BERBERI
. Le regioni dell'Africa del nord, che si estendono dai confini occidentali dell'Egitto fino all'Atlantico, sono state in epoca storica teatro di conquiste e di immigrazioni, di imprese commerciali e di colonizzazione per parte di genti diverse provenienti dall'Asia e dall'Europa; così, tra le principali e più note, quelle dei Fenici, dei Greci, dei Romani, dei Vandali, dei Bizantini, degli Arabi, degli Spagnoli, dei Turchi e infine delle potenze coloniali odierne. Di fronte a questa sovrapposizione politica, culturale e talvolta etnica di elementi allogeni, la storia ci mostra stanziata in quelle regioni fin da epoca remota una popolazione che si può chiamare più propriamente indigena, cioè quella dei Berberi. Essa costituisce quindi il fondo etnico primitivo della Cirenaica, della Tripolitania, della Tunisia, dell'Algeria e del Marocco. Il nome "Berberi" diffuso in Europa non risale agli stessi indigeni ma agli Arabi, che, conquistando quelle regioni, chiamarono "al-Barbar" tutte le popolazioni non di origine coloniale, che vi trovarono. È verosimile che gli Arabi venendo a contatto, specialmente nelle città costiere, coi residui dell'elemento greco e latino, e sentendo da essi il nome βάρβαροι e barbari applicato agl'indigeni, ne derivassero la loro designazione: ma la cosa non è del tutto certa, perché vi è qualche traccia di nomi proprî di frazioni della stirpe originaria da cui potrebbe essere derivato il nome "al-Barbar" con susseguente estensione a tutto il complesso della popolazione. Ad ogni modo presso i Berberi attuali quel nome è generalmente inteso come d'origine straniera: mentre i singoli loro gruppi usano, per designarsi, nomi particolari, e tra di essi parecchi quello di Imāzīghen, che appare qua e là con varietà fonetiche e morfologiche (Imūshāgh, Imūhāgh, ecc.) e che esisteva anche nell'antichità, come si rileva dalle forme ellenizzate e latinizzate di Μάζικες, Mazices. A sua volta qualche gruppo che designa sé stesso col nome di Imāzīghen applica lo stesso nome a tutte le altre popolazioni parlanti berbero, sicché esso si può ritenere come il nome nazionale maggiormente diffuso.
Etnologia. - Considerando lo strato etnico primitivo stanziato nell'Africa del nord e le successive sovrapposizioni di altri popoli, sorgono naturalmente due questioni essenziali: come esso in origine si sia formato, e se i contatti con altre genti in epoca storica ne abbiano alterato profondamente la fisionomia etnica. La prima questione è stata ed è tuttora dibattuta fra antropologi, storici e linguisti. Le principali teorie che hanno avuto corso sono:
a) Origine africana: i Berberi insieme con gli Egiziani, i Nubiani, gli Abissini, i Galla, i Somali, ecc. formano la famiglia etnica camitica, che sarebbe autoctona dell'Africa, e avrebbe avuto il suo centro originario verso l'Abissinia, di dove si sarebbe diffusa in altri paesi africani e sarebbe passata anche nell'Europa meridionale. È questa la nota teoria della stirpe mediterranea, che afferma le affinità antropologiche dei popoli abitanti intorno al bacino del Mediterraneo; i quali rientrerebbero poi in un gruppo più grande, cioè quello camitico; teoria che è legata specialmente al nome di Giuseppe Sergi.
b) Origine asiatica: in base alle affinità rilevate fra il gruppo linguistico camitico ed il semitico, si è sostenuto che dall'Asia anteriore, patria comune dei due rami, quello camitico, a cui appartengono i Berberi, sarebbe passato in Africa, diffondendosi nelle regioni nord-orientali e settentrionali.
c) Origine mista: le popolazioni berbere sarebbero composte di elementi diversi, più o meno fusi fra di loro, in parte autoctoni dell'Africa, in parte provenienti dall'Europa e dall'Asia.
Se si pensa che nel periodo storico l'Africa del nord è stata invasa e dominata da una quantità di popoli stranieri, e che nelle epoche preistoriche gli spostamenti e le immigrazioni di gruppi etnici dovevano essere assai frequenti, si può ritenere che il concetto dell'origine mista sia più verosimile. E difatti gli studî recenti tendono a considerare i popoli abitanti dell'Africa del nord originariamente composti di elementi diversi, qualcuno che presenta affinità con popolazioni mediterranee e del continente europeo, qualche altro di provenienza asiatica.
