Abstract
La voce analizza la disciplina del bilancio d’esercizio dettata dai principi contabili internazionali Ias/Ifrs. Sono, in primo luogo, esaminati la natura dei principi contabili internazionali e l’ambito di applicazione dei medesimi nel contesto della legislazione italiana. La voce illustra, inoltre, ponendone in evidenza le più significative differenze rispetto alla disciplina codicistica del bilancio, le previsioni degli Ias/Ifrs concernenti la struttura del bilancio e dei documenti che lo compongono, i principi generali ed i criteri di valutazione.
In seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 28.2.005, n. 38, coesistono nell’ordinamento italiano due distinte discipline del bilancio d’esercizio, l’una contenuta negli artt. 2423 e ss. c.c., l’altra dettata dai principi contabili internazionali Ias/Ifrs. Il menzionato decreto legislativo prevede, infatti, l’obbligo per alcune categorie di società e la facoltà per altre di redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali. In base al combinato disposto degli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 38/2005, sono tenute alla redazione del bilancio d’esercizio secondo gli Ias/Ifrs le società quotate, quelle con titoli diffusi tra il pubblico di cui all’art. 114 t.u.f., le banche e gli altri intermediari finanziari sottoposti a vigilanza, nonché le società di assicurazione quotate e che non redigono il bilancio consolidato. Per contro, l’adozione degli Ias/Ifrs è preclusa alle società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata in quanto non superano le soglie dimensionali dell’art. 2435 bis c.c.. Tutte le altre società non rientranti nelle categorie appena menzionate possono adottare in via facoltativa i principi Ias/Ifrs.
2. La legificazione dei principi Ias/Ifrs
I principi contabili internazionali Intenational accounting standards/International financial reporting standards (Ias/Ifrs) e le relative interpretazioni Sic/Ifric (le quali costituiscono, in realtà, brevi principi relativi a profili controversi degli Ias/Ifrs, solitamente di particolare rilievo applicativo) sono emanati dall’International Accounting Standard Board (Iasb), un organismo di diritto privato (con sede a Londra) costituito dalla IASC Foundation, un ente senza scopi di lucro incorporato nello Stato del Delaware (v. Fortunato, S., I principi contabili internazionali e le fonti del diritto, in Giur. comm., 2010, I, 16; Strampelli, G., L’introduzione degli IAS/IFRS e gli effetti sulla disciplina giuridica del bilancio d’esercizio, in Marchetti, P. – Bianchi, L. A. – Ghezzi, F. - Notari M., diretto da, Commentario alla riforma delle società, Milano, 2006, 322 ss.).
I principi Ias/Ifrs pubblicati dallo Iasb, in quanto emanazione di un ente privato, hanno valenza analoga a quella dei principi contabili emanati dagli altri standard setters riconosciuti in ambito nazionale (in Italia, l’Organismo Italiano di Contabilità) o internazionale (come il Financial Accounting Standard Board statunitense). Nell’ambito dell’Unione Europea gli Ias/Ifrs assumono, tuttavia, forza di legge, giacché, per effetto della loro omologazione da parte della Commissione Europea, essi costituiscono parte integrante del corpus normativo europeo.
Il reg. 1606/2002/Ce delimita l’ambito applicativo dei principi Ias/Ifrs e regola la procedura per il loro recepimento nella legislazione comunitaria (cd. endorsement). In relazione al primo profilo, oltre ad imporre la redazione secondo gli Ias/Ifrs dei conti consolidati delle società quotate, il legislatore comunitario ha concesso agli Stati membri la facoltà (esercitata in Italia, come già detto, con il d. lgs. n. 38/2005) di richiedere o consentire l’applicazione dei principi contabili internazionali ai bilanci di esercizio delle società quotate e ai bilanci individuali e consolidati di tutte le altre società (Scognamiglio, G., La ricezione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS ed il sistema delle fonti del diritto contabile, in Aa.Vv., IAS/IFRS. La modernizzazione del diritto contabile in Italia, Milano, 2007, 35 ss.).
