BITONTO (A. T., 27-28-29)
Comune della provincia di Bari. La sua popolazione non è in considerevole aumento (e figura addirittura in diminuzione fra il 1911 e il 1921), specialmente per il forte contributo che ha dato all'emigrazione: era di 24 mila ab. nel 1861 e raggiungeva quasi i 33 mila ab. nel 1911, mentre nel 1921 scese a 31.698. Il centro capoluogo è una città di 29.832 ab., d'origine remota, che sorge nella cosiddetta conca di Bari, a 118 m. sul mare, distinta in un nucleo medievale, a pianta trapezoidale, con vie strette e tortuose, e in un rione moderno sviluppatosi a raggiera nella parte di NE. Bitonto è un grosso centro agricolo, il cui territorio comunale (185,45 kmq.) si sviluppa in forma allungata, in modo da spingersi fin nell'alta zona murgiana. Le colture sono perciò svariate: i cereali nella parte più alta; la vite, l'ulivo, il mandorlo, il carrubo e gli altri alberi da frutta nella zona bassa; l'area più propriamente murgiana è coperta da pascolo, e perciò in essa è discretamente curato l'allevamento del bestiame. Per qualità di olio, Bitonto è nota fra le prime località d'Italia. Bitonto è sulla tramvia a vapore Bari-Barletta ed è congiunta con la sua frazione marittima Santo Spirito, sulla ferrovia Bari-Foggia, mediante un tronco tramviario a trazione elettrica; ma Bitonto è al punto d'incontro di numerose vie rotabili che provengono dalla periferia del suo territorio comunale e in essa convergono. La frazione di Santo Spirito, fra Giovinazzo e Bari, allo sbocco di un avvallamento (o "lama"), è diventata centro balneario assai frequentato e luogo di villeggiatura di molte famiglie baresi.
Monumenti. - Bitonto è famosa per la cattedrale, che, sul finire del sec. XII, rappresenta il più completo sviluppo tra le grandi chiese romaniche di Terra di Bari, derivate dalla basilica di S. Nicola nella capitale pugliese. Costruita dal 1175 al 1200, la cattedrale ha pianta a T, con tre navate divise da quattro colonne per parte intercalate da un pilastro, tre absidi semicircolari celate all'esterno dal consueto prospetto posteriore a coronamento orizzontale, transetto in origine con due torri alle testate, che non sporgono dai fianchi; e questi ad arconi ciechi, chiusi nel sec. XIV per ricavarne cappelle gentilizie, e sormontati da un'aerea galleria di esafore, con arcatelle a triplice ghiera lunata su colonnette dai fusti variamente scolpiti e con capitelli a fogliami ed animali fantastici. Oltreché in tutti questi elementi costruttivi, anche nella cripta e nelle transenne a traforo che servono di parapetto alle scale d'accesso alla medesima fu imitata la basilica di S. Nicola in Bari. La facciata, nello schema generale, nella triplice divisione a mezzo di alte e robuste lesene, nel frontone con archetti rampanti, che si ripetono lungo il profilo spezzato da risega a gradino degli spioventi laterali, deriva da quella del duomo barese, risorto dopo la distruzione di Guglielmo il Malo nel 1156. La parte mediana della fronte ha un rosone sotto archivolto a larghe foglie d'acanto, che s'imposta sul dorso di due leoni sostenuti da colonnette pensili; al centro, due bifore; in basso, il portale maggiore, con ricchissima decorazione scultoria, e coronato da arcata a fogliame in forte aggetto, sostenuta da grifi su colonne con leoni stilofori, e analogo per composizione e fattura al finestrone absidale. Delle porte minori con stipiti ed architrave intagliati a racemi, la destra, nella lunetta, ha transenna a traforo divisa da colonnina verticale nel centro. Notevole sul fianco sud della chiesa la porta ogivale detta della Scomunica con incorniciatura a zig-zag di arte siculo-normanna. Ai pregi architettonici si aggiunge lo splendore dell'arredo marmoreo: gli amboni, rimossi dal luogo d'origine e rimaneggiati più volte. Il primo ambone ha la parte centrale della fronte decorata da lacunari e rosoni, mentre, nel mezzo, su cariatide umana, l'aquila si erge a sostegno del libro aperto; agli angoli, su cui posano cespi di foglie con sfere incise e coperte di intrecci, due colonnette a spira portano il leone ed il toro alati, i quali con le figure precedenti completano il gruppo dei simboli evangelici; nel parapetto della scala un curioso bassorilievo di marmo raffigura forse Federico II con altri personaggi della famiglia imperiale. Sotto il libro è inciso il nome dello scultore Nicolaus magister e sotto la lastra di base della cassa, sorretta da due colonne con capitelli corinzieschi moderni, si legge un'altra iscrizione con la firma dello scultore ripetuta e la data: Hoc opus fecit Nicolaus sacerdos et protomagister anno millesimo ducentesimo vigesimo nono indictionis secunde.
A maestro Nicolò si deve attribuire l'altro ambone rettangolare, di marmi policromi, decorato nel prospetto da intrecci a cerchi e losanghe curvilinee, entro le quali un'aquila od altro animale è raffigurato con pasta dipinta e dorata, coperta da lastrine di vetro. Di finissimo intaglio sono le quattro colonnette marm0ree di sostegno con fusti scolpiti a palmette o striati a spirale, con capitelli adorni di foglie, sfere a conchiglia ed uccelli affrontati. Per la stessa tecnica, precisa e secca come cesello metallico, anche la vasca battesimale appartiene forse a Nicolò, valente scultore e architetto, s'egli è lo stesso il cui nome si ritrova nella cornice del primo ordine, sopra l'arcone che porta il campanile del duomo di Trani. Del primitivo tabernacolo, che imitava il ciborio del S. Nicola di Bari, oltre un capitello si conservano alcune colonnine di base alla copertura piramidale, l'iscrizione indicante l'autore Gualtiero da Foggia e la data 1240. (V. tavv. XIII e XIV).
