Biotecnologie e sistema agroalimentare
Le piante che coltiviamo e gli animali che alleviamo a fini alimentari sono molto diversi da quelli che conoscevano i nostri antenati neolitici. I miglioramenti introdotti da allora sono serviti ad aumentare la resa e a ridurre i tempi necessari a procurare gli alimenti, rendendo così l’uomo libero di compiere le altre attività che hanno portato allo sviluppo della società come la conosciamo oggi. I viaggi e le scoperte di nuove terre hanno diffuso in tutto il mondo piante e animali prima sconosciuti, come, per es., mais, patata, pomodoro, agrumi e tacchini in Europa; grano, erba medica e cavalli nelle Americhe; palma da olio in Asia. L’uso moderno di fertilizzanti e antiparassitari, associato a nuove varietà di piante e agli ibridi, ha contribuito in molti casi al raddoppio delle rese e ha permesso anche usi del territorio diversi da quello agricolo.
Il grande sviluppo della biologia moderna, avvenuto nella seconda metà del secolo scorso, ha fornito un’accelerazione a questo processo di miglioramento con importanti risultati che hanno avuto un effetto sulle produzioni agroalimentari e sulla cura della salute umana. Successivamente è tuttavia sorto, e ha continuato a svilupparsi, un dibattito pubblico sulla sicurezza di queste tecnologie, in cui le parti in causa hanno cercato di dare il massimo risalto al proprio punto di vista piuttosto che informare il pubblico e facilitarne le scelte.
L’agricoltura non è nuova a questo tipo di dibattito, basti ricordare quello sugli antiparassitari. D’altra parte, anche se la controversia interessa tutte le biotecnologie, essa è più vivace sui benefici e sui rischi delle sue applicazioni alle produzioni agroalimentari. Il fattore emotivo legato alla salute umana sembra infatti perdonare l’uso in medicina delle tecnologie genetiche più avanzate, anche se rimangono ancora controversi alcuni aspetti etici, sui quali, tuttavia, la discussione è più informata rispetto quella che riguarda le applicazioni in agricoltura. Da un lato, molti tecnici e ricercatori vedono le biotecnologie e le tecniche della genetica moderna come il naturale progresso della selezione naturale di piante e animali, mentre dall’altro lato i critici evidenziano i possibili rischi per l’ambiente e la salute umana. Ciò nonostante i risultati delle nuove tecniche della biologia sono realtà sia nel campo della salute umana, con la produzione di diagnostici e di insulina, sia in altri importanti settori: agricolo, con piante resistenti agli insetti e con ormoni per aumentare la produzione del latte; alimentare, con enzimi per la produzione del formaggio e di lievito per la panificazione; chimico, con la produzione di etanolo da fermentazione da usare come combustibile e come solvente; nel settore delle fonti rinnovabili, attraverso la produzione di nuovi materiali. Oltre a questi esempi, la biologia moderna è alla base di molti sistemi per ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente, come negli impianti per la depurazione dell’acqua.
Secondo la definizione della Commissione intergovernativa (istituita nel 1963) per il Codex alimentarius, le biotecnologie moderne, o avanzate, sono l’applicazione di quelle tecniche che permettono la modificazione in vitro degli acidi nucleici. Questa definizione include l’uso delle tecniche dell’ingegneria genetica e della fusione tra cellule di specie diverse, ma esclude l’uso di quelle impiegate nei processi tradizionali di incrocio e selezione. Nella loro accezione più ampia, possiamo invece comprendere nelle biotecnologie tutte le tecniche che, in modo deliberato e controllato, impiegano organismi viventi (per es., batteri), o loro componenti (per es., enzimi), per produrre o modificare sostanze, per migliorare piante e animali che servono alla nostra alimentazione, o per sviluppare microrganismi destinati a usi specifici, come la produzione di antibiotici. Secondo entrambe le definizioni, comunque, le biotecnologie non sono una disciplina scientifica ma un insieme di tecniche derivate dalle conoscenze in molte discipline come biologia, chimica, ingegneria, fisica, agronomia, medicina. Agli organismi realizzati con l’uso dell’ingegneria genetica si dà comunemente il nome di organismi geneticamente modificati (OGM), con i quali è possibile: produrre direttamente gli alimenti (si pensi al mais geneticamente modificato); derivare alimenti (tipo farina e olio da soia geneticamente modificata); estrarre singoli ingredienti o additivi per l’alimentazione (come vitamine e amminoacidi prodotti da microrganismi geneticamente modificati); infine, avere alimenti che contengono ingredienti trasformati con l’uso di enzimi ottenuti da microrganismi geneticamente modificati (per es., lo sciroppo ad alto contenuto di fruttosio, ricavato dall’amido di mais usando l’enzima glucosio isomerasi prodotto da un microrganismo geneticamente modificato).
La selezione delle piante più adatte per la coltivazione si basa sostanzialmente sulla variabilità genetica naturale e procede attraverso la produzione artificiale di incroci con il proposito di generare nuove piante con i caratteri desiderati. Gli incroci sono realizzati tramite l’impollinazione manuale e il processo di selezione si basa sull’osservazione del fenotipo, cioè dei caratteri fisici e agronomici. Le risorse genetiche alla base di questi processi sono le varietà selvatiche delle specie coltivate, le specie selvatiche, le varietà tradizionalmente coltivate, le varietà commerciali, gli ibridi e le linee pure. La possibilità di realizzare ibridi omozigoti in cui i caratteri desiderati dei due genitori sono omogenei e si sommano solo negli ibridi di prima generazione (ibridi F1) ha favorito lo sviluppo di società che producono e commercializzano le sementi. L’agricoltore è infatti obbligato ad acquistare nuove sementi per ogni raccolto in quanto i caratteri dell’ibrido vengono persi per segregazione nelle generazioni successive. Questi metodi hanno tuttavia limiti perché molte delle caratteristiche, quali, per es., le resistenze a malattie e parassiti, sono spesso presenti in varietà selvatiche non compatibili sessualmente con quelle coltivate. A questi processi di selezione vegetale è stata aggiunta, dagli anni Cinquanta del 20° sec., la possibilità di indurre variabilità genetica con radiazioni o con sostanze chimiche che provocano mutazioni genetiche. Le mutazioni così indotte sono casuali e le piante che presentano le caratteristiche desiderate vengono successivamente inserite nei processi convenzionali di incrocio e selezione. I tempi di selezione sono comunque lunghi, sia perché è necessario lavorare su grandi numeri sia perché spesso il carattere desiderato si ottiene stabilmente soltanto dopo molte generazioni.
