Bevande
Il termine bevanda (dal gerundivo latino bibenda, "cose da bere") indica qualsiasi liquido che si beve, per dissetarsi o per piacere, consuetudine, prescrizione medicinale o rituale. Accanto alla bevanda per eccellenza, l'acqua, e ad altre bevande naturali quali il latte, l'uomo fa uso da millenni di bevande prodotte artificialmente dall'unione delle sostanze vegetali più diverse con l'acqua. Si distinguono bevande alcoliche, quali il vino, la birra e le tante altre ottenute attraverso il processo della fermentazione alcolica, o quelle ottenute per successiva distillazione, come i liquori, la grappa, il cognac ecc., e bevande analcoliche, ottenute estraendo con acqua i principi attivi di piante varie, come avviene per tè, caffè o numerosi altri infusi, estratti o succhi vegetali, oppure miscelando ad acqua sostanze dolcificanti, aromatizzanti o acidificanti, come avviene nella produzione industriale di bibite, eventualmente rese effervescenti addizionando anidride carbonica.
1. L'alcol etilico e il suo metabolismo di Pietro Guerrieri
Il termine alcol (dall'arabo al-kunt, solfuro in polvere), inizialmente usato in alchimia per designare la parte più sottile di un corpo, la sua essenza (l'acido solforico era chiamato alcohol sulphuris), indica in alchimia il primo prodotto di ossidazione di un idrocarburo o, più precisamente, un composto derivato da un idrocarburo per sostituzione di uno o più atomi di idrogeno dei gruppi alchilici con altrettanti gruppi ossidrili (-OH). Nell'uso corrente il termine indica l'alcol etilico, sia nel suo uso farmaceutico e medicamentoso, sia come componente distintivo delle diverse bevande alcoliche, nelle quali si viene a formare per fermentazione, a opera di lieviti o altri microrganismi anaerobi, di liquidi zuccherini, presenti come tali in succhi vegetali od ottenuti per idrolisi di carboidrati. Nel processo, monosaccaridi a 6 atomi di carbonio, quali glucosio o fruttosio, vengono degradati ad alcol etilico, un composto a 2 atomi di carbonio, e anidride carbonica, secondo la reazione C₆H₁₂O₆ → 2CH₃CH₂OH + 2CO₂.
Come tutti gli alcoli primari, quelli cioè in cui l'atomo di carbonio che porta il gruppo ossidrile (-OH) è legato a un solo altro atomo di carbonio, l'alcol etilico o etanolo (CH₃CH₂OH) è formalmente il prodotto dell'ossigenazione di un gruppo metilico (-CH₃) del corrispondente idrocarburo (etano: CH₃-CH₃); dall'ossidazione dell'etanolo deriva l'acetaldeide o etanale (CH₃-CHO), dalla quale si ottiene, per ulteriore ossidazione, l'acido acetico (CH₃-COOH). L'alcol etilico, avendo un grado di polarità paragonabile a quello dell'acqua, è miscibile con essa praticamente in tutti i rapporti quantitativi possibili. La forma che si incontra più comunemente nell'uso in medicina e nell'industria è il cosiddetto alcol puro o alcol al 95%, che contiene il 5% in peso di acqua; l'alcol al 100% è anche noto come alcol assoluto o anidro. L'alcol denaturato è invece miscelato con sostanze coloranti e aromatizzate e con metanolo (CH₃OH).
