Biotecnologie
Negli ultimi decenni, le acquisizioni scientifiche di discipline, quali la microbiologia, la biochimica, la biologia molecolare e l'ingegneria genetica, sono state messe a frutto per elaborare metodiche sofisticate (le biotecnologie, appunto), che consentono di ottenere industrialmente, da microrganismi o da parti di essi, prodotti utilizzabili nell'industria chimica e dell'ambiente, nella diagnosi, prevenzione e terapia di numerose patologie, nonché nel settore agroalimentare e zootecnico.
I.
Le biotecnologie costituiscono nel loro insieme una scienza applicata, che si è sviluppata in modo sistematico in Italia solo a partire dal 1980. La continua evoluzione delle conoscenze in campo biologico utilizzate nelle biotecnologie, rende difficile dare di questa nuova scienza una definizione compiuta. Tuttavia, si può dire che le biotecnologie utilizzano in modo integrato le acquisizioni scientifiche di alcune discipline di base, soprattutto la microbiologia, la biochimica, la biologia molecolare e l'ingegneria, per ottenere industrialmente, a partire da microrganismi e da loro componenti cellulari e subcellulari, prodotti utili all'uomo. Il termine 'biotecnologia' sembra sia stato introdotto per la prima volta nel 1919 da un economista ungherese, K. Ereky, per descrivere tutti quei procedimenti attraverso i quali gli organismi viventi trasformano materie prime in prodotti utili all'uomo. Nell'era della biologia molecolare, si comincia a parlare di biotecnologia a livello internazionale intorno agli anni Settanta, con riferimento all'utilizzazione delle tecniche del DNA ricombinante (v. ingegneria genetica) in diversi settori industriali, e, più in generale, alla produzione di beni e servizi mediante l'impiego di microrganismi o loro parti. In realtà, da secoli l'uomo sfrutta i microrganismi per procurarsi prodotti utili dal punto di vista nutrizionale e sanitario e, in generale, per migliorare la propria qualità di vita e il proprio benessere: dall'uso ormai antico dei processi fermentativi per la produzione di formaggio, o di vino e altre bevande alcoliche, alla scoperta, più recente, del procedimento per la produzione di antibiotici. Negli ultimi anni, lo straordinario sviluppo delle conoscenze nelle scienze di base ha permesso di razionalizzare i procedimenti empirici e di indirizzare le metodiche verso traguardi fino a pochi anni fa inimmaginabili, e con implicazioni economiche non trascurabili.
2.
I principali settori di applicazione delle biotecnologie, con risultati diversi per quanto riguarda sia i tempi sia i risvolti economici, sono tre: quello dell'industria chimica e dell'ambiente, il biomedico-sanitario e quello agroalimentare e zootecnico. L'utilizzazione delle biotecnologie nei settori indicati è stata sviluppata dai più importanti organismi scientifici nazionali e internazionali, con progetti di ricerca di tipo finalizzato, e dalle numerose imprese che operano oggi in questo ambito.
Nel campo chimico e dell'ambiente, l'interesse dei biotecnologi è rivolto: alla produzione di nuovi enzimi (v.) dotati di particolari proprietà (stabilità al calore o a condizioni cosiddette estreme, come elevate concentrazioni saline o, soprattutto, elevata acidità); alla produzione, attraverso processi di catalisi enzimatica, di sostanze chimiche utili all'industria o come prodotti intermedi nella sintesi chimica; alla biodegradazione di prodotti di scarto generati dall'industria petrolifera e petrolchimica, come fanghi o residui oleosi; al trattamento biologico dei prodotti affluenti dell'industria lattiero-casearia. In particolare, lo smaltimento dei rifiuti, aspetto essenziale per la salvaguardia dell'intero ecosistema, utilizza le nuove tecnologie combinando sistemi biologici e chimici; la degradazione di materiale organico mediante specifici microrganismi si può condurre tanto in presenza di ossigeno (processi aerobici, che determinano la demolizione del materiale organico con formazione di ammoniaca e anidride carbonica, consumo di energia, e produzione di una notevole quantità di materiali insolubili, i fanghi, che contengono tracce di materiali pesanti e necessitano a loro volta di essere smaltiti), quanto in sua assenza (processi anaerobici, che producono acidi organici, alcol, chetoni, gas, enzimi e vitamine, con la formazione di una considerevole quantità di metano, riutilizzabile come combustibile). In tal modo, molti tipi di rifiuti possono essere convertiti in materiali riutilizzabili.
