BiotecnologiaBiotecnologie e genetica di Roberto Gambari
Con il termine biotecnologia ci si riferisce a un settore molto vasto della ricerca, che prevede l'utilizzo di organismi viventi o di loro componenti subcellulari al fine di ottenere risultati trasferibili a settori applicativi molto diversificati, quali, tra gli altri, i settori biomedico, farmaceutico, agro-alimentare, industriale e ambientale. In molti casi, le b. innovative sono basate sull'uso di molecole di DNA ricombinante (definito ingegneria genetica) e su procedimenti di fusione cellulare e di trasferimento genico. In base a queste considerazioni introduttive, l'ingegneria genetica va considerata un settore molto importante delle b., che trae continui vantaggi dalle ricerche condotte nei campi della biologia molecolare e cellulare, della genetica molecolare, della biochimica, dell'ingegneria elettronica, dell'informatica. Le b. hanno tratto notevole impulso da risultati di fondamentale rilievo tra cui: la conclusione del progetto 'genoma umano', i progressi nel settore della bioinformatica e lo sviluppo di piattaforme miniaturizzate per analisi sempre più accurate delle interazioni biomolecolari (biosensori, microarray, tecnologie Lab-on-a-chip).
Genomica proteomica e genomica funzionale, bioinformatica
Il progetto 'genoma umano' (HGP, Human Gene Project) ha fornito informazioni fondamentali per lo sviluppo di settori di ricerca innovativi. Esso era associato anche ad altri progetti di sequenziamento di genomi, quello del topo (concluso nel 2003), del nematode Caenorhabditis elegans (C. elegans Sequencing Consortium, lavori completati nel 1998) e quello del moscerino della frutta Drosophila melanogaster (concluso nel 2000). La genomica utilizza i dati emersi dai diversi progetti di sequenziamento per raggiungere numerosi e rilevanti obiettivi, tra i quali eseguire comparazioni tra i genomi sequenziali e ordinare sequenze di geni espressi costruendo veri e propri atlanti di espressione genica. Un obiettivo delle ricerche è quello di correlare i dati di sequenziamento del DNA con le ricerche su struttura e funzione delle proteine. La proteomica ha come fine quello dello studio delle proteine e delle interazioni tra esse in una visione il più possibile 'globale'. Le ricerche di genomica e quelle di proteomica hanno una sintesi obbligata nel settore denominato genomica funzionale, che include una serie di metodiche destinate a individuare le caratteristiche biochimiche, cellulari e/o fisiologiche di tutti i prodotti genici identificati. L'analisi del DNA e dell'espressione genica, utilizzando le conoscenze provenienti dal sequenziamento del genoma umano, ha comportato lo sviluppo di tecnologie innovative, come, per es., la tecnologia dei microarray per lo studio del trascrittoma (descrizione dell'insieme dei geni trascritti nei diversi tipi cellulari, nelle diverse fasi differenziative e nelle diverse fasi funzionali di tessuti omogenei) e del proteoma, la metodica SAGE, la immunoprecipitazione della cromatina (ChIP), le implementazioni dell'ormai nota tecnologia PCR (reazione di polimerizzazione a catena, Polymerase-Chain Reaction), numerose metodologie avanzate per lo studio delle proteine (spettrometria di massa, Maldi-TOF, microsequenziamento di proteine e peptidi), le tecnologie e i protocolli sperimentali basati su biosensori e su piattaforme Lab-on-a-chip utilizzabili per la miniaturizzazione di metodiche complesse di laboratorio.
La tecnologia dei microarray a cDNA o basati su oligonucleotidi è forse l'esempio più caratterizzante dei progressi delle b. applicate al genoma umano. Questa strategia (fig. 1) prevede le seguenti fasi sperimentali: da un lato vengono opportunamente preparati 'vetrini' contenenti migliaia di sonde molecolari diverse (oligonucleoidi, cDNA, prodotti PCR), dall'altro il campione da sottoporre ad analisi viene isolato e il RNA estratto. I microarray a cDNA possono contenere al massimo 15.000 elementi, mentre microarray ad alta densità basati su sonde oligonucleotidiche possono contenere un numero molto superiore di siti di ibridazione. Il procedimento standard per analizzare i dati dei microarray consiste nel calcolare il rapporto tra le intensità della fluorescenza per due campioni analizzati tramite ibridazione competitiva sullo stesso microarray. Un campione funziona come controllo, o campione di riferimento, ed è marcato con un colorante (per es., il fluoroforo Cy3), che ha uno spettro di fluorescenza diverso rispetto a un altro colorante (per es., il Cy5) usato per contrassegnare il campione sperimentale. Queste analisi biomolecolari possono fornire numerose informazioni importanti, tra cui quali geni vengono trascritti in un determinato tessuto (analisi del trascrittoma), oppure quali geni vengono espressi in modo diverso durante il differenziamento o in seguito a trattamento con farmaci (farmacogenomica). Un secondo esempio delle applicazioni post-genomiche e della proteomica riguarda la proteomica funzionale. Per es., la purificazione di proteine attraverso metodi basati sul concetto di affinità (tra questi la procedura TAP, Tandem Affinity Purification) è stata utilizzata per isolare proteine appartenenti a complessi funzionali multiproteici utilizzando una specifica proteina come 'esca molecolare'.
Usando la proteina NF-kB (Nuclear Factor kappa-B, un fattore di trascrizione) è stato possibile purificare proteine a essa associate, che, analizzate attraverso sofisticate tecnologie, hanno permesso di definire l'insieme delle proteine che coordinatamente partecipano alla trasduzione del segnale TNF-α/NF-kB (Bouwmeester, Bauch, Ruffner et al. 2004). Questo tipo di analisi, ripetuto in modo sistematico per altre proteine, permetterà in breve di definire le 'reti' funzionali attraverso le quali la cellula coordina e regola la sua attività. È questa un'importante rivoluzione concettuale che pone in grande considerazione non più la singola proteina, ma la rete funzionale alla quale essa partecipa. Applicando tale genere di strategia al proteoma del lievito Saccharomyces cerevisiae, è stato, per es., possibile identificare 232 complessi multiproteici e proporre un nuovo ruolo cellulare per 344 proteine, delle quali 231 non descritte in precedenza (Gavin, Bosche, Krause et al. 2002). Queste strategie innovative hanno bisogno di basarsi su complesse metodiche di bioinformatica.
È noto che l'accesso all'enorme volume di dati ottenuti dai ricercatori che si occupano del genoma è facilitato dall'evoluzione continua delle interfacce di rete. Per es., il sito web NCBI (National Center for Biotechnology Information) permette di visualizzare mappe geniche, accedere alla banca dati (OMIM) sulle mutazioni geniche dell'uomo, collegarsi con le pubblicazioni del settore (PubMed), accedere a strumenti informatici per il reperimento di dati di sequenza e per allineare sequenze geniche (BLAST, Entrez Nucleotide).
