BILANCIO
(VII, p. 11; App. II, I, p. 403; III, I, p. 238; IV, I, p. 277)
Bilancio dello stato. − La nuova disciplina in Italia. - Con la legge organica di riforma delle norme di contabilità generale dello stato in materia di b. (5 agosto 1978 n. 468), le finalità e la struttura del b. dello stato subiscono una sensibile mutazione, più profonda di quella iniziata con la precedente l. 1 marzo 1964 n. 62, che aveva realizzato un limitato rinnovamento classificatorio (economico, amministrativo e funzionale), in correlazione a esigenze di più articolata informazione sull'azione economica pubblica.
Intento della riforma del 1978 è stato quello di attribuire alla decisione annuale di b. un respiro economico e una propensione programmatoria, al di là delle funzioni di controllo, in termini giuridici, dei flussi finanziari dello stato; fissando, nel contempo, meccanismi di maggior rigore per l'applicazione del precetto dell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione, in materia di copertura finanziaria delle nuove leggi di spesa; e dando alla struttura del b., pur sempre soltanto finanziario, ulteriori angolazioni, attraverso il b. pluriennale di competenza, per programmare le risorse nel medio termine, e il b. annuale di cassa, vincolante per le statuizioni di pagamento e rappresentativo dei tempi reali della spesa.
Fulcro del nuovo sistema è la legge finanziaria annuale, parallela alla legge di approvazione del b. di previsione (espresso in termini di competenza e di cassa) per l'anno finanziario considerato, nonché del b. pluriennale per il triennio, decorrente dall'anno finanziario stesso.
Mentre la legge di approvazione del b. non può, in quanto legge formale, istituire nuovi tributi e nuove spese e, quindi, deve limitarsi a recepire i vari interventi decisi in tempi diversi dalle singole leggi di spesa, la legge finanziaria, in quanto legge sostanziale, può, nel regime della legge n. 468, affiancare il b.: sia determinando, in funzione della manovra finalizzata a obiettivi di politica economica, il tetto massimo di ricorso al mercato finanziario, nonché l'ammontare dei fondi speciali destinati a far fronte alle spese derivanti da progetti di legge in corso di approvazione e delle quote annuali delle leggi di spesa a carattere pluriennale; sia operando "modifiche ed integrazioni" a disposizioni legislative aventi riflessi sul b. dello stato, delle aziende autonome e degli altri enti che si ricollegano alla finanza statale. L'ampia elasticità dei possibili contenuti della nominale funzione di correzione e revisione dei tempi e modi dei flussi finanziari già decisi, ha comportato, nella prassi, la trasformazione della legge finanziaria in una sorta di legge omnibus, di determinazione eterogenea dei grandi settori di spesa pubblica.
Proprio per far fronte a questa dilatazione dei contenuti che, per quasi un decennio, aveva reso questo strumento legislativo l'unica grande legge dell'anno, soggetta quindi a tutte le spinte di natura corporativa e alle maggiori tensioni di carattere politico nei confronti della compagine governativa, la l. 23 agosto 1988 n. 362 ha ridimensionato il ruolo della legge finanziaria. Pur mantenendo ad essa il compito di fissare la quota di risorse che è necessario chiedere al circuito del risparmio per garantire la copertura di tutte le spese da iscrivere nel b. dello stato, gli ha tuttavia assegnato la sola regolazione, "meramente quantitativa", delle grandezze economiche previste dalla legislazione vigente in relazione agli obiettivi, quanto alle entrate (variazioni di aliquote, detrazioni e scaglioni di imposte, tasse e contributi già esistenti) e quanto alle spese (rimodulazione di quote annuali di leggi di spesa pluriennale, determinazione di quote relative a leggi di spesa in corso di approvazione, fissazione dell'importo massimo d'incremento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, ecc.).
