Bile
La bile è un liquido giallo più o meno scuro, vischioso e filante, secreto dal fegato, indispensabile per la digestione e l'assorbimento intestinale dei grassi e per l'eliminazione dei prodotti di degradazione dell'emoglobina. Prodotta dalle cellule epatiche (epatociti) e da queste riversata negli spazi interstiziali, o canalicoli biliari, i quali confluiscono nei due dotti epatici principali, la bile viene rilasciata nel duodeno attraverso il dotto coledoco, nel quale confluisce, oltre ai dotti epatici, anche il dotto cistico proveniente dalla colecisti (o cistifellea), dove la bile viene immagazzinata e concentrata. All'altezza dell'innesto del dotto coledoco, il duodeno è provvisto di una valvola, lo sfintere di Oddi, che permette l'ingresso dei prodotti epatici all'interno dell'intestino tenue solo quando questi sono necessari.
La bile è composta da acidi e sali biliari, che costituiscono circa il 70% dei soluti, da pigmenti biliari, colesterolo, lecitine, ioni (K+, Na+, HCO3‒, Cl‒). Gli acidi biliari primari prodotti negli epatociti, l'acido colico e l'acido deossicolico, derivati del colesterolo, vengono coniugati agli aminoacidi glicina e taurina e, grazie all'ambiente alcalino della bile, formano sali solubili di potassio e sodio, i sali biliari. I sali biliari sono molecole anfipatiche, in grado cioè di interagire con molecole polari, come l'acqua, e con molecole non polari, come i trigliceridi, i grassi più frequenti nell'alimentazione animale. I sali biliari si comportano quindi da potenti tensioattivi, in grado di scindere in unità molto piccole le grosse gocce lipidiche che arrivano nell'intestino tenue dopo la riduzione meccanica e chimica subita dal cibo nella bocca e nello stomaco. Questo processo di emulsione dei lipidi permette il loro attacco da parte di un enzima specifico, la lipasi pancreatica, il quale scinde i trigliceridi in molecole più piccole che possono diffondersi, sotto forma di micelle lipidiche, all'interno delle cellule dell'epitelio intestinale. Nel citoplasma cellulare, i lipidi vengono prima rivestiti da proteine a formare strutture denominate chilomicroni, e poi avviati al circolo sanguigno attraverso i vasi chiliferi (sistema linfatico). In seguito all'assorbimento dei lipidi, i sali biliari tornano disponibili e vengono per la quasi totalità (circa 95%) ricondotti al fegato attraverso il sistema venoso portale. Questo circolo enteroepatico dei sali biliari ne permette il riutilizzo, caricando l'attività epatica solo della reintegrazione della piccola frazione non recuperata.
Il pigmento biliare principale è rappresentato dalla bilirubina. Questa deriva dal catabolismo dell'emoglobina liberata, principalmente nella milza, in seguito al processo di rigenerazione dei globuli rossi. La bilirubina, trasportata nel circolo sanguigno legata alla sieroalbumina, raggiunge gli epatociti, che allontanano la sieroalbumina, solubilizzano la bilirubina, legandola all'acido glicuronico, e la secernono nella bile. Grazie all'azione della flora batterica presente nell'intestino crasso, la bilirubina viene trasformata in urobilinogeno (o stercobilinogeno) ed è quindi eliminata con le feci, alle quali conferisce il caratteristico colore giallo-bruno. Una frazione di urobilinogeno viene riassorbita dalla mucosa intestinale e può tornare al fegato tramite la circolazione enteroepatica, oppure può giungere al circolo sistemico e venire eliminata con l'urina. Da quanto fin qui esposto, risulta che nel sangue la bilirubina è presente in varie forme a seconda dello stadio metabolico, ovvero: a) coniugata con l'albumina (bilirubina indiretta); b) coniugata con l'acido glicuronico (bilirubina diretta); c) in forma di stercobilinogeno (urobilinogeno). Poiché l'eccesso di pigmenti biliari nel sangue ne determina il deposito nei tessuti (ittero; v.), è importante a livello diagnostico valutare quale forma bilirubinica predomina nel sangue. Una patologia emolitica, per es., determina l'aumento della bilirubina indiretta (ittero emolitico), mentre anomalie nella funzionalità epatica portano a un aumento della bilirubina diretta (ittero epatocellulare e ittero ostruttivo).