Animali transgenici come modello di patologie molecolari
Settore di grande rilievo, ha riscontrato continui progressi a partire dal caso forse più eclatante: l'onco-topo. Questi topi transgenici, i primi dei quali furono prodotti alla fine del 20° sec., contengono oncogeni attivati (per es., neu, myc, Ha-ras) sotto il controllo di promotori forti e sviluppano diverse forme di neoplasie. Numerosi modelli animali sono stati sviluppati per altre patologie. In alcuni casi, è stato necessario eliminare interi set di geni, generando topi knockout che avessero un'importante perdita di funzioni biologiche a causa della mancata produzione di una determinata proteina (loss-of-function) e per questo in grado di riprodurre alcuni tipi di patologie umane. Eliminando i geni per la glucocerebrosidasi, si ottiene un modello di malattia di Gaucher; eliminando i geni per l'ipoxantina-guanina fosforibosil-transferasi (HPRT) si ottiene un modello di sindrome di Lesch-Nyhan; eliminando i geni per la β-globina si ottiene un modello di β-talassemia. Con approcci del tutto similari sono stati ottenuti modelli animali per la fibrosi cistica, per la sindrome dell'X-fragile, per una particolare cardiomiopatia mitocondriale. Inoltre, la tecnica dell'inattivazione genica è stata ampiamente utilizzata per la generazione di modelli transgenici murini che sviluppano tumore a causa dell'inattivazione di geni oncosoppressori, come TP53 e RB1. In altri casi, il modello di patologie prevede l'acquisizione o il potenziamento di espressione genica (gain-of-function). È questo il caso di un topo transgenico in cui si ha la sovraespressione della proteina precursore amiloide causando una forma del morbo di Alzheimer. L'inserimento nel genoma di un transgene può essere utilizzato per sviluppare modelli animali di patologie causate da alleli dominanti negativi, come è stato dimostrato per una malattia da invecchiamento precoce, la sindrome di Werner. In molti casi, incroci tra topi con un ben determinato fenotipo hanno dato precise indicazioni terapeutiche: per es., incrociando topi SAD (modello per l'anemia falciforme) con topi che producevano ectopicamente l'emoglobina fetale umana (hHbF) anche in età adulta, gli ibridi ottenuti hanno permesso di dimostrare che l'elevata produzione di HbF comportava un notevole miglioramento di tutti i parametri ematologici, della morfologia degli eritrociti e della sopravvivenza media dei topi (Blouin, Beauchemin, Wright et al. 2000). Incrociando topi che sovraesprimono la proteina antiapoptotica Bcl-2 con mutanti che mostrano una lenta degenerazione retinica ereditaria, si è ottenuta una progenie nella quale il danno retinico era ridotto, suggerendo che il gene Bcl-2 potrebbe essere utilizzato nella terapia genica della sindrome da degenerazione retinica nell'uomo (Nir, Kedzierski, Chen et al. 2000). In alcuni casi, ottenere modelli animali mimanti gravi patologie risulta molto difficile. Per es., topi knockout per i geni delle globine β adulte (Th3/Th3) non possono essere prodotti allo stato omozigote perché, non avendo il topo una globina fetale di tipo β, lo sviluppo embrionale non arriva a compimento. Questa è la ragione per la quale il topo talassemico, sul quale di solito si conduce la sperimentazione, è un topo eterozigote (Th3/+), caratterizzato a livello fenotipico da una forma di talassemia intermedia. Per ottenere un modello animale Th3/Th3 è stato escogitato un procedimento che prevede la produzione di embrioni Th3/Th3 (facilmente ottenibili accoppiando tra loro topi Th3/+), l'isolamento da questi embrioni di cellule eritroidi da fegato e il trapianto delle stesse a un topo 'normale' wild-type (+/+) sottoposto a irraggiamento per eliminare l'eritropoiesi endogena. Questi topi Th3/Th3 non producono emoglobina adulta, manifestano caratteristiche tipiche di forme gravi di β-talassemia e possono essere utilizzati per esperimenti di terapia farmacologica e genica di questa grave malattia (fig. 2); (Rivella, May, Chadburn et al. 2003).
Terapia genica
L'interesse per la terapia genica può essere dimostrato dalle seguenti considerazioni. Dal 1994 più di 160 pazienti nel mondo sono stati sottoposti a terapia genica. Oltre 45 imprese biotech hanno nella terapia genica il loro obiettivo primario. I progressi del sequenziamento del genoma umano e della diagnostica molecolare hanno portato a oltre 4000 i difetti genetici conosciuti, dei quali oltre 200 sono difetti enzimatici potenzialmente trattabili attraverso interventi di terapia genica. La fig. 3 mostra la strategia della terapia genica, che può prevedere l'isolamento di cellule bersaglio dal paziente, il trattamento ex vivo con vettori virali contenenti il gene terapeutico, e l'infusione nel paziente delle cellule trattate. Nella fig. 3 viene anche schematizzato un tipico vettore terapeutico, che non contiene geni virali importanti (ciclo litico pol, env, gag) ma sequenze importanti per l'integrazione (per es., le sequenze LTR), il gene terapeutico (nel caso descritto il gene per la β-globina umana), e sequenze regolative (nel caso descritto sequenze dell'LCR, Locus Control Region). Il vettore mostrato in fig. 3 è stato utilizzato con successo su topi Th3/+ (May, Rivella, Callegari et al. 2000) e Th3/Th3 (Rivella, May, Chadburn et al. 2003), risultando in grado di correggere il difetto genico. Nei topi sottoposti a terapia genica veniva prodotta una emoglobina chimerica costituita da due catene di globina α di topo e due catene di β-globina umana. I livelli di emoglobina e la morfologia dei globuli rossi erano riportati a livelli normali (fig. 3). Oltre alla β-talassemia, le patologie trattabili attraverso terapia genica sono l'immunodeficienza ADA (deficit di adenosindeaminasi), la fibrosi cistica, l'enfisema ereditario, l'ipercolesterolemia familiare, l'emofilia, l'anemia falciforme, varie malattie neoplastiche (melanoma, tumori cerebrali, carcinomi del polmone, del rene, della mammella, del colon, neuroblastoma), l'AIDS, malattie cardiovascolari, epatite, osteoporosi, malattia di Alzheimer. Oltre a vettori retrovirali, sono utilizzabili per la terapia genica vettori adenovirali (virus adeno-associati, virus erpetici) e vettori derivati dal virus vaccinico. La terapia genica può anche utilizzare biomolecole in grado di modificare in modo selettivo l'espressione genica. In questo settore, le ricerche hanno ottenuto risultati di grande rilievo: per fare un esempio, la terapia antisenso utilizza corte sequenze di DNA (oligodeossiribonucleotidi antisenso, AS-ODN) per colpire, attraverso ibridazione molecolare, il mRNA bersaglio; l'ibrido RNA-DNA viene riconosciuto da una ribonucleasi, la RNasi H, che degrada il mRNA. In tal modo l'espressione del gene che codifica il mRNA colpito dall'AS-OND utilizzato risulta pesantemente inibita con produzione inferiore (o del tutto assente) della proteina codificata. La terapia antisenso è stata impiegata con successo per inibire l'espressione di numerosi geni coinvolti nella trasformazione neoplastica: per es., un AS-ODN in grado di colpire il mRNA Bcl-2 è attualmente utilizzato in sperimentazione clinica su pazienti affetti da tumore della prostata e da leucemia linfoide cronica. Nel caso della terapia anti-gene, invece, l'obiettivo è colpire il promotore di geni che si intendono modulare farmacologicamente con oligonucleotidi in grado di formare triple eliche. In questo caso si potrebbe ottenere un blocco dell'espressione genica, se questa formazione di triple eliche impedisse il riconoscimento dei promotori da parte di fattori di trascrizione. I fattori di trascrizione, in un'altra strategia terapeutica, possono essere anche sequestrati da particolari oligonucleotidi a doppia elica che mimano le sequenze di riconoscimento (strategia TFD, Transcription Factor Decoy). In questo caso, il fattore di trascrizione, così sequestrato, non è in grado di legarsi ai promotori, causando una selettiva alterazione dell'espressione genica (attivazione, nel caso il fattore sequestrato sia un repressore; inibizione, nel caso in cui il fattore di trascrizione sia un attivatore trascrizionale). Molecole decoy in grado di interagire con i fattori di trascrizione E2F, ets e NF-kB sono utilizzate già in terapia sperimentale. Va infine ricordato che si sono affermate anche altre strategie per alterare l'espressione genica. Tra queste, molto importante è quella che prevede l'utilizzo di corte sequenze di RNA (dette siRNAs, small interfering RNAs), in grado di dirigere la degradazione di specifici mRNA bersaglio. In seguito al successo di questa strategia, numerose aziende biotech hanno incluso nei loro obiettivi prioritari lo sviluppo di una strategia terapeutica di RNA interference basata su molecole di siRNA.
Le ricerche sulla terapia sperimentale basata su oligonucleotidi hanno alcuni importanti problemi da superare, tra i quali la stabilità delle molecole e il rilascio controllato delle stesse. Per questi motivi nuove molecole sono state progettate, sintetizzate e valutate per la loro attività, introducendo modifiche chimiche all'interno del DNA (come, per es., nel caso degli oligonucleotidi forforotioati e metilfosfonati), oppure modificandone completamente lo scheletro portante, come nel caso degli acidi peptico-nucleici (PNA), che hanno uno scheletro pseudo-peptidico a sostenere le basi azotate. Per quanto riguarda il rilascio programmato, numerose ricerche hanno come obiettivo quello di sviluppare liposomi, microsfere o sistemi di rilascio transdermico per controllare le modalità e l'efficienza di trasferimento degli oligonucleotidi (o analoghi strutturali) alle cellule bersaglio.
