BIANCO, Carlo Angelo, conte di Saint-Jorioz
Nacque in Barge (Cuneo) il 10 apr. 1795 da Giambattista, avvocato collegiato a Torino (fatto conte di Saint-Jorioz l'11 febbr. 1791), e da Paola Giuseppina Peyretti di Condove. Iniziati gli studi di giurisprudenza all'università di Torino, con la Restaurazione intraprese la carriera militare venendo nominato sottotenente, e poi tenente, del reggimento dei dragoni del re. In questi anni il B. si andò decisamente orientando verso posizioni liberali avanzate e - entrato in rapporti con nuclei di federati - svolse una efficace attività cospirativa all'interno del suo reggimento, tanto che figurò tra i principali promotori del movimento insurrezionale di Alessandria nella notte dal 9 al 10 marzo 1821. Il 10 marzo fu incluso nella giunta provvisoria di governo presieduta da G. Ansaldi, e ne firmò il manifesto che proclamava la costituzione spagnola del 1812. Dopo il fallimento del movimento rivoluzionario, il B. riuscì a lasciare il paese imbarcandosi a Genova alla volta della Spagna, mentre il procedimento aperto contro di lui per alto tradimento si chiudeva con la condanna a morte e la confisca di tutti i suoi beni (19 luglio 1821). In Spagna combatté per la causa costituzionale in Catalogna, prima al comando di un corpo di lancieri formato da esuli italiani, e poi nello Stato Maggiore di R. de Riego, distinguendosi tra l'altro nella battaglia di Mataró (23 maggio 1823). Arrestato subito dopo a Malaga in conseguenza del crollo delle forze rivoluzionarie, rimase in carcere per alcuni mesi finché, fuggito, poté riparare a Gibilterra, da dove s'imbarcò per la Grecia, e di lì per Malta. Nell'esilio maltese il B. meditò a lungo sulla questione della rivoluzione nazionale italiana, consegnando il frutto delle sue riflessioni in un "trattato" stampato a Malta con il titolo Della guerra nazionale d'insurrezione per bande,applicata all'Italia. Trattato dedicato ai buoni italiani da un amico del paese (Italia 1830).
Il B. assumeva come punto di partenza l'asserzione che l'Italia non avrebbe potuto iniziare la sua lotta di liberazione con un esercito regolare, perché non era possibile sperare che le truppe dei vari stati italiani si concentrassero con un movimento simultaneo in un punto determinato per intraprendere in comune la guerra contro le milizie austriache; e non era neppure da attendersi una esplosione popolare generale che sterminasse, come in un nuovo Vespro, gli stranieri. Ne scaturiva la conseguenza che l'unico sistema da adottare nella lotta di liberazione (che era vista come lotta "nazionale", cui avrebbe dovuto prendere parte tutto il popolo, e in primo luogo i contadini) era perciò la guerra "di parte", la guerriglia partigiana condotta da piccole bande, la cui essenza doveva consistere nel logoramento assiduo del nemico, evitando l'urto frontale, fino a rendergli impossibile la permanenza nella penisola. La caratterizzazione che della guerra per bande si dava nel "trattato" era esplicitamente derivata dallo studio delle lotte popolari antifrancesi svoltesi durante il periodo napoleonico in Calabria, in Russia e, soprattutto, in Spagna. I partigiani dovevano, cioè, solcando con le loro formazioni la superficie della penisola, tormentare il nemico nelle marce ed attaccarlo da posizioni vantaggiose, costringerlo ad allontanarsi dalle sue basi di operazioni, tagliargli le comunicazioni, molestarlo in tutti i modi, forzarlo a disperdere e logorare le sue forze.
Il B., nonostante il suo idoleggiamento a volte semplicistico della guerra partigiana, che lo portava a sottovalutare o a trascurare elementi che erano stati tipici dell'esperienza spagnola cui egli si rifaceva (come l'appoggio dato alle guerrillas dalle truppe regolari inglesi presenti nella penisola e la funzione determinante del clero), si rendeva però conto, in una certa misura, che la guerriglia non sarebbe stata sufficiente a liberare da sola l'Italia., ed ammetteva perciò la transizione, nel corso della guerra contro lo straniero, ad uno stadio superiore di ordinamento militare - articolato su "colonne volanti", raggruppate in "legioni" - che avrebbe dovuto permettere la costituzione di un vero e proprio esercito regolare e il conseguente passaggio alla "guerra grande".
