BIANCO da Siena
Fu il più fecondo autore di laudi del movimento dei poverelli di Cristo, fondato tra il 1360 e il 1362 dal mercante senese Giovanni Colombini e divenuto poi la Compagnia dei gesuati. Secondo il biografo di costoro, Feo Belcari, "Bianco di Santi" era "dell'Anciolina di Valdarno di sopra, del contado di Firenze; ma perché da picciolo fanciullo s'era all'arte della lana di continuo in Siena esercitato, fu dipoi sempre chiamato il Bianco da Siena". Se egli era un "giovinetto" allorché, nel 1367, venne accolto dal Colombini nella sua Compagnia, la data di nascita va posta intorno al 1350.
Sembra che B. sia un soprannome. In una delle laudi del codice Marciano It. IX, 182, che derivano da un manoscritto appartenente al monastero dei gesuati di Venezia, un verso è così trascritto: "Io C ... G... ch... el B...". L'integrazione "C... G ... ch(iamato) el B(ianco)" è sicura nell'ultima parola, che rima con manco: "C... G..." dovrebbero essere le iniziali del nome, che non conosciamo.Le circostanze dell'ammissione del B. nei poverelli sono tra le poche notizie precise della sua biografia. Egli, secondo il Belcari, aveva più volte pregato il Colombini di accoglierlo tra i suoi seguaci; ma non era stato esaudito, perché il Colombini, "vedendolo bellissimo e delicato garzone", temeva che non potesse sostenere l'asprezza della loro vita (i poverelli vivevano mendicando, senz'altro tetto che quello che veniva loro offerto per carità, e, specialmente all'atto della loro ammissione, dovevano sottoporsi a dure umiliazioni). Tuttavia, allorché, nel maggio 1367, si seppe che Urbano V si era mosso dalla Provenza con l'intenzione di riportare a Roma la sede apostolica, e il Colombini lasciò Siena con la sua compagnia per sottoporre al giudizio del papa e dell'alta gerarchia ecclesiastica il modo di vita dei poverelli ed averne l'approvazione, il B. ottenne di unirsi a lui e quindi partecipò al viaggio e all'accoglienza che essi fecero al pontefice. Giunti a Viterbo, per Acquapendente, Bolsena e Montefiascone, sul finire di maggio, seguirono poi il cardinale Albornoz fino a Cometo, ove il papa sbarcò il 4 giugno.
In un primo tempo, a Tuscania, Urbano V diede benevolmente ascolto ai poverelli; ma in seguito, come si comprende dalla corrispondenza del Colombini con la badessa e le monache di S. Bonda, cedette alle sollecitazioni di quanti guardavano con diffidenza ai movimenti di tipo pauperistico. A Viterbo, dove i poverelli avevano seguito la corte pontificia, si diffuse intorno a loro il sospetto di eresia, che portò ad un processo per accertamento dell'ortodossia, e ciò atterrì tanto i compagni del Colombini che una parte di essi l'abbandonò. Il B., che non fu tra costoro, espresse probabilmente in alcuni suoi versi (6, 29 ss.) le impressioni che dovette ricevere da questi avvenimenti.
Il23giugno i poverelli furono fatti comparire dinanzi al cardinale di Marsiglia, Guglielmo Sudre, domenicano, e ad un inquisitore: l'ardore e l'umiltà del Colombini convinsero i prelati della purezza della sua dottrina, ed il pontefice, a conferma della sua personale approvazione, fece rivestire a sue spese d'un bianco costume il Colombini e i suoi seguaci.
Verso il 20 luglio i poverelli ripresero la via di Siena. Il Colombini si ammalò durante il viaggio e spirò ad Acquapendente il 31 luglio, dopo aver dettato il suo testamento spirituale a ser Benedetto di Pace, un notaio di Città di Castello, convertitosi nel 1363: nella copia volgare di tale documento, conservataci dal Belcari, troviamo fra i testimoni "Bianco di Santi da Siena". Mutatosi, anche per intervento della Curia, il carattere del movimento, la vita del B. divenne quella incolore e povera di avvenimenti di chi è chiuso in una cella; i poverelli infatti rinunciarono alla vita errante in comune e, divisi in gruppi, si sparsero per la Toscana e per l'Umbria fondandovi dei "luoghi".