Terapie cellulari basate sulle cellule staminali
I progressi in questo settore della ricerca sono stati molto importanti e concentrati su tre fronti: l'isolamento delle cellule staminali (dall'embrione, dal feto, dall'adulto), la manipolazione in vitro delle stesse per dar luogo a cellule differenziate utilizzabili per trapianto, la conduzione di esperimenti pilota che dimostrassero l'utilità terapeutica di questa strategia. Dall'embrione, le cellule staminali possono essere isolate dalla massa cellulare interna (ICM) della blastocisti. Queste cellule devono essere considerate come totipotenti, essendo in grado di dar luogo a tutti e tre i foglietti germinativi (l'ectoderma, il mesoderma e l'endoderma), che a loro volta porteranno allo sviluppo di tutti i tessuti dell'organismo. Tuttavia, cellule staminali utilizzabili in terapia possono essere isolate anche dal feto, dal cordone ombelicale e da tessuti adulti. In particolare, numerosi sforzi vengono in questo settore condotti sulla 'riprogrammazione' delle cellule staminali adulte (plasticità) perché possano acquisire in modo controllato proprietà differenti da quelle di partenza, sfruttabili per la terapia cellulare. La ricerca si basa sulla caratterizzazione delle cellule staminali adulte e sulla loro differenziazione forzata in vitro. Tuttavia, va preso in considerazione il fatto che le cellule staminali nell'adulto sono rare e molto spesso difficili da identificare e isolare. Studi disponibili in letteratura indicano che cellule staminali adulte possono essere isolate da cervello, midollo osseo, sangue periferico, polpa dentale, vasi sanguigni, colonna spinale, muscolo scheletrico, epitelio della pelle e del sistema digerente, cornea, retina, fegato e pancreas.
Biopharming
Il termine biopharming è un neologismo derivato dai termini anglosassoni biological, pharmacological e farming, e in genere indica la produzione di animali transgenici che possano servire da bioreattori e accumulare un prodotto di interesse farmaceutico o nutriceutico in fluidi biologici facilmente isolabili, come, per es., latte, uova, sangue, siero, sperma. Nel caso della produzione di proteine ricombinanti secrete nel latte, gli animali più utilizzati sono stati vitelli, pecore, capre e maiali. La strategia seguita (fig. 4) è semplice e ben riproducibile. Il gene codificante la proteina di interesse è posto, con tecniche di ingegneria genetica, sotto un promotore e/o sequenze regolatrici in grado di dirigerne l'espressione a livello della ghiandola mammaria. Questo costrutto viene utilizzato per produrre animali transgenici attraverso varie metodiche, tra cui l'iniezione nel pronucleo maschile di oociti fecondati e trapianto in madri adottive (fig. 4). Con queste metodiche vengono prodotte numerose proteine di interesse farmaceutico, quali, per es., l'attivatore tissutale del plasminogeno, l'urochinasi, l'ormone della crescita, il fibrinogeno, il fattore della crescita neurale, l'eritropoietina, l'α1-antitripsina, vari anticorpi ricombinanti. La produzione di animali transgenici per finalità nutrizionali ha trovato applicazioni inferiori, anche se va ricordato che molti di essi possiedono caratteristiche assai interessanti (per es., basso livello di grasso nelle carni di maiale transgenico contenente il gene per l'hGH, Human Growth Hormone, ormone della crescita umano).
Biotecnologie nel settore agroalimentare
La produzione di piante transgeniche è eseguita con tecniche proprie dell'ingegneria genetica su cellule di espianti che, dopo essere state ingegnerizzate, danno origine a piante intere con le nuove caratteristiche codificate dal gene esogeno inserito. Un primo obiettivo delle biotecnologie applicate al settore agro-industriale è un aumento della produttività. È accettato, infatti, il concetto che, ogni anno, circa il 30% della produzione venga perso a causa di erbe nocive, insetti e malattie. In generale, va osservato che questo rende problematico sfamare intere popolazioni; in particolare, può far la differenza tra un'impresa agricola in attivo e una in perdita. Pertanto, una prima classe di piante transgeniche è stata prodotta per possedere resistenza agli erbicidi (glifosfato, solfonilurea, imidazolinoni, fosfinotricina, atrazina, bromoxinile). Circa i tre quarti delle piante transgeniche esistenti al mondo sono resistenti agli erbicidi. Una seconda classe riguarda piante transgeniche resistenti agli insetti. L'esempio forse più indicativo è l'utilizzo di geni codificanti tossine Bt (ne esistono più di 50 tipi, specifiche per differenti specie di insetti), proteine prodotte dal batterio Bacillus thuringiensis, che uccidono gli insetti senza avere effetto su mammiferi e, in particolare, sull'uomo. Va fatto notare che insetticidi basati su tossine Bt sono stati usati in agricoltura per oltre trent'anni. Infine, sono state prodotte numerose piante transgeniche resistenti a malattie infettive virali, batteriche e fungine. Un secondo obiettivo delle biotecnologie applicate al settore agro-industriale è incidere sulla qualità del prodotto. In questo settore le novità sono numerose e trovano una immediata applicazione in campo nutrizionale. Per es., metà della popolazione mondiale ha la sorgente nutrizionale primaria nel riso che, tuttavia, è povero di micronutrienti essenziali e di vitamine. Esiste consenso sul dato che indica in oltre 100 milioni i bambini che soffrono di avitaminosi, con manifestazioni patologiche ricorrenti. In accordo, l'UNICEF prevede che un miglioramento nell'approvvigionamento nutrizionale di vitamina A potrebbe impedire 1-2 milioni di morti fra bambini di età compresa tra 1 e 4 anni. Con queste finalità è stato prodotto riso transgenico contenente la vitamina β-carotene. In questo caso, l'espressione dei transgeni era sotto il controllo di promotori specifici per garantire l'espressione genica nell'endosperma. In futuro, è ipotizzabile che sarà possibile modificare geneticamente piante di interesse alimentare ingegnerizzandone il metabolismo per produrre la maggior parte delle 13 vitamine essenziali. Per ottenere questo risultato è fondamentale che i relativi cicli metabolici siano conosciuti e siano clonati i geni responsabili per essi. Più difficile appare la strategia biotecnologica per aumentare in prodotti vegetali il contenuto di microelementi, come ferro e zinco. Le ricerche in questo settore prendono in considerazione diverse strategie, tra le quali l'introduzione di geni codificanti proteine in grado di legare tali microelementi, la sovraespressione di proteine di immagazzinamento già presenti, oppure l'aumentata espressione di proteine coinvolte con l'internalizzazione all'interno delle cellule vegetali. Va infine citata la realizzazione di piante transgeniche finalizzate alla produzione di farmaci, di solito proteine. Tali piante sono di grande interesse, poiché non comportano il rischio di possibili malattie infettive causate dall'utilizzo di farmaci prodotti da animali transgenici. Tra gli esempi da ricordare quelli di piante transgeniche in grado di produrre β-glucuronidasi, β-caseina, anticorpi, α-antitripsina.
Biotecnologie per il risanamento ambientale
Questo settore, definito come biorisanamento, sarà in un prossimo futuro uno tra i settori portanti delle biotecnologie. Termini come fitostabilizzazione e fitoestrazione stanno divenendo familiari anche tra i non addetti ai lavori. Esso trae particolare impulso dal fatto che la contaminazione del suolo e dell'acqua da parte di metalli (come zinco, arsenico, mercurio) e composti organici tossici rappresenta un indubbio pericolo per la salute umana. Così, lo sfruttamento di piante transgeniche per il biorisanamento appare strategico.