Il sistema istituzionale di governo della finanza pubblica, pre figurato nella riforma del 1978 e seppur integrato dalle nuove disposizioni introdotte dalla l. 362 del 1988, resta invariato nel suo complesso. Le modifiche contenute nella nuova legge e nelle innovazioni dei regolamenti parlamentari, modifiche di natura procedurale e relative all'ordine di esame e di votazione degli strumenti di b., mantengono purtuttavia ferma la strutturazione, secondo la l. 468, del la "decisione di bilancio". Decisione nella quale si distinguono elementi prevalentemente normativi ma con aspetti conoscitivi (quali la legge di b., la legge finanziaria, la legge di assestamento del b., la legge di rendiconto generale) ed elementi a carattere conoscitivo (quali la relazione previsionale e programmativa o la relazione annuale sulla stima del fabbisogno del settore pubblico allargato); elementi, tutti, presentati in vari tempi e momenti all'esame del Parlamento.
Una dettagliata, e forse macchinosa, cadenza temporale regolamenta − per ciascun esercizio annuale e ai fini della gestione e del controllo della finanza statale e dei suoi effetti sull'economia − le attività proprie dell'amministrazione finanziaria (in particolare della Ragioneria generale dello stato), dei ministri competenti (Tesoro e Bilancio), della Banca d'Italia (relazione annuale del governatore), del Governo (Consiglio dei ministri e Comitato interministeriale della programmazione economica), del Parlamento (anche in apposita ''sessione'' di b.) e della Corte dei Conti (relazione sul rendiconto generale e referti). Con le ultime riforme, il ''sistema di governo'' complessivo che prepara, discute e decide le linee di politica economica e gli elementi normativi e conoscitivi del b. dello stato, ha visto accrescere, anche in sofisticazione, i suoi strumenti giuridici e tecnici, senza con ciò veder realizzata una programmazione al di fuori della politica di b.; e senza, peraltro, veder risolti soddisfacentemente né il problema della copertura finanziaria delle leggi di spesa, né quello del coordinamento finanziario con le gestioni degli enti pubblici che si finanziano prevalentemente con trasferimenti dal b. statale e con entrate parafiscali.
Le modifiche introdotte con la l. 362 del 1988 configurano, tra l'altro (art. 11-ter), una sorta di codificazione di tutte le regole di copertura finanziaria delle leggi messe a fuoco negli anni precedenti: utilizzo di accantonamenti iscritti nei fondi speciali; riduzione di precedenti autorizzazioni di spesa; assunzione a carico di disponibilità formatesi nel corso dell'esercizio; modifiche legislative che comportino nuove o maggiori entrate, purché non in conto capitale per maggiori spese correnti. Regole che vengono integrate dall'obbligo per il governo di corredare le iniziative legislative di un'apposita relazione tecnica sulla quantificazione degli oneri recati da ciascuna disposizione e delle relative coperture. Per questa via si dovrebbero creare le condizioni per un assolvimento non rituale dell'obbligo sancito dall'art. 81 della Costituzione, offrendo anche ulteriori strumenti per una verifica, anche in corso di attuazione, delle quantificazioni stimate. Una circolare della Presidenza del Consiglio (29 aprile 1988) ha, peraltro, precisato a tutte le amministrazioni statali gli elementi statistico-informativi necessari per il corredo delle iniziative legislative comportanti spesa.
Il problema del coordinamento delle gestioni finanziarie dello stato e degli altri soggetti pubblici era stato affrontato dalla stessa l. 468 del 1978 con la previsione di una Tesoreria unica degli enti pubblici, poi concretata nella l. 29 ottobre 1984 n. 720 mediante l'elencazione in apposite tabelle delle gestioni che entrano "organicamente" nel sistema di tesoreria e delle gestioni alle quali si applica il regime di limitazione delle giacenze liquide detenibili presso le rispettive tesorerie. Lo stesso problema viene nuovamente definito dalla l. 362 del 1988, in termini di modalità di stima del fabbisogno di cassa nel settore statale (b. e tesoreria) e dell'intero settore pubblico allargato. L'integrazione dei flussi conoscitivi di cassa tra Tesoro ed enti esterni appare, tuttavia, un processo lento e complesso, anche perché richiede adeguamento dell'organizzazione della Ragioneria generale dello stato (avviato con l. 7 agosto 1985 n. 472) e della Direzione generale del Tesoro e, soprattutto, affinamenti tecnico-amministrativi, ancora allo studio.
