BILANCIO (VII, p. 11; App. II, 1, p. 403)
Il Bilancio dello Stato (VII, p. 14; App. II, 1, p. 404). - Il progressivo ampliamento dell'attività finanziaria dello stato - posto in luce dall'aumento delle spese e delle entrate - è certamente in relazione all'estendersi in tutti i paesi dell'intervento statale nell'economia. Occorre però subito precisare che tale correlazione non mette in evidenza tutta l'attività di intervento dello stato in quanto numerosi interventi non sono riconducibili a pure voci contabili del bilancio statale.
Si forniranno qui di seguito alcuni elementi di natura economica ed alcune linee di evoluzione di questo strumento dell'attività finanziaria. Questione, anzitutto, che ha aperto la via a discussioni di natura tecnica e di pratica attuazione è quella relativa alla cosiddetta "politica del pareggio del bilancio": si sostiene da taluni che a conclusione dell'esercizio finanziario il complesso delle entrate debba pareggiare il complesso delle spese effettuate; da altri si sostiene, invece, che, non essendo il b. statale un documento da assimilarsi a quello di un'azienda privata, in quanto nel documento di uno stato moderno meno prevalenti sono gli aspetti amministrativo-contabili e di maggior rilievo sono le implicazioni economiche, sociali e politiche, non vi debba essere necessità di conseguire il pareggio annuale. Da parte di questi ultimi, a sostegno di tale tesi, si distingue (alquanto artificiosamente) tra spesa ordinaria (spese ricorrenti) e spesa straordinaria (spese legate ad iniziative contingenti), affermando che per pareggio del b. si debba intendere il pareggio delle spese ricorrenti da effettuarsi con le entrate ricorrenti, mentre per le spese straordinarie si debba ricorrere a coperture attuate attraverso prestiti pubblici ed altre entrate extratributarie. Altre elaborazioni di natura teorica a giustificazione di politiche di disavanzo del b. (deficit-spending) si sono avute da parte dei sostenitori della cosiddetta "finanza anticongiunturale", i quali ritengono che il b. possa far segnare periodi alterni di disavanzo, per finanziare periodi di depressione del sistema economico, e di avanzo, nei periodi di espansione, che dovrebbero andare a coprire i disavanzi. Il pareggio, pertanto, secondo queste concezioni dovrebbe essere inteso in senso pluriennale.
La validità di questo tipo di conclusioni è di natura indiretta: vale a dire, si è dato inizio a una diversa concezione del b. inteso, non tanto in senso contabile, quanto come elemento regolatore e propulsore e quindi come fattore determinante dell'equilibrio del mercato nel quale si inserisce come elemento costituzionale e quindi permanente dell'attività economica. Sempre più strette, quindi, diventano le relazioni fra b. dello stato e struttura economica. Anzi, oggi il b. può identificarsi in un vero e proprio piano economico, il quale, così come tutti i piani, implica una serie di scelte. La fissazione del volume delle attività e delle passività del b. opera nel contempo la determinazione delle risorse nazionali tra quanto deve essere destinato alla pubblica spesa e quanto invece deve essere destinato al settore privato. Contemporaneamente il b. attua una redistribuzione di una ampia aliquota del reddito nazionale tra quanti hanno concorso a produrlo, espletando così una funzione sociale che acquista sempre più rilievo mano a mano che progredisce l'attività di intervento dello stato nell'economia in conseguenza di nuove concezioni dei rapporti tra stato e cittadini, nelle quali si pone come preminente il benessere della collettività.