È noto che molte piante sono tolleranti rispetto a vari elementi (come nichel, zinco, cadmio, arsenico e selenio) e ne possono accumulare nelle foglie quantità anche cento volte superiori a quelle riscontrabili nel suolo. Geni che incrementano tale attività, isolati da Escherichia coli, Astragalus bisulcatus, Saccharomyces cerevisiae, Arabidopsis thaliana, sono stati opportunamente modificati e trasferiti a piante (Nicotiana, Arabidopsis, Brassica juncea) utilizzabili per incrementare l'accumulo di cadmio, arsenico, selenio. Indubbiamente, le b. per l'ambiente rappresentano un settore in espansione, che sarà sempre più apprezzato in futuro.bibliografia
M.J. Blouin, H. Beauchemin, A. Wright et al., Genetic correction of sickle cell disease: insights using transgenic mouse models, in Nature medicine, 2000, 6, pp. 177-82.
C. May, S. Rivella, J. Callegari et al., Therapeutic haemoglobin synthesis in beta-thalassaemic mice expressing lentivirus-encoded human beta-globin, in Nature, 2000, 406, pp. 82-86.
I. Nir, W. Kedzierski, J. Chen et al., Expression of Bcl-2 protects against photoreceptor degeneration in retinal degeneration slow (rds) mice, in Journal of neuroscience, 2000, 20, pp. 2150-54.
International Human Genome Sequencing Consortium, Initial sequencing and analysis of the human menome, in Nature, 2001, 409, pp. 860-921.
J.C. Venter, M.D. Adams, E.W. Myers et al., The sequence of the human genome, in Science, 2001, 291, pp. 1304-51.
A.C. Gavin, M. Bosche, R. Krause et al., Functional organization of the yeast proteome by systematic analysis of protein complexes, in Nature, 2002, 415, pp. 141-47.
I. Raskin, D.M. Ribnicky, S. Komarnytsky et al., Plants and human health in the twenty-first century, in Trends in biotechnology, 2002, 20, pp. 522-31.
S. Rivella, C. May, A. Chadburn et al., A novel murine model of Cooley anemia and its rescue by lentiviral-mediated human beta-globin gene transfer, in Blood, 2003, 101, pp. 2932-39.
T. Bouwmeester, A. Bauch, H. Ruffner et al., A physical and functional map of the human TNF-alpha/NF-kappa B signal transduction pathway, in Nature cell biology, 2004, 6, pp. 97-105.
U. Kramer, Phytoremediation: novel approaches to cleaning up polluted soils, in Current opinion in biotechnology, 2005, 16, pp. 133-41.
Biotecnologie industriali di Piero Salatino e
Le b. industriali possono essere definite, in senso lato, come tecnologie basate sull'impiego controllato di cellule viventi (microrganismi, cellule di origine animale e vegetale) o di loro componenti, finalizzato alla produzione di beni e di servizi ovvero alla prevenzione e mitigazione dell'impatto ambientale di operazioni antropiche. Le b. industriali hanno il loro fondamento nell'uso integrato e multidisciplinare delle scienze naturali e ingegneristiche rivolte alla formulazione di processi di trasformazione basati sull'impiego di sistemi biologici.
La possibilità di utilizzare strumenti biotecnologici progressivamente più specifici e potenti consente di intravedere un'alternativa industriale alle tecnologie chimiche di processo tradizionali. In prospettiva, si ritiene che il ricorso sempre più frequente alla produzione biotecnologica consenta di ottenere una maggiore sostenibilità, non solo ambientale, del sistema di produzione industriale, in ragione prevalentemente di due aspetti cruciali: in primo luogo, le trasformazioni biotecnologiche hanno come punto di partenza la biomassa, materia prima intrinsecamente rinnovabile; in seconda istanza, ma soltanto per ordine di processo, esse danno di norma luogo alla formazione di sottoprodotti con elevato grado di biodegradabilità e biocompatibilità. Il contributo delle b. industriali alla sostenibilità dell'industria di processo rimarrà comunque sempre vincolato a una gestione razionale ed equilibrata della biomassa.
Le biotecnologie in retrospettiva storica
L'impiego di tecnologie produttive basate sull'impiego controllato di sistemi biologici è documentato sin dagli albori della storia dell'umanità. Processi biotecnologici ante litteram possono essere considerati le tecnologie produttive utilizzate nel mondo antico per la produzione di bevande e cibi fermentati (produzione di vino e birra e produzione di pane lievitato nel Vicino Oriente ed Egitto). Le b. tradizionali sono anche state applicate a settori quali la zootecnia e l'agricoltura per incrementare la produzione e la qualità dei prodotti attraverso la selezione e l'incrocio di specie con caratteristiche desiderabili.
Nella prima fase di sviluppo delle b. la formulazione dei processi è stata esclusivamente basata sull'esperienza. Le scoperte di L. Pasteur determinarono, intorno alla metà del 19° sec., la transizione a una seconda e più matura fase di sviluppo delle biotecnologie. Pasteur per primo dimostrò che le cellule di lievito sono responsabili della fermentazione alcolica, creando le premesse per lo sviluppo della moderna microbiologia, presupposto per l'impiego controllato di microrganismi nelle produzioni industriali. La transizione alla terza era delle b. è riconducibile alla scoperta della penicillina negli anni Trenta del 20° sec. a opera di A. Fleming. Le scoperte di Pasteur e Fleming hanno rappresentato eventi cruciali per il progresso delle b., creando le premesse perché si dischiudesse un'ampia varietà di processi di trasformazione basati sull'impiego di sistemi biologici. La quarta, e attuale, era delle b. è caratterizzata dal rapidissimo sviluppo delle conoscenze scientifiche sui meccanismi che presiedono al metabolismo cellulare e sul ruolo svolto dagli enzimi, proteine in grado di catalizzare le bioconversioni. La transizione all'era delle b. innovative si completa intorno agli anni Ottanta quando, grazie all'avvento delle tecniche del DNA ricombinante, ossia il complesso delle tecniche che consentono di manipolare il materiale genetico degli organismi viventi, è divenuto possibile modificare e adattare le proprietà e il metabolismo di questi ultimi per specifiche finalità produttive. Allo stato delle ricerche è possibile ottimizzare le prestazioni dei biocatalizzatori intervenendo direttamente sul corredo genetico delle cellule utilizzate nelle biotrasformazioni. Questo approccio è stato enormemente agevolato dalla scoperta delle sequenze di nucleotidi che costituiscono il genoma di organismi viventi (genoma del lievito Saccharomyces cerevisiae, nel 1996; completamento del progetto genoma umano, nel 2000). La disponibilità di informazioni genetiche sempre più estese e dettagliate ha contribuito a una più precisa identificazione dei geni bersaglio delle manipolazioni genetiche e alla ricostruzione delle funzioni e dei percorsi metabolici degli organismi. A questi risultati si è giunti anche grazie alla nascita e allo sviluppo di nuove discipline, basate sull'analisi globale delle componenti cellulari, quali la genomica, la proteomica, la metabolomica. Lo sviluppo delle conoscenze di base sul comportamento dei sistemi biologici è stato costantemente affiancato e sostenuto dai consistenti progressi che hanno caratterizzato la moderna ingegneria di processo. L'aver introdotto apparecchiature innovative e metodologie avanzate di sviluppo e ottimizzazione di processo, opportunamente mirate alle applicazioni biotecnologiche, ha creato le condizioni perché un'ampia varietà di processi basati sull'impiego di sistemi biologici potesse corrispondere ai requisiti di produttività, economicità, sicurezza, compatibilità ambientale posti dalla prospettiva del loro impiego industriale.
