BENIVIENI, Antonio, il Giovane
Nacque a Firenze da Lorenzo e da Oretta Niccolini il 17 genn. 1533. Di debole complessione e di salute cagionevole, fu destinato fin dalla fanciullezza allo stato ecclesiastico e nel 1547, a soli quattordici anni, era già coadiutore dello zio Paolo Niccolini, vicario della diocesi di Firenze. Oltre agli studi di teologia, attendeva anche alle lingue e alle letterature classiche sotto la guida di Piero Migliorotti, e le lettere che negli anni fra il 1553 e il 1555 scambiò con Alessandro de' Medici, con Pier Vettori, con Filippo Ridolfi, con Vincenzo e Angelo Borghini, lo rivelano interamente dedito a queste attività.
Nel 1554 è a Pisa per studiare diritto civile e diritto canonico. In questa città soggiornò saltuariamente negli anni successivi, fino al 1565, quando si addottorò in ambedue le leggi. Intanto era già stato ordinato sacerdote e accolto fra i canonici fiorentini di S. Lorenzo.
I suoi interessi di studioso si andavanoindirizzando verso i capolavori della letteratura volgare. Ascritto all'Accademia Fiorentina, vi tenne le sue prime lezioni nel 1564, commentando, a quel che sembra, l'Alighieri e il Boccaccio.
Nel 1567 fu a Padova, ove frequentò i più noti letterati di quello Studio, e fra gli altri Sperone Speroni, Francesco Robortello e Giovan Vincenzo Pinelli. Tornato a Firenze, veniva eletto nel 1568 consolo dell'Accadernia Fiorentina, nella quale la sua autorità era andata crescendo con gli anni. Della stessa Accademia il B. fu due volte censore, nel 1570 e nel 1578, e consigliere nel 1580.
Quando si deliberò di dare alle stampe una nuova edizione del Decameron,purgata e ridotta secondo i dettami dei concilio trídentino, il granduca Cosimo I scelse fra i deputati all'edizione anche il Benivieni. L'opera fu pubblicata dai Giunti con il titolo Il Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadino fiorentino (Fiorenza 1573). Le alterazioni introdotte, come si sa, furono molte e di rilievo non trascurabile. Pare tuttavia che il B. operasse la sua fatica di censore con notevole moderazione e con un certo discernimento. Gli scrupoli morali non fecero velo dei tutto al suo spirito critico, e alla sua penna si devono probabilmente alcune delle più penetranti fra le Annotazioni e discorsi sopra alcuni luoghi del Decamerone di Giovanni Boccacci, fatti dalli... Signori Deputati..., uscite a Firenze sempre nel 1573.
Nel 1581 il vescovo di Fiesole., Francesco da Diacceto, nominò il B. suo vicario generale e, come tale, egli stese le costituzioni sinodali emanate in questa diocesi nel 1585.
Pochi anni prima il B. aveva ultimato l'unica opera a stampa che di lui ci resta, la Vita di Pietro Vettori l'Antico Gentil'huomo fiorentino, alla cui stesura aveva posto mano attorno al 1565. L'opera, dedicata a Baccio Valori, fu pubblicata a Firenze nel 1583: con essa il B. si ricollega al "genere" della biografia umanistica, cogliendone la caratteristica più originale, quale l'esaltazione dell'individuo in quanto protagonista della storia.
Nel 1587 il B. fu chiamato a Firenze, come vicario generale della diocesi, dall'arcivescovo cardinale Alessandro de' Medici, in nome del quale prese possesso nel 1588 della prepositura di Prato. Morì a Firenze il 7 febbr. 1598 e fu sepolto in S. Maria del Fiore.
La figura del B. scrittore è stata notevolmente arricchita da uno studio di Caterina Re, Unpoeta tragico fiorentino della seconda metà del secolo XVI: Antonio Benivieni il giovane, Venezia 1906, con il quale gli viene attribuito un intero codice ms. della Magliabechiana, ora alla Nazionale di Firenze (II, I, 91). Il codice raccoglie nell'ordine: un discorso sulla tragedia, quattro tragedie in versi, una biografia di Girolamo Benivieni, alcune riflessioni su Dante e, infine, due commedie, in prosa la prima e la seconda in versi.