Bibl.: G. Zaccaria, Il bilancio e la sua gestione dopo la riforma del 1978, Roma 1979; V. Trapanese, Significato e tipologia del bilancio dello Stato, Milano 1981; A. Bennati, Manuale di contabilità di Stato, Napoli 1983; A. Barettoni Arleri, Contabilità dello Stato e degli enti pubblici, Roma 1986; Id., Miti e realtà nei principi di contabilità pubblica, Milano 1986; Id., Lezioni di contabilità di Stato, Roma 1986; D. Da Empoli, P. De Joanna, G. Vegas, Il bilancio dello Stato: la finanza pubblica tra governo e parlamento, Milano 1988; G. Pitruzzella, Il coordinamento delle iniziative legislative di spesa del Governo, in Riv. Trim. Dir. Pubblico, 1988, p. 822; P. De Joanna, Copertura delle leggi di spesa, in Dizionario di contabilità pubblica, Milano 1989; A. Monorchio, V. Spaziante, Fondi speciali negativi, ibid.; M. Meschino, Legge finanziaria, ibid.; G. Caianiello, Potenzialità della legge di bilancio, ibidem.
Caratteri e funzioni del bilancio. - Il b. dello stato costituisce il conto economico fondamentale dell'amministrazione pubblica. Esso è un conto di flussi, nel senso che riguarda le entrate e le uscite relative a un certo periodo di tempo (più frequentemente l'anno fiscale). Più similmente al cosiddetto conto dei flussi di cassa che al conto economico dell'impresa, il b. dello stato registra tutte le entrate e tutte le uscite riguardanti il periodo di tempo a cui esso si riferisce: non contiene quindi voci imputate quali ammortamenti e accantonamenti. Esso riporta invece sia voci che si riferiscono a elementi di spesa con effetti pluriennali (investimenti), sia entrate e uscite che corrispondono a variazioni della posizione debitoria o creditizia dello stato nei confronti del resto del mondo. Essendo un insieme di flussi di cassa, il bilancio dello stato consiste di due conti paralleli: quello delle entrate e quello delle uscite. Le entrate comprendono tutte le componenti tributarie e non tributarie della cosiddetta ''raccolta del reddito pubblico''. Esse costituiscono i fondi di cui il settore pubblico dispone in prima istanza per attuare i suoi compiti. Le uscite comprendono tutte le spese dello stato, sia di parte corrente, sia in conto capitale. La differenza tra entrate e uscite, se negativa, costituisce l'indebitamento netto, ossia l'ammontare delle spese non coperte dalle entrate ordinarie dello stato e quindi finanziabili attraverso operazioni d'indebitamento. L'indebitamento netto, più l'eventuale saldo negativo delle partite finanziarie, più il saldo dei trasferimenti per aumento dei fondi di dotazione degli enti a partecipazione statale costituisce il fabbisogno da finanziare. Dal fabbisogno totale viene in genere distinto il fabbisogno primario, ottenuto sottraendo al fabbisogno totale la spesa per interessi sul debito pubblico.
Il fabbisogno primario è causato dalla differenza tra entrate e uscite relative al periodo a cui si riferisce il b., mentre il fabbisogno totale include gli oneri finanziari dei debiti contratti nei periodi precedenti. La differenza tra entrate e uscite correnti viene poi denominata risparmio o, nel caso che sia negativa, disavanzo corrente. Anche in questo caso si distingue il disavanzo corrente totale dal disavanzo corrente al netto degli interessi. Quest'ultimo rappresenta il disavanzo corrente che si avrebbe in assenza di debito pregresso e che quindi non sarebbe più giustificato né da spese in conto capitale (essendo ''corrente''), né da debiti contratti in precedenza.
Poiché i flussi di cassa includono entrate e uscite che si riferiscono a periodi pluriennali, quali i pagamenti dei debiti pregressi e gli investimenti, spesso si considerano anche i sotto-insiemi del b. al netto di queste categorie di spesa. Quando vengono compiute tali operazioni di sottrazione, il risultante conto economico si avvicina concettualmente al b. aziendale, purché al posto delle voci pluriennali vengano inserite delle corrispondenti annualità.