Le tecniche del DNA ricombinante
Come già segnalato, i più significativi sviluppi delle moderne b. industriali sono stati resi possibili dall'avvento della tecnologia del DNA ricombinante. È questo un complesso insieme di tecniche di manipolazione del DNA che consente di isolare brevi segmenti di tale molecola al fine di moltiplicarli, determinarne la sequenza nucleotidica, trasferirli nel genoma di altre cellule controllandone l'incorporazione e l'espressione. La ricombinazione genetica è un processo biologico che avviene normalmente in tutti gli organismi e che, attraverso la produzione e ricombinazione di frammenti di DNA, produce uno scambio di porzioni del genoma, cioè del patrimonio genetico di cui è dotato un organismo. È possibile creare molecole ricombinanti tra segmenti di DNA che non presentano omologia e che possono provenire da organismi diversi. Con l'utilizzo coordinato degli enzimi di restrizione e dei vettori molecolari si può isolare una sequenza di DNA da qualsiasi organismo e inserirla nel DNA di un altro. Le forme viventi che hanno subito tale trasformazione e che contengono un DNA estraneo vengono dette transgeniche. I vettori molecolari sono delle sequenze di DNA di diversa natura che possono replicarsi autonomamente e nelle quali è possibile inserire altre sequenze nucleotidiche. Devono codificare per una proprietà che può essere usata per selezionare i microrganismi che hanno ricevuto il DNA da clonare, avere siti unici di attacco per diversi specifici enzimi di restrizione, ed essere in grado di promuovere l'espressione dei geni clonati. I vettori con questi requisiti sono stati costruiti a partire da plasmidi e fagi che si trovano in natura. I plasmidi sono sequenze extracromosomiche di DNA che, in alcuni casi, hanno la capacità di replicarsi autonomamente. Essi contengono geni in grado di conferire proprietà fenotipiche ai batteri che li contengono, come la resistenza agli antibiotici, permettendo la selezione dei cloni che hanno ricevuto il nuovo gene. I batteriofagi, o fagi, sono virus che infettano i batteri. I cosmidi sono vettori ibridi fra un plasmide, che fornisce la resistenza agli antibiotici, e una regione del DNA di un batteriofago detta cos che conferisce loro particolari caratteristiche. Gli enzimi di restrizione sono enzimi in grado di catalizzare l'idrolisi del DNA in corrispondenza di specifici siti di riconoscimento, detti siti di restrizione. Questa caratteristica è stata usata dai biologi molecolari per tagliare molecole di DNA in particolari siti. Il DNA donatore viene quindi sottoposto all'azione di enzimi di restrizione che lo idrolizzano in frammenti. Gli stessi enzimi vengono poi usati per idrolizzare il vettore generando estremità complementari in cui poter inserire il DNA da clonare. L'azione degli enzimi ligasi consente di saldare i frammenti del DNA del donatore con il DNA del vettore. Il DNA ricombinante viene quindi introdotto nelle cellule, previa trasformazione. Ferma restando la compatibilità del vettore con l'organismo in cui è stato inserito, si otterrà la sua replicazione e quella del gene isolato in più copie (clonazione) contestualmente al processo di divisione cellulare.
Strumenti delle biotecnologie industriali
I microrganismi. - Le b. si basano sull'impiego di sistemi biologici, quali cellule microbiche, animali o vegetali, loro organelli o enzimi, utilizzati come biocatalizzatori, cioè come agenti in grado di promuovere il decorso di determinate trasformazioni biochimiche. In particolare, i microrganismi hanno ricevuto grande attenzione come strumenti biotecnologici, e rappresentano i biocatalizzatori più frequentemente utilizzati nelle fermentazioni industriali. Per fermentazione industriale si intende il processo produttivo che usa come catalizzatori cellule microbiche. Questo tipo di processo richiede la crescita dell'organismo responsabile della reazione d'interesse biotecnologico. Dal momento che al decorso del processo è associata spesso la produzione dello stesso biocatalizzatore, i processi fermentativi possono definirsi processi autocatalitici. Molteplici caratteristiche fanno sì che i microrganismi risultino catalizzatori estremamente efficienti, talora indispensabili, in settori diversificati delle b. industriali. Essi presentano un'elevata flessibilità metabolica, la capacità di crescere utilizzando materie prime rinnovabili e, in molti casi, materiali di scarto di basso pregio. Essi sono inoltre caratterizzati da una velocità di crescita maggiore rispetto alle cellule degli organismi superiori. Le prestazioni dei microrganismi quali biocatalizzatori possono essere, peraltro, ulteriormente migliorate, sfruttando la possibilità di modificarne con relativa facilità il materiale genetico e, di conseguenza, i meccanismi regolatori del metabolismo cellulare. I microrganismi possono essere, infatti, più facilmente sottoposti a processi di trasferimento genico, e sono più adatti a programmi di selezione (screening) su larga scala. Numerosi microrganismi d'interesse biotecnologico, quali batteri, lieviti e funghi utili per le fermentazioni industriali, si trovano in natura, e la loro applicazione industriale può essere ottimizzata dal biotecnologo sia allestendo l'ambiente controllato in cui ha luogo la fermentazione (fermentatore), sia intervenendo sul loro materiale genetico. Quest'ultima operazione è accessibile attraverso la tecnologia del DNA ricombinante ai fini di modificarne il metabolismo con processi che vengono definiti di ingegneria metabolica.
Geni da organismi superiori o altri microrganismi possono essere inseriti ed espressi nei microrganismi industriali, in modo da ottenere nuovi prodotti, creare nuovi percorsi (pathway) metabolici, migliorare la produttività e la resa del processo industriale. Questi microrganismi geneticamente modificati lavorano in condizioni controllate all'interno di un bioreattore, attentamente separato dall'ambiente esterno in modo da controllare i rischi possibili dovuti a un rilascio di questi organismi ingegnerizzati nell'ambiente.
Gli enzimi. - Gli enzimi sono proteine in grado di esplicare, eventualmente in associazione a opportuni cofattori, attività catalitica nei confronti di reazioni biochimiche di interesse, ovvero di favorirne il decorso anche alle temperature moderate tipiche dei sistemi biologici. Con elevata specificità ed efficienza, gli enzimi dirigono la chimica della vita orientando il metabolismo cellulare, anche grazie a complessi meccanismi di induzione e repressione attivati dalla regolazione genica. Fondamento del metabolismo cellulare, gli enzimi possono anche essere utilizzati fuori dall'ambiente cellulare nativo, in condizioni di reazione opportunamente controllate al fine di evitarne la denaturazione, eventualmente immobilizzati su opportuni supporti per favorirne il contenimento nel volume di reazione e il recupero a valle del processo. L'impiego di enzimi extracellulari, prodotti per via fermentativa, sta conquistando grande importanza in una varietà di settori industriali. Nuove tecnologie come la mutagenesi sito-diretta e il DNA-shuffling, che sono basate sulla tecnologia del DNA ricombinante, permettono di sviluppare nuovi enzimi formulati su misura per specifiche applicazioni.
I bioreattori. - Il cuore del processo biotecnologico industriale è rappresentato dal bioreattore, ossia dall'apparecchiatura che (corredata dei relativi dispositivi ancillari di alimentazione, miscelazione, misura, controllo ecc.) consente il decorso, in condizioni opportunamente controllate, delle trasformazioni biochimiche di interesse, siano esse di natura fermentativa o enzimatica.
I bioreattori possono essere utilizzati in modalità discontinua o continua. L'esercizio continuo dà luogo di norma a produttività più elevate. D'altra parte l'esercizio discontinuo presenta maggiore flessibilità operativa, dal momento che si rende possibile l'avvicendamento nel medesimo bioreattore di cicli di produzione diversi. Inoltre, l'operazione discontinua consente spesso di corrispondere più efficacemente all'esigenza di garantire assenza di contaminazione, ossia sterilità, dell'ambiente di reazione. Possono inoltre essere stabilite modalità di esercizio ibride, o semicontinue, mediante l'impiego di reattori caratterizzati dall'esercizio continuo rispetto ad alcuni componenti e discontinuo rispetto ad altri (esercizio fed-batch).
