Bob
Le origini del bob risalgono alla comunissima slitta, conosciuta sulle montagne, in tutte le parti del mondo, come mezzo di trasporto per portare a valle ogni genere di merce. Tanto negli antichi racconti di tribù indiane d'America quanto nella storia delle nostre montagne la slitta ‒ o luge o sleigh ‒ è sempre presente, anche se costruita in modi diversi a seconda delle specifiche esigenze. Si trova così traccia di slitte a un solo pattino, impiegate principalmente per le persone, o a due pattini tenuti insieme da listelli di legno e strisce di cuoio. L'evoluzione di tali mezzi rudimentali portò all'introduzione del toboggan, più veloce e sicuro.
Lanciato su pendii innevati o su strade ghiacciate, il toboggan diede inizio ai piaceri degli sport invernali molto tempo prima che si affermasse lo sci: se ne appassionarono i turisti delle località montane alla moda, specialmente Davos e St. Moritz sulle Alpi svizzere. Negli anni Ottanta del 19° secolo i sempre più numerosi praticanti costituirono una loro associazione, individuando nei pendii del Cresta Run, tra St. Moritz e Celerina, e nella strada tra Davos e Klosters il teatro ideale delle loro spericolate discese. Presto però il toboggan risultò troppo rigido e duro per correre sulle piste ghiacciate e si pensò quindi di introdurre veri e propri pattini, che fecero guadagnare in velocità ma perdere in sicurezza: era infatti difficile mantenere il percorso stabilito e inoltre l'eccesso di velocità causava molti incidenti. Fu così che nel 1889, il maggiore W.H. Bulpetts presentò il primo toboggan con elementi di acciaio, da lui costruito insieme a Christian Mathis, fabbro ferraio di St. Moritz. Questo prototipo, pur avendo un semplice rastrello da giardiniere come freno e un doppio carrello montato su pattini d'acciaio, possedeva già un sistema di comando a fune: successive soluzioni mirate ad aumentare la velocità e la sicurezza portarono all'utilizzo di un sistema di sterzo. Il nuovo mezzo, cui fu dato il nome di bob-sleigh ("guidoslitta"), poteva avere due o più sedili. L'equipaggio guidava in posizione seduta, a differenza di altri mezzi, in uso principalmente a Davos, in cui si scendeva in posizione 'ventre a terra'.
Il 21 dicembre 1897 gli appassionati del toboggan e del bob si unirono, costituendo il St. Moritz bobsleigh club, che attraverso un comitato di cinque membri cercò di dare una prima regolamentazione al nuovo sport, oltre a curare la sistemazione della pista del Cresta Run che fu adattata alle nuove esigenze. Il 5 gennaio 1898 vi si tenne la prima corsa ufficiale. L'equipaggio vincitore era composto da G. St. Aubyn, guidatore e capitano, Mrs. Shepley e Miss Davidson, passeggere, il maggiore De Winton e H.N.P. Shaw, frenatori. Le grosse slitte in uso in quel tempo trasportavano cinque o sei passeggeri e le prime regole delle gare prevedevano che due fossero donne.
Il bob divenne uno sport molto popolare tra gli appartenenti all'alta società che soggiornavano nelle località invernali delle Alpi svizzere e registrò presto una forte espansione anche in Austria, Italia e Germania, dove ebbe un forte impulso grazie al principe ereditario tedesco Federico Guglielmo. Nel 1903, in seguito a continue contese con le autorità comunali che proibivano l'uso delle strade alle corse di bob, il St. Moritz bobsleigh club si fece promotore della progettazione e costruzione di un percorso strutturato al di fuori delle strade aperte alla pubblica circolazione e fu così realizzata la prima pista artificiale, con rettilinei e ripari di ghiaccio sulle curve, che da St. Moritz scendeva al Parco Badrutt di Celerina.
