Bonaventura Cavalieri
Dopo un periodo di assimilazione della matematica classica, che si era protratto per tutto il secolo precedente, il Seicento è caratterizzato da un intenso lavoro di innovazione e di ricerca di strade nuove e più promettenti. Tra queste, la dottrina degli indivisibili, codificata nelle opere di Bonaventura Cavalieri, rappresenta un passo importante verso il superamento degli orizzonti della geometria greca e apre un terreno nuovo e fecondo per l’indagine geometrica.
Bonaventura Cavalieri nacque a Milano, molto probabilmente nel 1598, da una famiglia certamente non benestante (U. D’Aviso, Vita del P. Buonaventura Cavalieri, in Id., Trattato della sfera, 1682). Da giovane entrò nell’ordine dei gesuati di s. Girolamo, un ordine religioso poi soppresso; il 20 settembre 1615 prese gli ordini minori e poco dopo fu mandato a Pisa per perfezionarsi. La data precisa di questo trasferimento non è nota, ma con ogni probabilità esso avvenne non più tardi della prima metà del 1616.
Il soggiorno a Pisa segnò un punto di svolta nella vita di Cavalieri. Qui incontrò Benedetto Castelli, allievo di Galileo Galilei e lettore di matematica nella locale università, che alloggiava presso il convento dei gesuati. Castelli diede a Cavalieri le prime lezioni di geometria e, avendone riconosciute le capacità, si affrettò a presentarlo a Galilei.
Poco dopo il gesuato si trasferì a Firenze, dove restò più di un anno, insegnando privatamente la matematica a vari personaggi, tra cui Ascanio Piccolomini, futuro arcivescovo di Siena. Tornato a Pisa, sostituì Castelli nelle lezioni pubbliche, che però tenne non all’università ma nel convento dei gesuati.
Forte di queste esperienze, Cavalieri si sentì pronto per assumere un incarico più impegnativo. L’occasione gli venne dalla vacanza della cattedra di matematica all’Università di Bologna a seguito della morte dell’astronomo Antonio Magini, avvenuta nel 1617. Nel 1619 Cavalieri inoltrò la sua domanda di incarico al Senato di Bologna, che aveva la responsabilità del governo di quella università. Galilei, a cui Cavalieri si era rivolto per appoggio, si astenne però dal prendere qualunque iniziativa, e la faccenda non ebbe alcun seguito.
L’anno seguente si trasferì a Milano, dove cominciò un periodo di intensa attività scientifica che lo avrebbe portato alla formulazione della teoria degli indivisibili. Parallelamente, continuò nella ricerca di una lettura di matematica, che doveva concludersi solo nel 1629. All’inizio del 1626 lo troviamo a Roma, ospite di Giovanni Ciampoli, un prelato amico di Galilei e all’epoca in una fase ascendente della sua carriera curiale, nella speranza di ottenere un aiuto. Lì gli giunse la notizia che Castelli lasciava la cattedra di Pisa per trasferirsi proprio a Roma. Cavalieri si affrettò a proporre a Galilei la sua candidatura come successore di Castelli, ma la lettura era già stata assegnata a Nicolò Aggiunti. Così in un solo colpo svanivano le speranze di una cattedra sia a Pisa sia a Roma. Dopo nemmeno sei mesi dal suo arrivo, Cavalieri lasciò Roma per Parma, dove nel frattempo era stato nominato priore del monastero di S. Benedetto.
Anche a Parma le strade erano sbarrate, nonostante l’appoggio del cardinale Ippolito Aldobrandini. Qui infatti l’università era retta dai gesuiti, che non ammettevano all’insegnamento nessuno che non facesse parte del loro ordine. Dopo tanti tentativi, continuava a restare aperta solo la soluzione di Bologna, dove nel frattempo la situazione era cambiata a causa della morte nel 1626 dell’unico matematico rimasto, Pietro Antonio Cataldi. Fu probabilmente la necessità di coprire almeno una delle due cattedre di matematica che indusse il Senato bolognese a rompere gli indugi, e che quindi in ultima analisi giocò a favore di Cavalieri, il quale in tante traversie non aveva mancato di progredire nel suo trattato degli indivisibili, al punto che alla fine del 1627 poté mandare il manoscritto dei primi sei libri, praticamente pronto per la stampa, a Galilei, a Ciampoli (che la passò per un giudizio a Castelli) e a Cesare Marsili, un gentiluomo bolognese.