L'alcol viene assunto per via orale e, a differenza della maggior parte degli altri alimenti, non necessita di un processo di digestione, ma viene rapidamente assorbito dallo stomaco (per il 20%) e dall'intestino per semplice diffusione. Il grado e la velocità di assorbimento dipendono da un certo numero di fattori, tra i quali la quantità di alcol assunto, la gradazione alcolica della bevanda, la rapidità d'ingestione e il grado di riempimento gastrico al momento dell'ingestione. Una volta assorbito nel sangue, l'alcol giunge al fegato e quindi entra nella circolazione generale, attraverso la quale viene distribuito ai vari organi e tessuti in quantità proporzionale al loro contenuto di acqua e alla portata del flusso ematico che li raggiunge. Circa il 2% dell'alcol ematico viene eliminato con le urine o per via polmonare, essendo in questo caso espulso in forma di vapore a livello degli alveoli polmonari; il rapporto di distribuzione dell'alcol tra il sangue e l'aria a livello alveolare è circa di 1/2100, cioè 2,1 litri di aria alveolare contengono la medesima quantità di alcol presente in 1 cc di sangue. Il resto dell'alcol viene rapidamente ossidato nel fegato e negli altri tessuti dall'enzima alcol deidrogenasi, che lo trasforma in acetaldeide, la quale, a sua volta, è ossidata ad acido acetico dall'aldeide deidrogenasi. L'acido acetico viene quindi trasformato per azione dell'enzima acetil CoA sintetasi in acetil CoA, sostanza che può prendere diverse vie metaboliche. Esso infatti può costituire il composto di partenza nella biosintesi degli acidi grassi e del colesterolo, oppure può entrare nel ciclo di Krebs, dove il suo gruppo acetile viene ossidato enzimaticamente ad anidride carbonica e acqua. Questa seconda via metabolica, seguita dalla maggior parte dell'acetil CoA, è parte del processo di respirazione cellulare, il cui compito è quello di produrre energia sotto forma di adenosintrifosfato (ATP). In caso di assunzione continuativa e sovrabbondante di alcol prevale però la via che porta alla produzione di acidi grassi, e il conseguente eccesso di metaboliti lipidici può causare danni, anche gravi, a livello epatico, cardiologico e cerebrale, oltre a provocare lo stato di malessere generale di cui soffrono coloro che sono affetti dalla sindrome dell'alcolismo (v. alcolismo). A livello cerebrale, l'assorbimento di alcol in piccole dosi può avere l'effetto di ridurre l'azione dei centri di controllo e di eccitare o stimolare funzioni e comportamenti caratteristici (ilarità, riduzione dei freni inibitori, loquacità, alterazioni percettive, squilibri dell'umore ecc.). A dosi più elevate, subentra un effetto depressivo, che può accentuarsi dando luogo a una graduale perdita di reattività, allo stupore e, infine, al coma. In dosi moderate l'alcol ha azione vasodilatatoria e, secondo numerosi autori, esercita proprietà benefiche sulla circolazione e sul metabolismo, il che era peraltro riconosciuto, particolarmente per il vino, dall'impiego che anticamente se ne faceva in medicina.
2. Bevande fermentate, distillati, liquori (Red.)
L'alcol etilico è un componente essenziale delle bevande alcoliche, che possono essere classificate in tre gruppi sulla base del procedimento impiegato per ottenerle: a) per fermentazione, b) per distillazione, c) per idratazione, aromatizzazione e dolcificazione dell'alcol puro. Appartengono al primo gruppo la birra, che si ottiene dalla fermentazione del luppolo e dell'orzo maltato e ha una gradazione alcolica del 4-6%, e il vino, con 10-12 gradi alcolici, che viene prodotto dalla fermentazione dell'uva. Esempi di bevande ottenute per distillazione, tutte intorno a 40-50 gradi alcolici, sono il whisky (derivato dal grano maltato), il brandy (dal succo d'uva), il rhum (dalla melassa), la vodka (dal frumento), il gin (dal ginepro) e le varie acquaviti derivanti dalla distillazione di diversi frutti. Con il terzo metodo si ottengono vari altri liquori, la cui gradazione alcolica è tipicamente compresa tra 30 e 50 gradi.
a) Birra. Se il vino è la bevanda alcolica forse più legata alla storia della cultura, prodotta già almeno 5000 anni fa nel Vicino Oriente e in Egitto, anche la birra vanta antichissime origini, cosa non facile da comprendersi per un prodotto la cui preparazione è relativamente complessa rispetto a quella di bevande ottenute per fermentazione spontanea, quali l'idromele e il vino. Nota in Mesopotamia fin dal 3° millennio a.C., menzionata nel codice di Hammurabi con leggi per regolarne la mescita, ampiamente diffusa in Egitto, dove l'insegnamento della sua preparazione era fatto risalire al dio Osiride, la birra non si impose nel mondo greco-romano, dove il vino rimase la bevanda di maggior consumo, ma si diffuse già in età remota presso le popolazioni germaniche, celtiche e della Gallia e, in genere, nelle regioni caratterizzate da condizioni climatiche non adatte alla coltivazione della vite. La birra è un prodotto della fermentazione alcolica di un mosto ricavato mediante infusione di malto d'orzo (o anche di frumento, segale, avena o altro) con acqua. A partire dall'11°-12° secolo d.C., si è sviluppato l'uso di aromatizzarla aggiungendo, durante la preparazione del mosto, fiori di luppolo, la cui quantità determinerà la maggiore o minore intensità del sapore amaro della bevanda. Il malto si ottiene facendo germinare il cereale in acqua e interrompendo la germinazione subito dopo la formazione degli enzimi necessari per trasformare l'amido presente nei semi in zuccheri (e cioè l'amilasi, l'enzima che trasforma l'amido in maltosio, uno zucchero già in grado di fermentare, e la maltasi, l'enzima che trasforma il maltosio in glucosio). Il mosto così ottenuto viene filtrato, addizionato con luppolo, mediamente in misura di 250-350 g/hl (ma anche molto di più, secondo il tipo di birra), e quindi cotto, facendolo bollire 2-3 ore. Si procede poi al raffreddamento e alla fermentazione con lieviti selezionati appartenenti alle specie Saccharomyces cerevisiae e Saccharomyces carlsbergensis e, infine, ai processi di filtrazione e pastorizzazione, che consentono a un tempo l'illimpidimento della bevanda e la sua prolungata conservabilità. La birra ha in genere una gradazione alcolica di circa 3-5%, ma ve ne sono anche di più forti (6,5% o più) o più leggere (meno di 2%) o analcoliche.