Un campo di applicazione molto importante, in cui le biotecnologie hanno già prodotto risultati che consentono previsioni ottimistiche per il futuro, in relazione al loro impatto sulla salute dell'uomo, è quello biomedico-sanitario. Questa è l'area in cui la moderna biologia, la biologia molecolare e l'immunologia hanno portato a risultati applicativi straordinari; volendo ricordarne solo alcuni, sono da menzionare la produzione di nuovi farmaci e vaccini, di sonde oligonucleotidiche da utilizzare in diagnostica, di enzimi modificati, di nuovi antibiotici e di immunotossine per la medicina legale, nonché la produzione e caratterizzazione di anticorpi monoclonali per uso diagnostico o in immunoterapia.
Per quanto riguarda il settore agroalimentare, le applicazioni delle biotecnologie riguardano: la produzione e caratterizzazione di enzimi utilizzati dall'industria alimentare; la rigenerazione in vitro di piante da cellule o protoplasti; l'introduzione di geni esogeni nelle piante al fine di migliorarne la qualità, la resistenza ad agenti esterni e, in generale, il metabolismo azotato.
I.
Lo sviluppo delle biotecnologie ha già consentito di raggiungere importanti traguardi nella diagnosi, nella prevenzione e nella terapia di molte malattie. È utile ricordare preliminarmente alcune scoperte nel campo della biologia molecolare e dell'ingegneria genetica (la scienza che studia le modificazioni che possono essere apportate al patrimonio genetico di organismi semplici come i virus o i microrganismi), che hanno fornito acquisizioni e metodologie importanti per lo sviluppo delle biotecnologie, soprattutto in campo biomedico.
a) Scoperta e studio degli enzimi di restrizione. Si tratta di enzimi (del tipo chiamato endonucleasi) di origine batterica, in grado di 'tagliare' la doppia elica del DNA (v. acidi nucleici) di qualsiasi organismo (diverso da quello del batterio di provenienza), ma solo in corrispondenza di sequenze specifiche, caratteristiche per ciascun enzima. Se ne conoscono oggi centinaia, provenienti da diversi batteri, che vengono correntemente impiegati sia nella ricerca di base sia per scopi applicativi, e che permettono, per es., di ottenere frammenti di DNA genomico di un organismo per 'taglio' in siti specifici; utilizzando più enzimi di restrizione, si generano frammenti caratteristici per quel DNA e per quegli enzimi di restrizione, cosicché è possibile ottenere le cosiddette 'mappe di restrizione', cioè il numero e la posizione dei siti di taglio per ogni enzima di restrizione. Mutazioni nel DNA generano mappe diverse rispetto al DNA non mutato, e quindi la loro presenza può venire oggi diagnosticata per mezzo di enzimi di restrizione opportuni (v. oltre).
b) Sviluppo e automazione dei metodi per analizzare le sequenze del DNA. Essi, unitamente all'introduzione delle banche dati di sequenze oligonucleotidiche, hanno permesso, a partire dal 1977, un nuovo approccio allo studio delle sequenze proteiche. L'automazione nei metodi, che consente oggi a un singolo ricercatore, in un laboratorio efficiente, di analizzare le sequenze di alcune migliaia di basi in una settimana, ha portato a concepire un grande progetto internazionale per analizzare le sequenze dell'intero genoma umano (3,3x109 coppie di basi), con un impiego formidabile di tecniche e di nuove apparecchiature.
c) Sviluppo della bioinformatica. La ricerca biologica di base e quella applicata utilizzano sempre più le banche dati: l'uso del computer e delle tecnologie dell'informazione nelle biotecnologie va sotto il nome di bioinformatica. Il ruolo della bioinformatica è importante soprattutto per lo studio e l'analisi delle sequenze di acidi nucleici. La grande quantità di sequenze ora note costituisce infatti una massa di dati in progressivo aumento (anche in relazione ai vari progetti di analisi di sequenze di genomi di diversa origine), che può essere utilizzata solo facendo ricorso a banche dati, in cui tali informazioni vengono immagazzinate e rese disponibili a livello internazionale attraverso reti europee e americane. Oltre che per le sequenze di acidi nucleici, le banche dati vengono utilizzate per le sequenze di proteine, le mappe genomiche, le malattie genetiche, gli anticorpi monoclonali, gli enzimi di restrizione, i ceppi batterici, i vettori di clonaggio e di espressione, e per la letteratura scientifica. La bioinformatica rappresenta quindi un grande supporto allo sviluppo dei processi biotecnologici.