Come nel caso aziendale, il b. può infine essere di competenza, se si riferisce a impegni di spesa o a previsioni di entrate basate sulla legislazione esistente e altra documentazione preventiva, oppure di cassa se si riferisce a incassi o esborsi già verificatisi alla data del b. stesso.
Il bilancio come rendiconto dell'attività della pubblica amministrazione. - I compiti tradizionalmente assegnati alla pubblica amministrazione riguardano in senso lato la produzione e la distribuzione dei cosiddetti beni pubblici.
Agli effetti del b. è bene ricordare che la pubblica amministrazione si compone di tre settori distinti: a) il settore statale, costituito dall'amministrazione centrale dello stato e in particolare dal Tesoro; b) le unità decentrate (enti previdenziali e unità locali nella misura in cui intrattengono rapporti con il Tesoro); c) alcuni enti pubblici, quali l'ENEL e le Ferrovie dello Stato. La somma di a) più b) riceve il nome di settore pubblico, mentre quella di a) più b) più c) si denota come settore pubblico allargato.
I beni pubblici prodotti o distribuiti dalla pubblica amministrazione hanno come caratteristica precipua la parziale o totale assenza di mercato, il che fa sì che la loro offerta, in assenza di un agente coordinatore, sarebbe sistematicamente inferiore a quanto desiderabile dal punto di vista del bene sociale. Oltre alla difesa nazionale, all'amministrazione della giustizia e altre attività di chiara pertinenza pubblica, l'attività dello stato si è gradualmente estesa alla produzione, distribuzione e regolamentazione di una serie molto numerosa di beni il cui carattere ''pubblico'' dipende in parte dal consenso realizzato sull'opportunità che lo stato intervenga. Dal punto di vista del b. le attività relative ai beni pubblici si riflettono sia nelle entrate che nelle uscite. Le entrate tributarie, in particolare, derivano dall'imposizione di tributi per unità di merce e risultano quindi in una modificazione del sistema di prezzi che prevarrebbe in loro assenza (imposte indirette) o in un insieme di trasferimenti diretti a spese di specifiche categorie di contribuenti (imposte dirette). In entrambi i casi le imposte costituiscono quindi uno strumento per modificare la distribuzione dei redditi e perseguire obiettivi di giustizia sociale: un bene pubblico tra i più importanti delle società civili.
Le entrate non tributarie derivano dalla riscossione di crediti pregressi, dalla gestione del patrimonio dello stato (comprese le aziende di sua proprietà) e dall'alienazione di beni patrimoniali. In generale, quindi, esse risultano determinate da eventi di origine esterna e non possono considerarsi strumenti d'intervento pubblico, se non in misura indiretta e temporanea.
Le uscite si distinguono in spese correnti e spese in conto capitale e, all'interno di entrambe tali categorie, in acquisti di beni e servizi, retribuzioni e oneri sociali, interessi e trasferimenti. Gli acquisti di beni e servizi delle spese correnti costituiscono i cosiddetti consumi collettivi, mentre la corrispondente categoria delle spese in conto capitale coincide con gli investimenti. Per questi due gruppi di spesa, il comportamento dello stato è parallelo a quello del settore privato, ma è motivato prevalentemente dalla necessità di permettere il consumo, presente o futuro (nel caso degli investimenti), di un volume adeguato di beni pubblici.
Le retribuzioni e gli oneri sociali pagati dallo stato, dal canto loro, sono spese necessarie per il funzionamento della complessa macchina burocratica che fa capo alla pubblica amministrazione, i cui compiti comprendono sia la fornitura di beni pubblici (educazione, sanità, difesa nazionale, ordine pubblico, ecc.), sia l'esercizio delle funzioni di ridistribuzione del reddito e di interventi nel mercato.