Oltre al vino e alla birra, esistono numerose altre bevande fermentate a diffusione prevalentemente locale o comunque meno generalizzata. Si possono ricordare il sidro, bevanda caratteristica di alcune regioni nordeuropee, ricavata dalla fermentazione del succo di mela (o, più raramente, di pera), con una gradazione alcolica del 2-3% (ma che può arrivare fino al 6-7%), o il sakè, caratteristica bevanda giapponese a gradazione alcolica relativamente elevata (fino al 18%), ricavata dalla fermentazione del riso e generalmente servita calda.
b) Distillati. Sono bevande a elevata gradazione alcolica, per lo più intorno al 40% e fino al 70% e oltre, a cui si dà frequentemente il nome generico di 'acquaviti'; sono ottenuti dalla distillazione di soluzioni idroalcoliche (dette genericamente 'vini') provenienti dalla fermentazione di mosti d'uva, frutta o altre sostanze. La distillazione si basa sul diverso punto di ebollizione delle sostanze, in particolare di alcol (78,5 °C) e acqua (100 °C) e, dunque, sulla possibilità di separarle portando la soluzione a temperatura intermedia (per cui una sostanza si trasforma in vapore e l'altra no) e poi raffreddando il vapore formatosi per farlo nuovamente condensare in liquido e separarlo. Separando liquidi a diverso punto di ebollizione e separandoli dai solidi non volatili presenti nel prodotto originario, la distillazione alcolica consente di ottenere liquidi in cui la concentrazione di alcol etilico è molto maggiore di quella della sostanza fermentata di partenza. A seconda della materia prima impiegata, si distinguono acquaviti di vino (cognac, brandy), vinacce (grappa), cereali (whisky), ginepro (gin), melassa di canna (rhum), ciliegie (kirsch), prugne (slivowitz) ecc.
c) Liquori. Questo termine è preferibilmente riservato a distillati alcolici a gradazione mediamente più bassa, in genere tra il 30 e il 50%, aromatizzati con succhi di piante aromatiche o altre essenze e sovente zuccherati. Sono tali le numerose bevande a base di anice, una pianta aromatica con proprietà digestive, in quanto stimola la secrezione di succhi gastrici, sedative e antispastiche, i cui frutti, macerati in alcol e poi distillati, eventualmente con aggiunta di altre piante aromatiche, sono utilizzati per la preparazione di liquori quali l'anisetta o la sambuca, il mistrà, il pastis francese, l'ouzo greco, l'arrak dei paesi arabi e mediorientali ecc. Noti liquori sono anche la chartreuse, a base di erbe varie come issopo, melissa, assenzio ecc.; il curaçao, ottenuto dalla distillazione di buccia d'arancia o mandarino; il centerbe, ottenuto per infusione alcolica di numerose piante aromatiche, tra cui rosmarino, timo, anice, menta, salvia ecc., e che può raggiungere un'altissima gradazione alcolica (fino a 91%); e molti altri. Appartengono alla categoria dei liquori anche gli amari, usati come aperitivi o digestivi.
1.