La propagazione delle piante può essere fatta essenzialmente in due modi: per seme (via sessuale) o per parti di pianta (via asessuale, o vegetativa). La coltura di tessuti permette di riprodurre intere piante a partire da piccole quantità di tessuti vegetali come radici o foglie. Tra le varie tecniche di coltura in vitro, per specie come fragola e banana la micropropagazione è diventata il sistema di moltiplicazione alternativo alle tecniche tradizionali, come la propagazione per talea. Questo metodo permette di ottenere in tempi brevi e a costi contenuti un grande numero di piantine, identiche sia nel genotipo sia nel fenotipo a una pianta di partenza selezionata per le sue caratteristiche economiche. Oggi le tecniche di propagazione nel loro insieme forniscono ogni anno all’agricoltura centinaia di milioni di nuove piante. Le tecniche di coltura in vitro, in particolare, danno un importante contributo al risanamento da virosi e offrono metodi complementari o alternativi per la conservazione del germoplasma, cioè per la conservazione di quelle risorse genetiche fondamentali per mantenere il patrimonio genetico e anche per la nostra alimentazione.
I metodi di conservazione di tessuti vengono similmente utilizzati per il trattamento dello sperma, nell’inseminazione artificiale degli animali di allevamento. Anche in questo caso l’obiettivo è quello di trasferire il carattere desiderato di un genitore nel più alto numero possibile di discendenti. Nelle nazioni economicamente sviluppate attraverso l’inseminazione artificiale vengono generati il 75% dei bovini e l’85% dei suini. L’applicazione di queste tecniche di procreazione all’uomo fa parte del dibattito sugli aspetti etici delle biotecnologie.
Come è avvenuto per la salute umana, anche per le piante le biotecnologie hanno permesso di sviluppare sistemi diagnostici che assistono l’agricoltore nella gestione di alcune malattie, causate, per es., da funghi e batteri, non identificabili sino a quando il danno è esteso o tale da richiedere lunghi esami di laboratorio con costi non giustificabili a priori. I test ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay), per es., che si basano sulla capacità di un anticorpo di legarsi ad antigeni associati con la malattia della pianta, hanno velocizzato e semplificato le analisi rendendo così più economica la diagnosi precoce.
Biofertilizzanti e agenti biologici per la difesa da malattie fungine e da insetti nocivi, infine, fanno parte di numerosi preparati commerciali usati in agricoltura, come i rizobi, microrganismi che fissano l’azoto atmosferico grazie a una simbiosi con le leguminose (come la soia), sulle cui radici vivono; per questo motivo tali microrganismi hanno una grande importanza economica ed ecologica.
Gli OGM in agricoltura
Lo studio dei codici genetici di differenti organismi ha rivelato quanto essi abbiano in comune tra loro. Quando venne avviato il Progetto genoma umano, molti laboratori di ricerca erano già impegnati nello studio del genoma dell’Arabidopsis thaliana, una piccola pianta comunemente usata a scopo di ricerca. Paragonando i risultati ottenuti in questi due progetti è stato rilevato che il genoma dell’Arabidopsis, contiene sia geni equivalenti a quelli umani sia geni che trovano il loro corrispettivo in altre specie vegetali come grano, mais, riso, cotone e soia. Tutti gli organismi viventi condividono il medesimo codice genetico, i meccanismi di sintesi delle proteine e le funzioni di base della vita. A livello molecolare tutti gli esseri viventi sono più simili che diversi e questa è una delle ragioni per cui si possono trasferire i geni da una specie a un’altra.
Rispetto ai metodi di miglioramento genetico descritti in precedenza, le tecniche dell’ingegneria genetica permettono di inserire in un organismo le caratteristiche desiderate in maniera più mirata. Nella maggior parte dei casi, l’ingegneria genetica dei vegetali fa uso di un batterio del suolo, l’Agrobacterium tumefaciens, un patogeno naturale che provoca, nelle piante infettate, la malattia conosciuta come galla del colletto. Durante il processo, questo batterio trasferisce nel genoma della pianta anche un frammento di un plasmide. Con l’ingegneria genetica è possibile inserire un gene all’interno di tale plasmide e, di conseguenza, è possibile inserire nella pianta questo gene, per es. il gene codificante un enzima che prima non era presente.
Uno dei principali argomenti di discussione sull’applicazione delle tecniche dell’ingegneria genetica alla produzione di nuove piante è la possibilità di trasferire geni di una specie in un’altra. Per alcuni, questa possibilità costituisce una violazione dei confini biologici; in aggiunta, sebbene trasferire un gene possa costituire una forma molto precisa di incrocio, non vi è alcuna certezza di dove il gene verrà collocato e di come esso funzionerà nel nuovo organismo. Per questo motivo è poi necessario usare sia le tecniche delle biotecnologie sia i metodi della selezione tradizionale per determinare non solo dove il gene si sia inserito nel genoma, ma anche come esso funzioni nella realtà.
Nel mondo, più di centoquaranta piante geneticamente modificate si trovano in diversi stadi del processo di autorizzazione alla coltivazione. Tra esse, soltanto una ventina sono varietà in commercio, mentre tutte le altre sono ancora nelle diverse fasi della sperimentazione. Alla fine del 2009 erano ventitré gli OGM autorizzati a vario titolo alla commercializzazione in Europa, dove solo negli ultimi cinque anni sono state presentate quasi seicento notifiche per la sperimentazione in campo. In vent’anni la superficie coltivata a OGM è cresciuta di più di ottanta volte sfiorando l’8% della superficie arabile mondiale. A consuntivo, nel 2009 oltre 134 milioni di ettari sono stati coltivati con OGM da più di quattordici milioni di agricoltori in venticinque nazioni.