Non esistevano in quegli anni normative in merito alle attrezzature e all'abbigliamento, che molte documentazioni del tempo rivelano essere stati alquanto stravaganti. I membri maschili delle squadre di solito indossavano spessi cappelli di lana, calati in profondità sul viso, che lasciavano scoperti solo gli occhi e il naso, pesanti maglioni e guanti lunghi fino ai gomiti, gambali di pelle o di pesante tela di canapa e scarpe d'alta montagna. Le donne erano vestite con lunghi maglioni invernali e stivali, cappuccio o cappelli a tesa larga. Ben presto, però, si dovette abolire la regola che riguardava la presenza femminile in squadra, poiché non era facile trovare donne disposte a correre il rischio di effettuare una gara su un percorso poco sicuro e con un mezzo tanto pericoloso. Dalle classifiche del tempo si rileva che i bob avevano tutti nomi piuttosto suggestivi e fantasiosi: Satan ("Satana"), Red Eagle ("Aquila rossa"), Bat ("Pipistrello"), Sparrow ("Passero"), Virgin ("Vergine") e altri ancora. Il conte francese Renaud de la Frégeolière, che più tardi divenne il primo presidente della Federazione internazionale, chiamò la maggior parte dei suoi bob Jeanne d'Arc.
Presto furono aperte piste naturali un po' dappertutto lungo i versanti delle Alpi, e anche in America si iniziò a praticare questa disciplina. L'Austria organizzò il primo Campionato nazionale nel 1908, seguì la Germania nel 1910. Il primo Europeo fu disputato nel 1914. Quando si pensò di organizzare i Giochi Olimpici anche per gli sport invernali, il bob ebbe così tanti sostenitori che non si poté fare altro che includerlo: fece la sua apparizione già alla prima edizione che ebbe luogo a Chamonix nel 1924. Le gare effettuate in quella occasione furono anche riconosciute come primo campionato internazionale. Risultò vincitore l'equipaggio svizzero guidato da Eduard Sherrer con cinque passeggeri.
Un anno prima era stata costituita la FIBT (Fédération internationale de bobsleigh et tobogganing), che ancora oggi dirige questo sport. Della fondazione si fece promotore, per incarico delle autorità sportive francesi, un redattore del famoso giornale parigino Le Figaro, Franz Reichel, egli stesso bobbista appassionato. Invitò a Parigi il pilota di bob Pierre Golay in rappresentanza della Svizzera, il maggiore B.M. Patton per la Gran Bretagna, il giocatore di calcio Allan Muhr per gli Stati Uniti e i francesi François Alebert, Maurice Mayuns e Renaud de la Frégeolière. Nello stesso giorno venne costituita la FIBT e, su proposta dello stesso Reichel, il conte de la Frégeolière venne eletto presidente, carica che mantenne per trentasette anni, fino al congresso internazionale di Cortina del 1960, quando venne nominato presidente onorario e sostituito nell'incarico dall'italiano Amilcare Rota.
Il primo Campionato del Mondo organizzato dalla FIBT fu disputato nel 1927 a St. Moritz e fu vinto dall'equipaggio inglese a cinque pilotato da C.N. Martineu. Le associazioni americane di bob, che non facevano parte della FIBT e di conseguenza non erano riconosciute dal Comitato internazionale olimpico, vi aderirono nel 1928 proprio in tempo per partecipare ai secondi Giochi Olimpici invernali, tenuti nello stesso anno a St. Moritz. Gli americani si imposero su tutti gli altri concorrenti e conquistarono la medaglia d'oro con Willy Fiske e quella d'argento con l'equipaggio pilotato da Jennison Heaton.
Durante i primi congressi della FIBT vennero emanate le regole che, con successive modificazioni, portarono al pieno inserimento della disciplina nell'ambito degli sport invernali. A Davos, nel 1928, venne abolita la posizione sdraiata 'ventre a terra', ritenuta non sufficientemente atletica e restrittiva se si volevano migliorare le prestazioni di gara. Nel 1930 il numero dei membri dell'equipaggio fu ridotto a quattro, mentre nel 1931 fu introdotta la gara di bob a due. I verbali del congresso del 1938 riferiscono del primo tentativo di illecito operato nella disciplina: ai Giochi Olimpici di Garmisch-Partenkirchen del 1936 fu ritrovata una cintura imbottita di piombo del peso di 15 kg, dimenticata da un equipaggio. Furono successivamente stilati i primi regolamenti sulla costruzione dei mezzi, includendo limitazioni nel peso e nelle misure.
