BENESSERE
(App. III, I, p. 219; IV, I, p. 248)
Un acceso dibattito si è sviluppato negli ultimi anni per pervenire a una definizione degli indicatori dei livelli di b. − fra gruppi sociali presenti all'interno delle singole economie e fra paesi diversi − più congrua di quanto non potesse derivare utilizzando i sistemi di misurazione aggregata di tipo economicistico. Tradizionalmente gli economisti hanno infatti espresso il b. sociale con alcuni indicatori quantitativi, quali gli indici di produzione e di consumo di beni e di servizi, il livello di reddito, il tasso di disoccupazione e di crescita industriale. Nel dopoguerra inoltre, con la definitiva affermazione dell'economia keynesiana, si è imposta una forma di misurazione aggregata − come il Prodotto Interno Lordo − quale unica variabile per la misurazione del b. economico. Si tratta tuttavia di una definizione insufficiente, sia perché il PIL esclude in realtà tutti quei prodotti e servizi che sfuggono a una valutazione di mercato, sia perché non considera i costi sociali (di tipo ambientale, psicologico-sociale, ecc.) che incidono sulla reale struttura di un'economia.
Assumere la crescita del PIL come indicatore dell'aumentato b., infatti, fa sì che virtualmente tutti i beni e servizi, compresi i costi sociali, siano soggetti a una determinazione monetaria e siano inclusi nel sistema degli scambi di mercato. In secondo luogo, si presuppone la condizione irrealistica, nelle moderne società industriali, della 'sovranità' del consumatore nella determinazione del valore dei beni. In tal modo si assume che le quantità fisiche di beni prodotte da un individuo, il b. e il valore d'uso dei beni da questo consumati siano tra loro legati da un rapporto diretto.
A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, il movimento degli indicatori sociali (T. Scitovski, E. Gross, A. Shonfield e S. Shaw) ha prodotto − soprattutto nei paesi maggiormente industrializzati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Francia) − una copiosa letteratura avente per oggetto la determinazione del b. reale, unitamente alla definizione di numerosi strumenti tesi a schiudere la natura e il funzionamento del sistema sociale in modo più completo di quanto non potesse derivare dai tradizionali misuratori economici aggregati, che oscuravano i caratteri non egualitari della crescita delle moderne società industriali.
Assumendo il concetto di b. in termini essenzialmente qualitativi, un indicatore sociale rappresenterebbe una misurazione indiretta e composita della qualità della vita e della soddisfazione che non sempre sono funzione diretta e lineare dei livelli di ricchezza e di consumo. Le variabili da analizzare avranno quindi per oggetto, accanto alle funzioni economiche, fattori come l'istruzione, le condizioni di salute della popolazione, l'ambiente di vita, l'organizzazione e l'alienazione sociale (J. Drewnowski e W. Scott). In assenza di una teoria sociale compiuta che fornisca gli strumenti di misurazione diretta dei sistemi economici contemporanei, un indicatore sociale non sarà quindi inteso in termini di input di un sistema sociale (cioè quantificabile mediante variabili definite a priori), bensì in termini di output, ovvero quale rappresentazione indiretta dei livelli di soddisfazione dei bisogni primari espressi da ogni gruppo statalmente o regionalmente organizzato.
L'assunzione di un concetto ampio e di difficile definizione, come quello di b., solleva a sua volta dei problemi che non possono trovare una soluzione unitaria. I criteri di definizione del b. variano infatti considerevolmente per ogni sistema sociale, sia in ragione dei giudizi di valore, sia per la loro inseparabilità rispetto a un altro fondamentale concetto − quello di giustizia sociale − anch'esso relativo e subordinato a determinazioni che variano nel tempo oltre che fra i diversi gruppi sociali. Ogni confronto internazionale delle condizioni di b. può quindi ingenerare rilevanti errori d'interpretazione: così, se un livello adeguato di nutrizione, salute, vestiario, possono considerarsi quali condizioni di b. minimo presente in ogni sistema sociale − e come tali definite come bisogni essenziali per la sopravvivenza − ogni società esprimerà bisogni altamente differenziati di tipo culturale, relativi alla sicurezza e al tempo libero, che sono parte integrante nella definizione di un adeguato livello di qualità della vita. Gli stessi indicatori comunemente utilizzati dalle Nazioni Unite in ambito internazionale sono anch'essi frutto di convenzioni fra gli studiosi di scienze sociali: a questo riguardo, le componenti di base del b. sociale ritenute valide per tutti i paesi del mondo sono il livello di nutrizione, la protezione personale, la salute, l'educazione, il tempo libero, la sicurezza, la stabilità sociale, la protezione ambientale, il surplus di reddito.