Mentre alla fine del 20° sec. la quasi totalità della superficie coltivata a OGM era raccolta in solo quattro nazioni (Stati Uniti, Argentina, Canada e Cina, rispettivamente con 30,3, 10,0, 3,0 e 0,5 milioni di ettari), nel 2003 la situazione è cambiata con l’ingresso del Brasile che rapidamente ha superato Canada e Cina raggiungendo i 9,4 milioni di ettari coltivati a OGM nel 2005. Alla fine del 2009 la superficie coltivata a OGM ha superato il milione di ettari in ben otto nazioni: Stati Uniti (64,0 milioni di ettari), Brasile (21,4), Argentina (21,3), India (8,4), Canada (8,2), Cina (3,7), Paraguay (2,2) e Repubblica Sudafricana (2,1).
Caratteri inseriti nelle piante GM
I caratteri più comuni attualmente inseriti nelle piante GM sono la tolleranza agli erbicidi glufosinato e glifosato, e la resistenza a insetti. Il glufosinato blocca l’enzima glutammina sintasi e causa nella pianta accumulo di ammoniaca, che la uccide. La molecola del glufosinato è biodegradabile, ha una persistenza nel terreno che arriva al massimo a una ventina di giorni e i prodotti con questo principio attivo sono in commercio dal 1984 come erbicidi ad ampio spettro, cioè non selettivi: sono utilizzati nei vivai, sulla vite e sugli alberi da frutto. Questo erbicida ha avuto quindi un uso molto limitato sulle specie convenzionali coltivate in campo, come mais e soia, pur essendo efficace anche su di esse. Le piante geneticamente modificate per la tolleranza al glufosinato contengono un gene batterico che codifica un enzima in grado di rendere innocua la molecola dell’erbicida. Nel caso del glifosato, invece, la molecola dell’erbicida agisce bloccando un enzima essenziale per la biosintesi degli amminoacidi per cui la pianta trattata muore in genere in meno di una settimana. Anche il glifosato è una molecola biodegradabile che non è tossica per gli uomini, ma è altamente tossica per quasi tutti i vegetali; il suo uso è stato pertanto limitato a poche applicazioni, come, per es., per eliminare la crescita di infestanti attorno alle linee ferroviarie. Il carattere di tolleranza al glifosato viene introdotto nella pianta con un gene che codifica l’enzima in una versione insensibile all’azione della molecola dell’erbicida. L’ingegneria genetica ha quindi permesso di trovare mercati più ampi per alcuni erbicidi il cui uso era limitato dalla mancanza di selettività. Il prodotto commercializzato in questi casi non è l’OGM di per sé, ma l’OGM e il suo erbicida complementare. Oltre agli erbicidi menzionati, sono state prodotte piante geneticamente modificate contenenti i meccanismi di tolleranza ad altre molecole, come a quella di bromoxinil, iodoxinil, imidazolinone e sulfonilurea.
Il Bacillus thuringiensis (Bt) è un microrganismo che produce una tossina in grado di uccidere gli insetti, è contenuto in prodotti usati in agricoltura da più di cinquant’anni e il suo uso è tra i trattamenti consentiti da molti disciplinari di agricoltura biologica. La tossina Bt viene prodotta dal microrganismo in una forma inattiva (detta prototossina), poi trasformata, direttamente nello stomaco dell’insetto, in una forma chiamata delta-endotossina. Quest’ultima è la forma attiva che si lega a recettori presenti sulle pareti dello stomaco degli insetti uccidendoli. Esistono diverse forme della tossina Bt che sono attive in maniera molto specifica per determinati gruppi di insetti; in natura sono state trovate circa 170 diverse tossine con differenti specificità. Siccome la tossina Bt è totalmente innocua per l’uomo, tra i primi obiettivi dell’ingegneria genetica vegetale vi è stato il trasferimento dei geni che la codificano dal batterio alle piante, per inserire in queste ultime il carattere di resistenza all’attacco di quegli insetti che possono causare gravi danni economici alla coltura. Alcune varianti della tossina (Cry1Ab, Cry1Ac, Cry9c ecc.) sono usate nelle piante geneticamente modificate dove, in generale, i geni che le codificano sono combinati con altri geni, promotori dell’espressione, in grado di specificare il tipo di tessuto dove la tossina Bt deve essere prodotta (per es., nel fusto o nelle radici del mais, secondo il tipo di danno che si vuole evitare).
Le piante geneticamente modificate per la tolleranza a erbicidi sono coltivate sul 62% della superficie mondiale oggi dedicata a colture OGM, seguite dalle piante modificate per la resistenza a insetti, che ne occupano più del 13%; è da notare che le piante di seconda generazione, quelle cioè con due o più nuovi caratteri inseriti, hanno già superato il 18% del totale. Il 46% del totale della superficie coltivata a piante geneticamente modificate è ospitato nei Paesi in via di sviluppo con una netta tendenza alla crescita. Le principali specie geneticamente modificate sono la soia (più del 50% della superficie coltivata a OGM, pari al 77% della superficie mondiale coltivata a soia), seguita da mais (più del 30% della superficie coltivata a OGM, pari al 26% della superficie mondiale coltivata a mais), cotone (più dell’8% della superficie coltivata a OGM, pari al 49% della superficie mondiale coltivata a cotone) e colza (vicina al 5% della superficie coltivata a OGM, pari al 21% della superficie mondiale coltivata a colza).
Riso, mais e grano sono le specie più importanti per l’alimentazione umana, ma il riso da solo fornisce il sostentamento per quasi la metà della popolazione mondiale. Nonostante l’interesse e la ricerca svolta, tuttavia, non vi è ancora alcuna produzione rilevante di riso geneticamente modificato, anche se una varietà resistente a erbicidi è già stata approvata per la coltivazione negli Stati Uniti e ne è in corso la valutazione per la sicurezza da parte dell’Unione Europea. Una seconda varietà di riso geneticamente modificato (Golden rice), arricchito in vitamina A, potrebbe consentire in futuro un netto miglioramento della nutrizione.