Nel corso degli anni i continui aggiornamenti dei regolamenti, dettati principalmente dall'esigenza di migliorare la sicurezza durante la gara relativamente sia ai mezzi sia alle piste, hanno consentito un salto qualitativo che ha portato il bob a connotarsi come uno sport della velocità praticato da atleti ben allenati, con mezzi tecnologicamente molto sofisticati, su piste altamente spettacolari, disegnate in modo da esaltare le prestazioni, assicurando allo stesso tempo la massima sicurezza agli equipaggi.
Si è già detto che le regole delle prime gare di bob prevedevano che almeno due membri dell'equipaggio fossero donne e di tale partecipazione femminile restano numerose testimonianze fotografiche. Tuttavia già al congresso di costituzione della Federazione internazionale nel 1923 si parlò dell'opportunità di escludere le donne dalle gare ufficiali, decisione che fu formalizzata al congresso di Davos del 1928. Nel 1932 venne avanzata la proposta di consentire alle donne il ruolo di pilota nel bob a due e di membro dell'equipaggio nel bob a quattro, ma si rimandò la discussione al congresso successivo, quando la richie-sta fu respinta, malgrado il parere favorevole del presidente de la Frégeolière. Non se ne parlò più per vent'anni, fino al 1955, quando la Cecoslovacchia ripropose la questione, ma invano. Nel 1975, al congresso di Cervinia, la proposta fu avanzata nuovamente dalla Francia, ma nonostante il presidente Rota dichiarasse che "la normativa internazionale non conteneva alcuna restrizione riguardante il sesso dei concorrenti" gli stessi francesi non fecero più alcun tipo di pressione e non se ne fece nulla. Ci vollero altri diciassette anni prima che la 'questione femminile' fosse affrontata di nuovo durante un congresso FIBT: se ne fece promotrice la Gran Bretagna nel 1992 a Lillehammer. A quel tempo le donne avevano già iniziato a praticare il bob in un loro circuito di gare, ma soltanto nel 1995 a Treviso la Federazione internazionale autorizzò ufficialmente le gare di campionato di bob femminile, che ha esordito alle Olimpiadi di Salt Lake City nel 2002.
Anche in Italia agli inizi del 20° secolo il nuovo sport richiamò l'interesse di non pochi neofiti, specialmente nelle valli del Trentino e del Veneto. Le cronache del tempo attribuiscono al conte Federico Terschak il merito di averlo importato a Cortina, destinata a divenire la sede per eccellenza del bob italiano. Qui, sulla strada del Passo Falzarego, nel 1922 si tenne il primo Campionato italiano. L'anno successivo fu costruita, per opera di Raffaele Zardini, la pista di Ronco; mantenuta costantemente in efficienza fino alla sua completa revisione in occasione dei Giochi Olimpici invernali del 1956, è tuttora una delle piste artificiali più tecniche del mondo. Altre piste furono costruite a Bardonecchia nel 1933 (in occasione dei Campionati Mondiali universitari), sul Mottarone (per volere del conte Luigi Tornielli, primo direttore tecnico del bob italiano), e nel 1966 a Cervinia (quest'ultima rimasta in funzione fino al 1992).
Nel 1925 si costituì il Bob club d'Italia, che nel 1926 si unì alla Federazione italiana di pattinaggio e alla Federazione italiana di hockey sul ghiaccio a formare la Federazione italiana sport del ghiaccio (FISG), di cui primo presidente fu il conte Alberto Bonacossa. La FISG rimase autonoma fino al 1933 quando confluì nella Federazione italiana sport invernali.
Il 1930 vide la prima vittoria azzurra ai Campionati del Mondo, con l'equipaggio composto da Zanietta, Biasini, Dorini e Rossi. Ma la grande stagione del bob italiano fu quella degli anni Cinquanta e Sessanta e ne fu protagonista Eugenio Monti, detto 'Rosso volante' per il colore dei capelli e per il coraggio che dimostrava in gara.
