BOLANI DEGLI ACCOLTI, Giulio
Tipografo e libraio in Roma durante la seconda metà del sec. XVI, meglio noto come Giulio Accolti, perché solito sottoscrivere le sue edizioni "apud Iulium Accoltum" o "presso Giulio Accolto". La famiglia Bolani era di origine ternana; un ramo di essa si era trasferito a Roma sin dai primi anni del sec. XVI.
Non si sa quando nascesse il B.; certo è che nel 1550 abitava nel rione di Borgo, "dietro a' Banchi", ove aveva il suo modesto negozio di libraio con tipografia.
Per ovviare alla crisi che investiva l'industria e lo smercio del libro, Pio IV volle veder costituita quella "Stamperia del Popolo romano" (1561), che fu affidata alla direzione di Paolo Manuzio. Questi entrò in rapporto col B., e le relazioni fra i due, negli anni successivi al 1562, divennero molto amichevoli, come lasciano intendere talune frasi di lettere scritte da Paolo Manuzio al figlio Aldo, che era a Venezia. Quando la "stamperia del Popolo romano" si trovò a dover affrontare la pubblicazione del Breviarium Romanum, modificato da Pio V secondo i deliberati del concilio di Trento, Paolo Manuzio si trovò costretto a rivolgersi, per averne collaborazione, ad altri tipografi. Fallite le trattative con Nicolò Bevilacqua e protraendosi eccessivamente le trattative con Christofer Plantin, Paolo fu costretto a rivolgersi a quei tipografi romani che poco stimava, ma che erano i soli disponibili. Il primo a essere interpellato - e ad accettare - fu il Bolani.
Nel settembre del 1567 un contratto regolare fu stipulato tra il "Popolo romano" e "Giulio Bolani de Accoltis stampator dietro a' banchi" per stampare "a nome del Popolo romano li Breviarii novi et altri libri sagri a volontà de S.i Deputati bene et fidelmente et ben corretti a' tutte sue spese da carta in fori la quale il Popolo Romano sia obligato a darnela". Il B. aveva un solo torchio, insufficiente al lavoro assunto, e gli mancavano caratteri adatti, introvabili a Roma. Nel settembre del 1567 andò a rifornirsi a Venezia; il 27 sett. Paolo Manuzio scriveva al figlio: "Bolani è partito per Venezia per fornirsi di ciò gli bisogna a lavorar due torcoli nel Breviario in-8º... Credo che sarà la ventura di Giulio, perché si servirà di due figliuoli, di sua moglie e di se stesso". I caratteri furono fatti fondere dalle "madri di Comin da Trino" e piacquero al Manuzio. Il Breviarium Romanum in 8º uscì nel 1568 (dopo quello "da camera" in folio) con la sottoscrizione "in aedibus Populi Romani apud Paulum Manutium" senza che appaia il nome del Bolani. Il testo è preceduto dalla riproduzione della bolla Quod a nobis (9 giugno 1568) con la quale viene ordinata la stampa del Breviario stesso.
Che la collaborazione con il "Popolo romano" avesse fatto "la ventura di Giulio" è dimostrato dal fatto che egli, tra il 1567 e il 1571, stampò le migliori e più importanti sue edizioni, opere di impegno quali non aveva pubblicato prima. Oltre a testi religiosi, produsse opere di vario argomento profano, come Discorsi difortificazioni del napoletano G. Theti, con figure (1569), Annali della città dell'Aquila con la storia dei suoi tempi dell'aquilano Bernardino Cirillo (1570). Partecipò anche alla stampa della monumentale edizione delle Opere di S. Tommaso, patrocinata dal cardinale Grimani e sovvenzionata da Pio V con una elargizione di 5.000 scudi, concessi agli eredi di Antonio Blado e Giovanni Osmarino, che avevano assunto l'onere dell'edizione in diciotto tomi (diciannove volumi in folio). Essi chiesero l'intervento del B. che entrò nella combinazione per un terzo; così che si hanno copie dell'opera che recano la sottoscrizione: "apud haeredes Antonii Bladii et Ioannem Osmarinum Liliotum" e copie sottoscritte: "apud Iulium Accoltum". Ne furono stampate 1.000 copie, presto vendute. Quando Paolo Manuzio dovette cedere al Galletti i propri diritti sul "Popolo romano" (7 ag. 1570), prima di partire da Roma vendette al B. alcune serie di caratteri che questi si impegnò a pagare ratealmente. Ma nel 1571 egli venne a morte; e nel 1573, quando il Manuzio tornò a Roma, ancora gli eredi del B. non avevano estinto il debito.
La tipografia fu continuata dal figlio Vincenzo, che la proseguì per oltre un ventennio con decoro e buona attività.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. Capitolino, Stamperia, Arm. IV, reg. I, cc. 57, 86; Ibid., Arm. VII, reg. I, cc. 78, 107; Lettere diP. Manuziocopiate sugli autografiesistenti nella Bibl.Ambrosiana, Parigi 1834, pp. 95, 100, 111, 117, 130, 131, 277; E. Pastorello, L'epistolario manuziano, Firenze 1957, n. 1268, 1331, 1333, 1343, 1370, 1374, 1616; G. Fumagalli-G. Belli, Catal.delle ediz. romane di A. Bladoed eredi, Roma 1896, II, p. 144; H. Bohatta, Bibl. der Breviere, Leipzig 1937, p. 31, n. 273; F. Barberi, P. Manuzio e lastamperia del Popolo romano, Roma 1942, pp. 74-75, 93, 105, 184; F. Ascarelli, La tipografiacinquecentina italiana, Firenze 1953, p. 72.