CAVALIERI, Bonaventura
Matematico, nato a Milano nel 1598 (?), morto a Bologna il 30 novembre 1647. Entrato giovanissimo nell'ordine dei gesuati di S. Gerolamo in Milano, si trasferì intorno al 1616 a Pisa, dove poté essere guidato negli studî di matematica da Benedetto Castelli. Nei primi dell'anno 1619 fece istanza al senato di Bologna perché "volesse honorarlo di una lettura di matematiche" in quello studio, dichiarandosi "...professore delle matematiche et scolare del S. Galileo..." e soggiungendo che si trovava "per suplimento, nel studio di Pisa in loco del padre D. Benedetto Castelli, monaco Cassinense". Il Senato di Bologna non volle per allora provvedere alla cattedra. Il C. tornò per qualche tempo in Milano, e, dopo brevi soggiorni a Firenze e a Roma, andò a Parma, priore in quel monastero di S. Benedetto. Sul finire del 1628, essendo venuta a vacare nello studio di Bologna anche la lettura di matematica tenuta dal Cataldi (morto nel 1626), rinnovò le istanze per ottenere la condotta.
Le premure del Galilei, quelle non meno pressanti del Castelli e le concordi informazioni sul merito di lui mossero i signori del Reggimento della città di Bologna a promuovere il C. alla cattedra primaria di matematica, che egli occupò a partire dall'inizio dell'anno scolastico 1629 fino al termine della sua vita. Con breve di Urbano VIII il C. fu fatto priore perpetuo di S. Maria della Mascarella in Bologna, perché "... potesse stare con più quiete in quello, e non havesse altro Superiore al quale fosse soggetto"; poté dunque darsi pienamente agli studî suoi prediletti, e la sua attività scientifica fu solo turbata dai frequenti attacchi di gotta, che incominciarono a tormentarlo in giovine età, e più tardi gli tolsero quasi affatto l'uso delle gambe.
L'esercizio del suo insegnamento che richiedeva lo svolgimento della teorica dei pianeti ed esigeva il calcolo delle effemeridi per uso astrologico, lo obbligò per un lato ad approfondire la teoria copernicana, che, primo in Italia, egli divulgava dalla cattedra, e a rendersi famigliari le scoperte astronomiche del Galilei, e d'altro lato, pur rifuggendo dai pregiudizî della Giudiciaria, a fare la figura della sfera celeste, per quanto spetta all'astronomia. Questo aspetto della sua attività scientifica si manifesta nelle opere minori, le quali tuttavia sono notevoli, sia per interessanti nuovi sviluppi pertinenti alla trigonometria sferica, sia per le geniali applicazioni della teoria dei logaritmi, che egli per primo ha introdotto in Italia, sia per alcuni ritrovati pertinenti alla meccanica e all'ottica, fra i quali è da ricordare la scoperta delle formule che servono alla determinazione dei fuochi negli specchi e nelle lenti fatta nella Esercitazione Va (1647).
Ma l'opera capitale del Cavalieri, quella per cui egli rimarrà nella storia, è la Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota. Una lettera al Galilei del 15 dicembre 1621 prova che fin da quell'epoca il C. era in possesso delle idee fondamentali cui si impronta la sua geometria. Nel novembre 1627 l'opera era compiuta, ed egli ne dava notizia al Galilei dicendo: "Ho perfettionato un'opera di geometria... et è cosa nova, non solo quanto alle cose trovate, ma anco al modo di trovarle, da niuno adoperato insin'ora, ch'io mi sappi". Nel 1629 il manoscritto fu consegnato al Reggimento di Bologna, come titolo in appoggio alla domanda per la cattedra. Ma la stampa ne fu procrastinata, e non poté essere compiuta che nel 1635.
A ben intendere il significato storico dell'opera del C., occorre considerare che prima di lui la scienza geometrica non aveva fatto alcun sensibile avanzamento oltre i limiti che ad essa avevano segnati le opere di Archimede e Apollonio. L'intender quelle opere era già considerato come il massimo acquisto che potesse esser fatto dai cultori di scienza. Il maggior ostacolo a ogni ulteriore progresso consisteva nella stessa insuperabile perfezione delle opere classiche, che nascondeva ogni traccia dei procedimenti, piuttosto intuitivi che logici, che avevano giovato alla loro invenzione. Il C. seppe rientrare in possesso di quei procedimenti, presentarli sotto forma più generale e idonea a ulteriori perfezionamenti e mostrarne l'applicazione alla risoluzione d'infiniti problemi, che gli antichi non avevano saputo risolvere.
"La nuova teoria degli indivisibili (diceva il Torricelli nelle sue Lezioni accademiche) va per le mani dei dotti come miracolo di scienza, e per essa ha imparato il mondo che i secoli di Archimede e di Euclide furono gli anni di infanzia per la scienza della nostra adulta geometria". È meravigliosa difatti la diffusione che ebbe l'opera del C., e la forza di suggestione che seppe esplicare. In Italia il C., il Mengoli, il Degli Angeli, fuori il Gregory, il Tschirnhausen, il Barrow, lo Schooten, il Wallis arditamente s'inoltravano per la nuova via, che doveva guidare il Newton ed il Leibniz alla scoperta del calcolo infinitesimale.