L'altra questione, se la compagine etnica berbera che esisteva in epoca remota nell'Africa settentrionale si sia alterata e trasformata per i contatti avvenuti con altri popoli dal 1° millennio a. C. in poi, è stata pure oggetto di ampî studî. Per quanto riguarda il periodo antico è risultato dall'indagine delle fonti che i Fenici, i Greci i Romani, i Vandali, e i Bizantini, che più o meno dominarono regioni berbere, non vi apportarono grandi quantità di popolazione nuova che, mescolandosi con quella indigena, in complesso da valutarsi a una dozzina di milioni, ne potesse alterare notevolmente la fisionomia etnica. Di più l'elemento dominatore e colonizzatore viveva in generale per suo conto, presso a poco come vediamo ai nostri giorni; e inoltre esso fu in buona parte eliminato durante le turbinose vicende dei secoli successivi. Per quanto riguarda i contatti col mondo arabo, bisogna distinguere il periodo della conquista da quello dell'invasione. Durante il primo, che si inizia verso il 642 d. C., al tempo del califfato di ‛Omar I, gli Arabi fecero numerose spedizioni in Barberia, che dominarono per qualche tempo, pur in mezzo a frequenti ribellioni degl'indigeni, e al formarsi di stati indipendenti o quasi indipendenti dal califfato, che finirono per indebolire il dominio arabo, e poi per eliminarlo nel sec. X. In questo periodo non vi furono apporti di grandi masse di popolazione araba che venisse a stanziarsi in mezzo a quella berbera e a mescolarsi con essa. Nel sec. XI avvenne invece la famosa invasione delle tribù dei Benī Hilāl e dei Benī Sulaim, che ammontavano ad alcune centinaia di migliaia di individui, e che si sparsero in molte regioni della Barberia, le occuparono e vi sono rimaste fino ai nostri giorni. Con questa immigrazione si ha un vero e proprio apporto di popolazione araba in mezzo ai Berberi. Alcuni gruppi di essa si conservarono intatti; altri si mescolarono con gl'indigeni, molti dei quali si arabizzarono nel linguaggio. Ne è risultato che la popolazione dell'Africa settentrionale presenta ora, sotto l'aspetto etnico e sociale, i seguenti tipi: 1. gruppi arabi discendenti dagli antichi invasori; 2. gruppi misti risultanti dalla mescolanza di Arabi e di Berberi; 3. popolazioni berbere di razza, ma arabizzate nel linguaggio; 4. gruppi berberi di razza e di linguaggio, sfuggiti cioè all'arabizzamento e che hanno conservato una propria coscienza nazionale. Tale è il risultato delle indagini storiche e dello studio delle tradizioni genealogiche indigene. Prescindendo da tali dati, alcuni antropologi e specialmente lo Chantre hanno proceduto all'esame diretto dei caratteri somatici degli indigeni e sono venuti a conclusioni che farebbero crollare tutta la classificazione storico-tradizionalistica. Essi cioè hanno riscontrato il tipo arabo solo in qualche individuo allo stato sporadico, mentre i gruppi che si dicono di origine araba o prodotto di mescolanza di Arabi con Berberi sarebbero composti di Berberi arabizzati e islamizzati più profondamente di altri. L'originaria massa berbera si sarebbe quindi mantenuta intatta non solo attraverso i contatti con i dominatori e colonizzatori del periodo antico e della conquista araba, ma anche attraverso l'immigrazione dei Benī Hilāl e dei Benī Sulaim. Per spiegare come questa, che pure è documentata storicamente, non abbia lasciato tracce sotto il punto di vista etnico, gli antropologi osservano che essa non era composta tutta di veri Arabi, ma in parte di popolazioni dell'Africa nord-orientale accodatesi al movimento emigratorio; e di più che il nucleo arabo può essere stato assorbito, attraverso le generazioni, dalla prevalente massa berbera, per il noto fenomeno del fagocitismo antropologico. Vi è dunque allo stato delle attuali conoscenze un contrasto tra il concetto storico-tradizionalistico e quello strettamente antropologico. È da osservare a tale riguardo che l'esame dei caratteri somatici, benché fatto finora su parecchie migliaia d'individui, dovrà, perché sia esauriente, essere esteso anche alle più remote regioni della zona berbera, ove potrebbe essersi conservato abbastanza puro qualche nucleo arabo, discendente dagli invasori; e che specialmente in regioni a popolazione scarsa come la Cirenaica e la Tripolitania, ove la gente araba introdottavi deve aver rappresentato un elemento etnico di una certa importanza, tali indagini dovranno essere condotte con speciale cura per distinguere i discendenti della popolazione primitiva da quelli dei gruppi immigrati. È probabile che col progredire degli studî i dati dell'antropologia vengano in parte a coincidere con quelli della storia, nel senso che si dimostri esistente nella zona nord-africana un fondo etnico berbero costituente la grande maggioranza della popolazione, e qua e là, in mezzo ad esso, e specialmente nelle regioni orientali, qualche gruppo arabo.
A proposito dell'etnologia tradizionale è da ricordare anche la classificazione dei Berberi secondo le genealogie indigene riportate da scrittori arabi, e specialmente da Ibn Khaldūn, che suddividono quelle popolazioni in due grandi ceppi, detti el-Brānes e Mādghīs, da ciascuno dei quali derivano varî rami. Col primo si riconnettono i seguenti: Azdāgiah, Maṣmūdah, ‛Agīsah, Awrabah, Haskūrah, Guzūlah, Awrīghah, Kutāmah, Ṣanhāgiah, Lemṭah. Col secondo i seguenti: Addāsah, Ḍarīsah, Nefūsah, Lawātah.
