BIBLIOTECA ITALIANA
. Non appena gli Austriaci rioccuparono, nel 1815, la Lombardia, il governatore maresciallo di Bellegarde - o di propria iniziativa, o consigliato da altri - ordinò la pubblicazione di una rivista che servisse a influire sulla pubblica opinione italiana in senso favorevole alla restaurazione. Si iniziarono a tal uopo trattative con Ugo Foscolo; ma questi le troncò, lasciando improvvisamente Milano (aprile 1815); e allora il Bellegarde incaricò di preparare la pubblicazione della rivista e di assumerne poi la direzione Giuseppe Acerbi, mettendogli a lato, come "compilatori", due letterati, Vincenzo Monti e Pietro Giordani, e un naturalista, Scipione Breislak. Si stabilì che la rivista assumerebbe il titolo La Biblioteca italiana, che uscirebbe in fascicoli mensili, i quali ogni trimestre formerebbero un tomo, e che si occuperebbe (come dice il programma compilato dal Giordani) "di tutto... che suol essere materia degli studî", e cioè di scienze, lettere, arti belle e meccaniche, rendendo conto di ciò che si facesse di notevole in Italia e anche all'estero in ogni campo dello scibile, sia col dar notizia delle nuove pubblicazioni italiane e straniere, sia con articoli originali. A tal uopo si cercò e si ottenne la collaborazione di molti letterati e scienziati, ai quali (con liberalità allora inconsueta) si promise la retribuzione di 40 franchi - ridotti poi a 20 negli anni seguenti - per ogni foglio di stampa. Perciò il governo deliberò di contribuire con 6000 franchi ogni anno alle spese, riservandosi una parte degli utili, mentre il resto si sarebbe diviso tra il direttore e i compilatori. Lo scopo recondito della pubblicazione - che si doveva conseguire mettendo in rilievo i difetti del governo napoleonico e i meriti di quello austriaco - resterebbe, per il momento, in ombra.
La rivista iniziò le sue pubblicazioni nel 1816, e incontrò generalmente molto favore, perchè era assai meglio fatta di tutte le altre che si pubblicavano allora in Italia. Tuttavia non mancarono le critiche e anche gli acerbi assalti polemici di malcontenti e di avversari, non sempre in buona fede. Infatti, fin dall'apparire del primo fascicolo, un articolo di madama de Stael Sulla maniera ed utilità delle traduzioni suscitò un vespaio di proteste e anche di ingiurie, perchè sembrò a molti offensivo per l'Italia e i suoi scrittori; e a difesa della scrittrice scesero allora in campo, tra gli altri, anche dei sinceri patrioti, come Lodovico di Breme (Intorno alla ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani) e Pietro Borsieri (Avventure leiterarie d'un giorno), e la stessa Staël replicò ai suoi critici con un secondo articolo nel fascicolo di giugno. Altre polemiche poco meno violente suscitarono, poco dopo, due articoli del Giordani, in uno dei quali egli biasimava l'uso del dialetto nelle opere letterarie (fasc. di febbraio) e in un altro (fasc. di novembre) criticava Tommaso Sgricci e in genere tutti gl'improvvisatori che godevano allora di grande favore presso il pubblico. Ma peggio si è che non mancarono neppure i dissapori tra il direttore e i compilatori, in conseguenza dei quali, prima il Breislak e poi il Giordani si staccarono dalla società, e col 1817, messo da parte anche il Monti, restò solo alla direzione l'Acerbi, con non poco sdegno degli ultimi due compilatori, e specialmente del Monti, il quale non risparmiò al direttore rimasto in carica aspre censure, e pensò anche di fondare una nuova rivista per conto proprio. Ma il governo non diede al Monti il permesso ch'egli chiedeva, e la Biblioteca, sebbene risentisse danno dall'allontanamento del poeta il cui nome godeva di molta fama, continuò indisturbata le sue pubblicazioni, sotto la guida dell'Acerbi, che non risparmiò né fatiche né cure perché non le venissero a mancare il favore e la stima delle persone colte di tutta Italia. E