La natura privatistica degli Ias/Ifrs ha reso altresì necessario la definizione da parte della Commissione di un meccanismo di omologazione dei medesimi (contenuto nell’art. 3, co. 2, reg. 1606/2002/Ce) volto a verificare che i principi contabili internazionali rappresentino una base appropriata per l’informativa finanziaria. Coerentemente con l’obiettivo di dettare una disciplina contabile uniforme (quantomeno) per i conti consolidati delle società quotate nei mercati regolamentati europei, i principi Ias/Ifrs omologati dalla Commissione sono recepiti mediante regolamento e sono perciò direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali, non risultando necessaria una disciplina interna di attuazione (Caratozzolo, M., Principi contabili internazionali (diritto commerciale e diritto tributario), in Enc. Dir. – Annali, II, Milano, 2008, 938 e ss.).
Con il reg. 1725/2003/Ce la Commissione ha omologato principi Ias/Ifrs sino ad allora emanati; successivamente, sono stati emanati numerosi regolamenti modificativi con i quali è stato dato recepimento ai nuovi principi ed alle modifiche di quelli già in vigore progressivamente pubblicati dallo Iasb.
Le società che, per obbligo di legge o in via facoltativa, redigono il bilancio in conformità ai principi Ias/Ifrs sono tenute alla loro integrale applicazione e non sono in alcun modo vincolate da eventuali precetti contrari o restrittivi previsti dal diritto nazionale (Scognamiglio, G., La ricezione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS, cit., 49 ss.). Resta, tuttavia, fermo che le società c.d. IAS/IFRS-adopter devono applicare le norme nazionali che regolano profili non disciplinati dai principi contabili internazionali o che pongono oneri informativi aggiuntivi rispetto a questi ultimi (v. Commissione Europea, Osservazioni riguardanti taluni articoli del regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, 2003). Sono pertanto applicabili a tutte le società di capitali, indipendentemente dai criteri di redazione del bilancio da esse utilizzati, le norme relative al procedimento di formazione, alla pubblicità ed alla revisione dei conti annuali. Sono altresì applicabili, in quanto concernenti profili del tutto estranei ai principi Ias/Ifrs, i limiti alla distribuzione degli utili previsti dalla legislazione nazionale (Strampelli, G., L’introduzione degli IAS/IFRS e gli effetti sulla disciplina giuridica del bilancio d’esercizio, cit., 373 ss.). Le società che adottano, per obbligo o facoltativamente, gli Ias/Ifrs sono altresì tenute al rispetto delle disposizioni interne che impongono oneri informativi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dai principi contabili internazionali. Tali società devono, pertanto, includere nelle note al bilancio le informazioni previste dall’art. 2427 c.c. aggiuntive rispetto a quelle richieste dai principi contabili internazionali e redigere la relazione sulla gestione, benché gli Ias/Ifrs non dettino un obbligo in tal senso. Infine, le disposizioni degli art. 2423 ss. c.c. possono (seppur soltanto in ipotesi limitate) assumere rilievo, ai fini dell’individuazione del trattamento contabile applicabile, nei casi in cui ultimi questi ultimi presentino talune lacune e non regolino pertanto il trattamento contabile di determinate elementi patrimoniali o di specifiche operazioni (Strampelli, G., L’introduzione degli IAS/IFRS e gli effetti sulla disciplina giuridica del bilancio d’esercizio, cit., 377 ss.).
La struttura del bilancio d’esercizio conforme agli Ias/Ifrs è definita dallo Ias 1, in base al quale i conti annuali devono comporsi dello stato patrimoniale, del conto economico, del rendiconto finanziario (i criteri di redazione del quale sono indicati dallo Ias 7), del prospetto delle variazioni delle poste del patrimonio netto e delle note al bilancio. La principale differenza rispetto alla disciplina codicistica dei conti annuali è costituita dall’obbligo di redazione del prospetto delle variazioni del patrimonio netto, che espone, in particolare, il risultato complessivo di periodo, pari alla somma del saldo del conto economico e delle componenti di reddito imputate direttamente al patrimonio netto (es.: le variazioni di fair value relative agli immobili, impianti, macchinari e alle immobilizzazioni immateriali).