Lo scritto del B. è interessante, oltre che per la teorizzazione della guerra per bande (che Mazzini farà propria fin dall'atto della fondazione della Giovine Italia e che sarà uno dei filoni essenziali del pensiero democratico risorgimentale), per le sue posizioni più propriamente politiche. Il B. non solo è infatti decisamente unitario e repubblicano, ma nel suo "trattato" sono anche presenti motivi ed elementi ideologici che fanno pensare ad una possibile influenza buonarrotiana. Certamente tra il piemontese e Filippo Buonarroti non ci furono - come si vedrà - contatti né personali né epistolari prima della fine del 1830, ma motivi tipici del mondo ideale buonarrotiano (o almeno neogiacobino) sono comunque chiaramente percepibili nella Guerra nazionale d'insurrezione: anzitutto la contrapposizione tra ricchi e poveri e la condanna moralistica delle ricchezze (I, pp. 32 ss.); il giudizio negativo sulle capitali e sulle grandi città, agglomerati di vizi e fomiti di corruzione (I, pp. 18 s.); la necessità della creazione di una dittatura rivoluzionaria e del ricorso al terrore contro i nemici della rivoluzione (I, pp. 253 ss.), e così via.
La rivoluzione francese del luglio 1830 e le speranze che le "tre gloriose" avevano acceso tra gli emigrati italiani circa la possibilità di tentare un movimento insurrezionale in Italia spinsero il B. a lasciare Malta: alla fine di quell'anno egli era infatti a Parigi dove, presentato da Prospero Pirondi, entrò in relazione personale con F. Buonarroti. Insieme con il vecchio rivoluzionario il B. entrò a far parte nel gennaio 1831 di quella Giunta liberatrice italiana che si proponeva di dirigere l'azione delle varie società e gruppi patriottici formatisi tra gli emigrati italiani all'indomani della caduta di Carlo X. In questi stessi mesi il B. si mise alla testa della società segreta di ispirazione buonarrotiana degli "Apofasimeni", che allungò le sue propaggini in Toscana, a Bologna e a Napoli. Nel febbraio 1831 egli si portò a Lione, per prendere parte ai preparativi della prima spedizione sulla Savoia, organizzata dagli esuli italiani e impedita dall'intervento delle autorità francesi; e subito dopo si recò in Corsica, per tentare di organizzare da quell'isola una spedizione per aiutare gli insorti dell'Italia centrale. Venuta meno anche questa possibilità, il B. fece allora ritorno in Francia, dove, a Marsiglia, strinse stretti rapporti con Mazzini.
La ricostruzione delle relazioni tra i due esuli non è però facile, perché la documentazione al riguardo è scarsa. È certo comunque che il B. subì l'ascendente intellettuale di Mazzini, che lo convinse ad aderire alla Giovine Italia, alla cui organizzazione il piemontese (che vi prese il nome di guerra di Ghino di Tacco) lavorò assiduamente nel corso del 1832e 1833, pur senza abbandonare definitivamente le sue idee giacobino-buonarrotiane (di qui i giudizi cautelosi e limitativi sul B. che ricorrono nell'epistolario mazziniano, di cui il più significativo è quello contenuto in una lettera a Luigi Amedeo Melegari del 28sett. 1833: "Infatto di principii lo credo dotato di alcuni principii, profondamente sentiti: non intelletto agile: non vedute estese: cervello ristretto, come in generale son tutti i Buonarrotisti,montagnards del 1833. Se in Italia nasceranno clubs e partiti, certo, verrà il momento in cui avremo, temo, a schierarci sotto opposte bandiere - è terrorista, e terrorista per sistema, non per cuore").
In particolare il B. fece parte della Congrega centrale della Giovine Italia, e cooperò attivamente alla preparazione della seconda spedizione sulla Savoia, nel corso della quale ebbe il comando di una delle colonne d'invasione. E probabilmente in connessione con questo tentativo pubblicò nel 1833 un Manuale pratico del rivoluzionario italiano desunto dal trattato sulla guerra d'insurrezione per bande, destinato a divulgare in forma più piana ed accessibile i principi della guerra partigiana teorizzati nell'opera maggiore del 1830. Fallita la spedizione in Savoia, il B. fu tra i firmatari dell'atto costitutivo della Giovine Europa (15 apr. 1834), ma costretto poco dopo a lasciare la Svizzera - anche per le pressioni del governo francese -, esulò a Bruxelles, donde continuò a mantenersi in contatto epistolare con Mazzini allontanandosi però gradatamente da una partecipazione attiva alla lotta politica. Nella città belga visse con la moglie, Adele Bonsignore (cui si era unito in Piemonte nel 1818 e che sposò legalmente a Marsiglia il 2 ag. 1832) e con il figlio Alessandro, premuto dal bisogno e logorato dallo sconforto. Esito infelice ebbero i suoi ripetuti tentativi d'impiantare piccole imprese industriali, che lo portarono ad indebitarsi con usurai e a chiedere prestiti (tra gli altri al principe Pietro Napoleone Bonaparte).
