Biondo Flavio
Nato a Forlì nel 1392 da Antonio di Gaspare Biondi, accostò al nome di famiglia trasformato in nome proprio Blondus, la latinizzazione secondo l’uso umanistico Flavius, da cui la forma Blondus Flavius affermatasi nei manoscritti e nelle stampe. Dopo aver ricevuto la prima istruzione dal maestro cremonese Giovanni Balestrieri, conseguì, probabilmente nello Studio di Piacenza, il titolo di «publica auctoritate imperialis notarius ac iudex ordinarius». Nel periodo trascorso in Lombardia B. strinse relazioni con esponenti della cerchia viscontea, come Pier Candido Decembrio e Giovanni Corvini. Nel 1423 fu bandito dalla sua patria in coincidenza con la sommossa dei forlivesi contro il governo di Lucrezia Ordelaffi, in cui non è chiaro che parte egli avesse avuto. Tra il 1423 e il 1427 fu al servizio dei magistrati veneziani di terraferma e, come segretario di Francesco Barbaro, ricevette la cittadinanza veneziana.
Nel 1427 era nuovamente a Forlì dove venne assunto al servizio del governatore ecclesiastico Domenico Capranica. Ebbe così inizio la carriera curiale di B., nominato notaio della camera apostolica alla fine del 1432. Due anni più tardi veniva insignito del titolo di segretario pontificio, dopo essere ormai divenuto uno dei più stretti collaboratori di Eugenio IV. Per conto del pontefice B. fu impegnato in delicate missioni diplomatiche e svolse un’attività particolarmente intensa nella preparazione e nello svolgimento del Concilio di Ferrara-Firenze.
Al periodo fiorentino risale il trattatello De verbis Romanae locutionis, che porta la data del 1° aprile 1435, in cui B. prendeva posizione contro la tesi sostenuta da Leonardo Bruni sull’esistenza di un bilinguismo nell’antica Roma: mentre l’aretino, seguito da Cencio de’ Rustici e Antonio Loschi, riteneva che due fossero le lingue parlate dai Romani, una dei dotti e una degli incolti, l’umanista forlivese dimostrava, sulla base di testimonianze storiche e documentarie, l’unicità della lingua, concepita come istituzione dello Stato romano. Poco più tardi B. poneva mano all’ambizioso progetto di un’opera storica sul proprio tempo, il cui primo saggio in quattro libri fu fatto circolare dall’autore nella primavera del 1437.
Dopo l’abbandono dell’idea iniziale di ordinamento in decennali, l’umanista prendeva come punto di partenza il principato di Filippo Maria Visconti e nel 1443 diffondeva fra personalità politiche e culturali 11 dei 12 libri composti; contemporaneamente dava inizio a una nuova parte «ab inclinatione Romani imperii», di cui inviava 8 libri ad Alfonso d’Aragona, con l’intento di colmare il vuoto lasciato dagli storici antichi. Nel 1453 l’opera era edita con il titolo Historiarum ab inclinatione Romani imperii decades coprendo, pur con evidenti sproporzioni, un arco cronologico compreso fra il 412 e il 1441. Lontano da concezioni provvidenzialistiche, B. pone al centro della sua storia la capacità e la responsabilità umane.
D’altra parte, proponendosi la realizzazione di una storia universale, egli intende distaccarsi dagli intenti propagandistici di cui erano intessute le cronache locali e tanto del materiale documentario da lui stesso adoperato. Ogni notizia viene poi trattata con estremo scrupolo, verificandola con nuovi riferimenti, ed evitando per lo più di inserire personali valutazioni.
Con il ritorno della curia a Roma, B. si era inserito nel circolo del cardinale Prospero Colonna, in cui si coltivava con entusiasmo l’interesse per gli antichi monumenti della città e dei dintorni. Da questo clima nacque la Roma instaurata, pubblicata nel 1446: in piena autonomia rispetto alla tradizione dei Mirabilia urbis, la ricerca topografica di B. intendeva distinguere l’antico dalle successive trasformazioni, servendosi tanto del materiale archeologico quanto delle fonti letterarie. L’attività letteraria dell’umanista proseguiva poi con l’Italia illustrata che, originata da una richiesta di Alfonso d’Aragona, interessato a un catalogo degli uomini illustri del tempo, diveniva ben presto una descrizione geografica, archeologica e storica dell’intera penisola. Caduto in disgrazia nella curia di Niccolò V, B. nel 1452 era a Napoli, dove pronunciò alla presenza dell’imperatore Federico III una solenne orazione per la crociata. Tornato a Roma, pubblicava il trattatello De expeditione in Turchos dedicato ad Alfonso d’Aragona (1° ag. 1453). Pur reintegrato nel collegio dei segretari di curia, svolse un’attività ridotta, dedicandosi prima alla composizione di una sintesi di storia veneziana fino al 1291, De origine et gestis Venetorum, e poi alla Roma triumphans, l’ultima sua grande opera. Divisa in dieci libri e in cinque grandi argomenti (religione, amministrazione dello Stato, esercito, istituzioni private, trionfi), la Roma triumphans, dedicata al nuovo pontefice Pio II, è una grande enciclopedia del mondo romano, che avvia la moderna scienza antiquaria. L’esposizione segue un metodo minuziosamente analitico, partendo dall’illustrazione dei termini, di cui vengono chiariti etimologie e significato, per arrivare all’analisi e alla discussione delle fonti relative a ciascun argomento, in genere raccolte in modo da evidenziare l’evoluzione di singoli istituti.