A seguito di questi più stretti rapporti fra b. statale e struttura economica, si ha una progressiva qualificazione sia delle entrate sia delle spese pubbliche. La qualificazione della spesa pubblica si caratterizza per la determinazione di criterî di priorità, in base ai quali ordinare le spese dello stato (e degli enti minori) secondo una graduatoria, dettata dalle esigenze che la politica economica governativa dichiara di voler soddisfare, ma tenendo contemporaneamente presenti gli effetti economici che conseguono alla pubblica spesa, capaci di espanderne le finalità con azione cumulativa o integrativa. Iniezioni di potere di acquisto da parte dello stato nelle mani degli imprenditori (ad esempio con aiuti diretti a carico del bilancio e con risorse statali, ovvero con la creazione di istituti di credito operanti in condizioni di particolare favore) e creazione di potere di acquisto nelle mani dei lavoratori (ad esempio, accollando gli oneri sociali totalmente agli imprenditori, o alla collettività, e aumentando il livello delle pensioni di malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione) modificano in diverse guise le propensioni al risparmio e al consumo, agendo diversamente sullo sviluppo della congiuntura.
Per contro, la qualificazione delle entrate si affida a una più esatta conoscenza degli effetti economici delle imposte, pur nelle difficoltà in cui si dibatte su questo punto la dottrina finanziaria. Questo argomento, giova rammentare, non è sfuggito agli studiosi, che da J. M. Keynes in poi (M. Kalecki, S. Steve e altri) vi si sono applicati nel tentativo di approfondire questo capitolo della finanza pubblica e le cui conclusioni sono necessariamente in relazione a talune ipotesi fondamentali sulle condizioni di pieno o non pieno impiego dei fattori di produzione e in ispecie del lavoro, nonché della diversa importanza relativa delle singole imposte o dei singoli rami di imposte nel sistema positivo tributario.
Questione di notevole importanza è quella relativa al fenomeno del progressivo irrigidimento del bilancio. Tale fenomeno si manifesta in misura sensibile nel b. dello stato italiano a causa degli oneri cosiddetti "rigidi" (spese per il personale, pensioni di guerra, interessi sul debito pubblico, ecc.), i quali impegnano oltre la metà della spesa complessiva, lasciando allo sviluppo delle spese di natura diversa margini relativamente modesti. Altri elementi che concorrono all'irrigidimento sono costituiti dai "pagamenti differiti" (i quali suppongono una spesa effettuata immediatamente e fronteggiata con pagamenti ritardati), dai "programmi pluriennali" (i quali impegnano per successivi bilanci le spese per investimenti, in particolare nel settore delle opere pubbliche), dagli eventuali abusi delle "note di variazione" (procedura di correzione, da attuarsi sotto il controllo del Parlamento, nel corso dell'esercizio degli stati di previsione al fine di adattare alle esîgenze sopravvenute il primitivo programma di spese ed entrate) ed infine da una scarsa esattezza delle previsioni iniziali.
In questi ultimi tempi è stata posta allo studio e a revisione critica tutta la materia relativa al b. italiano. L'attenzione si è soffermata in particolare su due questioni: l'interpretazione dell'art. 81 (4° comma) della Costituzione in connessione con l'art. 43 della legge di contabilità dello stato (R. D. 18 novembre 1923, n. 2440) e la riforma del bilancio in modo da dare a tale documento un più preciso significato economico, piuttosto che contabile. Tra i dati più importanti ed innovativi di questa riforma si annovera una diversa classificazione della spesa in maniera funzionale, ripartita cioè secondo le grandi funzioni e i campi di attività dello stato, e la periodicità dell'esercizio in coincidenza con l'anno solare.
Vedi anche contabilità nazionale, in questa Appendice.
Bibl.: Tra le op. di carattere economico v.: C. Arena, Le conseguenze finanziarie di Keynes, in Industria, 1949; S. Steve, Considerazioni sulla politica del bilancio, in Studî Urbinati, 1950-51; G. U. Papi, Teoria della condotta economica dello Stato, Milano 1956; e gli autori ivi citati.
Tra quelle tecnico-giuridiche v.: G. Ingrosso, Istituzioni di diritto finanziario, Napoli 1954; Études de Finances Publiques, La réforme budgétaire, 2 voll., Parigi 1954 e 1956; G. Cozzi, Tecnica del bilancio e controllo della finanza pubblica, Bologna 1958.