Storia. - Qualche notizia storica relativa agli antichi Berberi, e specialmente a quelli orientali, si ricava da monumenti e documenti egiziani, che accennano a popolazioni residenti verosimilmente nella zona cirenaica: Teḥenu, Reḥu (da cui i Greci trassero il nome Λίβυες), Eṣbet (corrispondenti forse agli 'Ασβύσται di Erodoto), Beqen, Meshwesh, ecc.; e forniscono anche taluni dati su loro caratteristiche somatiche e sulla loro civiltà. Queste popolazioni erano spesso in conflitto con gli Egiziani che facevano contro di esse frequenti spedizioni, riportandone prigionieri e bottino. A tempo del faraone Mīnephtah si formò una coalizione di Libî e di altri popoli, coalizione che avrebbe rappresentato una specie di supremo sforzo di popolazioni mediterranee contro la potenza egiziana, e che finì col trionfo di questa. In complesso i rapporti fra le popolazioni libiche e l'Egitto dei tempi storici ci appariscono come un fenomeno di pressione di genti nomadi e di scarsa civiltà contro un paese assai progredito. Ma sono stati rilevati varî indizî di affinità fra la civiltà egiziana e quella dei Berberi antichi e odierni, e, ricercandosi le origini della prima, è stata emessa anche l'ipotesi che essa abbia avuto il suo punto di partenza nelle finitime regioni libiche, ove pertanto i futuri scavi potrebbero rivelare un remotissimo strato di civiltà che si sarebbe poi diffusa e impiantata in varie altre zone. Finché non saranno fatti speciali studî a tale riguardo e soprattutto non saranno compiuti scavi profondi nelle regioni libiche, nessuna parola definitiva potrà esser pronunciata. Ma fin d'ora è da rilevare che le tracce di affinità libico-egizie si possono anche spiegare con l'ipotesi di una comune origine etnica e di un comune patrimonio di civiltà restato tale in tutta la zona nord-africana fino ad una certa epoca, e poi sviluppatosi per suo conto o per influenze e contatti di altre stirpi nella vallata del Nilo, fino ad assumere grandiose e complesse manifestazioni. Tale fenomeno si è verificato anche in altri aggruppamenti etnici.
In epoche posteriori i documenti greci e latini, a cominciare da Erodoto, e poi quelli arabi e quelli dell'Europa medievale e moderna ci forniscono ampie notizie sulle popolazioni indigene. La storia dei Berberi si può, a grandi linee, dividere in un periodo antico, che comprende le colonizzazioni e dominazioni dei Fenici, Greci, Romani, Vandali e Bizantini (dal principio del 1° millennio a. C. fino alla metà del sec. VII dell'era volgare); in un periodo medievale, che comprende la conquista e l'invasione araba, l'islamizzamento dei Berberi, e la loro maggiore epoca d'indipendenza con la formazione dei grandi stati degli Almoravidi e degli Almohadi e dei minori stati dei Merīnidi, degli ‛Abd al-Wāditi e dei Ḥafṣidi (dalla metà del sec. VII fino al principio del sec. XVI); e in un periodo di storia moderna che comprende lo stabilirsi dell'autorità turca in Barberia, e, per il Marocco, le due dinastie di Sceriffi; e infine le recenti conquiste, in forma di colonie o di protettorati, della Francia in Algeria, Tunisia e Marocco; dell'Italia in Tripolitania e in Cirenaica; della Spagna nel Marocco settentrionale.