Questa volta Galilei, che non si era mai mosso in precedenza, non mancò di appoggiare la candidatura di Cavalieri, e il 25 agosto 1629 il Senato deliberò la nomina del gesuato, che poté cominciare a insegnare nell’ottobre dello stesso anno.
L’insegnamento all’università si svolgeva secondo un ciclo triennale, nel quale Cavalieri leggeva in anni successivi gli Elementi di Euclide, la Teoria dei pianeti e l’Almagesto di Claudio Tolomeo; un insegnamento di tipo tradizionale, nel quale però Cavalieri inseriva anche temi più moderni, come il sistema di Nicola Copernico, che continuerà a insegnare ex hypothesi dopo la condanna della teoria eliocentrica.
Tranne che per un breve periodo nel luglio 1636, Cavalieri non lascerà più Bologna fino alla morte, avvenuta il 30 novembre 1647.
Come spesso accadeva nel Seicento, solo dopo la sua nomina a professore Cavalieri cominciò a pubblicare le sue opere; in primo luogo quelle più facilmente apprezzate da un largo pubblico e dal Senato bolognese, da cui dipendeva la sua conferma all’Università dopo il periodo triennale di prova. La prima a vedere la luce fu un’opera di astronomia: il Directorium generale uranometricum. Dedicato alla trigonometria rettilinea e sferica, è essenzialmente una raccolta di tavole trigonometriche con le istruzioni per la loro applicazione al calcolo dei triangoli, un’operazione questa di largo uso in astronomia.
Anche in tale opera tutto sommato tradizionale Cavalieri non mancherà di introdurre novità e innovazioni. In primo luogo, l’uso dei logaritmi e le tavole relative, importanti sia per la loro precisione (in particolare per il calcolo dei logaritmi delle funzioni trigonometriche di piccoli angoli), sia perché si tratta delle prime tavole di logaritmi pubblicate in Italia, a diciotto anni dalla loro invenzione da parte di John Neper. Nel trattato preliminare troviamo novità di un certo rilievo, come l’introduzione del complemento del logaritmo, o cologaritmo, per evitare sottrazioni, e anche risultati nuovi e importanti come il teorema che asserisce che l’area di un triangolo sferico geodetico (cioè i cui lati sono porzioni di cerchi massimi) sulla sfera unitaria è uguale alla differenza tra la somma degli angoli del triangolo e due angoli retti: A=α1+α2+α3−π.
Il Directorium generale uranometricum era già pronto fin dal 1630, ma la peste che allora infuriava in Italia e la lentezza delle operazioni di stampa ne ritardarono la pubblicazione fino al 1632, giusto in tempo per la conferma di Cavalieri alla cattedra bolognese per un periodo di sette anni.
Nel frattempo Cavalieri aveva messo mano a una seconda opera che uscirà quasi contemporaneamente alla prima, un trattatello sulle sezioni coniche dal titolo accattivante Lo specchio ustorio, interessante anche perché in esso è contenuto il primo riscontro a stampa della teoria degli indivisibili, che Cavalieri usa per trattare il moto dei gravi.
La pubblicazione dello Specchio ustorio fu causa di una risentita reazione di Galilei che temeva di veder pubblicato da altri uno dei suoi risultati più travagliati e importanti: il movimento accelerato dei gravi e la traiettoria parabolica dei proiettili. Il suo disappunto fu però passeggero, e cessò alla lettura del volume in cui Cavalieri più volte ed esplicitamente attribuiva al Maestro la paternità dei risultati esposti. In effetti, già nel dicembre 1632 Galilei scriveva a Marsili, proprio a proposito dello Specchio ustorio, una lettera piena di elogi:
Devo rallegrarmi con lei nel vedere il felice progresso e la riuscita sopraumana di questo ingegno, commendatogli già da me e favorito da lei. […] Se il mio giudizio conserva ancora qualche credito appresso codesti Signori, io gli consiglierei a lasciar fare libero corso a questo intelletto per l’ampiezza delle scienze matematiche, per quella strada dove il suo genio lo tira, la quale anco è la più eccellente, e senza veruna comparazione sopravanza il calcolare effemeridi o formar direzioni (G. Galilei, Carteggio 1629-1632, in Id., Le opere, Ed. nazionale a cura di A. Favaro, 14° vol., nuova rist. 1968, p. 444).