Nato a Dobbiaco nel 1928, ma sempre vissuto a Cortina d'Ampezzo, Monti era una speranza dello sci italiano e sembrava destinato a raccogliere il testimone da un altro grande dello sci, Zeno Colò. Prediligeva la discesa libera, ma riusciva benissimo anche negli slalom. Nel 1950, a Mürren, nella discesa del Kandahar, arrivò secondo a soli due centesimi da James Couttet. A Cortina vinse i titoli italiani sia in slalom sia in gigante e fu medaglia di bronzo in libera, dietro a Roberto e Alfonso Lacedelli. Poi, in una brutta caduta sulla Banchetta durante una seduta di allenamento al Sestriere, si frantumò entrambe le ginocchia e con esse le speranze di proseguire la carriera di sciatore. Passò allora al bob, mantenendo immutato l'amore per la velocità. Alla settima discesa effettuata aveva già eguagliato il record della pista di Ronco; nel 1954 era campione italiano di bob a due e bob a quattro e nel 1956 affrontò le Olimpiadi di Cortina da favorito. Giunse soltanto secondo dietro a Lamberto Dalla Costa ‒ che portò in gara un bob nuovissimo tenuto gelosamente nascosto ‒ ma da allora fu un crescendo di vittorie su ogni pista: sette Campionati del Mondo nel bob a due e nel bob a quattro, oltre a quattro medaglie olimpiche, due d'argento e due di bronzo. Monti non riusciva però a vincere le Olimpiadi: secondo dietro a Dalla Costa nel 1956, annullate nel 1960 le gare di bob a Squaw-Valley ‒ dove non si poté realizzare la pista ‒, a Innsbruck nel 1964 fu lui stesso ad aiutare i rivali inglesi Nash-Dixon, offrendo loro un bullone dei pattini, indispensabile per effettuare la discesa; fu battuto, ma la sua sportività gli valse l'assegnazione del prestigioso Trofeo fair play Pierre de Coubertin. Al titolo olimpico Monti giunse soltanto a 40 anni, nell'edizione di Grenoble del 1968, sulla pista dell'Alpe d'Huez: vinse la medaglia d'oro nel bob a due con Luciano De Paolis e nel bob a quattro con Zandonella, Armano e lo stesso De Paolis.
Due grandi atleti, frenatori, contribuirono in maniera determinante alla leggenda del 'Rosso volante'. Il primo fu Renzo Alverà, che condivise con Monti i primi allori nazionali e internazionali fino ai vittoriosi Campionati Mondiali di Cortina nel 1960, dove nel bob a quattro lasciò il posto a Sergio Siorpaes. Insieme a Siorpaes, Monti scrisse le pagine più fulgide del bob italiano, dividendo con lui innumerevoli vittorie e anche il Trofeo fair play. In seguito a un rovinoso incidente sull'Alpe d'Huez, nel corso dei Campionati del Mondo del 1967 condotti al comando fino alla seconda manche, Siorpaes, feritosi gravemente a un braccio, fu costretto ad abbandonare l'attività agonistica. Da allora si dedicò alla costruzione dei bob, diventandone uno dei maggiori produttori al mondo, ancora oggi tra i più apprezzati.
Da Cortina venivano altri atleti che in quel periodo resero la scuola italiana di bob la più prestigiosa in campo mondiale. Ricordiamo Rinaldo Ruatti, che iniziò l'attività usando gli pseudonimi 'don Pedro' e 'Caviglia' per nascondere al padre la sua passione per il bob che praticava di nascosto; divenne campione mondiale, con De Lorenzo come frenatore, a Garmisch-Partenkirchen nel 1962. L'anno successivo, a Innsbruck-Igls, il titolo iridato passò a Sergio Zardini, che vinse nel bob a quattro con Della Torre, Mocellini e Bonagura; dopo aver conquistato molte medaglie d'argento e bronzo sulle piste di tutto il mondo, Zardini perse tragicamente la vita in un incidente durante una prova. Alla fine degli anni Sessanta un altro cortinese, Gianfranco Gaspari, arrivò alla ribalta del bob mondiale: dopo aver vinto una serie di campionati italiani, nel 1969 ai Campionati del Mondo di Lake Placid, si aggiudicò la medaglia di bronzo nel bob a due e quella d'argento nel bob a quattro e nel 1971, ai Campionati Mondiali di Cervinia, vinse il titolo mondiale nel bob a due in coppia con Armano.