I Berberi erano divisi, fin da epoca antica, in una quantità di tribù e frazioni di tribù, con tendenze particolaristiche, spesso in lotta fra loro. Erano in parte sedentarî e agricoltori, specialmente nella fascia costiera; in parte nomadi e allevatori di bestiame. Coi coloni fenici, che avevano impiantato in varî punti della costa degli scali commerciali, scambiavano i prodotti, determinando un attivo traffico con l'interno; ove i Fenici stabilirono una zona di loro dominio di una certa ampiezza, come nel territorio della Tunisia settentrionale, i Berberi subirono l'influenza della loro civiltà, come appare dall'epigrafia e da residui architettonici. In Cirenaica tale incivilimento deve essere stato anche maggiore a contatto con la splendida e fiorentissima colonizzazione greca; e del pari in epoca posteriore, quando furono sottoposti al dominio romano, che fece entrare e restare per parecchi secoli buona parte dell'Africa settentrionale nell'orbita della civiltà. Nel periodo delle guerre puniche si erano formati degli stati berberi di una certa entità, come quello di Masinissa (il cui nome si trova nelle epigrafi nella forma Msnsn), che comprendeva parte dell'odierna Algeria e si estendeva fino alla Tripolitania. I Romani favorirono in principio, e cioè fino ai primi tempi dell'Impero, tali regni indigeni sia per non impegnarsi nella difficile conquista dei territorî, sia per servirsene come di appoggio e di tramite per la diffusione della civiltà; ma le frequenti ribellioni e i torbidi d'ogni specie prodotti da popolazioni nomadi li persuasero della necessità del dominio diretto ove esso poté impiantarsi. Con questo la colonizzazione romana prese piede e si diffuse nei paesi berberi, raggiungendo il massimo splendore nei secoli II e III dell'era volgare, e attirando le popolazioni indigene nell'orbita della cultura, del costume, del linguaggio dei dominatori. Tuttavia il sistema di occupazione dei Romani lasciava quasi intatte le immense regioni del sud e i vasti altipiani, dove popolazioni indomite costituivano nuclei di resistenza e di reazione nazionale alla superiore civiltà importata, e forze di riassorbimento della parte indigena che si era modellata sui conquistatori; pericolo tanto più grave in quanto è caratteristica essenziale dei Berberi l'accogliere facilmente nuovi elementi di vita civile che ad essi siano portati, e disfarsene quando il modello venga a sparire. Ciò spiega in parte come Gallia e Spagna fossero indelebilmente latinizzate, mentre la civiltà romana d'Africa, pur diffusasi presso una parte della stirpe indigena, sparì quasi del tutto quando la decadenza dell'Impero, l'invasione vandalica e le turbinose vicende dell'occupazione bizantina diedero ad essa un primo scrollo, e poi la conquista e l'invasione araba ne accelerarono la demolizione, importando nello stesso tempo elementi d'una nuova cultura. Del resto anche nei primi secoli dell'Impero i Romani ebbero a lottare contro gravi ribellioni degl'indigeni, come quella di Tacfarinas (dal 17 al 24 dell'era volgare), quella dei Quinquegenziani della fine del sec. III), quella di Fermo (372-375), oltre che contro le frequentissime irruzioni delle tribù nomadi dell'interno. Difficoltà analoghe trovarono i Vandali che nel secondo quarto del sec. V, muovendo dalla Spagna, s'impiantarono in Africa, e i Bizantini che nel 533 iniziarono la riconquista delle regioni già civilizzate dall'Impero romano e in parte le dominarono per oltre un secolo.
Iniziatesi le grandi conquiste arabe durante il califfato di Abū Bekr (632-634) e vigorosamente continuate dai successori e occupato l'Egitto, la Barberia era fatalmente esposta alla penetrazione della nuova civiltà musulmana che vi s'impianta e diffonde, sottraendola alla civiltà latina e cristiana nella cui orbita per alcuni secoli era vissuta. Muovendo dall'Egitto gli Arabi fecero verso il 642 una prima razzia in Cirenaica, alla quale tennero dietro spedizioni in gran numero che portarono, verso la fine del sec. VII, alla conquista dell'Africa settentrionale (e in seguito della Spagna); conquista però che, eccetto brevi periodi, fu turbata e qua e là interrotta da ribellioni dei Berberi, da lotte sanguinose e accanite con essi, dalla formazione di varî piccoli stati indipendenti dal califfato arabo. Già nell'ultimo quarto del sec. VII un capo berbero, Coseila (Kusailah), riuscì a costituire un suo regno che comprendeva parte della Tunisia e del dipartimento di Costantina, e che diventò centro di fierissima resistenza nazionale contro gli Arabi, resistenza che in seguito appare impersonata nella figura semileggendaria di al-Kāhinah, la regina dell'Aurès (Awrās), che inflisse una sanguinosa sconfitta al generale arabo Hassān ibn an-‛Numān e ne fu infine sopraffatta. Durante il sec. VIII avvennero altre ribellioni, come quella di Maisarah (740) e si formarono varî principati berberi specialmente nei territorî dell'Algeria e del Marocco, con capi di origine araba: quello ibāḍita di Tāhart o Tīhart (Tiaret), fondato dai Rustemidi, che per qualche tempo comprese anche regioni della Tripolitania; quello dei Benī Midrār a Sigilmāsah; quello dei Nukūr nel Rīf; dei Berghawāṭah sull'Atlantico. Nel sec. IX sorse il regno degli Idrīsiti al Marocco, e in Tunisia e regioni finitime dominò, pur conservando qualche vincolo di soggezione al califfato ‛abbāside, la dinastia degli emiri Aghlabiti. Il secolo successivo vide sorgere la potenza dei