riuscì abbastanza felicemente in questo intento. Solo alcuni patriotti - come Luigi Porro Lambertenghi, il Borsieri e Silvio Pellico - che pure avevano accolto anch'essi con favore, a tutta prima, l'annuncio della nuova rivista che s'intitolava italiana e che protestava di voler essere una specie di "punto d'unione" tra tutti gl'Italiani - messi ben presto in sospetto dalla protezione che le concedeva il governo austriaco, si disgustarono della Biblioteca, e nel 1818 fondarono, con ben diversi intendimenti, il bisettimanale Conciliatore, che però visse soltanto 18 mesi e, perseguitato dalla polizia, non ebbe mai larga diffusione. D'altra parte, alcuni degli stessi liberali, non sdegnarono di continuare la loro collaborazione alla Biblioteca. Basti ricordarne alcuni dei più noti, come Gian Domenico Romagnosi, Melchiorre Gioja, e lo stesso Giovita Scalvini che fu per qualche tempo segretario dell'Acerbi. Tra i più assidui o notevoli collaboratori della Biblioteca convien ricordare, per la parte letteraria e storica, Giovanni Gherardini, Luigi Rossi, Giuseppe Compagnoni, Giuseppe Carpani, Alberto Nota, Francesco Ambrosoli, e per la parte scientifica Domenico Scinà, G.B. Brocchi, Giuseppe Zamboni e G. B. Paletta. Dal 1818 in poi fu pure tra i più assidui collaboratori Paride Zaiotti che vi pubblicò molti scritti - notevoli specialmente le recensioni dell'Adelchi, dei Promessi Sposi e della Battaglia di Benevento e la necrologia di Vincenzo Monti - che ebbero, al tempo in cui apparvero, non piccola fama. Ma, dopo il 1830, tutto preso dall'istruzione dei processi politici (egli era magistrato al servizio dell'Austria), lo Zaiotti interruppe la sua collaborazione.
Nelle polemiche tra classici e romatitici, che, specialmente tra il 1816 e il 1830, fecero spargere in Italia tanto inchiostro, la Biblioteca si dimostrò generalmente più favorevole ai primi che ai secondi, sebbene i suoi patroni, e in modo particolare il barone Sardagna - alto funzionario austriaco specialmente addetto alla sorveglianza politica della rivista - fossero più propensi ai romantici che, indirettamente, derivavano le loro dottrine letterarie dalla Germania. Bisogna tuttavia riconoscere che, in genere, i redattori della Biblioteca si mostrarono molto temperati ed equanimi nei loro giudizî, né furono (specialmente lo Zaiotti) avari di lodi al Manzoni e a quanti altri romantici dessero prova di ingegno e di buon gusto.
Quanto alla politica, la Biblioteca se ne astenne quasi completamente. Infatti, solo in un articolo del 1825 (tomo XXXVI) essa difese apertamente il govemo austriaco da accuse di natura politica mossegli da riviste inglesi; ma, in generale, fece esse della politica in senso, per così dire, negativo, serbando assoluto silenzio su quei fatti o su quelle opere che potevano riuscire sgraditi al governo. Così non fece mai parola dei moti del 1820-21, e non accennò neppure alle Mie prigioni del Pellico, sebbene lodasse, al loro apparire, l'Ester d'Engaddi, le Cantiche e le liriche dello stesso autore. Al più, di tanto in tanto, la Biblioteca si permise qualche discreto accenno ai meriti del governo austriaco quale costruttore di strade e quale protettore delle arti, o esaltò oualche altra sua benemerenza di tal genere.
L'Acerbi che, oltre a sottoporsi al gravosissimo peso della direzione, collaborava anche attivamente alla rivista - specialmente con resoconti di relazioni di viaggi - premise anche dei Proemî ai primi fascicoli del 1817, del 1818, del 1819, del 1820, del 1821 (quest'ultimo proemio anzi è tanto ampio che occupa tre fascicoli, e cioè tutto il tomo XXI), rendendo conto in essi delle principali pubblicazioni letterarie e scientifiche dell'anno precedente e, in generale, di tutto il movimento intellettuale italiano e straniero, con non pochi errori di fatto, ma anche con larghezza di informazione e temperanza di giudizî.
