperato alla terribile crisi degli ultimi anni del pontificato di Clemente XIII e del 1769-73, il periodo della massima umiliazione del papato.
Nelle questioni interne della Chiesa, B. seguì la stessa tattica conciliativa. Gli antigesuiti lo consideravano dei loro: e invero non mancarono suoi atti che denotavano sentimenti certo non collimanti con quelli della Compagnia.
Così, nella questione dei riti cinesi e malabarici, con le bolle Ex quo singulari dell'11 luglio 1742 e Omnium sollicitudinum del 12 settembre 1744, il papa condannò con ogni fermezza qualsiasi concessione fatta agl'indigeni convertiti di conservare elementi e riti confuciani e pagani, e confermò per il Malabar le prescrizioni del cardinale di Tournon, tanto inviso alla Compagnia. Così, con la enciclica Ex omnibus del 16 ottobre 1756, diretta ai vescovi di Francia, portò una nota pacificatrice nella sempre invelenita controversia giansenista, prescrivendo che soltanto coloro che pubblicamente si dichiarassero dispregiatori della Unigenitus potessero venire privati dei sacramenti: ciò che era anche un indiretto riconoscimento del carattere non dogmatico della bolla e dell'impossibilità di parificare i giansenisti agli eretici. Così, ancora, protesse la memoria del cardinale Enrico Noris, il caposcuola dell'agostinianismo rigido, la corrente teologica più ostile alla teologia molinista cara alla Compagnia, e lottò contro l'orgogliosa inquisizione di Spagna che ne aveva incluso le opere nel suo expurgatorium.
Ma invano gli avversarî della Compagnia gli chiesero condanne delle dottrine teologiche e morali da questa patrocinate; invano il rigorista Daniello Concina dei predicatori, tenace avversario dei gesuiti, invocò da lui la condanna di una serie di proposizioni di morale benignista. Il papa lasciò la massima libertà di discussione ai partiti tra loro in contrasto, anche se le loro polemiche, come spesso avveniva nelle controversie ecclesiastiche del tempo, si invelenissero e degenerassero in contumelie.
Questa mitezza pastorale, questo sereno buon senso, questa avversione ad ogni formalismo, si ritrovano ancora in altri tratti del suo pontificato: nella riduzione dei giorni festivi di precetto concessa in varî stati; nelle norme, contemperamento della tradizione canonistica e delle necessità pratiche, dettate in materia di mutuo ad interesse; nella stessa bolla Sollicita ac provida del 9 luglio 1753 sull'esame e la condanna dei libri da parte delle congregazitoni del S. Officio e dell'Indice (ancora in vigore nella più gran parte delle sue disposizioni), ricca di garanzie, e diretta ad evitare affrettate ed inutili condanne. Fu pastore zelante e raccomandò ai vescovi di aver gran cura dei costumi del clero, di celebrare regolarmente le sinodi diocesane, di effettuare diligentemente le visite pastorali: stabilì anche qualche durevole norma disciplinare, come l'obbligo del concorso per il conferimento delle parrocchie nella lettera apostolica Cum illud, del 14 dicembre 1742. Ma la docilità e la fedeltà dell'alto clero, soprattutto fuori d'Italia, lasciava mioltissimo a desiderare: cardinali di corona e vescovi, a cominciare dal card. di Zinzendorf, trait d'union tra la Chiesa cattolica e il re di Prussia, erano assai più devoti ai loro sovrani che al papa; gli arcivescovi elettori dell'Impero primeggiavano per indisciplina, e persino a Roma l'atteggiamento dei cardinali stranieri e degli uditori di Rota rappresentanti di corti rasentava talvolta l'insolenza.
Come principe temporale ebbe indubbie benemerenze, stabilendo la libertà di commercio tra le varie parti dello stato pontificio (motuproprio Pensando noi del 29 giugno 1748), dando incremento all'agricoltura, diminuendo le imposte, facendo sorgere fabbriche. Creò accademie e società per lo studio delle antichità e della storia della Chiesa: l'accademia del nudo di pittura e scultura in Campidoglio fu istituita con la bolla Inter curas del 17 marzo 1754; alla fondazione dell'accademia archeologica cooperò Winckelmann, venuto a Roma nel '55. Ancora da ricordare, per l'opera culturale del pontificato di papa B., è la preparazione del catalogo della Vaticana ad opera dell'Assemani. Pieno di considerazione per gli uomini colti, era d'avviso che le illustrazioni del sapere meritassero ogni riguardo, anche se le loro opinioni non fossero, dal punto di vista ecclesiastico, del tutto da approvarsi. Così rifiutò costantemente di porre all'Indice qualsiasi scritto del Muratori, appunto per la reverenza verso lo studioso insigne.
B. fu un appassionato, entusiasta canonista. La lettura del suo bollario ci rivela un papa felice di cogliere le occasioni che gli son porte dall'esercizio del suo altissimo ministero per risolvere anche casi rari e sottili, per disciplinare tutte le materie oggetto di dispute ecclesiastiche del suo tempo, per scrivere delle vere monografie sotto forma di editti o di prescrizioni: si veda ad es. la lettera al vicegerente di Roma del 28 febbraio 1747, sul battesimo degli ebrei, adulti e bambini. E B., conscio di questo eccezionale carattere del suo bollario, promulgò le costituzioni dei sei primi anni di pontificato, come se costituissero un corpo unico di leggi, mediante la costituzione Jam fere.
La sua opera scientifica, venuta in gran parte dalla luce dopo che egli era salito sul soglio pontificio, comprende il De canonicatione Sanctorum, il De festis, il De sanctorum Missae sacrificio, il De Synodo dioecesana, e altre opere minori. Il De Synodo, scritto mentre il Lambertini era arcivescovo di Bologna, diviso in tredici libri, in cui a proposito della sinodo, o meglio prendendo le mosse da questa, si fa pressoché una esposizione generale del diritto della Chiesa, fu opera più largamente stampata, ed ebbe enorme diffusione.
Grande canonista, zelante pastore, buon sovrano, uomo dalla mente aperta, irradiante simpatia, ricco di spirito (l'ironia e le frecciate, mai acri, sprizzano di continuo dalle sue lettere), profondamente buono (la sua ospitalità addolcì la vecchiaia di Giacomo III Stuart, che ebbe in Roma tutti gli onori regi), largamente caritatevole: la tradizione e il ricordo hanno ben potuto dirlo addirittura un grande papa. Giudizio che tuttavia non può essere sottoscritto, ove si vogliano tener presenti gli effettivi risultati della sua opera.
Opere: edizioni di Roma 1747-51, raccolte dall'Azevedo, voll. 12; Venezia . 1767, voll. 15; Prato 1839-46, voll. 17 che comprendone le bolle; Acta Benedicti XIV, coll. R. de Martinis, Napoli 1884 segg.; Bullarium, Roma 1746-1757, tomi 4, contenenti rispettivamente le costituzioni degli anni 1740-46, 1746-48, 1748-52, 1752-55.