d) Scoperta della reazione di polimerizzazione a catena. Questa tecnica (PCR, Polymerase chain reaction), che risale solo a pochi anni fa (1984), ha reso di gran lunga più spedito il procedimento per amplificare (cioè ottenere quantità relativamente grandi di DNA, per duplicazione di un DNA originale) il DNA genomico o il cDNA (vale a dire quell'insieme di frammenti di DNA che si possono ottenere per trascrizione inversa dall'RNA messaggero di un organismo, e le cui sequenze corrispondono a quelle dei geni che codificano per le proteine, senza le zone introniche, senza, cioè, le sequenze di DNA non codificanti). La possibilità di aumentare la quantità del DNA di interesse è naturalmente fondamentale per ogni successiva analisi (analisi delle sequenze e di eventuali mutazioni, mappe di restrizione, sintesi di proteine ecc.). La tecnica si basa sull'utilizzo di un particolare enzima per la duplicazione del DNA da amplificare (v. anche acidi nucleici), e cioè di una DNA polimerasi proveniente da un batterio termofilo, e quindi in grado di catalizzare la reazione di duplicazione anche ad alte temperature, il che consente di sottoporre la miscela contenente tutti i reagenti necessari per la duplicazione a cicli successivi nei quali avvengono la denaturazione al calore del DNA da amplificare, l'ibridazione con gli inneschi, la fase di replicazione, e quindi di nuovo la denaturazione del DNA per un successivo ciclo di replicazione. La tecnica mediante la quale è possibile aumentare in maniera esponenziale, anche fino ad alcuni milioni di volte, il DNA iniziale è comunemente impiegata nei laboratori di biologia molecolare e in quelli che si occupano della diagnosi di malattie ereditarie o di analisi medico-legali.
e) Produzione di anticorpi monoclonali. La possibilità di ottenere cellule che producano sempre lo stesso anticorpo ha permesso enormi sviluppi in campo sia diagnostico sia terapeutico, oltre che nella ricerca di base. Nel 1975, C. Milstein e G. Kohler hanno sviluppato la tecnica della ibridazione cellulare (fusione) tra linfociti B (che secernono anticorpi dopo l'immunizzazione dell'animale con l'antigene) e cellule di mieloma in grado di riprodursi indefinitamente; le cellule ibride che ne derivano, dette ibridomi, sono cellule immortali in grado di secernere anticorpi. Gli stessi ricercatori hanno messo a punto anche le tecniche di clonaggio dell'ibridoma, che hanno consentito di ottenere cloni, ciascuno in grado di secernere un singolo tipo di anticorpo, cioè un anticorpo monoclonale.
2.
Gli sviluppi appena descritti, insieme a quelli della moderna microbiologia e alle conoscenze acquisite relativamente alla trasmissione dell'informazione genetica (v. codice genetico, ingegneria genetica), dalla replicazione, alla trascrizione (sintesi dell'RNA dal DNA), alla traduzione (biosintesi delle proteine), costituiscono la base per l'applicazione in campo biomedico di molti processi biotecnologici.