Gli interessi costituiscono una categoria di spesa particolare, che ha assunto rilevanza a partire dagli anni Settanta, a causa della crescita del debito pubblico, ossia dell'accumularsi di passività finanziarie dello stato nei confronti dei cittadini per finanziare un disavanzo persistente.
Infine, i trasferimenti formano la parte che tende a dominare sempre più le altre voci del bilancio. Essi includono, per la parte corrente, contributi alla produzione, prestazioni sociali e altre voci, mentre per la parte in conto capitale sono soprattutto costituiti da contributi agli investimenti. Benché si attribuisca la loro recente crescita di peso soprattutto alle prestazioni sociali e al welfare state, è importante sottolineare che i trasferimenti sono la necessaria controparte dei tributi per l'esercizio della funzione ridistributiva dello stato. Se solo il prelievo fosse possibile o se anche i trasferimenti positivi fossero fortemente contenuti, la capacità dello stato d'influenzare la distribuzione personale del reddito risulterebbe seriamente limitata.
Le funzioni del b. pubblico, tuttavia, non sono limitate alla fornitura di beni pubblici e alla redistribuzione del reddito. Sotto l'influenza di una generazione di economisti che ha preso le mosse dal contributo del caposcuola J. M. Keynes, negli ultimi 40 anni i governi dei paesi a economia di mercato hanno tentato di utilizzare il b. pubblico come strumento di stabilizzazione economica. In questa particolare ''tipologia di uso'', l'azione del governo prende di mira alcune variabili aggregate caratterizzanti lo stato economico del paese. In particolare, il livello di occupazione e il livello d'inflazione sono le due variabili che la cosiddetta manovra di b. ha teso tipicamente a influenzare, tentando di stimolare il grado di utilizzazione della capacità produttiva nei momenti negativi del ciclo economico e di moderare la crescita dei prezzi, sia nei periodi di crescita economica più intensa, sia nei periodi di incrementi dei costi.
Come conseguenza dell'uso del b. come strumento di stabilizzazione macro-economica, la stessa giustificazione delle funzioni del settore pubblico si è evoluta. Il concetto di fornitura di beni pubblici si è infatti allargato, poiché le entrate fiscali e la spesa pubblica sono diventate strumenti d'intervento a fini di benessere generale, in qualche modo indipendentemente dal loro uso per il finanziamento di specifici beni pubblici o di specifici trasferimenti. Poiché obiettivo fondamentale della manovra stabilizzatrice è inoltre il raggiungimento della piena occupazione o almeno di quella massima possibile (la cosiddetta ''occupazione naturale''), ha assunto rilevanza il concetto di b. di piena occupazione. Secondo tale concetto, i b. di volta in volta varati dalle amministrazioni pubbliche avrebbero un aspetto transitorio o congiunturale, dovuto alle particolari contingenze del ciclo economico, e uno permanente o strutturale, che rifletterebbe invece il valore che le singole voci di b. assumerebbero ove il livello di occupazione fosse il massimo possibile. In questo contesto, lo stesso saldo di b. assume un significato diverso. Un deficit anche rilevante può essere infatti considerato desiderabile se esso è determinato solo da cause congiunturali e l'economia è quindi ''strutturalmente'' in pareggio o in surplus.
La struttura del bilancio pubblico in Italia. La struttura del b. pubblico italiano presenta caratteristiche peculiari sia rispetto all'origine e la destinazione dei fondi, sia rispetto alla distribuzione funzionale degli stessi. La tab. 1, che riporta il dettaglio del conto consolidato di cassa relativo alle entrate per il 1990, mostra tre fenomeni principali: a) una parte rilevante degli incassi è formata dalle operazioni di tesoreria, ossia da operazioni di anticipazioni o ritardi di pagamenti o di recuperi di incassi; b) la maggior parte delle notevoli entrate non tributarie è costituita da contributi assistenziali e previdenziali; c) quasi il 10% delle entrate stesse è costituito da introiti propri degli altri enti del settore statale.
Mentre la struttura delle entrate è la conseguenza di un'evoluzione del sistema fiscale verso un progressivo accentramento, il lato della spesa mostra il fenomeno opposto di un crescente decentramento delle spese per consumi e investimenti pubblici. Questi due fenomeni hanno sempre più trasformato il b. dello stato in un b. di trasferimenti.