Sennonché l'Acerbi - stanco del lavoro opprimente e delle noie che gli procurava la direzione, e infastidito anche dei non lievi sacrifici pecuniarì che talvolta essa gli imponeva, costringendolo ad anticipare di tasca sua non piccole somme, quando tardava il sussidio governativo - desiderò di tornare alla carriera diplomatica alla quale era già avviato prima del 1816; e finalmente, dopo molte insistenze, ottenne la nomina a console generale austriaco in Alessandria d'Egitto. Dall'Egitto egli mandò ancora, non di rado, qualche suo scritto alla rivista; ma intanto, dal gennaio 1826, la direzione passò a Robustiano Gironi, bibliotecario a Brera, a Ignazio Fumagalli, vicesegretario dell'Accademia di belle arti e a Francesco Carlini, astronomo, tutti e tre impiegati governativi, e questi mantennero la rivista, press'a poco, nella via per cui l'aveva messa il loro predecessore. Morto il Gironi verso la fine del 1837, fu chiamato a sostituirlo Gaspare Brugnatelli, chimico e naturalista, che tenne l'ufficio, insieme con gli altri due, per tutto il 1838 e il 1839. Ma poi il suo nome sparisce dall'ultima pagina della rivista, insieme con quello del Fumagalli, e per tutto il 1840 (tomi XCVII-C) firmano come direttori, insieme al Carlini, Paolo Configliachi, G. Ferrario, B. Catena e G. B. Fantonetti, tutti membri dell'i. r. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti. Fu questo il preludio dell'assorbimento della Biblioteca da parte dell'Istituto stesso, che ebbe luogo a cominciare dal 1841. D'allora in poi, si ebbe un Giornale dell'i. r. Istitituto lombardo di scienze, lettere ed arti e Biblioteca italiana, che nella prima parte comprendeva gli atti ufficiali dell'accademia (resoconti delle sedute e memorie presentate dagli accademici) e nella seconda parte recensioni o articoli originali, tutti firmati dagli autori, mentre nella primitiva Biblioteca italiana i nomi degli autori non apparivano quasi mai od erano sostituiti da pseudonimi. Questo Giornale durò fin quasi alla vigilia della cacciata dell'Austria dalla Lombardia (1859).
Bibl.: A. Luzio, La "Biblioteca italiana" e il governo austriaco (documenti), in Rivista storica del Risorgimento italiano, 1896, I, pp. 7-8; A. Luzio, Giuseppe Acerbi e la "Biblioteca italiana", in Studi e bozzetti di storia letteraria e politica, Milano 1910, I; C. Cantú, Monti e l'età che fu sua, Milano 1879, cap. XI; G. P. Clerici, P. Giordani, G. Acerbi e la "Biblioteca italiana", in Rivista d'Italia, giugno 1906; E. Montanari, Per la storia della "Biblioteca italiana" (a proposito della polemica classico-romantica), in Miscellanea di studi critici in onore di G. Mazzoni, Firenze 1907; G. Bustico, G. Scalvini e la "Biblioteca italiana" (con 5 lettere a G. Acerbi), in Rivista d'Italia del giugno 1916. Si vedano anche le anonime Memorie della vita e degli studi di Paride Zaiotti premesse al volume Della letteratura giovanile dello Zaiotti, Trieste 1844. Il Carlini, che fu per qualche anno condirettore della rivista, scrisse un rapporto su di essa, che comunicò all'Istituto lombardo nella seduta del 1° marzo 1841. In esso era contenuta una "succinta storia" della Biblioteca italiana (v. Giorn. dell'i. r. Istituto lombardo, t. I, 1841, p. 12); ma tale rapporto non vide mai la luce.