Bologna
Nel contesto della lotta fra Federico II e i comuni dell'Italia settentrionale, Bologna rappresentò, assieme a Milano, l'asse portante del guelfismo padano.
La città conosceva allora una fase di grande espansione economica e territoriale: lo Studium si avviava a divenire il motore primo della crescita cittadina, mentre l'egemonia dei giuristi bolognesi era riconosciuta a livello europeo. Un'intensa attività edilizia caratterizzava il perimetro urbano, dove vennero potenziate le strutture difensive a causa della ripresa dei contrasti con l'Impero; sul territorio furono impostate importanti opere di regimentazione idraulica a sostegno delle attività artigianali.
Dal punto di vista istituzionale si andava affermando il comune popolare, grazie al convergere delle società delle arti e delle armi in parallelo e in concorrenza con l'organizzarsi dei nobili nelle due fazioni dei Geremei e dei Lambertazzi: da un lato iniziava a configurarsi l'opposizione magnati/popolo, dall'altro venivano poste le basi dello scontro aristocratico-nobiliare fra Geremei guelfi e Lambertazzi ghibellini, non nell'accezione consueta di filopapali e filoimperiali, ma piuttosto di filopapali e antipapali (Pini, 1998, p. 290). Si è notato, però, che in età federiciana non sono attestati scontri di parte aristocratica: le divisioni si erano placate per la necessità di far fronte contro l'Impero (Milani, 2001, p. 146).
I rapporti della città con Federico vertevano intorno a due punti fondamentali: l'Università e le mire espansionistiche del comune verso ovest, ai danni di Modena, e verso la Romagna a partire dal contado imolese. Gli scontri con Modena datavano già al secolo precedente, mentre l'espansione a est risaliva al 1213, quando Bologna, alleata con Faenza, aveva occupato il contado imolese in nome dell'imperatore; nel 1219 l'Impero aveva reclamato, invano, la restituzione dei territori, e le due città erano state colpite dal bando. Nel 1220 Bologna si ritirò, ottenendo l'assoluzione dal bando: si trattò, di fatto, dell'unico momento di accordo fra il comune e l'imperatore che, promulgata la Constitutio in basilica Petri (v.) il giorno della sua incoronazione, si affrettò a inviarla ai professori e agli studenti dello Studio bolognese perché la inserissero nel Corpus Iuris come materia di insegnamento.
Dopo appena due anni, però, Bologna riprendeva la sua politica territoriale ai danni di Imola, mentre la fondazione dello Studio di Napoli nel 1224 da parte di Federico determinava fra le parti un ulteriore contrasto, essendo contestuale il divieto fatto ai sudditi del Regno di Sicilia di studiare in altre sedi universitarie. Nel 1225 Federico emanò uno specifico atto di soppressione dello Studio bolognese, cui si sovrappose il bando imperiale del 1226 contro le città aderenti alla seconda Lega lombarda, dotato di una clausola che stabiliva la rimozione delle scuole nelle città interessate dal provvedimento. Al decreto di cassazione dello Studio il comune rispose con uno statuto che, opponendosi specularmente alle disposizioni imperiali, ne ribaltava punto per punto il significato, con una presa di posizione di notevole impatto politico e ideologico: infatti, "uno statuto comunale pretendeva di annullare del tutto gli effetti giuridici di una costituzione dell'impero e di un bando dell'imperatore. Era davvero il crollo dell'idea imperiale presso le città guelfe d'Italia" (De Vergottini, 1956, p. 53).
Nel 1226 la decisione imperiale di rivedere i confini tra Bologna e Modena a danno della prima, confermando a Modena tutti i privilegi imperiali e i diritti giurisdizionali, rese irrimediabile la rottura fra Federico e la città felsinea.
Dal rinnovo della Lega lombarda gli eventi si susseguirono in maniera convulsa, mentre la mediazione pontificia vedeva esaurirsi la fase interlocutoria del conflitto: ci si preparava, infatti, al confronto militare. Bologna intensificò la sua azione militare nello scacchiere regionale contro Modena e verso la Romagna, anche se il settore nevralgico rimase il Modenese: a difesa delle posizioni ghibelline nel 1239 Federico in persona guidò le sue truppe alla conquista di Piumazzo e Crevalcore, dopo che i bolognesi avevano distrutto il presidio modenese di Castel Leone. Bologna seppe comunque svolgere una politica insediativa in funzione bellica, mantenendo il controllo delle sue posizioni anche quando la Lega si trovò a vacillare per l'instabilità politica e le difficoltà di coordinamento fra le diverse città aderenti. Il rinnovo del giuramento, avvenuto proprio a Bologna nel 1231 e nel 1236, non servì a evitare nel 1237 la sconfitta di Cortenuova, patita soprattutto da Milano: "Bologna, che non sembra avere partecipato alla battaglia campale decisiva, continuava a apparire a distanza una città invulnerabile" (Vasina, Bologna, 1996, p. 199). Ugualmente salda rimase nel corso dei drammatici eventi che si succedettero nel decennio successivo (dal cambiamento di fronte di Ferrara, Parma e Ravenna, alla sconfitta imperiale di Vittoria), costituendo uno dei pilastri del fronte guelfo nell'Italia padana. La battaglia della Fossalta, nel 1249, avrebbe suggellato la sua posizione di rilievo e la sua intangibilità prodigiosa: le truppe bolognesi durante lo scontro catturarono Enzo di Svevia, figlio dell'imperatore, che fu condotto a Bologna dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1272. Il comune, infatti, si rifiutò sempre di trattare per la liberazione del prigioniero: "I Bolognesi non si piegarono. E l'imperatore si arrese: meno di un anno più tardi moriva. Non una menzione, nel testamento […] al figlio prigioniero, non una raccomandazione agli eredi perché continuassero a chiederne la liberazione, ovvero provvedessero alle sue necessità: l'imperatore-padre, che aveva mosso il figlio come una pedina sulla scacchiera italiana […] sembra abbia voluto dimenticare l'affronto dei nemici bolognesi, negando l'esistenza di quel prigioniero" (Trombetti Budriesi, 1996, p. 235).
fonti e bibliografia
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