Anche altre piante sono state trasformate mediante l’ingegneria genetica: patata, pomodoro, lino, barbabietola da zucchero e alcune piante ornamentali. Nuovi caratteri, oltre a quelli di resistenza a insetti e di tolleranza a erbicidi, sono stati inseriti in varietà coltivate: per es., un gene codificante per l’enzima dell’alloro della California è stato trasferito dentro una varietà di colza e ha permesso di ottenere una diversa composizione dell’olio, con concentrazioni di acido laurico e miristico superiori a quelle di partenza; la resistenza a virus specifici della papaia, delle zucchine e della prugna è stata ottenuta inserendo in queste piante la sequenza del gene codificante per la proteina dell’involucro dello stesso virus; una varietà di tabacco è stata modificata per ottenere la riduzione del contenuto di nicotina; sono stati modificati pomodori e meloni per diminuire la produzione di etilene, che nelle piante agisce come ormone della maturazione, allungando così la loro conservazione; sono state realizzate patate resistenti alla dorifora e sono già commercialmente coltivati garofani con nuovi colori. Come abbiamo accennato, infine, si stanno diffondendo gli OGM di seconda generazione in cui due o più caratteri sono inseriti nella stessa pianta, per es., un ibrido F1 di mais realizzato incrociando due OGM, ciascuno con un singolo carattere, la resistenza a insetti e la tolleranza a erbicidi.
Diffusione mondiale delle piante GM
Non è sorprendente che gli Stati Uniti siano il Paese con la maggiore crescita della coltivazione di OGM nel mondo, considerato che le principali produzioni di sementi di specie coltivate geneticamente modificate e grande parte dell’attività di ricerca sono compiute da ditte statunitensi. La rapida crescita della coltivazione di OGM in Brasile, soprattutto soia e cotone con tolleranza a erbicidi e resistenza a insetti, sta destando tuttavia molto interesse negli osservatori.
In Cina, più dei due terzi dei campi di cotone viene coltivato con piante geneticamente modificate, e il governo ha anche dato il suo consenso alla coltivazione di petunia, pomodoro, peperone, papaia e pioppo, mentre tuttora esita ad approvare la coltivazione di riso geneticamente modificato. Questa situazione potrebbe comunque cambiare a causa della tendenza all’aumento del prezzo dei generi alimentari nel Paese, in conseguenza anche della forte crescita economica degli ultimi anni. La situazione della Cina è inoltre abbastanza unica poiché circa un quarto della popolazione mondiale ha a disposizione poco più del 7% delle aree coltivabili al mondo per produrre il proprio fabbisogno alimentare. L’India, invece, è emersa progressivamente come Paese leader nella coltivazione di OGM e dal 2006 ha superato la Cina, collocandosi così oggi al quarto posto tra i Paesi produttori di raccolti da piante geneticamente modificate.
Nel continente africano, finora soltanto la Repubblica Sudafricana è impegnata nella coltivazione di piante geneticamente modificate, principalmente con varietà di mais bianco per alimentazione umana e di mais giallo per alimentazione animale, entrambi con la resistenza a insetti. Molte nazioni africane, tuttavia, stanno investendo nella ricerca e nello sviluppo di sistemi di selezione assistiti da marcatori molecolari che, come vedremo, sono un aspetto molto promettente delle biotecnologie in agricoltura.
Per quanto riguarda l’Europa, la Spagna occupa il primo posto nella coltivazione di piante geneticamente modificate con 0,1 milioni di ettari nel 2009 e questo sta creando interrogativi sulla possibilità di coesistenza di tali colture con quelle tradizionali e con quelle biologiche. Altre tre nazioni (Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia) sono coinvolte invece nella sperimentazione, con superfici inferiori a 50.000 ettari. All’inizio del 2008, mentre la Commissione europea stava approvando la sperimentazione con nuovi OGM, la Francia ha preso posizione vietando la continuazione della sperimentazione in campo con mais geneticamente modificato richiamandosi alla cosiddetta clausola di salvaguardia, nome con cui è noto l’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE. Quest’articolo prevede che uno Stato membro possa limitare o proibire l’uso o la vendita sul proprio territorio di un OGM qualora esistano validi motivi di ritenere che questo costituisca un rischio per la salute umana o per l’ambiente. Tale articolo si applica anche nel caso in cui l’OGM in questione abbia avuto il consenso all’uso o alla vendita secondo le procedure previste dalla normativa comunitaria. Il governo francese ha motivato questa decisione adducendo nuovi elementi scientifici riguardanti la disseminazione attraverso il polline della tossina Bt e la sua persistenza nell’ambiente, l’apparizione di resistenza alla tossina negli insetti nocivi per le colture e gli effetti della tossina sugli insetti che invece non sono il bersaglio della resistenza in quanto non nocivi per la coltura.
La selezione mediante marcatori molecolari
Per biotecnologie non s’intende soltanto ingegneria genetica e alcune loro applicazioni non hanno dato origine a grandi controversie come quella sugli OGM. Un discorso a parte merita quindi l’argomento dei marcatori molecolari.
Il processo per la produzione di varietà migliorate, cloni, incroci e linee di specie agronomicamente importanti è divenuto sempre più accurato, affidabile ed efficiente. Ciò nonostante uno dei limiti tecnici per una selezione vegetale più efficace è che la scelta del materiale adatto, cioè quello con una o più delle caratteristiche volute, si basa sul fenotipo. Molte di queste caratteristiche sono influenzate dall’ambiente per cui non sono necessariamente una buona indicazione della composizione genetica reale. Alcune di queste caratteristiche possono non essere visibili o rilevate soltanto dopo la maturità della pianta o dell’animale. Altre caratteristiche, infine, possono risultare difficili da osservare o costose da rilevare, in quanto caratteri come quello della tolleranza alla siccità o della composizione del latte sono controllati da un grande numero di geni il cui modo di azione e le interazioni reciproche e con i fattori ambientali sono spesso sconosciuti. Un ulteriore sviluppo dei metodi di identificazione, selezione e valutazione di caratteri specifici attraverso i programmi di selezione è quindi una necessità critica per assicurare il miglioramento delle risorse genetiche che serviranno per le future necessità di alimentazione.