Fāṭimiti, a cui i Berberi diedero appoggio, e che impiantatasi in Tunisia si estese anche ad altre regioni, senza giungere però a raccogliere in modo durevole sotto il suo comando la stirpe berbera. Quando il califfo al-Mu‛izz nel 972 abbandonò l'impero magrebino e si recò a regnare in Egitto, i paesi berberi restarono quasi completamente abbandonati a sé stessi; con quella data si può dire che finisca il periodo di dominio arabo sul Maghrib, che iniziato nel sec. VII, attraverso fierissime e logoranti resistenze, si esauriva politicamente nel X, lasciando però traccia indelebile di sé per l'avvenuto islamizzamento dei Berberi. Questi subirono nel secolo successivo la distruttrice invasione delle tribù dei Benī Hilāl e dei Benī Sulaim, ma videro anche formarsi una nuova potenza nazionale, quella degli Almoravidi, che, a differenza dei piccoli regni berberi dei tempi antecedenti, raggiunse una notevole estensione dominando tutto il Marocco, la Spagna musulmana, l'Algeria. Successori degli Almoravidi furono gli Almohadi, uno dei cui principi, ‛Abd al-Mu'min (1130-1163) appare per qualità guerresche, cultura e mecenatismo, capacità politiche e di organizzatore e spirito di giustizia, il maggiore uomo che possano vantare i Berberi, una specie di Carlomagno africano, il cui regno si estese dal Marocco alla Sirtica. A queste due dinastie che dalla seconda metà del sec. XI alla prima metà del sec. XIII raccolsero la maggioranza dei Berberi in grandi sebbene non durature unità statali, successero tre nuovi regni, cioè quello dei Benī Merīn o Merīnidi al Marocco, quello dei ‛Abd al-Wāditi o Zayyāniti nell'Algeria occidentale, con capitale Tlemcen (Tilimsān); e quello dei Ḥafṣidi a Tunisi, regni che formatisi nel corso del sec. XIII, ebbero una certa durata ed ebbero anche qualche gloria militare, periodi di splendore ed elementi di vita civile, ma lottarono a lungo e sterilmente per imporre ciascuno la propria supremazia e per domare le perenni rivolte dei sudditi. Intanto si andava preparando l'intervento in Africa degli stati ispano-portoghesi: la loro rinascita politica e civile, l'impulso a lottare contro i musulmani invasori, i danneggiamenti dei corsari sulle loro coste, inducevano quegli stati ad occupare varie località del Marocco, dell'Algeria, della Tunisia e della Tripolitania. Tali conquiste si accentuarono verso la fine del sec. XV e il principio del sec. XVI; ma ben presto l'occupazione cristiana oltre che dover lottare contro gli indigeni, subì gli assalti di nuove forze musulmane provenienti dall'Oriente, cioè dei corsari turchi e dello stesso Impero ottomano, che nel sec. XVI riuscirono a stabilire la loro supremazia o il loro dominio su gran parte dell'Africa del nord, e a mantenervela fino alle conquiste compiute nei secoli XIX e XX dalle nazioni colonizzatrici, che han riportato definitivamente nell'orbita del dominio e dell'attività europea quelle regioni ove Grecia e Roma avevano lasciato indelebili ricordi di vita civile.
Guardando a tali vicende che mostrano come i Berberi solo per brevi periodi abbiano avuto loro stati indipendenti, mentre la più gran parte della loro storia è storia dei rapporti che essi ebbero coi popoli stranieri che li dominarono, si comprende come sia non troppo rispondente al vero il giudizio di Ibn Khaldūn, pur grande e acuto storico: ".... i Berberi sono stati sempre un popolo potente, formidabile, coraggioso e numeroso; un vero popolo come tanti altri in questo mondo, quali gli Arabi, i Persiani, i Greci e i Romani" (Histoire des Berbères, trad. De Slane, Algeri 1852, I, p. 199).
In realtà la stirpe berbera, disseminata su una lunghissima fascia di territorio dai confini dell'Egitto al Marocco, con varietà di ambiente fisico e interruzioni di deserti e di altipiani, era priva di uno dei principali elementi che determinano la formazione della coscienza nazionale e la possibilità di vaste e durature organizzazioni politiche; era priva cioè dell'unità geografica. Di più, sia che derivi in parte da tali cause fisiche, sia che dipenda da una loro originaria psicologia, la storia ci rivela nei Berberi una tendenza a un minuto incoercibile particolarismo di gruppo, di tribù, di paese, di quartiere; tendenza che ostacola l'organizzazione statale o la corrode in breve ove si sia formata; di modo che i principati e i regni berberi, più che risultato di coesione politica in vaste zone e tra numerosa popolazione, appariscono come creazione momentanea di qualche condottiero valoroso e geniale, o come sforzo di prevalenza di una tribù che riesce ad imporsi per qualche tempo su altre. Si tratta dunque in complesso di regioni ove può e deve impiantarsi un superiore dominio nell'interesse generale della civiltà. Di fronte a questo i Berberi si sono variamente atteggiati. Benché si parli spesso di una psicologia berbera in contrapposto a quella degli Arabi, in realtà, data la vastissima zona dell'Africa del nord e le varietà di ambiente fisico che hanno ripercussioni sullo stato sociale, una unità psicologica non esiste; vi sono in alcune regioni della costa, in qualche altopiano di facile accesso, in alcune oasi, Berberi sedentarî, agricoltori o commercianti, che si mostrano buoni, pacifici, di niente altro desiderosi che di profittare dei vantaggi della civiltà; in altre zone montuose o nei remoti deserti del sud risiedono, invece, Berberi selvaggi, riottosi e fanatici, o nomadi con spiccate tendenze alla vita anarchica.