Negli stessi anni si mise in luce anche il 'cadorino' Nevio De Zordo: ai Mondiali del 1967 sull'Alpe d'Huez conquistò, con De Martin, la medaglia d'argento nel bob a due; nel 1969 arrivò all'oro sulla pista americana di Lake Placid questa volta in coppia con Frassinelli. Dopo il ritiro di Monti ereditò, nel bob a quattro, l'equipaggio olimpico Zandonella, Armano e De Paolis con il quale vinse il titolo mondiale sulla tortuosa pista di St. Moritz nel 1970. Alle Olimpiadi giapponesi di Sapporo 1972, in un clima avvelenato da polemiche con Monti, allora direttore tecnico nazionale, De Zordo riuscì con Dal Fabbro, Frassinelli e Bonichon a vincere solamente una medaglia d'argento. L'ultimo sprazzo dell'epoca d'oro, ormai incalzata dalle nuove tecnologie meccaniche e dalle inedite metodologie d'allenamento degli atleti delle nazioni avversarie, venne offerto da un equipaggio che riuniva i due poli del bob italiano dell'epoca: Cortina e Cervinia, con Giorgio Alverà e Franco Perruquet. Il titolo mondiale vinto sulla pista del Lago Blu a Cervinia nel 1975 segnò la fine del lungo predominio azzurro.
Dovettero passare vent'anni prima di rivedere un equipaggio italiano sul podio di una competizione mondiale: questa emozione venne offerta alle Olimpiadi di Lillehammer del 1994, quando Günther Huber, pilota, e Stefano Ticci, frenatore, riuscirono a riscattare con un bronzo la medaglia di 'legno' rimediata alla precedente edizione di Albertville. Dopo il ritiro dalle competizioni di Ticci, senz'altro uno dei più grandi frenatori di tutti i tempi, Huber, altoatesino di San Lorenzo, quarto fratello di una famiglia di campioni, imbarcò sul suo bob un abruzzese di Casalbordino, Antonio Tartaglia con il quale vinse un oro olimpico nell'edizione giapponese di Nagano del 1998.
I tipi di bob utilizzati in competizione hanno subito nel tempo sensibili trasformazioni tecniche. Inizialmente il tipo più diffuso in Europa e anche in America presentava un sistema di guida a tiranti con funi metalliche munite di maniglie, poi sostituito da un altro sistema di guida con volante e freni posteriori composti da denti metallici manovrati mediante una leva. Nel 1928, a St. Moritz, fu ammesso solo il bob a volante alto. Fu questa una delle prime norme tecniche che interessarono direttamente le caratteristiche del mezzo meccanico, che nel tempo ha subito sostanziali innovazioni riguardo sia al peso sia alle carenature.
Se già un sensibile progresso tecnico si registrò con il passaggio dai primi bob Bachman, comparsi a Davos nel 1896, ai famosi Feierabend che prendevano il nome di un campione svizzero, divenuto poi costruttore specializzato, fu un italiano di Cortina, Evaldo D'Andrea 'Podar', a intuire le esigenze imposte dalle nuove piste e dai nuovi regolamenti. Egli realizzò mezzi con carenatura alta, guida a tiranti e non più a volante, leve di spinta anche per gli interni, schienalini per tutto l'equipaggio in luogo delle cinghie.
Il bob era ormai diventato una disciplina sportiva altamente agonistica e nulla poteva più essere lasciato al caso. Nel 1955 i primi studi di aerodinamica condotti nella galleria del vento della Moto Guzzi portarono alla realizzazione di una carenatura lunga, assolutamente innovativa per quel tempo, che contribuì alla vittoria olimpica dell'equipaggio italiano Dalla Costa-Conti davanti a Monti-Alverà nel 1956.
Una successiva importante innovazione meccanica, anch'essa dovuta a un costruttore cortinese, Sergio Siorpaes, fu rappresentata dall'introduzione di uno snodo nel mezzo del telaio, che permetteva una maggiore aderenza e scorrevolezza all'ingresso e all'uscita delle curve, consentendo un aumento notevole dell'indice di sicurezza.