I marcatori molecolari
Negli ultimi cinquant’anni la scienza ha fatto progressi notevoli nell’identificazione dei geni e della loro funzione. La scoperta del polimorfismo del DNA (DeoxyriboNucleic Acid) ha reso possibile rilevare le differenze genetiche tra singoli individui, piante o animali, in maniera più diretta rispetto all’analisi del fenotipo, assistendone di conseguenza la selezione. Queste tecniche sono le stesse utilizzate dagli istituti di polizia di tutto il mondo per determinare l’identità degli individui. La tecnologia centrale coinvolta è quella della selezione assistita da marcatori (MAS, Markers Assisted Selection) che possono sostanzialmente essere marcatori morfologici, marcatori biochimici (proteine) e marcatori molecolari (DNA). I primi due tipi esistono tuttavia in numero limitato e sono influenzati dall’ambiente.
I marcatori molecolari usano sequenze di DNA presenti all’interno o nei pressi di geni che influenzano il fenotipo. Oggi esistono mappe che mostrano i collegamenti statistici tra questi marcatori e molti caratteri di un gran numero di specie di interesse agronomico. Queste mappe e questi marcatori possono quindi essere utilizzati per assistere il processo di selezione rilevando se un gene specifico o uno specifico segmento di cromosoma collegato con un dato fenotipo sia presente nella popolazione studiata. Quantunque l’obiettivo finale, quello cioè di identificare la posizione e la funzione di ogni gene e di usare quindi i marcatori per selezionare i geni economicamente più importanti, sia ancora lontano, la selezione mediante marcatori si è trasformata da teoria in pratica. Anche durante questa evoluzione sono sorte nuove sfide, sia tecniche sia legali, legate ai diritti sulla proprietà intellettuale, specie per quanto riguarda il loro impatto sulle economie dei Paesi in via di sviluppo.
Esistono molti tipi diversi di marcatori molecolari che differiscono in numerosi aspetti, quali i requisiti tecnici (per es., alcune tecniche possono essere automatizzate mentre altre necessitano di nuclei radioattivi), il tempo, il costo, il livello di preparazione degli operatori. I marcatori molecolari sono usati oggi in più di seicento progetti di ricerca articolati su numerose specie e differenti tecniche (tab. 1). Tali marcatori differiscono anche nel numero e per la quantità di variabilità genetica che possono rilevare in una popolazione, quindi le informazioni necessarie al processo di selezione da essi ottenibili variano in funzione del tipo di marcatore usato. È inoltre indispensabile conoscere anche la loro posizione nel genoma per cui bisogna disporre di una mappa adeguata. Nonostante alcune siano ancora incomplete, esistono mappe genetiche di questo tipo per molte specie di interesse economico, tra cui avena, grano, mais, orzo, pomodoro, riso e soia. Utilizzando queste mappe i geni che con maggiore probabilità influenzano il fenotipo possono essere rilevati attraverso l’associazione tra la presenza dei marcatori e dei caratteri. Tali caratteri possono essere semplici, come molti di quelli che forniscono resistenza alle malattie, o quantitativi, geneticamente complessi in quanto coinvolgono molti geni. Quasi tutti i caratteri economicamente importanti ricadono in quest’ultima categoria.
Le promesse della selezione assistita da marcatori molecolari non si sono ancora realizzate, probabilmente anche a causa delle differenze nella struttura della produzione delle sementi di diverse specie. Il mercato delle sementi di mais, per es., è dominato da un piccolo numero di grandi imprese private che producono e commercializzano ibridi; questo sistema obbliga l’agricoltore ad acquistare le sementi per ogni raccolto in quanto i semi conservati da un anno all’altro non mantengono le caratteristiche economiche desiderate. Il mais è probabilmente la specie d’importanza economica in cui, prima di tutte le altre, si è trovata applicazione della selezione mediante marcatori molecolari. Gli altri cereali sono invece gestiti principalmente da organizzazioni pubbliche e molte delle varietà coltivate sono linee pure che vengono conservate di anno in anno dall’agricoltore stesso. In questi casi non è possibile la protezione intellettuale dei risultati e i costi dell’uso della selezione con marcatori molecolari non sono giustificabili per la ricerca privata. Anche per le piante forestali è stato compiuto un notevole sforzo teso a sviluppare mappe di marcatori per almeno le principali specie commerciali, come eucalipto, pino e acacia. Queste mappe sono state utilizzate con successo per localizzare i marcatori associati con caratteri d’interesse economico quali la crescita, la resistenza alle gelate, le proprietà intrinseche del legno, la capacità di propagazione vegetativa, il contenuto in oli essenziali e la resistenza a malattie. La selezione assistita da marcatori, tuttavia, deve ancora essere inserita nei programmi di selezione delle specie da piantagione (per es., nella selezione dei vari tipi di palma).
Lo sviluppo di marcatori molecolari per gli animali da allevamento ha portato alla realizzazione di mappe per alcuni di essi: pollo, bovino, maiale, pecora, capra, cavallo, coniglio e tacchino. La maggiore rilevanza è stata ottenuta con i marcatori microsatelliti. Esistono in commercio marcatori e test per specie animali diverse e per caratteri diversi, ma non è ancora chiaro fino a che punto questi siano usati nei processi di selezione. Per finire, sono state costruite mappe di marcatori anche per alcune specie di pesci e crostacei da acquacoltura, ma non esistono ancora programmi di selezione di specie marine che li includano.
Nonostante l’impegno speso finora, sono ancora poche le specie per cui l’uso di marcatori molecolari è diventato commerciale, come risulta evidente dai dati riportati nella tabella 2. Nelle previsioni della Commissione europea, tuttavia, le tecniche della selezione assistita da marcatori avranno con ogni probabilità un ruolo sempre crescente e contribuiranno ad aumentare la competitività dell’industria alimentare europea in genere.