Gli ultimi anni di B. furono consacrati, fra l’altro, alla ripresa e al compimento delle Decades. B. morì a Roma il 4 giugno 1463.
Le sue opere maggiori ebbero una notevole diffusione grazie anche alla stampa: la Roma instaurata fu pubblicata per la prima volta a Roma nel 1471; l’Italia illustrata, curata da Gaspare Biondo, figlio dell’umanista, fu stampata sempre a Roma da Filippo da Lignamine nel 1474; mantovana è invece l’editio princeps della Roma triumphans per i tipi di Pietro Adamo de Micheli (1473). Le Decades ebbero due edizioni quattrocentesche: la prima veneziana per Ottaviano Scoto nel 1483, la seconda, sempre a Venezia, l’anno dopo per i tipi di Tommaso de’ Blavi.
Nel 16° sec. le opere di B. furono raccolte in due celebri edizioni di Basilea dal tipografo Johann Froben (1531 e 1559). Diversi furono anche i volgarizzamenti: oltre a quello delle Decades, rimasto inedito, del fiorentino Andrea Cambini, si segnalano le traduzioni di Lucio Fauno, anch’egli autore di un’opera sulla topografia di Roma. Fauno pubblicò, sempre a Venezia per i tipi di Michele Tramezzino, nel 1543 Le Historie di Biondo da la declinatione di Roma insino al tempo suo [...] (con ristampe nel 1543, 1544 e 1547), la Roma ristaurata et Italia illustrata nel 1542, 1543, 1548, 1558 e la Roma trionfante nel 1544, 1548, 1549, 1588.
È noto che le Decades di B. furono la fonte principale del I libro delle Istorie fiorentine machiavelliane (ma anche di alcuni episodi narrati nel V), la cui dipendenza è resa particolarmente evidente da alcuni passi, ampiamente segnalati dai commentatori: fra i più noti, le accuse a Stilicone di trame contro l’impero (I i 10-12), la notizia dei tre Berengari che regnarono dallo scioglimento dell’impero carolingio all’incoronazione di Ottone I (I xii 9) e l’episodio della sconfitta dei francesi a Forlì grazie all’intervento dell’astrologo Guido Bonatti (I xxiv 1). Dal Libro di ricordi di Bernardo Machiavelli si evince inoltre che una copia delle Decades di B. era presente nella biblioteca di famiglia sin dal 1485: «Le Deche di messer Biondo, in forma, di papiro, intere, cioè tre deche e un libro della quarta, l’uno e l’altro sciolto [...]». Mario Martelli (1990) ha individuato, in un esemplare della stampa veneziana del 1483, annotazioni di mano di Niccolò (BNCF, D.7.8). Solo in un caso però si può segnalare un’effettiva corrispondenza fra un passo delle Decades (II 5 reg. T5) annotato nell’incunabolo fiorentino e uno del I libro delle Istorie fiorentine (I xix). Secondo Martelli, che ritiene il primo libro di alcuni anni anteriore alla stesura dei restanti libri delle Istorie fiorentine, le postille potrebbero risalire a una seconda lettura dell’opera, da parte di M., in vista della redazione del libro V, a episodi del quale diverse di esse si riferiscono.
Una citazione esplicita dal libro IX della seconda decade di B. è in Discorsi III xxvii 20, dove M. traduce liberamente le parole: crescensque in dies malum Florentini sedare intendentes seipsos infectum foedatumque iverunt («I Fiorentini proponendosi di frenare un male che cresceva di giorno in giorno finirono col procurarsi la loro stessa rovina»). In tempi più recenti Gabriele Pedullà (2003) ha individuato l’influenza della Roma triumphans sui Discorsi, in particolare nella discussione dell’idea di cittadinanza che sarebbe stata alla base del successo romano: esposta dall’umanista forlivese nell’opera antiquaria, diventa nei Discorsi una precisa proposta politica per il tempo presente.
Bibliografia: Su B. in generale ancora fondamentale è la monografia di B. Nogara, Scritti inediti e rari di Biondo Flavio, Roma 1927, da integrare con R. Fubini, Biondo Flavio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 10° vol., Roma 1968, ad vocem. Su B. e M. si vedano: N. Machiavelli, Istorie fiorentine. Libri I-III, con commento di V. Fiorini, Firenze 1894; P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, 3° vol., Milano 19143, pp. 199-229;
N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di P. Carli, Firenze 1927; G.M. Anselmi, Ricerche sul Machiavelli storico, Pisa 1979, pp. 117-20; C. Dionisotti, Machiavelli storico, in Id., Machiavellerie, Torino 1980, pp. 371-73; A.M. Cabrini, Per una valutazione delle Istorie fiorentine del Machiavelli. Note sulle fonti del secondo libro, Firenze 1985; G. Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 265-66; M. Martelli, Machiavelli e la storiografia umanistica, «Intepres», 1990, 10, pp. 224-57, poi in La storiografia umanistica, Convegno internazionale di studi, Messina 22-25 ottobre 1987, Messina 1992, pp. 113-52, in partic. pp. 114-26; G. Pedullà, «Concedere la civiltà a’ forestieri». Roma, Venezia e la crisi del modello municipale di res publica nei Discorsi di Machiavelli, «Storica», 2003, 25-26, pp. 105-73.