La selezione e la progettazione funzionale dei bioreattori si sviluppano, mutuando in parte le metodologie proprie della processistica chimica tradizionale, partendo dall'esame delle proprietà più significative delle trasformazioni biochimiche di interesse sotto il profilo cinetico e termodinamico. Vengono esaminati a questo riguardo eventuali effetti autocatalitici (comuni nelle fermentazioni microbiche); effetti di inibizione a opera di substrati o di prodotti (ricorrenti nelle fermentazioni e nella catalisi enzimatica); decorso competitivo di più processi reattivi (inclusi quelli che presiedono ai meccanismi di regolazione e controllo del metabolismo cellulare); effetti di interazione tra popolazioni microbiche assortite coesistenti nell'ambiente di reazione; l'insorgenza di limitazioni alla conversione di natura termodinamica. A questi elementi è strettamente associato l'esame di ulteriori fattori, quali: il ruolo dei fenomeni di trasporto (di materia, di energia) in fasi omogenee o tra fasi eterogenee; le problematiche di miscelazione di correnti fluide (attraverso il controllo della fluidodinamica di processo e dei processi diffusivi); gli effetti interfacciali associati alla presenza di fasi eterogenee (particolarmente rilevanti per sistemi colloidali); gli effetti sulla vitalità e attività del materiale biologico (cellule, enzimi) di stress di varia natura (idrodinamica, termica, osmotica ecc.) che possono determinarsi nell'ambiente di reazione; le problematiche di contenimento della biomassa nel bioreattore (attraverso la formazione di biofilm microbici o di sistemi enzimatici immobilizzati su supporto, ovvero il ricorso a reattori a membrana); le modalità attraverso le quali si stabiliscono e mantengono prefissate condizioni di sterilità; le problematiche di controllo termico; la definizione dei dispositivi di misura (sensoristica tradizionale o biosensoristica) e di controllo; la formulazione di corretti protocolli di controllo di processo che tengano conto della natura intrinsecamente complessa della dinamica dei sistemi biologici.
Merita, inoltre, una menzione a parte la complessa problematica del passaggio di scala (scale-up) dei bioreattori, dalla scala di laboratorio a quella pilota, e da questa alla scala industriale. Tale passaggio rappresenta tuttora, nonostante la significativa evoluzione degli strumenti teorici di supporto, una delle fasi di maggiore complessità nella definizione di un processo industriale. Da quanto riportato emerge la straordinaria varietà di comportamento che i sistemi biologici di interesse nella reattoristica biotecnologica possono mostrare sotto il profilo biochimico, enzimologico, microbiologico. A tale varietà di comportamenti la reattoristica chimica moderna fornisce risposte concettuali ottimizzate molto diversificate ed efficienti. D'altra parte, questa ricchezza di soluzioni ha trovato solo in parte riscontro nella pratica industriale, che appare ancora polarizzata su una varietà piuttosto ristretta di soluzioni reattoristiche. Il reattore di gran lunga prevalente nella pratica fermentativa rimane il reattore discontinuo (batch o semi-batch) ad agitazione meccanica. Più limitato è il ricorso a soluzioni basate su reattori agitati pneumaticamente. La reattoristica biotecnologica eterogenea fa talora riferimento a reattori a letto fisso o fluidizzato, in alternativa ai più convenzionali reattori a slurry agitati meccanicamente. È comunque prevedibile un ricorso sempre più esteso a tipologie di bioreattore non convenzionali, sia per un più esteso ricorso ad approcci multidisciplinari alla reattoristica biotecnologica, sia per l'estensione e la diversificazione dell'applicazione della processistica biotecnologica a settori ancora inesplorati.
Operazioni di recupero, separazione e purificazione. - Le operazioni di recupero, separazione e purificazione - applicate al trattamento della miscela effluente dal bioreattore (downstream processing) ovvero finalizzate al pretrattamento della miscela reagente (upstream processing) - incidono di norma in misura significativa sull'economia complessiva del processo di trasformazione biotecnologico. I costi fissi associati a operazioni di separazione e recupero possono costituire oltre il 60% dei costi fissi totali in processi per la produzione di proteine per via fermentativa, frazione che diviene ben più elevata per processi basati sull'uso di organismi ricombinanti. È pertanto ampiamente giustificato l'interesse crescente che viene rivolto all'innovazione tecnologica nel settore delle tecniche di separazione e di purificazione in campo biotecnologico.
I metodi di recupero, separazione e purificazione propri delle b. sono in parte mutuati dalla processistica chimica, con l'esclusione di quei procedimenti che, attraverso il ricorso a condizioni estreme di esercizio (temperatura, pressione), potrebbero compromettere stabilità e vitalità dei sistemi biologici e/o stabilità chimica dei prodotti desiderati (per es., distillazione). L'allontanamento delle frazioni insolubili sospese è di norma ottenuto con tecniche di sedimentazione/centrifugazione e filtrazione. Il recupero di sostanze dal materiale intracellulare nelle produzioni fermentative richiede l'impiego di tecniche di lisi cellulare, basate su procedimenti meccanici, chimici o enzimatici. L'ulteriore frazionamento della miscela viene effettuato con una varietà di tecniche che includono l'estrazione con solvente, lo scambio ionico, la microfiltrazione, l'ultrafiltrazione, l'adsorbimento, la cristallizzazione, la precipitazione, la cromatografia industriale. Altre tecniche, quali quelle elettroforetiche, sono di fatto limitate per il momento ad applicazioni di laboratorio. Tra le tecniche citate, l'estrazione con solvente e lo scambio ionico combinano caratteristiche di elevata selettività ed economicità. Le tecniche di micro e ultrafiltrazione e di adsorbimento sono economiche, ma largamente aspecifiche e sono di norma impiegate quali stadi iniziali delle filiere di separazione. La separazione cromatografica è senza dubbio tra le tecniche più attraenti, sebbene l'impiego estensivo in campo industriale sia al momento ancora condizionato dalle difficoltà connesse con il passaggio di scala (scale-up) che ne circoscrivono, di fatto, l'utilizzo in processi produttivi di ridotta potenzialità. L'ultimo stadio della filiera di purificazione è tipicamente rappresentato dall'essiccamento che può ottenersi per evaporazione da uno spray o per liofilizzazione.
Ruolo delle biotecnologie industriali nella moderna industria di processo
La disponibilità di moderni strumenti biotecnologici sempre più versatili e potenti si inserisce oggi in un quadro di riferimento di crescente consapevolezza delle problematiche associate alla sostenibilità dei processi di trasformazione. Alla fine del 20° sec. è stato portato alla ribalta da un lato il problema della progressiva riduzione di talune fonti di approvvigionamento primario (petrolio, gas naturale e, in prospettiva più remota, carbone), dall'altro l'impatto non più sostenibile delle operazioni antropiche sull'ambiente, che si manifesta ormai su scala locale, su scala regionale e, in maniera ancor più preoccupante, su scala planetaria. La drammaticità e l'urgenza di queste problematiche fornisce notevole impulso alla ricerca di una via biotecnologica alle produzioni industriali, in quanto ritenuta intrinsecamente più sostenibile rispetto ai procedimenti delle tecnologie chimiche tradizionali. Punto di partenza delle trasformazioni biotecnologiche è difatti la biomassa, materia prima rinnovabile e alternativa rispetto alle fonti fossili di approvvigionamento proprie delle tecnologie convenzionali della petrolchimica e della chimica primaria. Non va inoltre trascurata la considerazione che i sottoprodotti di trasformazioni biotecnologiche presentano di norma caratteristiche di maggiore biodegradabilità e biocompatibilità rispetto ai corrispondenti sottoprodotti di sintesi chimica, spesso di natura xenobiotica, contribuendo a un più armonioso inserimento delle b. industriali in un quadro di compatibilità ambientale. Gli importanti cambiamenti di prospettiva che derivano da queste considerazioni, unitamente al progressivo incremento di efficienza e competitività dei processi biotecnologici, stanno stimolando in molti campi la verifica della fattibilità di tali processi come alternativa alle sintesi chimiche tradizionali. Appare sempre più realistica la prospettiva di una chimica industriale maggiormente fondata, in futuro, sulla bioraffineria quale punto di partenza della filiera di trasformazione. In tale ambito, le b. industriali forniscono un contributo crescente allo sviluppo di un'economia sostenibile in numerosi settori quali quello chimico, energetico, tessile, cartario. La prospettiva di rendere tali b. la via sostenibile allo sviluppo industriale non può, ovviamente, andare disgiunta dall'uso bilanciato ed equilibrato della disponibilità di risorse rinnovabili di biomassa sul nostro pianeta.