Le quattro tragedie furono per lungo tempo ritenute opera di Girolamo Benivieni, mentre per le composizioni in prosa si pensò a tal Domenico Gonnelli, il cui nome si legge nella prima carta non numerata del codice. Il Gonnelli avrebbe anche rimaneggiato le due commedie, iniziate e mai compìute da Girolamo Benivieni. Per esse, infatti, elementi interni riportano inequivocabilmente a una data di stesura piuttosto tarda, una data posteriore comunque alla metà del secolo XVI, quando Girolamo era già morto.
Tali tesi trovarono numerosi oppositori già negli ultimi anni dell'Ottocento, anche se nessuno tentò di approfondire il problema con una analisi filologica del codice. La Re - sulla base di argomenti storici e stilistici, ed esaminando inoltre le caratteristiche delle due diverse scritture che compaiono nel codice - giunse con sufficiente attendibilità alla conclusione che l'autore dell'intero corpus dovesse essere individuato nel Benivieni. Quanto al Gonnelli, dall'esame del primo volume delle Collactiones di benefici ecclesiastici dell'Archivio arcivescovile di Firenze, relativo agli anni 1591-1595, la stessa autrice trasse il convincimento che egli fosse stato un sacerdote, il quale svolgeva funzioni di segretario e di copista presso il B., allora vicario generale di quella diocesi. Ne concluse che il codice era interamente di mano del Gonnelli, mentre le correzioni, che si riscontrano quasi ad ogni pagina, erano autografe dell'autore dei testi, e cioè dei B., come risulta dal confronto con altri esempi della sua scrittura.
La studiosa trovava conforto alla sua tesi, oltre che in alcune allusioni dei Salvini, anche in un passo di Fìlippo Valori, il quale, nei suoi Termini di mezzo rilievo e d'intera dottrina (Firenze 1604), citava il B. come un fiorentino di cui si leggevano tragedie.
Sotto il profilo stilistico, infine, assai convincente appare il riscontro fra alcuni luoghi della Vita di Pietro Vettori l'Antico, sicuramente del B., e altri della biografia di Girolamo Benivieni contenuta nel codice: riscontro che la Re compie con grande diligenza e con buoni risultati.
La breve introduzione alle tragedie, che apre il codice, si fonda su concetti desunti dalla Poetica di Aristotele, dal Trissino e, soprattutto, da Giambattista Giraldi Cinzio. Di quest'ultimo il B. accoglie quasi tutte le innovazioni, dividendo le tragedie in atti con intermezzi corali, spezzando l'azione principale con una lunga serie di digressioni, introducendo in tre casi su quattro il prologo.
La prima tragedia è anepigrafa, ma è nell'uso chiamarla, dal nome del protagonista, Tanodisse: in essa il B. sviluppa un tema tratto dal XII libro degli Annali di Tacito. La seconda ha il titolo di Amalasunta e le sue fonti sono Cassiodoro, Procopio e Paolo Diacono. Quest'ultimo sembra anche il modello della terza tragedia, Placida, o meglio Placidia. L'ultima infine, pure anepigrafa, ma detta Teodora o Santa Teodora, non può ricondursi con sicurezza ad una fonte precisa, dato l'intreccio di storia e leggenda, di verità e fantasia che vi regna. L'influsso del Giraldi è evidente ad ogni passo, non tanto perché il B. abbia abbondato nel rappresentare crudeltà o delitti, quanto per l'artificioso complicarsi delle situazioni sceniche e per la insistita ricerca di una conclusione, se non lieta, almeno "non triste", sì che a volte, pur nelle scene fortemente drammatiche, circola una cert'aria di commedia.
La Vita di Girolamo Benivieni, che segue le tragedie, ha almeno questo di utile: l'esattezza dei dati e delle notizie. La cosa non sorprende giacché, se veramente ne fu autore il B., egli dovè avere accesso all'archivio di famiglia, quando non si sarà fondato su ricordi personali.
Concludono il codice un Discorso su Dante, breve e pedissequa rielaborazione di idee tratte dagli scritti di Girolamo, e due commedie, Errore e Cocchio, quasi del tutto prive di valore letterario.
Bibl.: Oltre al lavoro citato di C. Re, cfr. S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 200 s.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722. p. 56; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia. II, 1, Milano 1741, p. 247; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia. II, 2, Brescia 1760, pp. 857 s.; G. B. Passano, I novellieri ital. in prosa, I, Torino 1878, p. 77; D. Giannotti, Lettere a Pietro Vettori pubblicate sopra gli originali del British Museum, Firenze 1932, pp. 135, 138, 141 s., 147 ss., 165, 178.