Come fondamento logico della sua teoria, il C. aveva posto una genesi delle grandezze geometriche, per cui queste erano rappresentate come totalità di elementi primordiali, che furono detti indivisibili: la linea come totalità di punti, la superficie come totalità di linee, il corpo geometrico come totalità di superficie. Le misure di lunghezze, di aree, di volumi, la determinazione dei centri di gravità, erano così ricondotte alla somma d'infiniti indivisibili, cioè a quella operazione che oggi vien detta integrazione definita.
Il C., rifacendosi dagli elementi, costruì sulle nuove idee una sistemazione logica della geometria, e, per la pratica attuazione del suo metodo, espresse, sotto forma geometrica, quelle trasformazioni che ora servono a calcolare un proposto integrale per mezzo di altri che si suppongono noti (integrazione per parti, per sostituzione, per scomposizione in somme di termini integrabili); e, come termine di partenza, pose la effettiva determinazione degl'integrali delle potenze positive della variabile, cioè la proposizione che ora si rappresenta con la formula
La scoperta di questa proposizione, la coscienza della sua universalità e la valutazione della fondamentale sua importanza sono fra i meriti più insigni del C. Egli infatti rese in tal modo possibili ed effettivamente risolubili tutti i problemi che si riducono a integrazioni di funzioni razionali intere, e per un mezzo secolo la Geometria degli indivisibili ha reso alla scienza gli stessi servigi che ora essa riceve dal calcolo integrale.
Eccitato da taluni oppositori a chiarire la metafisica della sua teoria, il C. espose due diversi punti di vista, che dovevano diventare classici. Il primo di questi, che informa i sei primi libri della Geometria e la prima delle Esercitazioni geometriche, riconosce il suo fondamento nel concetto di continuità, che, in causa della rappresentazione geometrica, si manifestava sotto forma di movimento. Questo concetto si presentava spontaneamente nel momento in cui Galileo imprendeva lo studio del movimento fisico con l'applicare ad esso la geometria. Da questo punto di vista gl'indivisibili si possono rigorosamente considerare come privi di spessore, a condizione di supporli animati da una flussione, cioè da un movimento: gli enti geometrici sono fluenti nei loro indivisibili, e la misura dell'estensione si desume dal confronto collective degli indivisibili, hoc est comparando aggregatum ad aggregatum. Le parole fluente, flussione, e queste idee del Cavalieri ebbero più tardi fortuna nella scuola del Newton, che considerò il calcolo infinitesimale come calcolo delle flussioni.
La ulteriore veduta (ulterior methodus) del C., sviluppata nel libro VI della Geometria e nella Esercitazione II, appare guidata dai concetti, che allora si affacciavano alla scienza, di infinitesimo e di limite. In essa il conlronto fra gl'indivisibili dei corpi geometrici, vien fatto distributive, hoc est comparando singulatim, e il rapporto di due figure geometriche viene desunto dal rapporto fra un indivisibile (generico) dell'una e il corrispondente indivisibile dell'altra. Questa veduta porta alla considerazione degl'indivisibili come elementi geometrici aventi estensione non assolutamente nulla, ma infinitesima, e alla valutazione di rapporti fra i varî gradi d'infinitesimo e fra infinitesimi dello stesso grado.
Questi concetti, da lui appena intravisti, furono meglio sviluppati in talune produzioni geometriche dei suoi scolari, e segnatamente del Torricelli, e furono posti a base del calcolo differenziale e integrale, dal Leibniz, che esplicitamente riconosce nell'opera del C. il primo impulso alla sua teoria; lo stesso segno di integrazione ʃ fu infatti da lui introdotto come simbolo atto ad esprimere le quadrature cavalieriane (Utile erit scribi ʃ pro omn. ut ʃ l. pro omn. l., id est summa ipsorum l).
Sia dunque per le idee ed i principî, sia per le nuove scoperte che per essa furono fatte, sia per l'impulso che da essa fu impresso al progredire della scienza, l'opera del C. è dagli scienziati e dagli storici della scienza concordemente considerata come iniziatrice di una nuova era nella storia della geometria.
Opere principali: Directorium generale uranometricum..., Bologna 1632; Lo specchio ustorio, ouero trattato delle settioni coniche..., Bologna 1632; Geometria indivisibilibus continuorum noua quadam ratione promota, Bologna 1635; questa prima edizione è composta di 7 libri stampati in epoche diverse, in carta diversa, con numerazione separata, uniti in un volume; una seconda edizione (Bologna 1653) è nel fatto una ristampa, identica nel testo alla precedente, salvo la correzione degli errori tipografici; Compendio delle regole de triangoli..., Bologna 1638; Centuria di varii problemi..., Bologna 1639; Nuova prattica astrologica; Tavola prima logaritmica; Appendice, Bologna 1639; Trigonometria plana et sphaerica linearis et logarithmica, Bologna 1643; Exercitationes Geometricae Sex, Bononiae 1647 (la lettera dedicatoria porta la data 7 novembre 1647).
Bibl.: Una completa bibliografia del C., con le più accertate notizie della sua vita si trova nell'Elogio, scritto da G. Piola in occasione dello scoprimento del monumento eretto a lui in Milano nel 1844. V. anche la Biografia XXXI degli Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, pubbl. dal Favaro negli Atti del R. Ist. veneto, LXXIV (1914-15), pp. 700-767.