Come precisato dai §§ 106 ss. dello Ias 1, infatti, la variazione del patrimonio netto registrata nell’esercizio (al netto degli aumenti e delle riduzioni del capitale sociale, delle distribuzioni di dividendi e dei versamenti effettuati dai soci) coincide con l’importo complessivo degli utili e delle perdite generati dall’attività d’impresa nell’esercizio. Al saldo del conto economico devono essere aggiunte le componenti di reddito non realizzate imputate direttamente a riserva senza transitare previamente dal conto economico e senza concorrere alla determinazione dell’utile o della perdita dell’esercizio. Tali ultimi rilievi dimostrano che il contenuto del prospetto delle variazioni del patrimonio netto previsto dallo Ias 1 non coincide con quello del prospetto ex art. 2427, n. 7 bis, c.c.: il documento di cui allo Ias 1 è volto a rappresentare la performance complessiva dell’impresa comprensiva delle componenti positive e negative di reddito non imputate al conto economico e che non concorrono, quindi, alla formazione dell’utile/perdita di esercizio; diversamente, il prospetto dell’art. 2427, n. 7 bis, c.c. ha l’esclusiva funzione di illustrare le modalità di formazione, la possibilità di utilizzazione e la distribuibilità delle diverse voci del patrimonio netto.
Un’ulteriore caratteristica, attinente alla struttura del bilancio, che contraddistingue gli Ias/Ifrs rispetto alla disciplina codicistica dei conti annuali è rappresentata dalla flessibilità degli schemi di bilancio. A differenza degli artt. 2424 e 2425 c.c., gli Ias/Ifrs non impongono una struttura rigida dello stato patrimoniale e del conto economico. Lo Ias 1, §§ 54 e ss. si limita a prevedere l’elenco minimo delle voci che gli schemi di bilancio devono comunque contenere, consentendo l’inclusione di voci addizionali e risultati parziali quando richiesti da altri principi contabili o quando necessari per rappresentare fedelmente la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa.
Per quanto concerne la parte qualitativa (cd. narrativa) del bilancio, a differenza del codice civile, che impone la redazione della nota integrativa e della relazione sulla gestione, lo Ias 1 contempla le sole «note al bilancio», il contenuto delle quali coincide soltanto parzialmente con quello della nota integrativa ex art. 2427 c.c. Inoltre, coerentemente con il maggior grado di flessibilità caratterizzante la struttura del bilancio secondo gli Ias/Ifrs, lo Ias 1 prevede che alcune delle informazioni richieste possono essere incluse, alternativamente, nelle note al bilancio oppure nello stato patrimoniale, nel conto economico ovvero nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto. Contrariamente a quanto previsto dal codice civile, sussiste dunque un’ampia fungibilità tra le note e gli schemi di bilancio, sì che il contenuto delle prime può variare a seconda delle scelte a riguardo compiute dal redattore del bilancio.
In ragione della loro articolazione in molteplici documenti, ciascuno concernente i criteri di iscrizione di specifiche categorie di attività o di determinate tipologie di operazioni, gli Ias/Ifrs, a differenza delle norme del codice civile, non prevedono una chiara distinzione tra clausole generali, principi generali e criteri di valutazione delle singole poste. Nonostante ciò, anche le disposizioni dei principi contabili internazionali sono organizzate gerarchicamente in base alla sequenza clausola generale, principi di redazione, criteri di iscrizione e di valutazione delle singole componenti patrimoniali e reddituali.