Negli anni recenti si è definitivamente accettato che anche all'interno di una data area territoriale (una regione, una città) le variazioni nei livelli di vita siano tali da richiedere una disaggregazione spaziale delle condizioni sociali. Questa acquista un'indiscussa importanza non soltanto a scopi analitici (cioè per la comprensione dei fondamentali processi e meccanismi inerenti ogni società), ma soprattutto nella definizione delle politiche di pianificazione, tese all'allocazione spaziale di quegli elementi potenzialmente capaci di riequilibrare i sistemi sociali contemporanei.
In questo quadro, di fronte all'impossibilità di fornire concretezza analitica a concetti essenzialmente astratti, la definizione della qualità della vita e la determinazione dei bisogni in termini di privazione relativa (W. G. Runciman, D. Harvey) apportano un criterio maggiormente coerente. Sotto questa luce, un individuo − o un gruppo d'individui − sarebbe relativamente privato (e quindi esprimerebbe un bisogno) se desidera beni e servizi che solo altri possiedono, ma dei quali non può attualmente disporre. Egli esprime quindi una privazione nel momento in cui percepisce che non sono alla sua portata alcuni beni e servizi la cui disponibilità consentirebbe di accrescere il suo livello di benessere. Ora, la correlazione b.-soddisfazione dei bisogni non esiste se non all'interno di una data società, in un periodo storico preciso, in un'area territoriale data, dove le condizioni di b. di un individuo o di un gruppo diventano automaticamente relative rispetto ad altre classi sociali e ad altre delimitazioni territoriali.
È quindi soprattutto in termini di geografia del b. che la problematica ha acquistato piena coerenza, sebbene aggiungendo la dimensione spaziale dei fenomeni economico-sociali si accrescano le difficoltà analitiche. La trasformazione degli indicatori sociali in indicatori socio-territoriali (A. Shonfield, S. Shaw, N. E. Terlecki, D. Smith) è un processo relativamente elementare che consiste nel riferire le componenti del b. prima ricordate a specifiche porzioni di territorio (urbano, regionale, nazionale) e nell'aggiungere altre componenti specifiche in rapporto alle diverse condizioni esaminate. Tuttavia è sul piano operativo e concettuale che, attraverso la spazializzazione della funzione del b. sociale, si affacciano le ipotesi più significative.
Dal punto di vista delle strategie di pianificazione i livelli locali di b. possono essere determinati in rapporto alle esternalità prodotte da specifici interventi (come investimenti infrastrutturali, industriali, ecc.) di cui devono essere colti gli effetti di utilità e/o disutilità, i quali possiedono una connotazione intrinsecamente spaziale, sovente indicata come effetto di vicinato.
Verificandosi un'esternalità, si realizza un processo di travaso dei benefici (come, per es., le occasioni di occupazioni indotte dalla localizzazione di un nuovo stabilimento industriale) e/o dei costi (come gli effetti d'inquinamento prodotti dallo stesso) che assumono varie configurazioni alternative: a) il mantenimento di entrambi all'interno dell'area in questione; b) il confinamento dei benefici e la diffusione alle aree adiacenti dei costi relativi; c) infine la condizione opposta, ovvero il confinamento dei benefici accompagnato al trasferimento dei costi. Su questo piano, la definizione dell'area di esternalità e l'applicazione dell'analisi costi-benefici gioca un ruolo determinante concorrendo alla ridefinizione degli strumenti della politica di pianificazione territoriale.
Bibl.: J. Drewnowski, W. Scott, The level of Living index, in Ekistics, 25 (1968), pp. 266-75; A. Shonfield, S. Shaw, Social indicators and social policy, Londra 1972; N. E. Terlecki, Improvements in the quality of life: estimates of possibilities in the United States, Washington 1975; D. Smith, Human geography. A welfare approach, Londra 1977; D. Harvey, Giustizia sociale e città, trad. it., Milano 1978.