Il B. rimase probabilmente a Siena per qualche tempo, come testimonia l'epistola in versi (72) con la quale ammonisce s. Caterina ad abbandonare "le fantasie/ delle vane profezie" e a non allontanarsi dalla pratica dell'umiltà: sembra infatti che tale epistola possa essere stata scritta solo a Siena, nel periodo in cui la santa continuò a vivere nella casetta di Fontebranda (cioè prima del 1374). Il B. si recò poi, secondo quanto afferma il Belcari, nel "luogo" di Città di Castello, ed ivi trovò forse ancora "padre e rettore dell'anime" il notaio Benedetto di Pace, che morì il 25 febbraio 1375. Fa pensare che conducesse vita di mortificazione il racconto di un suo ritiro in un'abbazia abbandonata, dove insieme con Nanni di Terranova avrebbe, secondo un uso della Congregazione, trascorso la quaresima. Le altre poche e frammentarie notizie che lo riguardano inducono a credere che raggiungesse qualche fama, tanto da esercitare una certa influenza sui giovani e all'interno della Congregazione: un giovane di nome Antonio, desiderando entrare tra i gesuati, si sarebbe rivolto a lui e lo avrebbe poi sempre considerato suo maestro; il B. quindi sarebbe divenuto padre spirituale di un giovane di Montagna (Borgo Sansepolcro), "di pura e semplice condizione", al quale avrebbe imposto "servigi da farsene beffe e fatiche da rinunziare e atti di poco senno e da parere stoltezza": notizia confermata dalla lunghissima laude 36, che accenna esplicitamente a questo magistero spirituale (vv. 391-392).
Alla morte del giovane di Montagna, il B. "prese per partito", come informa il Belcari, "di visitare i luoghi de' suoi padri e fratelli": la notizia viene interpretata nel senso che forse egli divenne allora visitatore della Congregazione: tale avvenimento va certamente posto prima dell'aprile dell'anno 1383, poiché nel corso del racconto si accenna a un tentativo da lui fatto per convertire Maggio di Pietramala, signore d'Anghiari, che appunto risulta già morto a tale data (atto con il quale i suoi figli vengono ricevuti sotto la protezione e accomandigia del Comune di Firenze). Dopo una sosta a Santa Maria della Sambuca (Pistoia), "...andando ... a visitare gli altri luoghi, pervenne alla città di Venezia, e quivi passò di questa vita". Del suo soggiorno sulla laguna rimane traccia nella sezione del ms. Marciano It. IX, 182, che contiene sue laudi. Tale soggiorno non poté cominciare prima del 1392, anno della fondazione del convento di Venezia. Un biografo più tardo del Belcari, il Morigi, aggiunge che il B. morì nel 1442, cioè presso a poco novantenne, e fu sepolto "alla Carità, di fuori della chiesa, vicino al campanile verso il Canal Grande". Vi è però in queste parole una contraddizione: i gesuati ottennero sepoltura propria in S. Agnese dal 1434, e non si comprende come un gesuato, morendo dopo quell'anno, avrebbe potuto esser sepolto altrove. La natura circostanziata dell'indicazione del luogo induce a pensare che sbagliata sia la data.
Del B. ci è giunta una produzione sterminata e monotona.
Novantadue laudi, di cui parecchie di più centinaia di versi, sono tramandate dal ms. Vat. Ross. 651; il Vat. Ross. 424contiene un gruppo di componimenti, dei quali uno è ignoto alle altre fonti e uno presenta integro il testo dato mutilo dalla stampa bonaccorsiana del 1485 (93-94). Il ms. Marciano It. IX, 182, attribuisce esplicitamente al B. otto laudi, e una qui contenuta reca, come si è visto, la sua firma (95-103). Fra quelle che derivano dal perduto codice dei gesuati, ancora otto gli possono venir ascritte con sicurezza (104-111). A tutto ciò va aggiunto qualche componimento tramandato solo dalle stampe più antiche (quella di Firenze del 1489, e la bonaccorsiana citata): complessivamente non meno di ventimila versi.
