CANACCIO, Bernardo
Nacque a Bologna nel 1297 da un Arpinello detto Canaccio, dell'antica e nobile famiglia degli Scannabecchi. Due anni dopo la sua nascita la famiglia, esiliata perché aderente alla fazione ghibellina dei Lambertazzi, si trasferì a Verona. Qui il C., insieme al fratello Guglielmo, fu introdotto nella corte scaligera, dove probabilmente conobbe Dante che rimase in quella corte dal 1313 al 1319; poi nel 1319-20, quando Dante era ospite di Guido Novello da Polenta a Ravenna, il C. fu certamente suo amico e discepolo. Degli anni successivi sappiamo pochissimo e ignoriamo se il C. dimorasse a Verona o a Ravenna. Il 26 ag. 1356, comunque, egli si trovava a Ravenna e nella guaita di S. Agnese assisteva al testamento di sua moglie Sara da Camposampiero (Ravenna, Archivio notarile, Memoriale, XXIV, c.31r).
Un sonetto di anonimo, forse Menghino Mezzani ("Vostro sì pio ufficio offerto a Dante"), indirizzato al C., gli attribuisce l'epigrafe, un esastico latino, che si legge ancora scolpita sul sepolcro di Dante a Ravenna. Giovanni Boccaccio, nella vita di Dante, racconta che Guido Novello aveva bandito un concorso per l'epigrafe sulla nuova tomba di Dante che egli aveva intenzione di far erigere; in questa occasione appunto il C. avrebbe composto l'esastico "Iura monarchiae" fatto incidere da lui intorno al 1357, dopola morte di Guido Novello, sul vecchio sepolcro.
Non si hanno altre notizie del C. e si ignora l'anno della sua morte.
L'identificazione stessa del C. è stata problematica: tre infatti sono i documenti che lo nominano, e tutti con cognomi diversi. Il codice n. 97della Biblioteca Bodleiana di Oxford (membranaceo del XIV secolo, contenente la Commedia), a c. 193, attribuisce l'epigrafe e il sonetto "Quando 'l turbato volto al bel Pallante" (risposta a quello citato del Mezzani, pur ivi contenuto) a un "Dominus Bernardus de Canatro". Il codice boccoliniano di Foligno, ora perduto, contenente rimatori romagnoli, citato dal Crescimbeni e dal Quadrio, indicava l'autore col nome di Bernardo Canaccio. Infine nel canto VII della Leandreide, scritta forse dal patrizio veneto Giangirolamo Natali, sullo scorcio del sec. XIV, il C., nominato insieme ad altri due bolognesi in un elenco di poeti poco noti del Trecento, viene chiamato "da Chanoco". Fu facile al Borgognoni correggere Canatro in Canaccio (come errata trascrizione di Canatio); quanto al Chanoco della Leandreide, probabilmente si tratta di Chanoço da correggere in Chanazo, grafia veneta per Canaccio. Come Canaccio, del resto, il C. era già noto al Crescimbeni e al Quadrio; infine la questione fu risolta da G. Livi che dimostrò l'appartenenza del C. ad una famiglia Canacci di Bologna, di cui sono noti anche Guglielmo, vicario di Mastino Della Scala intorno al 1340, e Matteo, incaricato dal Comune ravennate della riscossione di un prestito da Giacomo Malvezzi bolognese. Assai più controversa è invece l'intricata questione relativa all'epigrafe sul sepolcro di Dante. Anche dopo lo studio del Ricci sono state rimesse in dubbio la data da lui proposta - il 1357 circa - per l'incisione dell'epigrafe e l'attribuzione al Mezzani del sonetto anonimo indirizzato al C.; e in conclusione tutto quello che si conosce di scritto appartenente a questo autore si riduce a un sonetto e all'epigrafe, le cui attribuzioni sono comunque sicure. L'analisi del sonetto rivela chiaramente l'imitazione di Dante e una certa contegnosa sentenziosità ispirata alle immagini scritturali; i sei versi latini sono caratterizzati da un'oratoria un po' facile e non hanno la concisione richiesta da questo genere di componimenti. Certo sono di molto inferiori a quelli di Giovanni del Virgilio ai quali, pure, furono preferiti. Il sonetto attribuito al Mezzani e la risposta del C., contenuti nel codice bodleiano, furono editi per la prima volta da A. Mortara (Catalogo dei manoscritti italiani..., Oxonii 1864, col.112)e furono poi varie volte ripubblicati (per le edizioni vedi F. Zambrini, Le opere volgari a stampa, Bologna 1884, nn. 75, 180e il Supplemento a cura di S. Morpurgo, Bologna 1929, nn. 250-51, 253).
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9263: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, f. 487v; G. M. Crescimbeni, L'istoria della volgar poesia, V, Roma 1714, p. 401; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Bologna 1741, p. 188; A. Borgognoni, Del vero autore dell'epigrafe che si legge sul sepolcro di Dante, in Rass. settiman., IV (1879), pp. 239 ss.; R. Renier, L'enumerazione dei poeti volgari del Trecento nella Leandreide, in Arch. stor. per Trieste, l'Istria ed il Trentino, I (1882), p. 316; L. Frati, L'autore dell'epigrafe che si legge sul sepolcro di Dante, in Fanfulla della Domenica, XI (1889), n. 26; L. Frati-C. Ricci, Ilsepolcro di Dante: documenti, Bologna 1889, pp. VIII-XII; G. Livi, Dante, suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna 1918, pp. 71-73; C. Ricci, L'ultimo rifugio di Dante, Milano 1921, pp. 279-286 (su cui vedi la recens. di A. Solerti in Giorn. storico d. lett. ital., XIX[1892], pp. 137-42); N. Zingarelli, Dante, Milano 1931, pp. 1349 ss.; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1966, p. 112.