Per quanto concerne i principi generali di bilancio una delle differenze più significative tra i principi contabili internazionali e la disciplina codicistica dei conti annuali è certamente costituita dal non coincidente rilievo riconosciuto al principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Mentre, in base alle norme del codice civile, la portata del principio substance over form è ancora incerta nonostante la sua esplicita affermazione (v. Strampelli, G., sub art. 2423 bis c.c., in Abbadessa, P. - Portale G.B., diretto da, Le società per azioni, Milano 2016, 2200 ss.), esso trova piena applicazione nell’ambito degli Ias/Ifrs, per i quali l’obiettivo della rappresentazione veritiera e corretta può essere conseguito soltanto mediante una contabilizzazione aderente alla sostanza economica più che alla forma giuridica delle operazioni rappresentate in bilancio.
Una chiara dimostrazione di quanto appena affermato è offerta, ad esempio, dal principio Ifrs 3 concernente il trattamento contabile delle cd. business combinations, ossia delle operazioni di fusione, scissione, trasferimento di azienda tra società non legate da vincoli partecipativi. Secondo l’Ifrs 3, tutte le business combinations devono essere equiparate (a fini contabili) ad acquisizioni ed essere contabilizzate come tali, non avendo alcuna influenza la forma giuridica dell’operazione in concreto prescelta per realizzare l’aggregazione aziendale (non essendoci perciò, sul piano contabile, alcuna differenza tra una scissione parziale e il conferimento di un ramo aziendale). Una siffatta impostazione è opposta a quella accolta dal codice civile, in base alla quale la struttura giuridica dell’operazione ne determina il trattamento contabile, come dimostra il fatto che il codice detta criteri di rilevazione difformi a seconda che la combinazione aziendale sia attuata, ad esempio, mediante fusione ovvero tramite conferimento.
Un ulteriore (essenziale) tratto distintivo degli Ias/Ifrs rispetto alla disciplina codicistica è costituito dal diverso rilievo da essi assegnato al principio di prudenza e a quello, ad esso strettamente correlato, di realizzazione. Secondo il § 2.16 del Framework, infatti, il rispetto del principio di prudenza si sostanzia, esclusivamente, «nell’uso di un certo grado di cautela, necessario quando sussistano condizioni di incertezza, in modo da non sopravvalutare le attività e i ricavi e di non sottovalutare le passività ed i costi», non essendo invece previste le estrinsecazioni più tecniche del principio costituite dai principi di realizzazione e di dissimmetria. Il principio di prudenza conserva soltanto la sua portata più generale di canone di comportamento al quale gli amministratori devono attenersi, consistente nell’opportunità di adottare un adeguato grado di cautela in riferimento a tutte le valutazioni di bilancio, al fine di evitare ingiustificate sopravvalutazioni e arbitrarie riduzioni di valore. Si registra, dunque, il superamento dell’impostazione contabile «tradizionale», che attribuisce al principio di prudenza e ai correlati principi di realizzazione e di dissimmetria un rilievo predominante, che influisce sia sulla valutazione degli elementi patrimoniali, sia sulla rilevazione delle componenti (positive e negative) di reddito.
Il ridimensionamento del principio di prudenza e la corrispondente «ascesa» di quello di competenza sono coerenti con la funzione esclusivamente informativa assegnata ai conti annuali. Poiché il bilancio redatto in conformità agli Ias/Ifrs non è diretto a fungere da base di riferimento per la determinazione dell’utile distribuibile e, più in generale, per le norme sulla conservazione del capitale sociale, il principio di prudenza perde il suo rilievo di sintesi concettuale delle regole contabili volte a evitare la rilevazione di utili non realizzati.
In altri termini, nell’ambito degli Ias/Ifrs viene meno la stretta correlazione tra il principio di prudenza e la funzione del bilancio d’esercizio, come testimonia la parziale sostituzione del criterio valutativo del costo storico, complementare al principio di prudenza e strumentale alla determinazione dell’utile distribuibile, con quello del fair value, il quale comporta la rilevazione di utili non realizzati, ma risulta congruo con la funzione di informazione dell’investitore, poiché maggiormente idoneo ad approssimare il valore effettivo del complesso aziendale. Dal bilancio conforme agli Ias/Ifrs deve, infatti, risultare la perfomance complessiva della società: non i soli utili realizzati mediante lo scambio con terze economie bensì il reddito complessivamente prodotto, inclusivo anche delle componenti non realizzate, corrispondenti alle variazioni di valore dei beni del patrimonio sociale.
