Abati, Bocca degli
, Nobile fiorentino, di partito guelfo, e coi guelfi militante nella battaglia di Montaperti (4 settembre 1260) contro i ghibellini di Siena, i fuorusciti fiorentini capitanati da Farinata degli Uberti e i cavalieri inviati da Manfredi. Narra Giovanni Villani (VI 78): " e come la schiera de' Tedeschi rovinosamente percosse la schiera de' cavalieri de' Fiorentini ov' era la 'nsegna della cavalleria del comune, la quale portava messer Iacopo del Nacca della casa de' Pazzi di Firenze, uomo di grande valore, il traditore di messer Bocca degli Abati, ch'era in sua schiera e presso di lui, colla spada fedì il detto messer Iacopo e tagliogli la mano colla quale tenea la detta insegna, e ivi fu morto di presente. E ciò fatto, la cavalleria epopolo veggendo abbattuta l'insegna, e così traditi da' loro, e da' Tedeschi sì forte assaliti, in poco d'ora si misono in isconfitta " (vedi anche Ricordano Malispini, p. 171 ; per la priorirà delle due fonti storiche cfr. Malispini, Ricordano). Nei successivi anni di governo ghibellino, Bocca collaborò coi vincitori. Ma scacciati costoro (1266), i guelfi, tornati in città, si limitarono a inviarlo in esilio; il che sta a dimostrare che non v'era nessuna prova di tradimento contro di lui, mentre ben diversa sarebbe stata la vendetta dei guelfi (o forse la prova fu raggiunta solo molti anni dopo). Era già morto nel 1300.
D. ha creduto nell'identificazione in Bocca del traditore di Montaperti, a meno che non la si debba a D. stesso, permettendo ciò la complessa questione malispiniana. In If XXXII 73-123, passando i due poeti nell'Antenora, dove stanno i traditori e della patria e della propria Parte politica, D. urta col piede la testa, sporgente dalla lastra di ghiaccio, di uno dei dannati. L'ombra, sdegnata, gli chiede se D. sia venuto ad accrescergli la punizione della sua colpa di Montaperti (se tu non vieni a crescer la vendetta / di Montaperti, perché mi moleste?, vv. 80-81). Preso dal dubbio, D. vorrebbe che il dannato si nominasse, ma questi si. rifiuta con parole stizzite; onde D. gli afferra i capelli e lo minaccia; al nuovo rifiuto dell'ombra, che china il viso per non farsi riconoscere, D. mette in opera le minacce: Io avea già i capelli in mano avvolti, / e tratti glien' avea più d'una ciocca, / latrando lui con li occhi in giù raccolti (vv. 103-105), quando un altro dannato, per rimbeccare Bocca, ne grida il nome. D. è ormai pago d'aver smascherato il traditore, ma questi, per vendicarsi di esser stato riconosciuto, rivela a D. il nome del secondo dannato (Buoso da Duera) e di altri traditori, Tesauro de' Beccheria, Gianni de' Soldanieri, Gano, Tebaldello.
L'episodio riveste un notevole valore poetico in virtù, anzitutto, della diretta partecipazione di D. allo svolgimento drammatico del racconto (" La figura di D. domina in quest'episodio come in nessun altro dell'Inferno: è la sola volta che egli sia davvero il protagonista di un episodio ", commenta il Momigliano), a significare lo sdegno di D. non soltanto verso quel tradimento, che veniva a macchiare l'onore del partito del quale egli aveva fatto parte, ma contro i " metodi e le forme di tutta la politica dell'età comunale, vista e giudicata nel suo complesso " (Sapegno). La condanna si traduce non nell'enunciato di alti ideali d'onore e probità civica, ma in un gesto di violenza, la quale peraltro non vuol essere incontrollato abbandono all'istinto della crudele rivalsa, piuttosto il consapevole identificarsi di D. personaggio con lo strumento della ‛ vendetta ' divina. Eppure il personaggio di B. ha, a suo modo, un'angosciata nota di umanità, sebbene di una " protervia che dà anche al dolore qualcosa di bestiale, latrando lui" (Grabher), dove l'irritato opporsi alla curiosità di D. svela in qualche maniera la coscienza del disonore e della vergogna.
Bibl. - Tra le più recenti interpretazioni dell'episodio cfr. C. Jannaco, Il canto dei traditori, in Scritti di letteratura italiana, Firenze 1953, 37-60; C. Grabher, Il canto XXXII dell'Inferno, in Lett. dant. 611-625; G. Varanini, Il canto XXXII dell'Inferno, Firenze 1962; A. Pézard, Le chant des traîtres (Enfer, XXXII), in " Bull. Société d'Etudes dant. du C. U. M. " VIII (1959) 7-23 (poi in Letture dell'Inferno, Milano 1963, 308-342).