Lingua e letteratura. - Mentre nell'antichità i linguaggi berberi erano predominanti presso le popolazioni indigene, la conquista e l'invasione degli Arabi e il conseguente islamizzamento diffusero largamente fra i Berberi la lingua araba, che in molte regioni soppiantò quella originaria. Le zone ove si è mantenuto il berbero vanno, in linea generale, aumentando di numero e d'importanza a mano a mano che si procede dall'est verso l'ovest, per modo che la regione più arabizzata è la Cirenaica, mentre quella che più ha conservato l'antico linguaggio è il Marocco. La località più orientale dove attualmente si parli il berbero è Sīwah, una delle oasi egiziane, l'antico Ammonium. In Cirenaica, e propriamente nel deserto libico, una sola località si è conservata, l'oasi di Augila (Awgilah), lungo la carovaniera da Bengasi a Cufra. In Tripolitania le tracce del berbero sono più numerose: presso la costa, ad occidente di Tripoli, vi è la cittadina di Zuara (Zuwārah), più a sud è il Gebel Nefūsah, che nel suo significato più vasto comprende il territorio di Yefren, quello di Fassāṭō e quello di Nālūt, ove in numerosi paesetti disseminati lungo il ciglio dell'altopiano si è conservato il berbero. Procedendo verso sud si trovano le oasi di Socna (Sōknah, la cui popolazione è però attualmente in gran parte dispersa), di Gadámes (Ghadāmes) e di Gat (Ghāt); di più nella Tripolitania meridionale vi sono frazioni di tribù di Tuāreg Azgher (\arabo\), alcune stabilite nel Fezzān, altre nomadi. Per il Fezzān stesso si ha notizia di altre località a lingua berbera, non ancora identificate con precisione da studiosi europei. Quanto alla Tunisia, si è conservato il berbero nell'isola di Gerbah, i cui abitanti, come i Nefūsah e gli Zuarini della Tripolitania, i Mzābiti e piccola parte degli abitanti di Ouargla (Wārglah) in Algeria, professano tuttora l'antica eresia ibāḍita. In Tunisia v'è qualche altro piccolo residuo di berbero a Qal‛at es-Sened, sull'altopiano dei Matmātah, ecc. Nell'Algeria propriamente detta, che comprende i tre dipartimenti di Costantina, Algeri ed Orano, e cioè la zona del Tell e buona parte di quella degli Altipiani, vi sono anzitutto i due forti gruppi berberi della grande Cabilia e dell'Aurès (Awrās). Fra i dialetti del primo è stato oggetto di particolari studî quello degli Igawāwen (detti dagli Arabi Zwāwà; abitano il versante nord del massiccio del Djurdjura [Giúrgiurah]), che è sotto alcuni aspetti il più conservato dei dialetti settentrionali. Sull'altopiano dell'Aurès abitano pure Berberi in buon numero, detti comunemente Shāwiyah, nome col quale vengono designati dagli Arabi, mentre essi stessi si chiamano Qebāil (Cabili) e chiamano la loro lingua haqbāilith. Nella predetta parte dell'Algeria vi sono poi altri gruppi minori, come quelli del Wādī Sahel, di Bugia, ecc., che si ricongiungono con la Grande Cabilia; quelli dei Ḥarāktah, dei Nememcha (en-Namāmshah), ecc., ad est dell'Aurès. Altri si trovano nell'Atlante di Blida (el-Blīdah), nel massiccio dell'Ouarsenis (Wānsharīs), nella regione di Teniet-el-Ḥad (Theniyyet el-Hadd), di Mascara (el-Mu‛askar), ecc.; numeroso è quello dei Benī Menacer (el-Manāṣer), nella zona tra Cherchel (Shershāl), Tenes e Miliana (Milyānah); verso il confine marocchino sono i Benī Snous (Snūs), i Benī Bū Saīd, ecc. Nei territorî algerini del sud vi sono gruppi berberi nel Wādī Rīgh, a Wārglah, nel Tidīkelt, nei kṣour (qsūr) oranesi, ecc. Nel Marocco, ove i parlanti berbero sembra costituiscano più della metà della popolazione, vi sono i dialetti dell'altopiano del Rīf; quelli dei Berāber nel Medio Atlante, e quelli degli Shelūh nelle regioni dell'Anti-Atlante, della vallata del Sūs e dell'Alto Atlante meridionale.
A mezzogiorno di questa vasta fascia costiera, che va dalla Cirenaica al Marocco, vi è la zona del Gran Deserto, ove si trovano altri dialetti berberi, cioè lo zenāga (\arabo\) ed il tārghī (\arabo\) Il primo è parlato da popolazioni della riva destra del Senegal e del sud del Ṣaḥarāoccidentale. Nel Ṣaḥarācentrale ed occidentale sono i Tuāreg (xigal, p. di tārghī), che si raggruppano politicamente in quattro confederazioni principali, cioè a nord-est quella dei Kēl-Azgher (\arabo\ o \arabo\, che gravitano verso l'oasi di Ghāt; a n0rd-ovest i Kēl-Ahaggār (o \arabo\); a sud-est i Kēl-Air (Ahīr, \arabo\); a sud-ovest gli Iullémmeden (Awelimmiden). Un quinto raggruppamento si è formato in epoca recente, cioè quello dei Tāitoq e dei Kēl-Ahnet. Dal punto di vista linguistico, secondo gli studî del P. De Foucauld, il raggruppamento è diverso: vi sono quattro dialetti principali, cioè quello settentrionale che è parlato dai Kēl-Ahaggār, Kēl-Azgher e Tāitoq; e quelli meridionali dell'Air, degli Iullémmeden e dell'Adghāgh orientale.