Ma in questa vastissima opera, che probabilmente non ci è giunta intera, non è possibile indicare una pagina veramente poetica. Il clima culturale nel quale nascono le laudi del B. è quello delle pratiche e delle letture di devozione: non vi sono rapporti con altre zone di cultura più disinteressata, così come nella sua vita non vi furono, se non inizialmente e in forma embrionale, contatti col mondo esterno alla compagnia dei gesuati e al chiostro. A riconoscibile nella poesia del B., caratterizzata dall'affettuosa devozione per la persona di Cristo, amato quale soccorritore e salvatore, la particolare temperie dell'apostolato del Colombini, il tono e l'atmosfera delle sue lettere. Con tutte le differenze determinate dalle circostanze biografiche diverse, di vita anche attiva e di apostolato per l'uno, solo contemplativa per l'altro, colombiniano è pure, nelle laudi del B., l'alternarsi e talora il fondersi di un motivo mistico e personale con un motivo didascalico e pratico: alle descrizioni dello stato dell'anima inebriata di amore divino si alternano le esortazioni alla penitenza e alla pietà (1-4; 81). Nella porzione appunto didascalica rientrano le "esposizioni" di preghiere e le parafrasi di inni, che erano del resto nella tradizione laudistica e iacoponica: Pater noster (48),Ave Maria (49),Credo (87),Te Deum (88). Vi troviamo anche una delle parafrasi trecentesche dei Salmi penitenziali (66-71). Tuttavia il didattismo, che talora si vale di un realismo accidentale e tutto superficiale (1, 81-82; 3, 11-20; 3, 65-68, ecc.), rimane in complesso privo di esigenza vincolante. Invece l'umile devozione e la tenerezza umana che costituiscono la più schietta eredità spirituale del Colombini suggeriscono al B. alcune delle composizioni, nella loro ingenuità, più accettabili (13, 76-80; 29, 229-234; 37, 21 ss., ecc.).
Al fervore delicato, all'infocata dolcezza ispirata dal Colombini si mescola un elemento di provenienza letteraria: modello del B. sono i componimenti iacoponici (compresi naturalmente i numerosi apocrifi). Essi forniscono un frasario e una serie di spunti e di atteggiamenti.
Talvolta l'imitazione è fine a se stessa: ad es. la laude 33 "Un'anima eletta si destava" rifà e amplifica la 39 = 80 "O vita de Iesù" di Iacopone; la 42 "Si m'arde 'l cor la croce" è nello stesso rapporto con la iacoponica 75 = 2 "Fuggo la croce"; la 101 "Prego ciascun vero spirituale", con la iacoponica 42 = 15 "Ensegnatime Iesù Cristo". Nella 17 "Udite che m'avvien per Cristo amare" e in altre (20, 21, ecc.) vi sono parti liberamente imitate dalla 85 = 78 "O amor che m'ami", e dalla 91 = 92 "Sopr'onne lengua amore" della silloge vulgata del frate umbro. Riecheggiamenti di versi: Iacopone, 90, 128 = 89,160 "Spesso trangoscio per forte languire", B., 64,66 "Tutto trangoscio per lo gran languire".
Il tema mistico prevale quantitativamente. Proprio per la differenza di complessità e di cultura fra lo spirito del notaio todino e quello del lanaiuolo senese, l'impressione generale che lasciano le laudi del poeta minore è che, pur nella sincerità del movimento iniziale, esse non tanto esprimano un misticismo autentico quanto sviluppino, con palese difetto di "fren dell'arte", un motivo letterario. Osservò il Casella che appunto il misticismo di molta produzione laudistica trecentesca "s'adagia nelle forme che gli sono già fornite, amplifica e svolge dialetticamente i motivi attinti alla pura tradizione francescana, segue passivamente una dottrina senza giustificarla col bisogno di chiarire in essa le interne e contrastanti esigenze verso una più elevata forma di vita" (M. Casella,Iacopone da Todi, in Arch. roman., IV[1920] p. 297).