Questo consiglio sembra essere stato accettato dal Senato di Bologna, dato che almeno per un certo periodo, a parte i suoi doveri di insegnamento, Cavalieri poté dedicarsi senza altre incombenze al perfezionamento della sua opera principale.
Cavalieri aveva cominciato a elaborare i temi della Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota fin dal 1621. In origine l’opera era stata concepita in sei libri, che erano già pronti nel 1627, e anche se con vari ritocchi e aggiunte sono passati direttamente alla stampa. Solo più tardi – non prima del 1634 – vi venne aggiunto il settimo. In effetti i due manoscritti in nostro possesso testimoniano una stesura in sei libri praticamente definitiva che, come sappiamo, era stata inviata a Castelli perché la rivedesse e in un certo senso ne certificasse la correttezza.
L’epoca della composizione della Geometria può essere stabilita con una certa precisione. Essa non era ancora terminata il 30 aprile 1627, quando Cavalieri scriveva a Galilei di «attendere a finire il resto dell’opera mia di geometria»:
Ho già fatto un libro del circolo et ellissi, un altro della parabola, e quasi finitone un altro dell’hyperbole e dei solidi che da questa ne vengono; resta ch’io registri il libro delle proposizioni lemmatiche, che già stanno in confuso, che poi sarà l’opera finita, piacendo a Dio (G. Galilei, Carteggio 1620-1628, in Id., Le opere, Ed. nazionale a cura di A. Favaro, 13° vol., nuova rist. 1968, p. 352).
I libri di cui Cavalieri parla sono il terzo, quarto, quinto e secondo della Geometria. A essi aggiungerà un primo libro ‘classico’, nel quale sono trattate le trasformazioni omotetiche delle figure, e il sesto libro, nel quale Cavalieri riporterà quasi letteralmente il «trattatello delle spirali» che aveva inviato a Galilei nel 1623. Alla fine del 1627 l’opera era già nelle mani di Castelli per una revisione ed era composta di sei libri, come risulta da due lettere di Cavalieri; la prima del 19 dicembre 1628 al cardinale Federico Borromeo:
io tuttavia vado componendo in matematica, havendo ritrovato cose bellissime da ridursi alla pratica, aggiunto un volume di sei libri di Geometria da mettere alla stampa (Carteggio, a cura di G. Baroncelli, 1987, p. 49),
e l’altra del 2 gennaio 1629 a Marsili, nella quale ricordava di avere «un’opera da stampare in geometria divisa in sei libri» (Carteggio, cit., p. 50). Ma pochi giorni dopo le cose si complicano, perché in una seconda lettera a Marsili, di poco successiva alla prima, Cavalieri ricorda di essersi
trattenuto lungo tempo nella compositione di 6 libri di Geometria alli quali hora son per aggiungerne due altri, ne’ quali si dimostra quasi un terzo delle cose principali di Euclide diversamente e con maggior facilità, e parimente tutto quello che ha dimostrato Archimede nel secondo de Sphaera et cylindro e nel libro de Conoidibus et sphaeroidibus e delle spirali, che son reputate delle più difficil cose in geometria, e similmente alcune cose d’Apollonio con modo più facile, più breve e più universale, alle quali cose aggiungerò alcune altre cose appartenenti alli specchi non solo sferici che furono fatti dal Magini, ma anco parabolici et iperbolici, che sono mirabilissimi per gli effetti che da questi ne seguono, non così noti a tutti e talvolta tenuti per favolosi (Carteggio, cit., p. 53).