Pertanto la zona in cui si trovano ora disseminati i varî dialetti berberi è compresa tra l'Egitto ad est, il Mar Mediterraneo a nord, l'Oceano Atlantico ad ovest, il Senegal, il Niger, il Tibesti e il deserto libico a sud.
Nelle dette località non si parla una lingua berbera unica, che non esiste, ma una quantità di dialetti, dei quali circa una cinquantina sono stati individuati. I loro rapporti di affinità sono abbastanza stretti e possono in linea generale rassomigliarsi a quelli che intercedono fra le lingue o i dialetti romanzi. Ma gli studî berberi non sono ancora progrediti fino al punto da potersi fare dei dialetti una classificazione definitiva. I raggruppamenti sembrano esser piuttosto regionali che determinati da affinità etniche: così vi è il gruppo della Grande Cabilia, il gruppo shelḥa del Marocco meridionale, ecc. Un raggruppamento a sé formano invece le varie branche della Zenātiyyah, cioè dei linguaggi parlati dagli Zenātah, una delle grandi famiglie berbere, che si trovano ora lungo una linea che dal Gebel Nefūsah in Tripolitania giunge fino al Rīf marocchino.
Tra i varî nuclei berberi ve ne sono alcuni berberofoni puri ed altri che parlano anche l'arabo e questo usano come lingua di cultura; del pari, entro uno stesso gruppo vi può essere una parte di popolazione o alcuni individui che parlano solo il berbero, ed altri che sono bilingui. Così, ad es., sono bilingui i Benī Menacer, mentre nella Grande Cabilia e nell'Aurès vi sono nuclei di berberofoni puri. Presso quelli della Tripolitania è diffuso l'arabo, ma si trovano spesso donne e bambini, più raramente uomini, che parlano solo il berbero. Per tutti ad ogni modo il berbero rappresenta il linguaggio nazionale e familiare, espressione della parte più intima della loro anima; e l'arabo quello delle relazioni esterne.
Circa la posizione glottologica del berbero è da ricordare che esso appartiene alla famiglia dei linguaggi camitici, diffusi nell'Africa settentrionale e nord-orientale, e che comprende anche l'antico egiziano, il hausa, i dialetti cuscitici dell'Abissinia, il galla, il somali, ecc. Egiziano e berbero hanno nessi più stretti, sì da potersi considerare come formanti un gruppo a sé, il camitico settentrionale. A loro volta le lingue camitiche presentano indubbie tracce di affinità con quelle semitiche, tanto che si può ammettere un originario nesso camito-semitico, sebbene esso non sia stato finora analizzato completamente. Sono stati fatti pure tentativi per comparare il berbero con altri linguaggi, come il basco, l'etrusco, ecc.
La letteratura berbera è ora essenzialmente orale ed è formata di novellistica e di poesia popolare. La prima comprende racconti di vario tipo: quelli fantastici, con temi e motivi che in maggioranza si ritrovano in Oriente e si debbono quindi ritenere introdotti o rinnovati nell'epoca musulmana, pur avendoli i Berberi trasformati e adattati al loro ambiente e alla loro psicologia. Altro tipo è quello dei racconti ameni che mettono in scena, spesso con un vivo senso di comicità, situazioni ridicole o piccanti; molti di essi si condensano intorno a personaggi tradizionali, specie di eroi burleschi, il più famoso dei quali è Sī Žeḥā, che, nato in Oriente, si ritrova sotto altro nome presso varî popoli (anche in Toscana e in Sicilia). Vi sono poi i racconti degli animali, con alcuni elementi importati dall'Oriente, altri dal Sūdān, e molti altri rassomiglianti a quelli dell'Occidente europeo; ed infine le tradizioni popolari che si riferiscono ad avvenimenti storici, alla religione, ecc. Quanto alla poesia, mentre manca una grande epopea nazionale e difetta la poesia didascalica, abbonda invece presso i Berberi la lirica popolare, che canta l'amore, le imprese guerresche, le gioie e i dolori della vita. In varie regioni del Marocco sono in uso feste notturne, in occasione di nozze o d'altro, con canti ed accompagnamento musicale o con danze e canti, in cui l'ispirazione poetica, specialmente su soggetti amorosi, ha largo campo d'esplicarsi; uomini e donne se ne occupano, oltre i poeti-cantori di mestiere, che vanno dall'uno all'altro dūwār, dove il loro arrivo è una festa per la popolazione che corre ad ascoltarli. Al di fuori della poesia cantata vi sono gli izlān (presso i Berāber), brevi componimenti poetici amorosi o di soggetto guerresco o politico, in versi o in prosa ritmica; poesie religiose su temi biblici od islamici o basate su elementi immaginarî con scopo di