a) Produzione di farmaci di natura proteica. Molte proteine di origine umana utilizzate come medicamenti erano disponibili fino ad alcuni anni fa solo in quantità relativamente piccola, poiché venivano preparate per estrazione da organi e tessuti umani, ovviamente di difficile reperimento. L'avvento delle tecniche del DNA ricombinante, cioè di quelle tecnologie che permettono la manipolazione del DNA e la sua espressione, ha consentito di produrre (o esprimere) in microrganismi alcune proteine umane di grande importanza terapeutica. Il ricercatore isola il cDNA della proteina desiderata e lo inserisce in un plasmide (piccolo DNA circolare batterico extracromosomico, in grado di replicarsi autonomamente nella cellula batterica), che funziona da vettore in grado di veicolare il DNA estraneo nella cellula batterica; si ottengono così batteri che sono detti trasformati in quanto il loro patrimonio genetico è stato modificato in modo permanente. Essi, nel riprodursi, daranno luogo, oltre alle proteine endogene, necessarie appunto alla loro riproduzione, anche alla proteina estranea. La tecnica, che consente la produzione praticamente illimitata della proteina desiderata, non è molto diversa, dopo l'introduzione del DNA estraneo nel microrganismo, da quella che viene impiegata da anni per ottenere gli antibiotici. Come vettori di espressione possono venire usati non solo plasmidi, ma anche alcuni batteriofagi (virus capaci di far penetrare il proprio DNA all'interno dei batteri) o molecole di DNA circolare sintetizzate ad hoc. Oltre che nei batteri, l'espressione di nuove proteine può avvenire anche in cellule eucariotiche (di lievito, di insetto o di mammifero).
È anche possibile produrre, con il metodo della mutagenesi sito-diretta, un DNA con una o più basi mutate, per esprimere una proteina con specifiche modifiche aminoacidiche e, eventualmente, con modifiche nelle proprietà strutturali e funzionali. La proteina desiderata viene poi estratta, con procedure a volte complesse, e purificata, in modo da eliminare eventuali impurità proteiche provenienti dalla cellula ospite; sono necessari rigorosi controlli, non solo sulla sequenza della proteina ottenuta, ma anche sull'assenza di contaminanti tossici che possono essersi prodotti durante la fermentazione. La purificazione delle proteine 'ricombinanti' per uso umano è infatti uno dei problemi più difficili da risolvere, in quanto i metodi vanno messi a punto volta per volta, a seconda della natura della proteina da ottenere e del tipo di cellula ospite che la produce.
Tra le prime proteine prodotte per via ricombinante è da ricordare l'insulina, un ormone pancreatico che stimola il catabolismo del glucosio e blocca la glicogenolisi, e la cui carenza provoca il diabete mellito; prima della produzione di insulina umana per via ricombinante, veniva utilizzata insulina bovina o suina, che poteva dar luogo a fenomeni allergici. Un altro importante ormone che si ottiene per via ricombinante è l'ormone della crescita (GH, Growth hormone), prodotto normalmente dall'ipofisi, e la cui deficienza provoca nanismo; questa rara deficienza ormonale può venire ora facilmente curata. Un'altra proteina ricombinante normalmente usata in terapia è l'attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA, Tissue-type plasminogen activator), normalmente presente negli endoteli vasali e responsabile della trasformazione del plasminogeno presente nel sangue in plasmina, che ha il ruolo di degradare la fibrina, e quindi di impedire la formazione di trombi; il t-PA ha trovato grande applicazione nella cura delle malattie trombotiche e ha portato a una significativa diminuzione della mortalità. Vanno poi ricordati vari fattori di crescita emopoietici, come l'eritropoietina e le interleuchine, che regolano i processi di crescita e di differenziazione degli eritrociti e delle cellule bianche del sangue, e assicurano il mantenimento della omeostasi sanguigna; nonché gli interferoni, proteine prodotte dai leucociti, che hanno attività antivirale, antiproliferativa e immunostimolante: queste molecole trovano applicazione nella cura di alcune leucemie, e su una di esse poggiano oggi molte speranze per la cura della sclerosi multipla.
Con la stessa tecnologia si ottengono oggi i 'vaccini ricombinanti'. I vaccini tradizionali vengono prodotti utilizzando come antigeni microrganismi patogeni uccisi o attenuati, che determinano una immunizzazione attiva contro malattie infettive provocate da quei microrganismi. Con i metodi delle biotecnologie, è possibile attualmente isolare i vari antigeni del microrganismo e scegliere, tra quelli responsabili della risposta anticorpale, i meno pericolosi. Per la loro maggiore, e più controllabile, sicurezza ed efficacia, i nuovi vaccini vanno sostituendo quelli tradizionali. La produzione su larga scala (per vaccinazioni di massa) di tali proteine antigeniche avviene con le tecniche del DNA ricombinante; a titolo di esempio, sono da ricordare il vaccino antiepatite B (una proteina di superficie del virus epatite B, che viene prodotto in lieviti) e quello antipertosse (frutto della ricerca italiana, e costituito da una tossina proteica del batterio Bordetella pertussis, opportunamente modificata e resa così inattiva, ma sempre efficace per l'immunizzazione; tale modificazione è stata realizzata inserendo ed esprimendo nel batterio il gene per la tossina, dopo averlo mutato).