Anche in relazione ai criteri di valutazione sussistono rilevanti differenze tra la disciplina del bilancio dettata dagli art. 2423 ss. del codice civile e i principi Ias/Ifrs. Mentre le prime prevedono il costo storico quale criterio principale di valutazione, i secondi non indicano un criterio di valutazione preminente ma delineano un sistema valutativo “misto” che contempla sia il costo storico sia il fair value quali criteri di riferimento. Gli Ias/Ifrs risultano vincolanti sul piano valutativo soltanto in limitati casi, mentre in relazione alla maggioranza delle categorie di attività concedono la facoltà di optare per il criterio del costo storico o, in alternativa, per quello del fair value (che, in base all’art. 2426 c.c., è utilizzabile esclusivamente per la valutazione degli strumenti finanziari derivati).
La ricorrente osservazione secondo cui il bilancio redatto in conformità agli Ias/Ifrs sarebbe idoneo ad approssimare il valore effettivo del patrimonio sociale risulta pertanto condivisibile soltanto nella misura in cui il redattore del bilancio faccia ampio uso della facoltà concessagli di valutare al fair value gran parte delle attività: in caso contrario, infatti, il bilancio conforme agli Ias/Ifrs (analogamente a quello redatto secondo le disposizioni del codice civile) rappresenta una situazione patrimoniale in significativa misura basata su valori storici (Strampelli, G., Gli IAS/IFRS dopo la crisi: alla ricerca dell’equilibrio tra regole contabili non prudenziali e tutela della stabilità patrimoniale della società, in Riv. soc., 2010, 398).
A fianco dei due paradigmi valutativi principali, gli Ias/Ifrs prevedono ulteriori criteri di valutazione per specifiche categorie di attività. Tra questi v’è, ad esempio, il criterio del costo ammortizzato applicabile (v. Ifrs 9, § 5.4) per la valutazione delle attività finanziarie detenute sino a scadenza (es.: obbligazioni) nonché per i finanziamenti e i crediti: secondo tale metodologia il valore contabile dell’attività deve essere progressivamente adeguato a quello di rimborso a scadenza, scomputando la componente corrispondente agli interessi calcolati sulla base del valore nominale (Caratozzolo, M., Principi contabili internazionali, cit., 933). Uno specifico criterio è altresì previsto per le attività «possedute per la vendita» (ossia destinate ad essere dismesse in quanto non più utilizzate dalla società) le quali, in base alle previsioni dell’Ifrs 5, §§ 15 e ss., sono valutate al fair value al netto dei costi di vendita (ove esso sia inferiore al loro valore contabile), che non coincide con il fair value in quanto devono essere detratti dal valore di mercato i costi di vendita, quali, ad esempio, le spese legali o di trasporto (v. Oic, Guida applicativa n. 3. Aspetti operativi degli IAS/IFRS, 2008, 11 e ss.).
Poiché i canoni applicativi del criterio del costo storico dettati in ambito internazionale risultano sostanzialmente coincidenti con quelli previsti dalle disposizioni codicistiche integrate dai principi contabili nazionali (Caratozzolo, M., Principi contabili internazionali, cit., 927), è opportuno analizzare con maggior grado di dettaglio il criterio del fair value, il largo ricorso al quale costituisce uno dei tratti caratterizzanti i principi Ias/Ifrs. Come già accennato, l’utilizzo del fair value è imposto per una limitata porzione dell’attivo e, precisamente, per gli strumenti finanziari detenuti a fini di trading o classificati come disponibili per la vendita e per le cd. attività biologiche. L’ambito di applicazione del fair value si estende (almeno potenzialmente), tuttavia, per effetto della facoltà concessa dagli Ias/Ifrs di adottare tale criterio valutativo per l’intero attivo immobilizzato. A riguardo l’approccio dei diversi principi Ias/Ifrs non è tuttavia uniforme, giacché alcuni indicano il fair value come criterio di riferimento (cd. benchmark treatment), altri quale criterio alternativo (cd. allowed alternative treatment).