Biotecnologie e produzioni alimentari
I microrganismi sono certamente ancora un elemento fondamentale nella trasformazione del cibo e la produzione di alimenti fermentati è stata basilare nell’intera storia dell’umanità. Molti di essi si trovano comunemente sulle tavole di tutto il mondo, basti ricordare la birra, il vino e il sidro, gli insaccati come salami e salsicce, i formaggi e lo yogurt, l’aceto, il pane e i prodotti da forno, la salsa di soia e il tofu, il cacao, il caffè e il tè. Esiste di conseguenza una produzione commerciale di questi microrganismi da usare come inoculi nei processi di fermentazione dell’industria alimentare. In questo modo è possibile garantire costanti qualità e caratteristiche del prodotto finito. Sul mercato non vi sono ancora microrganismi geneticamente modificati per queste applicazioni, ma l’importanza degli alimenti fermentati nella maggior parte delle colture è tale che, comunque, esiste una ricerca indirizzata al loro miglioramento. Per es., i batteri responsabili della fermentazione di molti latticini, come lo yogurt, sono molto suscettibili a infezioni virali che causano importanti perdite economiche all’industria. Batteri resistenti a tali infezioni sono stati creati in laboratorio con le tecniche dell’ingegneria genetica, anche se la loro utilizzazione da parte dell’industria dipenderà molto dall’atteggiamento dei consumatori, dai quali lo yogurt è soprattutto percepito come un alimento naturale.
La situazione è diversa per i microrganismi che servono alla produzione di additivi, enzimi e altre sostanze utilizzate nella trasformazione degli alimenti. Alcuni di questi componenti, infatti, sono oggi ottenuti da microrganismi geneticamente modificati, che vengono poi inattivati o eliminati totalmente nel corso del processo che porta al prodotto finale. Gli esempi più comuni riguardano: l’α-amilasi, utilizzata come coadiuvante per la panificazione e la produzione di prodotti da forno; la glucosio isomerasi, per la produzione di fruttosio a partire da amido di mais; la chimosina o rennina, che serve a cagliare il latte e produrre il formaggio; i carotenoidi, come additivi e coloranti alimentari o come complementi dietetici.
È infine importante ricordare come la sicurezza sanitaria degli alimenti si sia notevolmente avvantaggiata degli strumenti analitici di origine biotecnologica che permettono di riconoscere le eventuali contaminazioni microbiche e le tossine prodotte da microrganismi patogeni. I test con anticorpi monoclonali e con marcatori molecolari permettono infatti di identificare rapidamente la presenza di batteri che provocano l’avvelenamento del cibo, come, per es., Listeria monocytogenes e Clostridium botulinum; oggi è possibile rilevare in sole trentasei ore la contaminazione di un patogeno come la Salmonella spp., rispetto ai tre-quattro giorni che sono necessari per crescere la coltura secondo i metodi convenzionali della microbiologia.
Indiscutibilmente le biotecnologie rivestono un ruolo rilevante nelle produzioni alimentari e, in prospettiva, permettono lo sviluppo di alimenti attraverso una varietà di strumenti e tecniche. Questi alimenti fanno parte dei nuovi alimenti che ricadono sotto la normativa dell’Unione Europea e per i quali è necessaria una valutazione del rischio che riguarda sia gli effetti diretti dovuti alle nuove proteine e al nuovo DNA introdotti nell’organismo a seguito della modifica, sia gli effetti indiretti dovuti a modifiche, volute o indesiderate, della composizione dell’alimento stesso. Gli effetti da studiare, che includono la tossicità e la possibilità di causare allergie, sono valutati caso per caso. Senza queste informazioni non è possibile richiedere l’autorizzazione alla commercializzazione, per ottenere la quale il richiedente deve anche prevedere le misure più appropriate di etichettatura e di tracciabilità al fine di garantire la sorveglianza dell’alimento anche dopo la sua introduzione sul mercato.
Con queste premesse, nell’Unione Europea un nuovo alimento viene approvato per la commercializzazione solo se risulta sostanzialmente equivalente a quello naturale. È importante notare, per evitare confusioni, come il concetto di equivalenza sostanziale non sia un’assunzione a priori, ma una conclusione che può e deve essere tratta soltanto dopo aver ottenuto, tramite gli esperimenti, l’assicurazione che l’alimento derivato da OGM è equivalente alla controparte convenzionale in tutti gli aspetti nutrizionali e relativi alla sicurezza. Talvolta, tuttavia, gli alimenti possono essere prodotti solo indirettamente con l’uso di OGM: questo è il caso degli animali di allevamento nutriti con mais oppure soia geneticamente modificati. Nonostante la normativa obblighi all’etichettatura e alla tracciabilità anche dei mangimi animali prodotti a partire da OGM, non è ancora previsto l’obbligo di etichettare il latte e la carne prodotti da animali allevati con questi mangimi. In questo caso è emersa la tendenza dei produttori a offrire una garanzia dal campo alla tavola per valorizzare l’identità degli alimenti che più fortemente sono radicati sul territorio nazionale e dare una possibilità di scelta al consumatore finale. Molti gruppi della grande distribuzione in Europa hanno già pubblicamente espresso la loro posizione a favore di prodotti alimentari senza OGM nelle loro campagne di informazione commerciale. In alternativa alle produzioni agricole convenzionali e agli OGM si è inoltre sviluppato nel mondo il settore delle produzioni da agricoltura biologica, che spesso permettono agli agricoltori di ottenere un valore aggiunto economico. Queste produzioni sono oggi disciplinate anche a livello internazionale e i relativi regolamenti proibiscono espressamente l’uso degli OGM.