Produzione di bulk e fine chemicals. - L'impiego di processi biotecnologici nelle produzioni di prodotti chimici primari e secondari è ancora in una fase iniziale di sviluppo. Esempi di applicazione delle b. alla sintesi di prodotti chimici sono la conversione della 3-cianopiridina in nicotinammide, acido nicotinico, e acido 6-idrossinicotinico (intermedi di molte sintesi chimiche) attraverso l'idrolisi enzimatica operata da una nitrile idratasi da Rhodococcus, un enzima dotato di notevole specificità e di una spiccata efficienza catalitica. In differenti settori dell'industria chimica è stata introdotta una lipasi estremamente termostabile prodotta dal lievito Candida antarctica, molto efficiente nel catalizzare specifiche esterificazioni in solventi organici.
Molto interessanti appaiono le prospettive di sviluppo delle b. nel comparto dei polimeri. Sebbene la maggior parte delle materie plastiche siano ancora ottenute per sintesi chimica, le b. stanno iniziando a giocare un ruolo significativo nel settore. Più di 100.000 t/anno di poliacrilammide sono prodotte con un processo che include uno stadio iniziale di conversione di acrilonitrile in acrilammide catalizzato dall'enzima batterico nitrile idratasi immobilizzata. L'acrilammide è successivamente polimerizzata usando un processo chimico convenzionale. Il processo biotecnologico elimina il ricorso ad acido solforico, consente rese più alte, produce meno rifiuti, presenta costi energetici più bassi e dà luogo a un prodotto di maggior pregio. Settore di grande interesse è quello della sintesi di polimeri biodegradabili. L'acido polilattico (PLA, Polylactic Acid), prodotto sin dal 2002 per fermentazione dall'amido, presenta proprietà simili ai polimeri convenzionali, ma è completamente biodegradabile. La produzione mondiale ha ormai raggiunto le 140.000 t/anno.
Analisi tecnico-economiche suggeriscono che entro il 2010 le b. industriali investiranno tutti i settori dell'industria chimica, con aliquote dal 10 al 20% delle produzioni dell'intero comparto industriale riconducibili a processi biotecnologici (a fronte dell'attuale 5%); nello specifico di alcuni settori, si segnala la quantità dei composti della chimica fine che si prevede sia coinvolta dalla tendenza (30-60%) e la percentuale del 6-12% relativa alla produzione dei polimeri.
Comparto dei prodotti di largo consumo. - Le b. hanno consentito di ridurre l'impatto ambientale dei detergenti, sostituendo ai fosfati l'acido citrico, ugualmente efficace, completamente biodegradabile, non tossico, di basso costo e prodotto per via fermentativa da fonti rinnovabili. L'altra principale applicazione delle b. nell'industria dei detergenti è l'uso di enzimi, che permette di effettuare lavaggi a temperature più basse con conseguente risparmio energetico. Proteasi (in grado di dissolvere macchie contenenti proteine, come sangue o uovo), amilasi (per dissolvere le macchie dovute a sostanze amidacee), lipasi (per dissolvere macchie dovute a sostanze grasse) sono gli enzimi di impiego più ricorrente.Va inoltre segnalato l'interesse crescente per l'utilizzo di prodotti di derivazione biotecnologica (coloranti organici, acido ialuronico, tensioattivi, fragranze) nella produzione di cosmetici (profumi, creme, rossetti).
Comparto farmaceutico. - La b. moderna è utilizzata nel settore della salute in modi diversi. In primo luogo le b. industriali hanno consentito in molti casi di predisporre metodi più efficienti per la produzione di farmaci. Ne sono esempi le accresciute produttività industriali di molecole come l'insulina per i diabetici, l'ormone della crescita per il nanismo ipofisario, l'attivatore del plasminogeno per gli infarti e le coronaropatie, prodotti attraverso la fermentazione di batteri transgenici che hanno ricevuto l'appropriato gene umano, bovino o suino. Vaccini e plasmaderivati più sicuri, inoltre, sono largamente prodotti con metodi biotecnologici.
Il secondo impiego della b. nel settore salute è relativo alle possibilità offerte da queste tecnologie per chiarire i meccanismi cellulari alla base di alcune malattie e per la ricerca e la sintesi di quelle molecole che vengono individuate come sostanze attive dal punto di vista farmacologico: gli agenti bioterapeutici. Tra i prodotti bioterapeutici si annoverano vaccini, anticorpi monoclonali (usati per combattere il cancro, la leucemia, il linfoma non Hodgkin e per prevenire il rigetto da trapianto), l'interferone (usato per la sclerosi multipla e per alcuni tipi di leucemia) e molti altri. Il numero di agenti prodotti per via biotecnologica per i quali è riconosciuta un'attività bioterapeutica risultava pari a 220 nel 2004. Alcuni di questi prodotti permettono trattamenti precedentemente non disponibili. Altri permettono di trattare le stesse patologie al pari di farmaci prodotti per sintesi chimica, sebbene i prodotti biotecnologici si rivelino di norma più efficaci e sicuri dal momento che, essendo derivati di proteine, anticorpi, enzimi o carboidrati umani, causano minori effetti collaterali nei pazienti. Gli antibiotici sono agenti antimicrobici prodotti dagli organismi viventi (principalmente attinomiceti e muffe) usati con azione terapeutica e, talora, profilattica nel controllo e nella repressione di malattie infettive. Degli oltre 4000 antibiotici finora isolati, circa 50 sono quelli di comune impiego. Diversi fattori, quali tossicità per l'uomo o per gli animali, alti costi di produzione, assenza o inadeguatezza dell'effetto terapeutico desiderato, limitano di fatto il numero di prodotti antibiotici che hanno raggiunto la piena diffusione commerciale.
Un terzo settore nel quale le b. sono frequentemente valorizzate è rappresentato dalla produzione di prodotti per la diagnosi. In particolar modo, hanno trovato rapida e ampia applicazione metodologie e prodotti diagnostici basati su saggi PCR (Polymerase Chain Reaction) per la diagnosi di malattie dovute a modificazioni genetiche. I prodotti diagnostici di derivazione biotecnologica sono considerati di norma superiori a quelli tradizionali in quanto tipicamente più veloci, più affidabili e di più facile impiego. Tubercolosi, AIDS, infezioni da Papillomavirus e altre malattie infettive, fibrosi cistica sono solo alcune delle malattie oggi diagnosticabili con tecniche PCR, in ore anziché giorni o settimane come richiesto dai metodi tradizionali. I prodotti diagnostici non hanno lo stesso potenziale di vendita degli agenti terapeutici, ma presentano il vantaggio di avere costi di ricerca e sviluppo più bassi e tempi più brevi per lo sviluppo del prodotto, in media da due a tre anni. Nell'ambito dei prodotti per la diagnostica, il settore emergente è quello della biosensoristica diagnostica: prevalentemente orientato alla messa a punto di dispositivi per la determinazione in tempo reale del glucosio, per applicazioni ospedaliere o per l'impiego individuale da parte di soggetti diabetici, è prevedibile che tale settore subisca rapidi e significativi sviluppi in tempi brevi, in relazione all'evoluzione delle conoscenze scientifiche a esso correlate.
Le bioteconologie industriali nella filiera agroalimentare
Il settore alimentare rappresenta uno dei principali campi di applicazione delle b., e uno dei primi nei quali le tecniche fermentative hanno trovato applicazione. Enzimi di diversa natura sono largamente usati nella produzione di succhi di frutta, formaggi, vino, oli, dolciumi e mangimi per animali. Sempre più di frequente alimenti e mangimi sono additivati con aminoacidi di derivazione biotecnologica. Attualmente, quasi tutti i 20 L-aminoacidi naturali sono prodotti su larga scala per fermentazione o per bioconversione. Un esempio è rappresentato dall'acido glutammico, impiegato nella forma di sale monosodico per esaltare il sapore degli alimenti, prodotto in più di un milione di tonnellate annue, livelli di produzione paragonabili a quelli di molti prodotti petrolchimici. Altri esempi sono rappresentati da: aspartame, dolcificante 200 volte più dello zucchero, prodotto con volumi di 15.000 t/anno a partire da due aminoacidi, L-fenilalanina e acido L-aspartico, ottenuti rispettivamente per fermentazione e biotrasformazione; L-carnitina, interamente prodotta per via fermentativa e usata come additivo per stimolare il metabolismo dei grassi; acido iso-ascorbico, antiossidante usato negli alimenti, prodotto per conversione fermentativa del glucosio ad acido 2-chetotogluconico, successivamente ciclizzato chimicamente ad acido iso-ascorbico.