b) Biotecnologie in diagnostica. Si conoscono più di 3000 malattie ereditarie o genetiche, cioè dovute a un difetto genetico (per es., una mutazione anche in una singola base, oppure una delezione - perdita di un frammento di cromosoma con le relative proteine associate, o di una porzione di genoma - di parte del gene o ancora la sua assenza), che provoca l'assenza o la modificazione di una o più proteine, eventualmente enzimatiche, con conseguenze anche gravi di ordine metabolico. Prima dell'avvento delle tecniche biomolecolari e delle loro applicazioni, le malattie ereditarie venivano diagnosticate determinando la quantità di proteina o di enzima deficitari, oppure attraverso il dosaggio del prodotto non metabolizzato o non sintetizzato a causa della mancanza dell'enzima deficitario. Tra queste malattie ricordiamo le talassemie (molto diffuse nell'area mediterranea, e dovute a difetti o ad assenza di una delle due catene polipeptidiche, alfa o beta, della emoglobina umana, la proteina del sangue che trasporta l'ossigeno dai polmoni ai tessuti), la fibrosi cistica, la distrofia muscolare di Duchenne, la fenilchetonuria ecc. Oggi, utilizzando le metodologie della biologia moderna a livello biotecnologico, è possibile effettuare la diagnosi in soggetti portatori sani, la diagnosi preclinica di malattie a comparsa tardiva, e la diagnosi prenatale sul DNA embrionale (prelevando i villi coriali, dopo 9-11 settimane dal concepimento).Queste analisi si basano quasi sempre sulla conoscenza della sequenza di basi del gene normale che codifica per la proteina di interesse. In generale, il metodo prevede l'amplificazione con la tecnica della PCR, per es. del segmento di DNA di interesse (del gene o di una sua porzione), del quale si dispone di solito in quantità molto piccola, e il confronto tra i frammenti che si ottengono con opportuni enzimi di restrizione e quelli ricavati dal gene normale. Il confronto si fa valutando direttamente le dimensioni dei diversi frammenti con metodiche elettroforetiche, oppure attraverso il trasferimento su nitrocellulosa (Southern blotting). Quest'ultimo metodo consente la successiva 'ibridazione' con un DNA a sequenza nota (sonda) radioattivo o fluorescente, in grado di evidenziare, per formazione di strutture complementari, sequenze specifiche del gene normale o del gene mutato. Queste tecniche vengono usate anche nella diagnostica dei tumori, ricercando l'eventuale presenza di particolari geni, chiamati oncogèni perché nei tessuti tumorali subiscono mutazioni responsabili della trasformazione neoplastica. Allo stesso modo vengono oggi diagnosticate malattie da microrganismi o da virus (epatiti, infezione da HIV, il virus che provoca l'AIDS ecc.).
Anche la medicina legale si avvale di queste metodiche, per l'analisi del DNA che può venire estratto da un capello o da un frammento di tessuto trovati sul luogo di un crimine. L'amplificazione e l'ibridazione con sonde oligonucleotidiche, dopo frammentazione con enzimi di restrizione, consente di ottenere la cosiddetta 'impronta digitale' di quel particolare DNA e di confrontarla con quella di un individuo sospettato. Su metodi analoghi, che hanno un elevato grado di affidabilità, si basa oggi l'analisi del DNA per l'accertamento della paternità.
Un campo della diagnostica nel quale le biotecnologie hanno consentito notevoli progressi è quello della diagnosi tramite anticorpi monoclonali, specie in oncologia. Nell'immunoistologia si utilizzano anticorpi monoclonali per la determinazione, direttamente sul preparato istologico, di eventuali marcatori specifici per neoplasie di varia origine. Nell'immunodiagnostica, sul siero è possibile identificare specifici marcatori circolanti nel sangue e diagnosticare in tal modo malattie tumorali allo stadio preclinico. Insieme all'uso degli anticorpi monoclonali in immunoscintigrafia (in cui gli anticorpi vengono marcati con opportuni radioisotopi), queste tecniche stanno acquistando rilevanza sempre maggiore nella diagnostica oncologica.