edificazione, tenute dagli Shelūḥ (in francese Chleuh) in grande onore; quelle, pure degli Shelūḥ, di contenuto filosofico, con intonazione malinconica e pessimistica, quelle di soggetto geografico, ecc. Ancora più in onore è la poesia presso i sahariani Tuāreg, ed ha larga parte, insieme con la musica e l'amore, nel loro famoso ahāl, trattenimento mondano, che in ogni accampamento ha luogo quasi ogni giorno dopo il tramonto del sole, e nel quale fanciulle e giovani scapoli, vedovi, divorziati, ecc., passano alcune ore in lieti e liberi conversari, fra il suono dell'imzād (specie di violino monocorde), canti e recitazioni di poesia, motti di spirito, ecc. Il linguaggio, la vita e la letteratura dei Tuāreg saranno conosciuti forse più che quelli di altri Berberi, mercé i grandi lavori compiuti dal compianto padre Charles De Foucauld e che si vanno ora pubblicando. Notevoli raccolte si hanno anche per la poesia cabila, una pubblicata nel 1867 e un'altra nel 1904, oltre i minori lavori; poesia ove prevalgono la nota guerresca e i riflessi degli avvenimenti politici e dei mutamenti sociali prodotti dalla conquista francese. Oltre che letteratura popolare, i Berberi hanno avuto qualche saggio di letteratura scritta. Pur non essendosi formata presso di essi una vera lingua nazionale, si verificò tuttavia il fenomeno che qua e là il dialetto locale assurgesse all'uso letterario. Al Marocco furono compiuti due tentativi di riforma dell'Islām per opera di Ṣāliḥ ibn Ṭarīf e di Ḥāmīm al-Muftarī, l'uno nel sec. VIII dell'era volgare, l'altro nel X; i due nuovi profeti composero dei Corani in berbero, del cui testo non si è conservata che qualche frase. Uno speciale impulso alla letteratura scritta diedero i Berberi ibāḍiti, che fondarono il regno di Tāhert, e dopo la distruzione di questo e le gravi persecuzioni a cui furono esposti si mantennero fieramente attaccati alla loro fede in alcune località dell'Algeria meridionale, della Tunisia e della Tripolitania, tra cui il Gebel Nefūsah. Questo fu per vario tempo un centro di cultura berbera; vi si composero, tra l'altro, dei trattatelli di teologia, di cui ora sono conservate le traduzioni arabe, ove è ricordato che il testo primitivo era berbero. La tradizione letteraria tra i Berberi Nefūsah si è mantenuta fino a tempi recenti, come risulta da alcuni poemetti di soggetto religioso trovati nella regione di Fassāṭō. Presso gli Shelūḥ marocchini si è pure avuta una certa fioritura letteraria: uno dei loro autori è stato Moḥammed u-‛Alī u-Brāhīm che scrisse verso il principio del sec. XVIII operette di soggetto religioso e giuridico, una delle quali è stata pubblicata e tradotta.
Sebbene trasmessa per lo più oralmente, è da ricordare la letteratura giuridica di alcune regioni, come la Cabilia, il Mzāb, il Medio Atlante, quelle sahariane ecc., che, pur islamizzandosi, continuarono ad osservare il diritto consuetudinario berbero. Di una parte di queste norme gl'indigeni delle varie località hanno fatto delle raccolte, specie di piccoli codici, a cui in Algeria si dà il nome di qānūn, al Marocco di solito azref o izref; essi per lo più contengono minuti elenchi di pene da infliggersi a chi trasgredisce le norme; nei qānūn più completi, p. es. in quelli della Cabilia, si trova mescolata alle disposizioni penali qualche prescrizione relativa allo statuto personale e all'organizzazione politica del paese.
Scrittura. - Gli antichi Berberi ebbero un loro tipo di scrittura, non adoperato (per quanto si sappia) per comporre vere e proprie opere, ma solo epigrafi, di cui si sono rinvenuti numerosi esemplari in varî punti della zona berbera e specialmente nell'Algeria orientale e in Tunisia. Esse sono in maggioranza iscrizioni tombali, brevi e rozze; alcune rinvenute a Dugga (\arabo\) in Tunisia sono più lunghe e hanno carattere monumentale. Gli studî finora compiuti hanno portato all'identificazione della maggior parte dei segni e all'interpretazione di alcune parole; il resto è tuttora oggetto di accurate indagini. Anche la questione dell'origine di questo alfabeto libico non è definita. L'islamizzamento dell'Africa del nord diffuse la scrittura araba, per modo che i Berberi in grande maggioranza hanno dimenticato il loro antico alfabeto, ed usano, scrivendo nei loro proprî dialetti, l'alfabeto arabo. Solo i Tuāreg hanno conservato una loro scrittura detta tifīnagh, derivata, con alcune modificazioni, da quella libica.
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