Sul versante della spesa (tab. 2), nel 1990 i pagamenti correnti mostrano la concentrazione maggiore nel comparto ''personale'' (121.898 miliardi di lire) e ''interessi'' (128.973 miliardi di lire), mentre i trasferimenti a destinatari esterni al Settore Pubblica Amministrazione (SPA) appaiono contenuti (30.576 miliardi di lire). Dal punto di vista economico, tuttavia, possono essere considerati trasferimenti di fatto sia gli interessi, sia i pagamenti al personale in quiescenza (26.480 miliardi di lire). Si traducono inoltre in trasferimenti di fatto alle famiglie e alle imprese alcune porzioni rilevanti dei trasferimenti agli enti pubblici esterni al settore statale (128.460 miliardi di lire) e dei finanziamenti agli enti previdenziali (68.390 miliardi di lire).
La tab. 3 mostra la struttura dei pagamenti di capitali e delle partite finanziarie in cui la quasi totale concentrazione rientra nel comparto dei trasferimenti. Benché i trasferimenti formalmente diretti alle famiglie e alle imprese siano limitati (9057 miliardi di lire), consistenti trasferimenti ''di fatto'' riguardano la maggior parte delle poste relative a questi conti.
La tab. 4 riporta l'evoluzione delle diverse poste della spesa pubblica in termini sia di percentuali della spesa totale, sia di percentuali del PIL, secondo la classificazione che tiene conto sia dei destinatari, sia della tipologia economica della spesa. I consumi collettivi, che costituiscono il contributo diretto del governo alla domanda di beni e servizi del paese, risultano decrescenti, come frazione della spesa totale, al pari di tutte le altre poste a eccezione degli interessi passivi e delle prestazioni sociali. Essi invece sono crescenti come percentuali del PIL, in questo caso, come tutte le altre poste e senza eccezioni. Anche in termini di struttura percentuale, le spese che costituiscono direttamente o indirettamente trasferimenti di reddito hanno aumentato il loro peso sull'economia: gli interessi passivi sono aumentati dall'1,6% al 9,7% del PIL, i contributi alla produzione dall'1,4 al 2,2%, le prestazioni sociali dal 9,8 al 18%. La spesa in conto capitale, pur se nel complesso contenuta rispetto alla spesa in conto corrente, si è anch'essa espansa nella componente più direttamente legata ai trasferimenti, mentre gli investimenti pubblici hanno subito una flessione solo recentemente in via di recupero. La tab. 5 presenta l'evoluzione della struttura della spesa secondo la classificazione funzionale e conferma l'impressione che i trasferimenti formali e informali abbiano gradualmente assunto una posizione di assoluto dominio. Ciò è soprattutto evidente se si considerano le poste relative alla previdenza, che passa dal 9,4% al 15,9% del PIL, alla Sanità, che passa dal 3,2 al 5,8%, e degli interessi e spese varie, che a loro volta aumentano dall'1,8 al 7,6% del PIL.
Bibl.: Alcuni documenti di base per una documentazione ufficiale sul b. pubblico sono: Corte dei Conti, Decisione e relazione sul rendiconto generale dello Stato, Roma 1988; Ministero del Tesoro, Relazione della Commissione per la verifica dell'efficienza e della produttività della spesa pubblica, ivi 1988; Commissione tecnica per la spesa pubblica, Osservazioni e raccomandazioni della Commissione tecnica per la spesa pubblica (anni 1982-1987), [ivi 1988]. Si veda inoltre: Committee for Economic Development, Taxes and the budget: A program for prosperity in a free economy, Washington 1947; A. T. Peacock, R. Shaw, The economic theory of fiscal policy, Londra 19822; T. Ward, Full employment budget surplus, in The new Palgrave, a dictionary of economics, Londra 1988; M. Meschino, Legge finanziaria, in Dizionario di contabilità pubblica, a cura di A. Barettoni Arleri, Milano 1989.