Vale la pena ricordare che, mentre l'uso degli anticorpi in diagnostica è ormai consolidato, esistono ancora numerosi problemi per quanto riguarda il loro impiego terapeutico. Il primo anticorpo monoclonale autorizzato per l'uso in terapia negli Stati Uniti è un anticorpo murino (ottenuto immunizzando i topi con linfociti T umani); si tratta di un farmaco antirigetto, utilizzato per la prevenzione del rigetto nel trapianto del rene. Il problema più importante nell'uso di anticorpi in terapia deriva dalla necessità di evitare eventuali reazioni immunologiche dovute all'origine murina degli anticorpi usati, e quindi di rimuovere eventuali contaminanti (come agenti virali, DNA murino ecc.). I progressi nel campo sono stati notevoli, come la produzione, con raffinate tecniche di biologia molecolare, di anticorpi monoclonali chimerici uomo-topo, per es. per la diagnosi in vivo del cancro del colon.
c) Terapia genica. Consiste nella correzione di un difetto genetico che provoca determinate anomalie somatiche, mediante l'introduzione del gene normale. Questo tipo di approccio terapeutico, che fino a qualche anno fa poteva sembrare del tutto irrealistico, sta cominciando a dare risultati interessanti. Nel 1990 è stato approvato negli Stati Uniti il primo protocollo di terapia genica. Per l'inserimento di DNA esogeno in precursori emopoietici o in cellule staminali pluripotenti vengono usati vettori retrovirali. Queste tecniche di trasferimento genico, che hanno avuto successo in sistemi murini sia in vitro sia in vivo (topi transgenici), vengono ottimizzate per ottenere l'espressione, in cellule che ne sono carenti, di geni umani. Un esempio da ricordare è quello della deficienza del gene per la adenosina deaminasi, che provoca una malattia del sistema immunitario; la relativa terapia genica è stata approvata dalla FDA (Food and drug administration) statunitense, e utilizzata con interessanti risultati anche in Italia per la cura di bambini che presentano questo difetto genetico.
In campo agroalimentare, la tecnologia del DNA ricombinante è stata utilizzata soprattutto nella produzione agricola, allo scopo di indurre nelle piante resistenza agli insetti, ai virus, alle malattie, agli erbicidi e agli stress ambientali, come salinità o temperature estreme. Per es., cultivar resistenti agli insetti sono stati ottenuti trasferendo nel pomodoro, nel mais, nel cotone e in altri vegetali un singolo gene codificante per una proteina tossica per gli insetti, isolato da un comune microrganismo che si trova nel terreno, il Bacillus thuringiensis. Di interesse nutrizionale può invece essere considerata la modificazione della composizione in acidi grassi, con diminuzione degli acidi grassi saturi e aumento degli insaturi, nei semi oleaginosi di colza (Brassica napus), oppure la realizzazione di patate transgeniche con il 30% in più di solidi, il che, tra altri vantaggi, dovrebbe comportare un minor assorbimento di grassi durante la frittura.
Con un'altra tecnica di ingegneria genetica, chiamata dei nucleotidi sintetici antisenso, è possibile impedire l'espressione selettiva di un singolo gene. Applicata in campo agricolo, tale tecnica è stata utilizzata per inibire l'espressione del gene che codifica per l'enzima responsabile della maturazione del pomodoro. Nelle piante così trasformate si verifica una più lenta maturazione del frutto direttamente sulla pianta con pieno sviluppo dell'aroma e del colore ed è quindi possibile spedire il prodotto senza necessità di refrigerazione, aumentando la durata della sua vita commerciale nei punti di vendita.
Per quanto attiene ai processi di fermentazione, i microrganismi bioingegnerizzati sono ormai svariati. Per es., ceppi ricombinanti di Aspergillus oppure di Kluyveromyces, capaci di esprimere l'enzima chimosina, un tempo estratto dallo stomaco del vitello (caglio), possono oggi essere usati per la produzione industriale di formaggio. Lo stesso dicasi per un ceppo ricombinante di Saccaromices cerevisiae che può essere utilizzato per ottenere una migliore e più rapida lievitazione del pane.