Le due più note bevande analcoliche ottenute dalle piante sono il tè e il caffè, il primo ottenuto per infusione delle foglie della pianta Thea sinensis, di origine indiana e cinese, il secondo preparato dai semi tostati e macinati di diverse piante appartenenti al genere Coffea: l'arabica, la robusta e l'iberica. Mentre l'uso del tè come bevanda è ormai tradizionalmente diffuso, oltre che nei paesi d'origine e in generale in tutto l'Oriente, anche in Inghilterra e in Russia, il caffè ha trovato maggiore fortuna nei paesi latini. Tale ripartizione, sebbene oggi parzialmente superata da modelli alimentari sempre meno legati alle usanze locali, più aperti e interculturali, è frutto dei diversi eventi storici che hanno coinvolto i due prodotti. Il tè era inizialmente impiegato in Cina come medicinale, e solo successivamente acquistò importanza come bevanda voluttuaria, conservando comunque complessi significati rituali e religiosi, diffondendosi anche in altri paesi orientali. In Occidente, la più antica testimonianza risale all'anno 879, come attesta un documento europeo dell'epoca, e negli scritti di Marco Polo si fa riferimento alle imposte che gravavano sulla pianta. Nei paesi dell'Occidente, comunque, la diffusione del tè come bevanda iniziò con il 16° secolo, prima in Francia e in Russia e quindi, dal 1650, in Inghilterra. Per quanto riguarda il caffè, si ritiene che esso sia stato introdotto nel 10° secolo dalla sua regione di origine, l'Abissinia, nella penisola arabica, dove ebbe rapida fortuna. Dal mondo arabo, il caffè si diffuse nelle Indie orientali e da qui, attraverso Costantinopoli, raggiunse nel 1615 Venezia e, successivamente, altre importanti città europee. I locali adibiti alla consumazione del caffè, noti nei paesi islamici fin dal 15° secolo, divennero ritrovi molto in voga nei paesi europei, a cominciare da Venezia, dove la prima bottega del caffè aprì nel 1640, divenendo centri di vita culturale, artistica e politica.
Sia il tè sia il caffè contengono una quantità rilevante di caffeina, un alcaloide con importanti proprietà farmacologiche: una tazza di tè ne contiene circa 50 mg, mentre nel caffè essa può andare dai 30 ai 120 mg per tazza, in funzione della varietà, del grado di macinazione e torrefazione e delle modalità di preparazione della bevanda. Per il loro contenuto di caffeina, ambedue le bevande esercitano un'azione stimolante sul sistema nervoso, hanno proprietà cardiocinetiche e favoriscono la digestione e la diuresi. Il tè contiene anche un altro alcaloide, la teobromina, ad azione diuretica ma non eccitante; la presenza di tannini conferisce al tè anche un effetto astringente. Il caffè ha particolari proprietà toniche e cardiocinetiche ed esercita la sua azione anche sull'apparato digerente, favorendo la secrezione di acido cloridrico nello stomaco e aumentando la peristalsi intestinale; accresce la resistenza alla fatica, migliorando la percezione sensoria e la prontezza di riflessi. In quantità eccessiva, sia tè sia caffè possono provocare acidità gastrica, eccitabilità, accelerazione cardiaca; il caffè è particolarmente controindicato nei casi di ipertensione, nelle neuropatie e nelle lesioni miocardiche.
2.
Piccole quantità di alcaloidi - caffeina e, soprattutto, teobromina - sono presenti anche nella cioccolata, una bevanda ottenuta sciogliendo polvere di cacao in acqua o latte. La polvere di cacao si ottiene dalla macinazione dei semi della pianta di cacao, estratti dai frutti appena raccolti, leggermente fermentati e torrefatti, ed è poi impastata con zucchero. Il cacao è una pianta originaria dei bacini del Rio delle Amazzoni e dell'Orinoco, attualmente coltivata in tutte le aree tropicali dell'America, nell'Africa occidentale e altrove. Dall'America precolombiana, dove la pianta era considerata cibo degli dei e si faceva gran consumo dei suoi semi, sia solidi sia disciolti in bevanda, il cacao giunse in Europa a seguito della conquista spagnola. La bevanda ebbe grande successo in Spagna, dove fu introdotta (1528) da Hernán Cortés, passò più tardi nelle Fiandre e in Italia (1631) e, poi, nei principali paesi europei, principalmente Francia e Inghilterra (intorno al 1650). Con l'aggiunta di zucchero, o anche miele, vaniglia e cannella, la cioccolata divenne sempre più diffusa, pur rimanendo a lungo un genere di lusso, a causa dell'alto costo del prodotto e delle pesanti tasse di cui era gravato, e a Londra, Amsterdam e altre capitali europee, nacquero eleganti locali pubblici, le chocolate houses, "case della cioccolata", riservate alla buona società, alcune poi trasformatesi in famosi club. Il cacao è un alimento molto nutriente, ricco di lipidi, glucidi e sostanze azotate; la teobromina gli conferisce proprietà diuretiche e vasodilatatrici, e le modeste quantità di caffeina gli danno anche un'azione leggermente tonica e cardiocinetica.