Nel B. ciò che critici illustri hanno giudicato effusione spontanea di sentimento ancor grezzo, impeto e veemenza passionale non dominata da una disciplina formale rigorosa, si rivela ad un esame più attento come volontaristica esibizione e insomma come retorica (si confronti ad es. lo sviluppo dato al motivo della santa pazzia, 53, 19-24).
Spesso il tema dell'amore mistico, che è ansia, ebbrezza e spasimo, dello smarrirsi e annullarsi dell'anima nella tenebra e nell'abisso di una realtà misteriosa e ineffabile, si attenua ed esaurisce in sommarie e casuali teorizzazioni: espressioni e spunti derivano dalla Mystica theologia attribuita a s. Bonaventura, che, già al tempo del Colombini, Domenico da Monticchiello aveva volgarizzata per la Compagnia (un residuo minimo, ma caratteristico della tradizione mistica, è la frequenza presso il B. del doppio prefisso aggettivale "soprogni"). Anche i modestissimi svolgimenti dottrinali sono dunque accolti dal di fuori, si direbbe a stimolare l'esperienza mistica piuttosto che a sistemarla. Il componimento n. 36, che espone ampiamente i principi della teologia negativa propria dei mistici, non li offre però in forma coerente ed elaborata, e denuncia l'incapacità di ordinare il pensiero entro salde strutture, anche semplicemente formali ed esteriori.
Un altro elemento culturale che deriva dall'ambiente particolare dello scrittore è costituito dalla reminiscenze delle Meditationes vitae Christi (specialmente 95, ma anche 105, 113- 114, ecc.); e da quelle della liturgia e della Bibbia (soprattutto Salmi e Vangeli); ritornano insistenti certe immagini scritturali, per es. Ps., 102, 5: "Renovabitur ut aquilae iuventus tua" (B., 40, 89; 105, 18); Cant., I, 3: "Trahe me, post te curremus in odorem unguentorum tuorum" (B., 38, 30-31; 99, 48-49; 108, 49; 110, 48); Matth., 7, 14: "Quam angusta porta et arcta via est quae ducit ad vitam ..." (B., 6, 94- 100; 60, 51-52, ecc .).
A tutto ciò si ricollega l'impiego frequente del latinismo, anche assai crudo: pondo: 7, 71; 20, 120; 103, 39; 105, 85; 108, 218; ostendere: 17, 278; 30, 71; 36, 502, ecc.; igno "fuoco": 17, 644; 19, 200; 24, 53; 34, 157; 34, 301, ecc.; colafizare: 32, 239; catto: 104, 45, e filocatto: 29, 177ecc.; con cui si alterna talora l'espressione vernacolare o grossolana, che rappresenta e traduce l'iniziale vocazione ascetica: apicciare: 5, 31; trincare: 17, 414; barbagliare: 17, 670; 60, 884; tartagliare: 17, 672; sopestare: 17, 677; sfracassare: 21, 4; bucarare: 21, 46; sbradato: 21, 64; balbare: 36, 1259; ingremire: 38, 41; batassare: 42, 9; scerrito: 42, 27; stolteggiare: 60, 775; spatassare: 72, 84; appigherarsi: 81, 19; non valere un frullo: 17, 697; non saper dire una frulla: 17, 700; più umil che la seta: 33, 127; aver il capo scemo: 60, 760; aver lo'ntelletto più grosso che' buoi: 60, 766; non aver ferma la testa: 105, 261, ecc.
Questo materiale lessicale prende posto in un ambiente sintattico privo di forte caratterizzazione individuale: nulla di simile alla sintassi nominale di Iacopone; e d'altronde, in corrispondenza con la scarsa capacità costruttiva e in contrasto apparente con la natura di gran parte del lessico, nessuna complessità sintattica di periodare latineggiante. Vi è piuttosto una sciatteria da parlata popolare, con tutti i fatti istituzionali poi eliminati da un massiccio ritorno a strutture più classiche.