Anche in campo zootecnico sono stati ottenuti risultati di grande rilievo; il principale riguarda la produzione dell'ormone dell'accrescimento, o somatotropo, a opera non solo di microrganismi ricombinanti, ma anche di animali transgenici, cioè capaci di esprimere geni per l'ormone dell'accrescimento provenienti da altre specie. Questo ormone, giornalmente iniettato in animali normali, oppure fisiologicamente espresso da animali transgenici, è da tempo usato negli Stati Uniti per aumentare la produzione di latte nelle vacche lattifere e per modificare la composizione della carcassa degli animali da carne. Negli animali così trattati si verifica infatti una drastica diminuzione della componente grassa e un aumento della componente magra della carcassa, così come ritengono desiderabile le attuali tendenze di consumo.I risvolti commerciali di queste scoperte sono evidenti, ma qualsiasi alimento ottenuto mediante le tecniche di ingegneria genetica ha incontrato, negli Stati Uniti e in molti paesi europei, una forte opposizione da parte dei consumatori, sollecitati in ciò dalle organizzazioni che li rappresentano, da campagne di stampa negative e da una sostanziale mancanza di informazioni sulla natura degli alimenti bioingegnerizzati, sul loro procedimento di produzione e sulla loro sicurezza d'uso da parte delle industrie specializzate del settore o delle autorità scientifiche.
È ovvio che l'innocuità degli alimenti e degli ingredienti alimentari ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante debba essere attentamente valutata dal punto di vista nutrizionale e tossicologico perché, per es., l'introduzione nelle piante di una proteina tossica per gli insetti o l'inserimento di una proteina allergenica potrebbe renderle dannose anche per l'uomo. Il problema che rende le industrie agroalimentari riluttanti a investire nel campo è tuttavia quello della possibile introduzione di una normativa che renda obbligatorio dichiarare in etichetta 'alimento prodotto con tecnologia genica' o formule simili; tale obbligo, infatti, oltre ai costi dovuti alla necessità di istituire linee di produzione separate, offrirebbe un mezzo di facile identificazione per chi volesse boicottare questi prodotti.
La FDA statunitense è stata la prima organizzazione governativa a prendere posizione, fin dal 1992, sull'argomento (anche se soltanto in rapporto agli alimenti di natura vegetale e non a quelli di natura animale e microbica), sostenendo che i vegetali ottenuti per via biotecnologica sono da considerare varietà di quelli naturali, per cui non sembra necessario emanare apposite normative o rendere obbligatorie etichettature particolari. Tuttavia, sempre a parere della FDA, potrebbero sorgere problemi se nelle piante dovessero venir inseriti geni che codifichino per componenti che normalmente non fanno parte dell'alimentazione umana, oppure se in vegetali che normalmente non contengono sostanze allergeniche dovessero essere inseriti geni che codifichino per proteine allergeniche; come pure, rispetto ai vegetariani, se nei vegetali dovessero essere inseriti geni di origine animale, o, rispetto a norme etico-religiose, se venissero inseriti geni di origine umana o di animali proibiti per ebrei e musulmani, come il maiale.
Negli Stati Uniti, in realtà, sono sorte polemiche quando è stato avviato alla commercializzazione latte prodotto da vacche trattate con il somatotropo ottenuto da microrganismi ricombinanti. Fin dal 1985 la FDA aveva stabilito che il latte e la carne derivanti da animali così trattati dovevano essere considerati sicuri per l'alimentazione umana, sottolineando il fatto che l'ormone somatotropo, anche se presente in tracce nel latte, è una proteina che viene digerita come qualsiasi altra. Tale posizione è stata ribadita nel 1993 e, nello stesso anno, anche la Commissione europea per i prodotti veterinari, generalmente contraria all'uso degli ormoni in zootecnia, ha dichiarato che la somatotropina bovina è sicura, proponendo tuttavia che il suo uso in Europa venga sospeso fino all'anno 2000, per non ostacolare la politica di riduzione dei surplus produttivi negli allevamenti europei.