Ad accrescere il suo sconforto contribuì forse il comportamento del figlio Alessandro che, mandato dal padre in Piemonte per cercare di ottenere la revoca della confisca dei beni, fece atto di omaggio a Carlo Alberto e si arruolò nell'esercito piemontese (3 genn. 1840), pur mantenendo affettuosi rapporti epistolari col padre. In questo quadro maturò nel B. il proposito di porre fine ai suoi giorni, che attuò il 9 maggio 1843 annegandosi in un canale di Bruxelles.
Tra gli scritti del B., oltre a quelli citati, sono da ricordare una lettera, in difesa della Giovine Italia, stampata nella Tribune di Parigi del 21 marzo 1832(datata Marsiglia, 6 marzo 1832); la replica all'opuscolo di G. Ramorino,Précis sur les derniers événements de Savoie, stampata nell'Europe centrale dell'8 maggio 1834 (datata 15apr. 1834; è riprodotta in Ediz. naz. degli scritti... di G. Mazzini, IX, pp. 248-253); ed una relazione sulla spedizione di Savoia stampata in Risorgimento italiano, novembre-dicembre 1914, pp. 802-809.
Lettere inedite del B. si trovano nella raccolta di autografi del fondo Piancastelli della Biblioteca Comunale di Forlì, nel Museo centrale del Risorgimento di Roma (b. 512, n. 16 e 17) e presso Vittorio Parmentola a Torino.
Bibl.: Per notizie generali sulla biografia del B.: G. Mazzini, C. B. [necrologio], in Apostolato popolare, Londra, 30 sett. 1843 (ora in Ediz. naz. degli scritti, XXV, pp. 241-244); A. Vannucci, I martiri della libertà ital. dal 1749 al 1848, Milano 1887, I, pp. 323-327; L. Carpi, Il Risorg. ital., Milano s.d., III, pp. 175-184 (pubblica alcune lettere del B. all'ab. Pietro Mucci ed al figlio Alessandro). Per i rapporti con Mazzini, oltre all'Epistolario mazziniano, vedi: Protocollo della Giovine Italia, ad Indicem. La lettera di Buonarroti a Pirondi è in R. Marmiroli,Un mazzetto d'autografi, in Gazz. di Reggio, Reggio Emilia, 3 giugno 1951. Per la partecipazione del B. alla rivol. piemontese del 1821, cfr. C. Torta,La rivoluzione Piemontese nel 1821, Roma-Milano 1908, pp. 89, 98. Per il suo esilio in Spagna è da vedere C. Beolchi,Reminiscenze dall'esilio, Torino 1852, pp. 116 s. e 215-217 (il Beolchi dedicò al B. la prima edizione del suo scritto). Per gli "Apofasimeni" cfr. A. M. Ghisalberti, Cospirazioni del Risorg., Palermo 1938, pp. 31 ss.; dei rapporti del B. con Mazzini e con Buonarroti si occupano anche A. Saitta, Filippo Buonarroti, Roma 1950-1951,ad Indicem, e A. Galante Garrone,F. Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento, Torino 1950,ad Indicem. Un accurato e penetrante esame del pensiero militare del B. è quello di P. Pieri, C. B. e il suo trattato sulla guerra partigiana, in Boll. stor. bibl. subalpino, LV (1957), n. 2, pp. 373-424; LVI (1958), n. I, pp. 77-104. Per questo aspetto cfr. anche V. Parmentola, C. B., G. Mazzini e la teoria dell'insurrezione, in Boll. d. Domus mazziniana, V(1959), n. 2, pp. 5-40. Per altri elementi biografici si vedano infine: Rossini,Frammenti della vita del conte C. A. B. di S. J., Torino 1853; G. Roberti,Un volumetto di lettere d'un condannato del 1821, in Boll. uff. del primo Congresso storico del Risorgimento italiano, Milano, maggio 1906, pp. 151-160; L. Ferraris, Il C.L.N. nel 1830, in Agorà, II(1946), p. 38; L. Ferraris,Carlo Bianco conte di Saint-Jorioz (1795-1843) e Documenti inediti, in Boll. stor. bibl. subalpino, LX (1962), pp. 83-146 (115-146: documenti). Vedi ancora Diz. del Risorg. naz., II, pp. 289 s.; Encicl. Ital., VI, p. 872.