Secondo la definizione contenuta nell’Ifrs 10, § 9, il fair value coincide con «il prezzo che si percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione» ed è tendenzialmente espressivo del valore di mercato dell’attività. L’utilizzo di tale criterio valutativo impone pertanto il costante adeguamento (al termine dell’esercizio) del valore contabile delle attività al loro valore corrente. Mentre in base al criterio del costo storico il valore iniziale di iscrizione (pari al costo di acquisto o di produzione) costituisce il limite massimo e rivalutazioni possono essere operate soltanto in casi eccezionali, il fair value impone il superamento del costo di iscrizione iniziale e la «rivalutazione» delle attività sino a concorrenza del valore corrente, con la conseguente rilevazione di utili non realizzati.
Coerentemente con la definizione di fair value da essi accolta, gli Ias/Ifrs indicano quale principale parametro di riferimento per la determinazione del fair value il valore di mercato dello specifico bene o di beni similari, il quale è convenzionalmente ritenuto espressivo del valore equo, benché, sul piano teorico (e talora anche in concreto), le due grandezze non siano perfettamente coincidenti poiché il fair value rappresenta il prezzo negoziato in una transazione ideale, tra parti «libere» (cioè non necessitate a concludere lo scambio) e aventi accesso a tutte le informazioni relative al bene scambiato disponibili sul mercato: condizioni, queste, che evidentemente non sempre sono effettivamente riscontrabili nei mercati (Caratozzolo, M., Principi contabili internazionali, cit., 925). Là dove, in assenza di un mercato attivo, non via sia un prezzo di mercato per lo specifico bene o per altri ad esso analoghi ovvero qualora il prezzo di mercato non sia significativo, in quanto formatosi in un mercato illiquido (caratterizzato da un numero insufficiente di scambi) o influenzato da transazioni «forzate», ossia concluse tra soggetti «costretti» a vendere o acquistare o disposti a vendere o acquistare a qualsiasi prezzo (Strampelli, G., Gli IAS/IFRS dopo la crisi, cit., 404 ss.), il fair value è determinato mediante tecniche valutative idonee a determinare il valore effettivo del bene in funzione della sua capacità di produrre futuri flussi di cassa o di reddito. Il ricorso a simili tecniche valutative in assenza di prezzi di mercato rilevanti rende la stima del fair value maggiormente soggettiva in quanto influenzata dalle scelte discrezionali degli amministratori (circa le metodologie e le variabili impiegate), potendo dunque incidere negativamente sulla rilevanza informativa dei conti annuali (v. Ball, R., International Financial Reporting Standards (IFRS): Pros and Cons for Investors, disponibile sul sito http://ssrn.com/abstract=929561, 2006, 21 s.).
Indipendentemente dal fatto che il bene sia valutato al costo storico o al fair value, il valore di prima iscrizione deve essere, analogamente a quanto previsto dall’art. 2426 c.c., assoggettato ad ammortamento ed, eventualmente, svalutato ove si registrino riduzioni di valore non meramente temporanee. Nonostante tale convergenza di fondo, gli Ias/Ifrs presentano, tuttavia, alcune significative differenze rispetto alle disposizioni del codice civile.
Non coincidente è, anzitutto, l’ambito delle immobilizzazioni ammortizzabili. Oltre ad escludere da quest’ultimo i terreni, che anche secondo i principi contabili italiani sono considerati beni a vita indeterminata (e pertanto non soggetti ad ammortamento), gli Ias/Ifrs ammettono l’esistenza di attività immateriali a vita utile indefinita, perciò non assoggettabili ad ammortamento (ma soltanto all’annuale verifica di perdita di valore, cd. impairment test) in quanto non è possibile stimare attendibilmente la loro vita utile, alla quale deve essere parametrato il periodo di ammortamento (v. IAS 38, §§ 107 ss.). Il novero delle attività immateriali a vita utile indefinita è ristretto in quanto, oltre all’avviamento acquisito a titolo oneroso (riguardo al quale sussiste una presunzione di indeterminatezza della vita utile), sono rari i beni per i quali non è possibile effettuare un’attendibile stima della vita utile, sembrando che l’unica eccezione sia, in concreto, costituita dai marchi, in ragione della facoltà (concessa dalla legislazione nazionale) di rinnovo illimitato della registrazione di durata decennale.