Nonostante queste prese di posizione ufficiali, nel corso di audizioni pubbliche periodicamente organizzate dalla FDA sono emersi forti pareri negativi, accompagnati dalla richiesta di etichettare tutti gli alimenti prodotti con tecnologia genica, allo scopo di tutelare la libertà di scelta del consumatore. Tale possibilità rimane comunque facoltativa e non obbligatoria negli Stati Uniti. In Europa l'autorizzazione all'immissione nel mercato di prodotti costituiti da, o contenenti, piante geneticamente modificate viene data da un'apposita Commissione europea, sentiti i pareri delle diverse Commissioni nazionali (in Italia, la Commissione interministeriale biotecnologie). Dal 1993 al 1996 risultano autorizzati in Europa solo quattro prodotti: soia resistente a erbicidi (da non utilizzare per la coltivazione, ma per la trasformazione industriale), colza maschiosterile e tollerante a erbicidi, mais con resistenza al parassita piralide e tollerante a erbicidi, radicchio maschiosterile e tollerante a erbicidi. A questi va aggiunto il tabacco con resistenza a erbicidi, autorizzato solo nel territorio francese. In confronto Stati Uniti, Canada, Giappone e Cina popolare hanno autorizzato la coltivazione e/o la commercializzazione di un numero di piante nettamente superiore, fatto che può creare difficoltà nel commercio verso i paesi europei.
Anche per quanto riguarda la valutazione dei rischi per la salute umana e l'ambiente, nonché l'informazione da fornire al consumatore mediante apposita etichettatura, l'Europa stabilisce dei vincoli più rigidi. Un regolamento, emanato nel 1997 dalla Unione Europea, riguardante tutti i nuovi alimenti (Novel foods) e quindi anche quelli geneticamente modificati (alimenti GM), fornisce innanzitutto un quadro normativo che definisce quando i nuovi prodotti e ingredienti alimentari siano da considerare 'sostanzialmente diversi' da quelli tradizionali. In quest'ultimo caso il regolamento stabilisce che i loro processi di produzione biologici, chimici o fisici siano sottoposti a una valutazione formale e obbligatoria, prima che essi possano essere approvati e immessi nel mercato. La normativa copre quindi, oltre gli alimenti GM veri e propri, anche i prodotti da questi ottenuti, come per es. la salsa di pomodoro da pomodori GM, olio o lecitina da soia GM, amido da mais GM. Il regolamento non copre solamente gli aspetti relativi alla sicurezza d'uso, ma anche quelli riguardanti l'etichettatura di accompagno. In particolare, si richiede che l'etichetta menzioni le caratteristiche o le proprietà modificate, corredate con l'indicazione del metodo con il quale sono state ottenute. Per quanto riguarda gli alimenti GM, esso specifica che debba essere obbligatoria l'"indicazione della presenza di un organismo geneticamente modificato con tecniche di modificazione genetica". Ugualmente obbligatoria deve essere l'etichettatura se nell'alimento GM è presente materiale che può avere implicazioni per la salute del consumatore, come per es. una proteina allergenica introdotta in un alimento che ne era privo, o materiale che può dare origine a problemi di natura etica o religiosa.
Un aspetto che non è stato esplicitamente preso in considerazione, ma che evidentemente verrà valutato caso per caso, è quello dell'introduzione, nei costrutti genici da inserire nelle piante, di marcatori per la resistenza agli antibiotici di origine microbica, utilizzati per selezionare i prodotti che hanno incorporato il nuovo gene. Il problema è balzato all'attenzione del pubblico quando un mais GM, nel cui DNA era stato incorporato il gene per la resistenza alla ampicillina, è stato approvato in appello dal Consiglio dei ministri dell'Unione Europea nel 1996, dopo essere stato precedentemente bocciato. Le perplessità al riguardo sono dovute alla possibilità, per quanto estremamente bassa, che il marcatore per la resistenza, essendo di origine microbica, possa, per ragioni di omologia, trasferirsi nel DNA della flora microbica intestinale degli animali d'allevamento e dell'uomo, compromettendo eventuali future terapie antibiotiche. È auspicabile quindi che i marcatori per resistenza agli antibiotici non vengano in futuro utilizzati, oppure, considerato che è possibile inattivarli o eliminarli a selezione avvenuta, che si adotti questo procedimento per escludere i rischi paventati.Altro auspicio è che oltre ai vantaggi di tipo agronomico, che interessano economicamente solo i produttori agricoli, siano in futuro realizzati anche alimenti GM che conferiscano vantaggi al consumatore, quali miglioramenti di tipo nutrizionale od organolettico, al momento quasi del tutto trascurati dalla ricerca.
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