Edizioni: Laudi spirituali del B. da Siena ... Codice inedito, Lucca 1851, a c. di T. Bini (trascriz. non esente da mende del ms. Vat. Ross. 651); rist. parziale,Laude mistiche del B. da Siena, a c. di G. M. Monti, Lanciano 1925. Un'altra ventina di componimenti, dai mss. Vat. Ross. 424 e Marciano It. IX, 182, in F. Ageno, Il B. da Siena. Notizie e testi inediti, Genova 1939. Per le attribuzioni, cfr. F. Ageno,Elementi linguistici e questioni di autenticità, in Studi e problemi di critica testuale..., Bologna 1961, pp. 349-358.V. inoltre: C. Caucci, Il codice Vaticano Rossiano 651 (X-32) e le laudi autentiche del B. da Siena, Pistoia 1934; F. Ageno,Saggio di ediz. critica di una laude trecentesca, in Studi di filologia italiana, XX (1962), pp. 31-74.Le stampe antiche contenenti altre laudi del B. sono state riprodotte da G. Galletti,Laude spirituali di Feo Belcari..., Firenze 1863.
Fonti e Bibl.: L'unica fonte biografica è costituita da due opere di Feo Belcari, la Vita del beato Giovanni Colombini da Siena e Parte della vita d'alcuni servi di Gesù Cristo…, che si possono vedere in Prose edite ed inedite, a c. di O. Gigli, Roma 1843, I, pp. 1-171; II, pp. 9-153. Nella prima vi sono notizie riguardanti il B. al cap. XXXVI, pp. 105-107; nella seconda gli è dedicato il cap. VI, pp. 23-32. Il Belcari fu parafrasato nel Paradiso dei giesuati, Venetia 1582, di P. Morigi, l. I, cap. XLII, p. 63, e cap. LII, pp. 78-79; l. II, cap. VII, pp. 113-118; e nel Triumphus divinae gratiae per B. Ioannem Colombinum,R. P. Ioannis Baptistae Rossi studio descriptus, Roma 1648, pp. 151-152 e 356-357. Si veda infine L. De Angelis,Biografia degli scrittori sanesi, I, Siena 1824, pp. 127 s.; Le lettere del beato G. Colombini da Siena, a c. di A. Bartoli, Lucca 1856,passim (cfr. quanto dice a proposito di questa edizione G. Petrocchi,Le lettere del b. Colombini, in Ascesi e mistica trecentesca, Firenze 1957, pp. 149-155). L'atto relativo ai figli di Maggio di Pietramala, in Doc. degli Arch. toscani,I Capitoli del Comune di Firenze. Inv. e reg., I, Firenze 1866, VIII, 41. Per quanto riguarda la critica, v. F. Vernet,Physionomie de poète mystique. Bianco de Sienne, in L'Université catholique, n. s., XXIII (1896), pp. 348-372; M. Maffii,Lo svolgimento della lauda lirica in Italia, in Esercitaz. sulla lett. religiosa in Italia nei secc. XIII e XIV, a c. di G. Mazzoni, Firenze 1905, pp. 168-170; G. Manneschi,B. da Lanciolina, Città di Castello 1910; V. Deudi, I Gesuati e il loro poeta B. da Siena, in Bull. senese di storia patria, XVIII (1911), pp. 396-412; L. Tonelli,Beato Giovanni Colombini, Torino 1921, pp. 103-113; G. M. Monti, prefaz. a Laude mistiche del B. da Siena, Lanciano 1925; L. Volpicelli, Il B. da Siena, in Giorn. di politica e di lett., IV(1928), pp. 865-885; B. Croce,Letteratura di devozione, in La Critica, XXIX(1931), pp. 337-340; Id.,Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1933, pp. 184-187; C. Caucci, Il B. da Siena, AscoliPiceno 1933; F. Ageno, Il B. da Siena…, cit., pp. XXVII-XLV; Encicl. Ital., VI, p. 872. Su punti particolari, F. Ageno,Soprogni come doppio prefisso, in Lingua nostra, XI (1950), pp. 35-37; Id.,Iderare,ibid., p. 48.