La presenza di colesterolo e lecitine ha un'origine non perfettamente definita, in quanto la loro partecipazione alla formazione delle micelle lipidiche non è tale da giustificare da sola l'alta percentuale con cui queste sostanze sono presenti nella bile. Il colesterolo, insolubile in acqua, viene mantenuto in soluzione grazie al forte potere tensioattivo dei sali biliari e delle lecitine, ma può facilmente precipitare se i rapporti tra i vari costituenti della bile vengono alterati. La precipitazione di cristalli di colesterolo rappresenta spesso l'evento iniziale per la formazione dei calcoli biliari, concrezioni solide contenenti anche sali di calcio e pigmenti biliari, che si depositano nei tessuti, più facilmente nella colecisti, dove i costituenti della bile sono più concentrati (v. calcoli).
Sebbene il fegato produca bile continuamente, essa fluisce nel duodeno solo dopo l'apertura dello sfintere di Oddi, che avviene normalmente in presenza di chimo gastrico, il prodotto dell'attività digestiva dello stomaco. Quando lo sfintere è chiuso, la bile risale il dotto coledoco e si accumula nella colecisti, dove un continuo processo di assorbimento di acqua e di secrezione di ioni H+ determina la concentrazione dei componenti biliari e il passaggio da una reazione alcalina (pH = 8) a una acida (pH = 5-6; bile cistica). Nel periodo postprandiale, la presenza di lipidi e proteine nel duodeno determina il rilascio, da parte delle cellule della mucosa intestinale, dell'ormone colecistochinina (CCK). Questo, giunto nelle vie biliari attraverso il circolo ematico, stimola l'attività della muscolatura colecistica e il rilassamento dello sfintere di Oddi, determinando lo svuotamento del contenuto biliare nel duodeno.
Dato che il fegato compare originariamente come estroflessione della parete dell'intestino medio, possiamo supporre che il suo ruolo primario, e quindi il ruolo primario della bile, sia stato correlato alla digestione, e che l'organo abbia assunto solo successivamente un ruolo nella regolazione ematica e metabolica. Sebbene cellule o ghiandole digestive siano associate all'epitelio intestinale di molti Invertebrati, si può parlare di secreto epatico solo nei Vertebrati, dove si delinea la presenza di una struttura epatica più o meno definita (v. fegato). Già nell'Anfiosso si osserva una struttura sacciforme, il cieco epatico, deputata alla secrezione di enzimi e all'assorbimento di materiale, che però, pur essendo collegato al sistema venoso portale, non possiede il controllo della regolazione metabolica. Questa si associa alle altre funzioni epatiche solo nei Vertebrati superiori, dove il fegato, di struttura ramificata e ben collegato al sistema portale e alla ghiandola pancreatica, diviene sede per il controllo del metabolismo intermedio di zuccheri, proteine e lipidi.
Sebbene l'abbozzo epatico si renda evidente come diverticolo dell'entoderma intestinale in una fase molto precoce dello sviluppo fetale (18° giorno), la formazione e la secrezione della bile cominciano in una fase più avanzata, verso la 13ª settimana di gestazione. Nei primi stadi di sviluppo fetale, infatti, il fegato dei Mammiferi ha soltanto una funzione eritrocitaria. La successiva sintesi e secrezione della bile determina il suo accumulo nell'intestino sotto forma di meconio. Al momento della nascita e durante i primi giorni di vita, l'eccesso di pigmenti biliari nel sangue può causare forme di ittero nel neonato, di origine emolitica o epatica, che possono essere fisiologiche oppure no. L'ittero fisiologico, fenomeno molto frequente e particolarmente riscontrabile nei nati prematuri, è generalmente di tipo emolitico e dipende dalla massiva distruzione dei globuli rossi in eccesso nel neonato; non necessita di terapia medica specifica e regredisce naturalmente in pochi giorni. Una forma di ittero emolitico patologico è invece quello denominato ittero grave familiare, associato a una seria eritroblastosi fetale (distruzione dei globuli rossi), determinata dalla reazione anticorpale di immunoglobuline materne rivolta verso gli eritrociti fetali. Questa reazione, scatenata dalla non compatibilità antigenica tra sangue materno e sangue fetale, si può generalmente prevenire una volta noti i determinanti antigenici eritrocitari (cioè i gruppi sanguigni) dei genitori e, quindi, del feto.
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