Il bob attuale consiste fondamentalmente di un telaio in lega di ferro e carbonio che poggia su due coppie di pattini di acciaio o titanio, poste alla distanza di 67 cm una dall'altra. La coppia anteriore è mobile, quella posteriore è fissa. I pattini hanno uno spessore minimo di 4 mm per il bob a due, di 6 mm per il bob a quattro. La copertura (l'abitacolo per l'equipaggio) è costituita da una carenatura a forma aerodinamica rotondeggiante, in lega di fibra di vetro o kevlar-carb, con lunghezza massima di 270 cm per il bob a due, di 380 cm per il bob a quattro. Il peso è fissato, compresi equipaggio e zavorra, in 390 kg per il bob a due, e 630 kg per il bob a quattro.
Il veicolo viene guidato da due maniglie formate da due tubi a semicerchio collegati a un sistema di leve molto semplice. Il sistema di guida al volante non è più in uso. Il freno è un pettine di sette denti costruito in acciaio e azionato da due leve governate dal frenatore.
In conseguenza di tali perfezionamenti del bob, è cambiata totalmente anche la scelta degli equipaggi. Da uomini pesanti e poco scattanti, che fungevano molto bene da zavorra, si è passati ad atleti sempre più preparati e capaci di dare al mezzo la spinta iniziale più potente, assicurandogli poi la maggiore velocità sul piano inclinato della pista, dove, appunto, l'accelerazione è direttamente proporzionale alla massa. Nell'era della moderna tecnologia, sia nella specialità del bob a due sia in quella del bob a quattro, l'azione atletica dell'equipaggio assume un'importanza sempre maggiore. Ritardi temporali rispetto ai migliori tempi effettuati sul tratto di accelerazione non consentono al pilota di recuperare nel tratto guidato e costituiscono un grave handicap che si ripercuoterà negativamente sul risultato finale.
Il miglioramento della prestazione atletica nel bob deriva da un allenamento meticoloso che mira a incrementare la potenza e la velocità espresse dai singoli e la coordinazione propulsiva dell'equipaggio. Il bobbista deve possedere una capacità di spinta e di velocità notevoli, abbinata a una massa corporea imponente per la trasmissione al mezzo della massima quantità di moto. La scelta di atleti che possiedono il fisico adatto e che quindi dispongono di queste qualità e fanno registrare le migliori prestazioni è in qualche modo dettata dal regolamento che fissa il peso limite complessivo di equipaggio e bob messi insieme. La presenza di un atleta non sufficientemente massiccio viene dunque a penalizzare tutto l'equipaggio, che è costretto ad accelerare un mezzo più pesante.
La pista per le gare internazionali è lunga almeno 1500 m (1200 m in caso di piste con refrigerazione artificiale) e comprende come minimo cinque curve, il cui raggio deve essere superiore a 25 m. Ogni curva è composta da una sopraelevata esterna, raccordata con il rettilineo di entrata e di uscita mediante un piano inclinato chiamato 'cucchiaio' che serve a facilitare il passaggio dalla posizione orizzontale a quella verticale. L'introduzione degli impianti refrigeranti artificiali (il primo fu realizzato a Königssee in Germania nel 1968) ha rappresentato una rivoluzione nello sport, permettendo agli atleti di allenarsi in qualsiasi stagione.
La linea di partenza è costituita da un asse di legno che segna l'ingresso in pista. Nella parte iniziale della gara si distinguono tre fasi: a) la prima corrisponde a un tratto quasi in piano (con pendenza di circa 1%) lungo 15 m, cui ne segue un altro, dove parte il cronometraggio, di circa 50 m; lungo questo tratto il bob, sotto gli impulsi di un'azione coordinata e potente, viene accelerato; b) la seconda corrisponde a un piano inclinato, lungo il quale il bob scende accelerando per effetto della componente di gravità, contrastata dalle forze d'attrito, in condizioni di velocità iniziale acquisita dalla spinta precedente; c) la terza corrisponde al tratto lungo il quale il mezzo raggiunge la massima velocità possibile. I bobbisti in sequenza determinano l'azione propulsiva ed entrano con rapidità nel bob. Questa sequenza è estremamente delicata e importante sia perché deve imprimere energia positiva al mezzo e non trascinare indietro il bob, sia perché l'inserimento dei bobbisti nel mezzo si deve svolgere in tempi rapidissimi per evitare che si determinino resistenze aerodinamiche (possibili nel caso in cui essi dovessero restare in piedi prima di sedersi), sia, infine, rispetto all'equilibrio delle masse che si devono disporre all'interno del mezzo con precisione, senza influire negativamente sulla traiettoria del bob che in quel momento è fuori dalle tracce e quindi molto sensibile.