Nel settore agricolo le b. hanno apportato un notevole contributo alla produzione di bio-antiparassitari. Il mercato mondiale di bio-antiparassitari, definiti anche agenti di controllo biologico, ammonta a 130 milioni di euro. Essi determinano un minor impatto ambientale sul raccolto, sono molto specifici, non lasciano alcun residuo tossico, sono completamente biodegradabili e presentano costi di produzione più favorevoli dei corrispondenti prodotti di sintesi chimica; basati su batteri, funghi e virus, sono noti e commercializzati da tempo. Bacillus thuringiensis produce d-endotossine, proteine tossiche per insetti, ma innocue per l'uomo. Questi batteri sono cresciuti in fermentatori e usati come biopesticidi per uccidere insetti nocivi in agricoltura. Le b. hanno ulteriormente migliorato l'efficienza di questo processo, usando la tecnologia del DNA ricombinante per inserire il gene che codifica l'endotossina in varie specie agricole, come i cereali, al fine di renderle resistenti all'infestazione degli insetti. Anche preparazioni di funghi, virus di insetti e vermi nematodi parassiti sono usati come insetticidi selettivi.
Le biotecnologie industriali nel comparto energetico
La produzione di combustibili per via biotecnologica va assumendo una rilevanza sempre maggiore, affiancandosi progressivamente alle tecnologie di valorizzazione energetica di biomasse basate su processi di termoconversione (pirolisi, combustione, gassificazione).
La produzione di bioetanolo inizia ad avere un impatto significativo sulle disponibilità di combustibili per autotrazione in diversi Paesi, quali il Brasile, gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei. Mescolato con benzine, esso può essere impiegato nei motori convenzionali senza necessità di prevederne modificazioni, contribuendo, tra l'altro, a migliorare l'efficienza e l'impatto ambientale dei processi di combustione. L'etanolo è prodotto per fermentazione a partire da una varietà di prodotti agricoli ricchi in polisaccaridi e facilmente fermentabili, quali la canna da zucchero, la barbabietola da zucchero e varie specie di cereali. Gli sviluppi tecnologici agli inizi del 21° sec. hanno reso praticabile la produzione di etanolo anche da altre tipologie di biomasse vegetali, con prevalenza di sottoprodotti di lavorazioni agricole o industriali. Quasi i due terzi dell'etanolo prodotto sono impiegati come combustibile nell'autotrazione.
Il biodiesel è prodotto da oli vegetali usando un processo chimico di transesterificazione favorito da catalisi basica. È possibile ipotizzare che si renderà disponibile per la sua produzione anche una via biotecnologica, basata sull'impiego di lipasi. La diffusione del biodiesel sul mercato dei combustibili da autotrazione risulta più contenuta del bioetanolo, ma in rapida evoluzione.
Biogas a elevato potere calorifico possono inoltre essere ottenuti per fermentazione anaerobica di diverse tipologie di biomassa a opera di ceppi microbici. In dipendenza dei sistemi biologici impiegati e delle condizioni di processo, i biogas prodotti possono includere metano, ideale sostituto del gas naturale, e idrogeno.
Nell'ambito delle applicazioni energetiche va anche richiamato l'impiego di microrganismi, per il momento limitato ad applicazioni esplorative, nella beneficiation di combustibili fossili. Per beneficiation si intende il trattamento preventivo di un combustibile finalizzato alla rimozione dei precursori di specie inquinanti (per es., lo zolfo) e al miglioramento delle caratteristiche chimico-fisiche rispetto al decorso dei successivi processi di combustione e gassificazione.
Le biotecnologie industriali nella salvaguardia dell'ambiente
Le prime applicazioni biotecnologiche su scala significativa alle depurazioni ambientali risalgono alla metà del 19° sec., momento in cui appaiono i primi impianti di depurazione aerobica di acque reflue di natura domestica. Con una varietà di implementazioni processistiche e di miglioramenti tecnologici, le depurazioni biologiche, attraverso l'impiego coordinato di processi aerobici di trattamento dei corpi idrici e anaerobici di trattamento dei relativi fanghi da depurazione, rimangono il processo fondamentale nel trattamento depurativo delle acque. L'ampia variabilità di reflui prodotti da lavorazioni industriali di diversa natura e la corrispondente variabilità delle tipologie e delle concentrazioni di composti inquinanti presenti nei reflui industriali, molti dei quali di natura xenobiotica, hanno stimolato un'intensa attività di ricerca e di sviluppo di processo rivolta alla selezione di sistemi biologici in grado di rimuovere da corpi idrici specie recalcitranti alla biodegradazione. Il ricorso estensivo a microrganismi estremofili e alle tecniche del DNA ricombinante ha aperto nuove e interessanti prospettive di sviluppo nel settore delle depurazioni di acque industriali. Dagli anni Ottanta del 20° sec. hanno preso consistenza attività di ricerca e sviluppo di processi di biorisanamento di suoli contaminati, anche in relazione alla crescente consapevolezza ambientale associata alle problematiche di dismissione di aree industrializzate. Le problematiche anche in questo caso sono prevalentemente collegate all'individuazione di microrganismi in grado di metabolizzare composti xenobiotici e alla messa a punto delle relative soluzioni impiantistiche.
Va citato, tra gli ambiti di applicazione delle b. ambientali, il settore della purificazione degli aeriformi. Inizialmente focalizzato sulla rimozione di componenti odorigeni, oggi questo settore si rivolge in senso più generale alla purificazione di correnti gassose da un'ampia varietà di specie chimiche volatili, alcune di natura xenobiotica, con l'ausilio di diverse tipologie di dispositivi (biofiltri, bioscrubbers, trickling filters).
Diffusione e prospettive di sviluppo delle biotecnologie industriali nel mondo
La supremazia degli Stati Uniti nel campo delle b. è indiscutibile, ma notevoli progressi sono stati compiuti anche dai Paesi dell'Unione Europea, nei quali il numero di imprese biotecnologiche è pressoché raddoppiato nel periodo che va dal 1996 al 2000. Il Regno Unito ha detenuto la supremazia in Europa fino al 2001, sia per numero di imprese industriali sia per capacità di dar vita a nuove iniziative imprenditoriali (start-up) nel settore. I cospicui investimenti che in questo Paese sono stati destinati alle b. hanno trovato motivazione nell'elevata professionalità, nel livello scientifico, nell'accesso agevole a capitale di impresa, nell'esistenza di incentivi pubblici al settore nonché nella presenza di una rete di trasferimento tecnologico basata su una consolidata tradizione di cooperazione tra il settore pubblico e quello privato. Le statistiche indicano che la Germania, nella quale il settore delle b. ha inizialmente tardato a decollare soprattutto in considerazione di normative piuttosto restrittive e della carenza di capitale di impresa da destinare a questo settore, ha eguagliato e superato il Regno Unito per numero di imprese biotecnologiche. Nello scenario europeo, l'Italia risulta ancora uno dei Paesi caratterizzati dal finanziamento pubblico più basso destinato alla ricerca biotecnologica. Cionondimeno, dal 2000 il panorama dell'industria biotecnologica italiana si è evoluto attraverso la promozione della ricerca determinata da una rete di centri di eccellenza, la creazione di infrastrutture di ricerca e sviluppo quali i parchi scientifici e tecnologici, l'instaurarsi di aggregazioni industriali. La Italian Biotechnology Directory annovera più di 180 diverse organizzazioni attive nel settore biotecnologico. Per quel che concerne la distribuzione geografica delle imprese e la corrispondente ripartizione delle risorse investite in attività di ricerca e sviluppo, i risultati di uno studio riferito all2005 indicano che nell'Italia Settentrionale si colloca l'83% ca. delle organizzazioni complessivamente attive nel settore, con un'aliquota del 63% localizzata nella sola Lombardia. Il settore delle b. per la salute è quello che presenta i più elevati volumi produttivi, seguito dal comparto agroalimentare.
bibliografia
H.W. Blanch, D.S. Clark, Biochemical engineering, New York 1996; Bioreaction engineering: modeling and control, ed. K. Schügerl, K.-H. Bellgardt, Berlin-New York 2000.