I dubbi sugli OGM
L’introduzione degli OGM nel sistema agroalimentare è stata ed è tuttora fonte di controversie. Tra gli argomenti più discussi menzioniamo l’impatto sull’ambiente delle piante geneticamente modificate. Si consideri, quale esempio, la produzione di rapporti scientifici riguardanti l’azione della tossina Bt sulla farfalla monarca, un insetto non dannoso per le coltivazioni che, come sperimentalmente evidenziato, al di fuori dei campi coltivati con OGM presenta esposizione minima delle larve a quella tossina con probabilità di intossicazione molto bassa. Un altro allarme è stato destato dalla scoperta di piante di colza superinfestanti con la resistenza a erbicidi. Sebbene ciò sia vero, il problema è documentato sin dagli anni Settanta del 20° sec. e quindi non è stato originato dagli OGM, anche se rimane il dubbio che essi possano peggiorare la situazione. Quello che forse è un punto centrale nella discussione informata sulla coltivazione di piante GM è se queste siano o meno necessarie per risolvere la questione della fame nel mondo, imputabile principalmente a condizioni di povertà e disuguaglianza e di produzione insufficiente. In aggiunta, le critiche evidenziano che le piante GM non hanno finora dimostrato tutti i benefici promessi. Ogni varietà GM commercializzata contiene infatti i caratteri di resistenza a erbicidi o a parassiti e solo alcune varietà sono state elaborate allo scopo di migliorare le proprie caratteristiche nutrizionali. Nessun OGM è stato tuttavia realizzato espressamente per aumentare la resa, anche se tale beneficio dovrebbe conseguire dalla diminuzione delle perdite dovute a infestanti e parassiti. A sostegno delle critiche vi sono evidenze del mancato raggiungimento di rese più elevate nonostante un miglior controllo dei parassiti e un minore uso di antiparassitari, benché tali condizioni dovrebbero quantomeno comportare costi sociali inferiori da un punto di vista sanitario e ambientale.
L’impatto economico degli OGM in agricoltura dipende da un ampio spettro di fattori che includono, tra gli altri, gli effetti della tecnologia sulle pratiche agronomiche esistenti, le rese, la volontà delle popolazioni di consumare prodotti GM e infine la regolamentazione e i relativi costi. La valutazione economica delle coltivazioni non è però semplice in quanto le conseguenze sull’ambiente hanno una enorme influenza sui risultati. Per questo motivo sono necessari grandi quantità di dati e sofisticati metodi di valutazione statistica. Soprattutto per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo, gli effetti della valutazione delle coltivazioni di OGM si fondano su statistiche insufficienti a isolare l’impatto di una pianta geneticamente modificata da tutte le altre variabili che influenzano le prestazioni della coltivazione, quali, per es., la qualità dei semi e degli antiparassitari, la quantità delle infestazioni, le capacità tecniche dell’agricoltore, oltre ovviamente dal clima. Un esempio delle difficoltà di valutazione dei risultati è quello del cotone.
Il cotone è coltivato da oltre settemila anni ed è usato per la realizzazione di materiali tessili e non solo. Ogni anno vengono prodotti più di settecento milioni di litri di olio di semi di cotone, che trova uso in molti prodotti alimentari, come le margarine, nell’alimentazione animale, in alcuni tipi di carta e in prodotti come la pasta dentifricia e i gelati. Nonostante il cotone non sia l’OGM più coltivato, è tuttavia un buon esempio da considerare, in quanto è una coltura che necessita di un grande uso di insetticidi e antiparassitari, tra cui sono incluse alcune molecole molto tossiche anche per l’uomo. Nel caso della Cina, in cui il cotone coltivato è soprattutto GM, si è osservato che a fronte di rese aumentate almeno del 10%, l’uso di antiparassitari è diminuito di oltre il 50%. In questo caso gli agricoltori hanno sicuramente avuto un profitto e, conseguenza altrettanto importante, hanno visto diminuire significativamente il rischio professionale di avvelenamento da antiparassitari. Uno studio analogo compiuto sulle coltivazioni di cotone in India ha evidenziato che il costo della diminuzione dei trattamenti con antiparassitari è oggi ampiamente azzerato dal prezzo pagato per le sementi GM; tuttavia, le rese sono state significativamente più elevate di quelle con piante tradizionali, per cui gli agricoltori hanno avuto un profitto. Il risultato economico può ovviamente cambiare, a mano a mano che mutano i prezzi delle sementi e degli antiparassitari e quelli di vendita del prodotto. Bisogna tenere anche conto del fatto che in entrambi i casi menzionati è stata verificata una significativa diminuzione dell’uso di antiparassitari, fonte certa di benefici dal punto di vista sia ambientale sia sociale.
Altri dubbi derivano infine dalla possibilità che gli alimenti ottenuti da OGM o con OGM abbiano problemi di sicurezza imputabili, in particolare, a nuovi allergeni prodotti dal carattere transgenico. Per questi dubbi esistono tuttavia evidenze che mostrano come alcuni allarmi siano sorti da ricerche non del tutto definitive o comunque parziali, le cui conclusioni spesso rappresentano soltanto le opinioni degli autori.
Il risultato complessivo è che la superficie coltivata a OGM è in costante aumento. Sebbene ciò possa essere dovuto a fattori diversi, tra cui non è da escludere la politica commerciale delle compagnie produttrici delle sementi, sicuramente gli agricoltori e il mercato sembrano avere trovato dei vantaggi nelle produzioni ottenute da queste colture.
Garanzie per la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente
Nell’Unione Europea ogni OGM per essere rilasciato nell’ambiente per scopi sia di ricerca sia di produzione commerciale deve essere preventivamente autorizzato seguendo alcuni criteri fondamentali. Il primo prevede la necessità di una valutazione del rischio caso per caso, passo dopo passo e per ogni singolo utilizzo di un OGM (coltivazione e applicazione industriale). L’approccio caso per caso significa che devono essere prese attentamente in considerazione tutte le specificità di ogni singolo OGM, con particolare attenzione alle possibili interazioni tra il nuovo carattere e l’ambiente in cui è previsto il rilascio e all’uso specifico (per es., se il prodotto è destinato all’alimentazione umana o animale). L’approccio passo dopo passo significa che l’OGM può essere immesso sul mercato soltanto dopo che siano state compiute le valutazioni in ambiente confinato e sufficienti sperimentazioni in campo. Il secondo criterio è che, dopo essere stato rilasciato, l’OGM deve essere tenuto sotto controllo e deve essere etichettato. Va seguito il principio di precauzione e i piani di controllo devono essere approvati prima di poter effettuare il rilascio. La tracciabilità dell’OGM lungo la catena alimentare deve essere garantita con l’etichettatura e la documentazione dei passaggi. Alla prima richiesta può essere rilasciata un’autorizzazione alla commercializzazione che ha una durata massima di dieci anni. Il terzo criterio è che durante il processo di approvazione il pubblico deve essere informato sia attraverso la sintesi della documentazione tecnica presentata dal richiedente, sia attraverso rapporti specifici preparati dall’EFSA (European Food Safety Authority), con sede a Parma, dalle autorità nazionali e dai laboratori del JRC (Joint Research Centre) di Ispra (Varese), appartenente alla Commissione europea.