Nella fase di spinta tutto l'equipaggio, che è composto da pilota, frenatore e nel caso di bob a quattro due interni, concorre a imprimere al bob una buona velocità iniziale che consenta di acquisire un vantaggio rispetto ai concorrenti. Nella posizione di partenza il frenatore si trova in piedi, posteriormente al bob; con le mani afferra saldamente il tubo delle spinte posteriori nella zona che inizia a curvarsi verso l'alto e in avanti; il busto prima del caricamento e del vero e proprio start è eretto; lo sguardo è volto in avanti, i piedi poggiano sull'asse di partenza. Nella fase di preparazione, il frenatore piega marcatamente gli arti inferiori con un angolo prossimo ai 90°, flette l'avambraccio sul braccio mentre il corpo rimane in equilibrio con piedi-ginocchia-spalle in asse verticale. Nella fase di start, il frenatore piega il busto in avanti raggiungendo quasi la posizione orizzontale; l'estensione coordinata di braccia, gambe e busto determina poi il primo avanzamento del bob. Quando il bob è avviato, un arto si porta avanti a cercare il terreno con una marcata azione di penetrazione del ginocchio, mentre l'altro, in appoggio sulla tavola, completa la sua azione propulsiva di spinta. Dopo l'avvio relativamente lento, il mezzo prende velocità e il frenatore cambia allora la posizione delle mani, ruotando il palmo di 90°, in modo che le braccia passino da una condizione di trazione (tiranti) a una di spinta (puntoni), con il raddrizzamento dell'assetto generale di tutto il corpo, e l'applicazione del punto di forza davanti alla linea delle spalle. L'atleta deve fare molta attenzione nelle ultime fasi della corsa in condizioni di spinta, cercando di raggiungere una velocità conciliabile con quella del bob in accelerazione.
Il pilota partecipa all'azione di spinta utilizzando un supporto posto lateralmente al bob. Per aumentare l'energia da trasmettere al mezzo, egli parte distanziato dal supporto, affiancandosi al frenatore con il piede posteriore poggiato sull'asse di partenza. Nella posizione di preparazione ha il busto inclinato, le gambe semipiegate, le braccia protese in avanti e le mani pronte ad afferrare il tubo di spinta. Al momento dello scatto, effettuando due o tre appoggi, 'si scaraventa' con veemenza sul supporto laterale del bob esercitando il massimo impulso possibile, cercando di armonizzare il proprio movimento con l'azione del frenatore. La fase che precede l'ingresso nel bob prevede un allineamento delle spalle sulla verticale della 'spinta', un ultimo impulso a terra e un richiamo degli arti inferiori verso dietro e in alto.
Gli interni si dispongono uno sul lato destro e l'altro sul lato sinistro, con la fronte rivolta verso la pista, le mani appoggiate sul tubo e il corpo in una posizione raccolta, simile a quella di un velocista di atletica che si prepari a eseguire uno scatto, con il piede interno posizionato sulla tavola cercando un solido appoggio. Occorre mantenere la posizione per il tempo necessario a tutto l'equipaggio per concentrarsi ed esplodere al via concordato in un'azione coordinata e sinergica.
Terminata la corsa, quando il bob ha raggiunto la massima velocità, il pilota e gli interni saltano in avanti e di lato, il frenatore salta in avanti: dopo aver appoggiato i piedi sul sedile ciascuno scivola lungo lo schienale e termina in posizione seduta. Il pilota assume la sua posizione con le mani sulle maniglia di guida.
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