Bertram dal Bornio (Bertrans de Born)
Trovatore, signore di Altaforte; la sua famiglia prende il nome da Born, nel territorio di confine tra il Périgord e il Limosino. Nato prima del 1140, muore monaco nell'abbazia cisterciense di Dalon prima del 1215.
In VE II II 9 D. lo ricorda come " poeta delle armi ", essendo, appunto, la armorum probitas (e probitas va interpretata, secondo le indicazioni dei glossari, come " prodezza ") uno dei tre magnalia che possono essere oggetto dell'alta lirica d'arte il cui strumento è il volgare illustre. Gli altri due sono l'amoris accensio - che è l'oggetto della grande poesia di Arnaldo Daniello - e la directio voluntatis, e cioè la " rettitudine ", che è l'oggetto della poesia di Giraut de Bornelh. Per quel che riguarda l'Italia, alla poesia d'amore del Daniello fa riscontro la poesia d'amore di Cino da Pistoia, alla " poesia della rettitudine " di Giraldo fa riscontro la poesia morale dell'" amico di Cino ", e cioè del D. delle canzoni del Convivio; non è possibile, invece, trovare in Italia riscontri con la poesia guerriera di B.: Arma vero nullum latium adhuc invenio poetasse (II II 10).
I tre magnalia, che soli possono essere oggetto della grande poesia, costituiscono le tre finalità dell'uomo tripliciter spirituatus - animato, cioè, di anima vegetativa, animale, razionale - che deve pèrciò percorrere una triplice via. In quanto essere vegetativo, cerca l'utile, che altro non può essere se non la salus. Al conseguimento della salus serve, appunto, la probitas armorum, che mira, come nota il Marigo, non al privato, ma all'utile pubblico, politico o religioso.
In quanto pertinente alla sfera della vita vegetativa, la poesia delle armi rappresenta il grado inferiore della poesia illustre, essendo i gradi superiori rappresentati dalla poesia d'amore e dalla poesia della rettitudine, ma poesia solenne e grande pur sempre, e sembra di rilevare, nella parola di D., una nota di rammarico, per la mancanza, in Italia, di un cantore delle armi: e nello adhuc il Marigo avverte, quasi, l'attesa o la speranza di " un cantore delle armi giuste e pie che riordineranno l'Italia ".
Come esempio della poesia delle armi di B., D. cita il sirventese No posc mudar c'un cantar non esparja, che impetuosamente esprime il tripudio che fa vibrare l'animo del poeta quando, finalmente, dopo molti incitamenti, Riccardo Cuor di Leone muove guerra a Filippo II Augusto re di Francia (1194): " non posso fare a meno di effondere un canto, perché SI e NO [re Riccardo] ha messo fuoco e trae sangue, che grande guerra, di avaro, fa signore generoso ".
In questo come in molti altri sirventesi e canzoni di B., la guerra è celebrata come la condizione che sola consente l'esercizio di quella che il poeta esalta come la maggiore delle virtù cavalleresche, la ‛ prodezza ': l'esaltazione della guerra è celebrazione della cavalleria, che sta disfacendosi per il vittorioso affermarsi della nuova società borghese, mercantile.
Ciò significa che è da respingere sia l'interpretazione di A. Thierry, che ci presenta B. come un politico lungimirante e acuto, che predica la guerra tra i Plantageneti d'Inghilterra usurpatori della libertà aquitana e i re di Francia, perché nella lotta tra le due potenze che si contendevano il dominio dell'Aquitania vede l'unica possibilità, per la sua patria, di un risorgimento; sia quella del Jeanroy che B. pone come ‛ cavaliere di ventura ' povero, avido e senza scrupoli, che la guerra ama solo per i vantaggi che ne può trarre attraverso la rapina e l'usurpazione dei beni dei ricchi. Certo, nella violenza e nella rapina esercitate contro mercanti e usurai B. vede anche l'unico mezzo con cui il cavaliere può provvedere alla sua vita, ma non per una brutale ferocia di masnadiero, bensì per l'odio profondo che egli prova per la concezione borghese della ricchezza, sordida e non eroica. L'esaltazione della guerra è, nella poesia di B., celebrazione del rischio, della ‛ prova ' che può condurre alla morte, sentita come liberazione da una vita misera e oscura. La guerra, d'altra parte, è vista e sentita come spettacolo, affascinante e tremendo, pieno di luci e di colori, grandioso e solenne, luminoso e tragico, nella cui contemplazione l'animo del cavaliere si appaga ( " ieu us dic que tan no m'a sabor manjar ni beure ni dormir que quand aug Gridar a lor "...).
Celebrazione della prodezza la poesia delle armi di B., che canta tuttavia anche le altre grandi virtù cavalleresche, la giovinezza disinteressata e magnanima e la liberalità, specialmente: e per la sua liberalità, appunto, D. lo ricorda con lode in CV IV XI 14, insieme con Alessandro di Castiglia e il Saladino.
Ma contro B. sta, d'altra parte, la terribile condanna di lf XXVIII 118-142. D. accetta l'indicazione del vecchio biografo (" Sempre volle che avessero guerra insieme il padre e il figlio e il fratello, l'uno con l'altro "), riecheggiata dalla XXIII delle Novelle antiche (" leggesi della bontà del re giovane, guerreando col padre per consiglio di Beltrame del Borno "). A Enrico d'Inghilterra, detto il re giovane perché coronato mentre ancora viveva il padre, Enrico II, B. ha dato i ma' conforti spingendolo alla guerra contro il padre, così come Achitofel aveva aizzato Assalonne contro il padre suo David; e poiché ha diviso persone così strettamente congiunte, ha per l'eternità il capo diviso dal principio del busto: spietata applicazione della legge implacabile del contrapasso, e, al tempo stesso, potente rappresentazione artistica, nella quale, come ha scritto il Fubini, il motivo del c. XXVIII è " ridotto al suo stato puro ed essenziale, e presentato al termine di una progressione di orrori sorprendenti in una forma che non può essere superata ".
Al re giovane, male consigliato e spinto alla rovina, B. è tuttavia legato da devota amicizia e da tenero affetto, che si esprimono, specialmente, nel planh per la morte di Enrico (Si tuit li plor e i marrimen), in cui con grande potenza si ritrae il mondo rimasto oscuro, dolente, angosciato, pieno di " tristor e ira " per la scomparsa del giovane eroe, pregio e cima di cavalleria.
Bibl. - L'edizione più recente delle poesie di B. è quella a c. di K. Appel, Halle 1932.
Per la valutazione critica, J. Anglade, Les troubadours, Parigi 1907; A. Jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, ibid. 1934; A. Viscardi, Storia delle letterature d'oc et d'oïl, Milano 19593. La bibliografia completa fino al 1933 (integrata dall'opera di I. Frank, Répertoire métrique des troubadours, Halle 1953) è nella Bibliographie des Troubadours, del Pillet, ibid. 1933, n. 80. Per la valutazione dell'episodio dantesco, cfr. M. Scherillo, B. de B., in " Nuova Antol. " agosto-settembre 1897; V. Crescini, Il c. XXVIII dell'Inferno, in Lett. dant. 549-564; M. Fubini, in Lect. Scaligera, ibid. 1967, 997-1021.