Un ulteriore scostamento tra gli Ias/Ifrs e le norme del codice civile si registra in merito all’accertamento di eventuali perdite durevoli di valore (cd. impairment test). Per quanto concerne la cadenza temporale della verifica di valore, lo Ias 36 dispone che le attività immateriali a vita utile indefinita (non soggette ad ammortamento) devono essere obbligatoriamente sottoposte al test al termine di ogni esercizio; per le altre immobilizzazioni, diversamente, l’impairment test va eseguito soltanto qualora vi siano indicazioni del fatto che il bene possa aver subito perdite di valore (es.: l’obsolescenza o il deterioramento materiale del bene o un significativo peggioramento dei flussi finanziari netti attesi dallo stesso).
L’impairment test impone di procedere alla svalutazione di un elemento patrimoniale quando il suo valore contabile è superiore a quello effettivo che, in base allo Ias 36, §§ 24 e ss., coincide con il maggiore tra il prezzo netto di vendita e il valore d’uso: una perdita durevole di valore si registra, dunque, soltanto allorché entrambe tali grandezze siano inferiori al valore contabile.
Di regola, l’impairment test è effettuato separatamente in relazione ad ogni singolo bene, a meno che i flussi finanziari relativi a un’attività immateriale non siano «separabili» da quelli derivanti da altre attività (come si verifica nel caso dell’avviamento) e non sia perciò possibile determinare il valore d’uso. In questa eventualità il test è eseguito in relazione non al singolo bene bensì all’unità generatrice di flussi finanziari (cd. cash generating unit) alla quale esso appartiene, ossia al più piccolo gruppo di attività che genera flussi indipendenti da quelli riconducibili a altri beni o a altre unità generatrici di flussi finanziari. Ove si proceda in tal modo e l’impairment test evidenzi una riduzione di valore, questa deve essere imputata a diminuzione del valore contabile dei beni appartenenti alla cash generating unit, incidendo dapprima sul valore dell’avviamento, quindi sugli altri elementi patrimoniali, in proporzione al loro valore contabile. L’esecuzione dell’impairment test a livello di cash generating unit può, a seconda dei casi, evitare l’emersione di perdite di valore che sarebbero rilevanti in base alla disciplina codicistica o, al contrario, condurre a svalutare elementi patrimoniali il cui valore non potrebbe invece essere ridotto ove si applicasse l’art. 2426, n. 3, c.c.
I principi Ias/Ifrs, prevedendo schemi di bilancio massimamente flessibili (v. supra n. 4), contengono scarne indicazioni circa la composizione del patrimonio netto. Il § 54 dello IAS 1, che indica le voci «essenziali» dello stato patrimoniale, si limita a richiedere che siano esposti il «capitale sociale», gli «utili (o perdite) a nuovo» nonché una voce residuale «altre riserve», la quale può tuttavia essere ulteriormente disaggregata in più sottovoci quali «riserva sovrapprezzo azioni» e «riserva legale», qualora la suddivisione sia rilevante e contribuisca a rendere l’informazione maggiormente chiara (v. Ias 1, § 78).