In Bitonto scarso favore ebbe il gotico, del quale tuttavia è un saggio non scevro di certa grandiosità la superstite facciata della chiesa di S. Francesco, con ampia trifora e portale ad arco acuto. Numerosi palazzi, spesso forniti di cortili di toscana eleganza, talora con robuste facciate di bugne rustiche e snelle arcate, attestano invece quanto profonde fossero le radici delle antiche tradizioni e con quale rigoglio rifiorissero le forme classiche del Rinascimento. Tra questi più d'ogni altro si distingue per ricchezza il palazzo Sylos-Labini con un lato della corte a doppio ordine di logge recinte al primo piano da balaustrata adorna di busti a tutto tondo, che emergono anche da ghirlande nei pennacchi degli archi sottostanti, teste e busti di profilo in bassorilievo, gorgoni e mascheroni, angioli reggenti stemmi e cartelle, figure di cavalieri, ecc. Al sec. XV rimonta anche la chiesa di S. Domenico nella quale è la tomba quattrocentesca di P. Bovio.
Sono del '600 la chiesa di S. Gaetano, con modesta facciata, e la chiesa del Purgatorio con portale decorato da scheletri umani in rilievo, opera di bizzarro scultore, al quale, per l'analogia e il carattere dei macabri elementi adottati nella composizione si devono forse attribuire i due sepolcri posti a ridosso dei pilastri della nave maggiore della cattedrale.
In piazza della Cattedrale, in fondo a via Carlo III, l'Obelisco Carolino, un sontuoso basamento del sec. XVIII che porta al sommo l'Immacolata e ricorda la vittoria dei Borboni sugli Austriaci (1734).
Bibl.: H. W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresda 1860; A. Avena, Monumenti dell'Italia Meridionale, Roma 1902; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, II e III, Milano 1902 e 1903; E. Bertaux, L'Art dans l'Italie Mérid., Parigi 1904; A. Vinaccia, I monum. mediev. di Terra di Bari, Bari 1915; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927.
Storia. - Butuntum, città messapica, fu abitata da coloni greci; in varî punti del suo territorio si trovano vasi fittili, avanzi di sepolcri e monete, alcune delle quali hanno l'immagine di Zeus, o da un lato la testa di Pallade armata di cimiero, e dall'altro la spiga di grano con la scritta Bytontynon.
Divenuta romana, fu elevata a municipio; dell'epoca romana si hanno tracce nei sepolcreti, nelle monete e nei pochi avanzi delle mura (v. iscrizioni latine in Eph. epigr., VIII, 75; varie scoperte di tombe in Notizie Scavi, 1887 e 1897). Poi, nell'età barbarica, decadde, e fino al sec. XI non se ne ha più ricordo.
Nel 1010 avvenne presso Bitonto lo scontro fra Greci e Melo, che sconfitto fuggì dalla sua terra. Nei secoli XI e XII la città dovette avere una certa prosperità, se poté elevare chiese di notevole importanza artistica e costruirsi la magnifica cattedrale.
Durante le guerre tra Giovanna I d'Angiò e il cognato Luigi d'Ungheria ebbe a soffrire saccheggi e devastazioni: Bitonto si diede agli Ungheresi, e perciò fu assediata per diciassette giorni dal principe di Bari. I cittadini capitolarono per fame a patti onorevoli.
Nel 1440 Bitonto era feudo di Antonio Caldora, poi di Giovanni, conte di Ventimiglia e marchese di Ierace; infine, per la pace conclusa nel 1459 tra il re Ferdinando d'Aragona e Giovanni Antonio Orsino principe di Taranto, rimase a costui che la donò poi al genero Giovanni Antonio Acquaviva. Questi tiranneggiò la cittadinanza, che nel maggio 1495 espose le sue lagnanze al commissario di Carlo VIII re di Francia.
Nei primi del sec. XV subì scorrerie e spogliazioni da parte degli eserciti spagnoli e francesi, e nel 1507 Ferdinando il Cattolico la donò a Consalvo di Cordova. Il marchesato di Bitonto rimase agli eredi del gran capitano fino al 1551, quando, essendo la città in condizioni economiche fiorenti, volle riscattarsi da ogni signoria, e col pagare 86 mila ducati ottenne la libertà bramata e lo sgravio da ogni vessazione fiscale.
Nei secoli successivi la città, per il suo castello, era considerata come una notevole piazza forte; nel 1734, allorché il viceré austriaco si vide assalito dalle milizie di don Carlo di Borbone, guidate dal conte di Montemar, lasciò Bari e raccolse le sue truppe a Bitonto, sperando, invano, di essere spalleggiato da quel forte baluardo. La battaglia, sfavorevole agli Austriaci, assicurò a don Carlo il dominio del Mezzogiorno.
Bibl.: E. T. De Simone, Notizie istoriche della città di Bitonto, voll. 2, Napoli 1876; L. Volpicella, Gli statuti per il governo municipale delle città di Bitonto e Giovinazzo, Napoli 1881.