3.
Un'importante bevanda ottenuta per infusione è la camomilla, dalle ben note caratteristiche calmanti e distensive, preparata a partire da due generi di pianta erbacea, la camomilla comune (Matricaria chamomilla) e la camomilla romana (Anthemis nobilis). La camomilla trova vasto impiego medicinale sotto forma di infuso, grazie alle sue proprietà antinfiammatorie, amaro-toniche e astringenti. Come bevanda, il suo consumo è principalmente dovuto alle proprietà distensive che favoriscono il sonno. La pianta era considerata sacra dagli antichi egizi e nel mondo classico; Galeno la cita come rimedio universale per numerose malattie. Diffusasi sia in Oriente sia in Occidente, la camomilla comune oggi è coltivata su vasta scala in Svizzera, Ungheria, Olanda, Australia e Stati Uniti, mentre la camomilla romana è coltivata nell'Europa centrosettentrionale e in Italia come pianta medicinale. Nella tradizione popolare sono di uso comune anche molti altri infusi ottenuti da fiori, foglie, radici o altre parti di piante, quali: menta, tiglio, malva, altea, genziana, ipecacuana, rabarbaro, assenzio, belladonna, karkadè, ruta, salvia, verbasco ecc. In ciascuna di queste piante sono presenti uno o più principi attivi che conferiscono alla bevanda, ottenuta mediante trattamento con acqua a freddo o a caldo, particolari proprietà benefiche. Studi recenti sui vari costituenti delle piante aromatiche che trovano impiego nella preparazione di bevande hanno permesso di identificare alcuni di tali principi e ne hanno chiarito i meccanismi di azione, talora ponendo anche i limiti oltre i quali ne è sconsigliata l'assunzione.
4.
Questo genere di bevande è preparato industrialmente con acqua potabile o acqua minerale e zuccheri o altri dolcificanti, succhi di frutta, estratti vegetali, aromi, sostanze acidificanti e additivi, in genere con aggiunta di anidride carbonica per rendere la bibita effervescente. Alla diffusione delle bevande gassate ha contribuito lo sviluppo di una tecnologia in grado di consentirne la confezione in recipienti chiusi, idonei a mantenere la pressione gassosa. Dalle prime bottiglie chiuse con tappi a pressione o a leva si è passati alla chiusura con tappi a corona, alla confezione in lattine di metallo e all'imbottigliamento in recipienti di materiale plastico. Recentemente hanno fatto la loro comparsa sul mercato anche bibite 'lisce' (non gassate) confezionate in cartone impermeabilizzato. Queste bevande (in genere definite 'di fantasia') possono essere suddivise in quattro classi: bibite a base di succo di frutta; bibite a base di estratti; bibite aromatizzate; acque gassate. In tutte, l'ingrediente percentualmente più rilevante è l'acqua, che varia dal 60 al 90%. Le bibite a base di succo di frutta contengono quest'ultimo in percentuale generalmente variabile tra il 10 e il 30%; appartengono a questa classe l'aranciata, la limonata e, più in generale, le bibite a base di succo di agrumi, come il pompelmo e il mandarino. Le bibite a base di estratto sono prodotte con estratti di parti di piante, foglie o radici, o estratti di frutta non in forma di succo: ne fanno parte le bibite cola, il chinotto, il ginger, il grape. Le bibite aromatizzate sono invece ottenute con il solo impiego di aromi naturali o artificiali, mentre le acque gassate (acque di seltz o di soda) sono preparate con aromi e acidi citrico, malico e tartarico.La tecnica di produzione di questo tipo di bevande si articola generalmente in tre fasi: preparazione dello sciroppo contenente l'estratto e gli aromi, aggiunta di acqua potabile e di acidi, e gassatura. L'intero iter di lavorazione è espletato direttamente nel contenitore lungo le linee produttive a ciclo continuo e termina con la chiusura ermetica della confezione dopo che la gassatura è stata effettuata. La stabilità del prodotto, soprattutto nel caso in cui tra gli ingredienti siano presenti sostanze suscettibili di fermentazione, quali, per es., succhi di frutta e zuccheri, si ottiene mediante pastorizzazione o attraverso l'impiego di conservanti antimicrobici (acido benzoico e benzoati).
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