Poiché nell’ordinamento nazionale il bilancio d’esercizio, anche se redatto secondo i principi contabili internazionali, assume rilievo organizzativo quale base di riferimento per l’accertamento del quantum distribuibile ai soci e di eventuali perdite del capitale sociale, si delinea un’articolata disciplina del patrimonio netto, nella quale alle testé richiamate disposizioni degli Ias/Ifrs si sovrappongono le norme nazionali che regolano la formazione e l’utilizzo delle poste del netto. Oltre alle disposizioni concernenti il capitale sociale, la riserva legale (art. 2430 c.c.), la riserva sovrapprezzo (art. 2431 c.c.) e le riserve statutarie e facoltative, alle società che adottano gli Ias/Ifrs si applicano le previsioni degli artt. 6 e 7, d.lgs. n. 38/2005 che, al fine di preservare la funzione organizzativa dei conti annuali, dispongono il divieto di distribuzione degli utili non realizzati da fair value imputati a conto economico (ad eccezione di quelli relativi agli strumenti finanziari detenuti a fini di trading e alle operazioni in cambi e di copertura) e dettano l’indistribuibilità e l’indisponibilità delle riserve formate mediante imputazione (diretta o previo transito dal conto economico) dei plusvalori non realizzati derivanti dalla valutazione al fair value delle attività. Più precisamente, l’art. 6, d.lgs. n. 38/2005 dispone che le riserve da fair value (finché i plusvalori ad esse imputati non trovino realizzazione mediante la cessione o l’ammortamento del ben cui si riferiscono) sono indistribuibili e indisponibili per l’aumento di capitale sociale nonché per gli altri utilizzi che possono comportare la distribuzione, seppur indiretta, di tali plusvalori, ossia la distribuzione di utili ai possessori di azioni correlate (art. 2350, co. 3, c.c.), l’acquisto di azioni proprie o della società controllante (artt. 2357, co. 1, e 2359 bis, co. 1, c.c.), le altre operazioni sulle azioni proprie (art. 2358, co. 3, c.c.), l’attribuzione di partecipazioni agli utili ai promotori, ai soci fondatori, e agli amministratori. È invece consentito l’utilizzo di tali poste per la copertura delle perdite di periodo, benché, con approccio cautelativo dovuto alla particolare natura di tali riserve, si preveda che esse possono essere intaccate dalle perdite dopo ogni altra riserva inclusa quella legale e che, ove effettivamente intaccate, esse devono essere ricostituite mediante imputazione degli utili degli esercizi successivi.
Sulla scorta delle precedenti osservazioni, in conclusione, è possibile enucleare, in base alla «fonte» della relativa disciplina, quattro diverse tipologie di voci del netto: (i) poste la cui iscrizione è prevista dal codice civile ed è (esplicitamente o implicitamente) ammessa dai principi contabili internazionali (es.: capitale sociale, riserva legale, riserva sovrapprezzo); (ii) riserve ex art. 6, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 38/2005, iscritte in adempimento delle disposizioni dei principi contabili internazionali, il cui regime di utilizzo è disciplinato dalle norme nazionali contenute nel d.lgs. 38/2005 (es.: riserve costituite, ai sensi degli IAS 16 e 38 in contropartita diretta della valutazione al fair value di immobili, impianti, macchinari e attività immateriali); (iii) riserve ex art. 6, co. 2, d.lgs. 38/2005, non previste dagli Ias/Ifrs, costituite per effetto di norme nazionali applicabili alle sole società che adottano i principi contabili internazionali (es.: riserve costituite mediante imputazione degli utili da fair value relativi agli immobili detenuti a fini di investimento di cui allo Ias 40); (iv) riserve iscritte in conformità agli Ias/Ifrs e non espressamente regolate dal legislatore nazionale, il regime di utilizzabilità delle quali deve essere ricostruito in via interpretativa (es.: riserva iscritta a fronte della componente di patrimonio netto compresa negli strumenti finanziari composti, quale il diritto d’opzione «incluso» nelle obbligazioni convertibili).
Fonti normative
Artt. 2423-2435 ter c.c.; d.lgs. 18.8.2015, n. 139; d.lgs. 28.2.2005, n. 38; d.lgs. 9.4.1991, n. 127; reg. n. 1606/2002/Ce; reg. n. 1725/2003/Ce e regolamenti modificativi.
Bibliografia essenziale
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