L’obiettivo dell’Unione Europea è di promuovere il mercato con regole comuni a tutti gli Stati membri. Ciò nonostante il quarto criterio per autorizzare il rilascio di OGM nell’ambiente riguarda la necessità, caso per caso, di tenere anche in considerazione le peculiarità sia della gestione del territorio sia dell’agricoltura di ogni Stato membro. Ogni Stato si trova quindi nella posizione migliore per identificare le misure più efficaci, soprattutto giustificate, per garantire la coesistenza delle produzioni convenzionali, dell’agricoltura biologica e degli OGM. Le linee guida della Commissione europea a tale riguardo (raccomandazione n. 556/2003) mirano infatti a garantire che gli agricoltori possano avere gli strumenti pratici per scegliere cosa piantare minimizzando eventuali effetti negativi.
La regolamentazione europea è allineata con i requisiti stabiliti dalla WTO (World Trade Organization) e con le regole sui movimenti transfrontalieri stabiliti dal Protocollo di Cartagena (2000). Tutti gli OGM sono valutati caso per caso dalle agenzie preposte, in funzione dei rischi e dei benefici che possiamo trarre dal loro uso. La valutazione è sempre compiuta paragonando rischi e benefici degli OGM con quelli di quanto è prodotto con i metodi tradizionali. Per poter introdurre sul mercato mondiale un prodotto agroalimentare è quindi necessario valutare attentamente la sua sicurezza alimentare e ambientale. Le agenzie internazionali che si occupano degli OGM sono, oltre alla WTO, la WHO (World Health Organization), la FAO (Food and Agriculture Organization), la Commissione del Codex alimentarius e l’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development). In Europa, molti Stati membri, tra cui l’Italia (d. legisl. 24 apr. 2001 n. 212), hanno di fatto adottato una moratoria sulla base del principio di precauzione, previsto nella Convenzione di Rio de Janeiro (1992) sulla diversità biologica.
Le disposizioni europee stabiliscono la valutazione a priori degli OGM, fissano la loro tracciabilità ed etichettatura, impongono la sorveglianza biologica delle colture e dei prodotti agricoli immessi sul mercato e prevedono espressamente l’informazione del pubblico. L’uso di microrganismi geneticamente modificati in ambiente confinato, laboratorio e fermentatore, è previsto dalle direttive 1990/219/CEE e 1998/81/CE, integrate con la decisione 2000/608/CE relativa alla valutazione dei rischi, e con la direttiva 2000/54/CE e la decisione 2001/204/CE, relative alla protezione dei lavoratori. Il rilascio deliberato nell’ambiente di OGM è previsto dalla direttiva 1990/220/CEE, sostituita dalla direttiva 2001/18/CE, e completata dalla direttiva 2002/811/CE, che stabiliscono l’informazione del pubblico, i principi per la valutazione dei rischi per l’ambiente e le procedure di autorizzazione al rilascio. La coesistenza di colture geneticamente modificate con le altre colture è prevista dalla raccomandazione della Commissione europea n. 556 del 23 luglio 2003. I nuovi alimenti sono oggetto del regolamento n. 641/2004, che riguarda l’applicazione del regolamento n. 1829/2003 sull’autorizzazione di nuove derrate alimentari e di nuovi alimenti per animali, mentre il regolamento n. 65/2004 instaura un sistema per l’identificazione degli OGM. La commercializzazione è prevista dalla direttiva 2002/57/CE, che riguarda le piante oleaginose e da fibra, ma sono in fase di approvazione alcune proposte che riguardano la modifica degli allegati alle direttive sulle sementi e un regolamento sul campionamento delle sementi. Il controllo della commercializzazione è previsto, invece, nella raccomandazione della Commissione europea n. 66 del 25 gennaio 2002. I movimenti transfrontalieri degli OGM sono contemplati nel regolamento n. 1946/2003, il quale traspone in Europa il Protocollo di Cartagena e prevede, in particolare, gli obblighi di notifica e di informazione di tali movimenti. La protezione giuridica delle innovazioni biotecnologiche, infine, è prevista nella direttiva 1998/44/CE, che permette di brevettare nuovi prodotti contenenti materiali biologici e nuovi processi per produrre, modificare o utilizzare materiali biologici.
Nell’Unione Europea gli investimenti sia pubblici sia privati nelle biotecnologie, in generale, e in quelle per l’agricoltura, in particolare, sono andati diminuendo nel corso degli ultimi dieci anni. Tale fenomeno è in parte dovuto alla delocalizzazione al di fuori dell’Unione della ricerca e dello sviluppo del settore privato e ha avuto come conseguenza l’erosione della base di conoscenze nel settore, soprattutto per quanto riguarda la situazione italiana. Il fatto sta creando qualche allarme in Europa, sia perché la richiesta mondiale di alimenti è in crescita, con un impatto globale sui prezzi, sia perché gli sviluppi delle alternative rinnovabili di origine agricola per l’energia e per i materiali diventano sempre più allettanti, spinti come sono da motivazioni economiche e dagli obiettivi di salvaguardia dell’ambiente.
Bibliografia
G. Meziani, H. Warwick, Seeds of doubt. North American farmers’ experiences of GM crops, Bristol 2002.
Independent science panel, The case for a GM-free sustainable world, ed. M.-W. Ho, L.L. Ching London-Penang 2003 (trad. it. Liberi da OGM. La sfida per un mondo sostenibile, Roma 2005).
FAO, The state of food and agriculture 2003-2004, Roma 2004.
FAO, Marker-assisted selection. Current status and future perspectives in crops, livestock, forestry and fish, Roma 2007.
FAO, The state of food and agriculture 2009, Roma 2009.
Si veda inoltre:
European Commission, Enterprise and Industry DG, Competitiveness of the European biotechnology industry, 2007, http://ec.europa.eu/enterprise/sectors/biotechnology/files/docs/biotech_analysis_competitiveness_en.pdf (1° luglio 2010).