Si riconosce qui parte del materiale che confluirà tre anni più tardi nello Specchio ustorio, ma anche una serie di temi archimedei, che solo in parte verranno poi sviluppati da Cavalieri. Egli comunque continua a lavorare sul tema, e nello scrivere a Muzio Oddi del Directorium appena pubblicato e dello Specchio ustorio che stava per uscire, può comunicargli che «quel mio libro poi di Geometria che procede per via delli indivisibili sta ancora sepolto, se ben aumentato il doppio di quel ch’ella lo vide», e descrivergli alcune delle novità che ora contiene (Carteggio, cit., p. 73). Solo nel 1634, quando già i fogli della Geometria si stampavano, Cavalieri scriverà a Galilei, mandandogli i primi cinque libri, che
poiché dubito che a molti sia forsi per dar fastidio quel concetto delle infinite linee o piani, perciò ho poi volsuto fare il settimo libro, nel quale dimostro per altra via, differente anco da Archimede, le medesime cose (G. Galilei, Carteggio 1634-1636, in Id., Le opere, Ed. nazionale a cura di A. Favaro, 16° vol., nuova rist. 1968, p. 113).
La stampa della Geometria doveva prendere ancora quasi un anno, e il volume vide la luce nell’aprile 1635. La sua diffusione fu dapprima piuttosto lenta, e ancora alcuni anni più tardi Cavalieri scriverà a Firenze per raccomandare la vendita di qualche copia.
Nel decennio che segue la pubblicazione della Geometria la maggior parte delle opere di Cavalieri è di carattere astronomico, quando non addirittura astrologico. Così nel 1638 esce il Compendio delle regole dei triangoli, un trattatello di trigonometria piana e sferica, seguito l’anno successivo dalla Nuova prattica astrologica, centrata sull’uso dei logaritmi in astronomia e astrologia. Insieme a questi e alle tavole relative, Cavalieri pubblica una Centuria di vari problemi, una collezione di problemi di argomento disparato, alla fine dei quali inserisce il problema della quadratura delle parabole di grado qualsiasi (in linguaggio moderno, delle curve di equazione y=xn), un problema che era stato trattato nella Geometria solo per la parabola classica e che si trova qui risolto fino al quarto grado. Si tratta di un problema che aveva occupato Cavalieri per molto tempo, senza che fosse riuscito a risolverlo, per mancanza di un’adeguata conoscenza dell’algebra, e la cui soluzione, dovuta a Pierre de Fermat (1601-1665), gli sarà comunicata da Jean de Beaugrand (1584/1595-1640).
Come abbiamo detto, la città di Bologna non era particolarmente aperta alla cultura matematica. Se la cecità e poi la morte di Galilei nel 1642 avevano privato Cavalieri del suo principale interlocutore scientifico, restavano unici corrispondenti Evangelista Torricelli e Giannantonio Rocca. Il primo era giunto a Firenze pochi mesi prima della morte di Galilei, mandato da Castelli ad assistere il maestro malato, e alla morte di quest’ultimo era stato nominato seduta stante matematico del granduca. Torricelli si rivelerà uno strenuo difensore della teoria degli indivisibili che utilizzerà con grande maestria apportandovi anche alcune importanti aggiunte, restate tuttavia inedite a causa della morte prematura, avvenuta nel 1647.
Quanto a Rocca, si trattava in questo caso di un matematico dilettante, o meglio di un nobile reggiano che si interessava di matematica per diletto, senza esercitare la professione.
I due si erano conosciuti probabilmente a Parma, dove Cavalieri aveva soggiornato tra il 1626 e il 1629, e Rocca aveva studiato nel collegio dei gesuiti sotto la direzione di Guglielmo Weilhamer. Le lettere scambiate tra i due testimoniano della profondità della loro relazione e – in mancanza di scritti matematici del reggiano – delle conoscenze matematiche di Rocca.
Contemporaneamente Cavalieri era in contatto, ancorché sporadico, con la scuola matematica francese, in particolare con Fermat e con Gilles Personne de Roberval (1602-1675), attraverso Beaugrand con il primo e per il tramite di Marin Mersenne (1588-1648) con il secondo. È certamente attraverso di loro che le idee, e materialmente il volume di Cavalieri, raggiunsero la Francia e furono conosciuti dalla comunità scientifica, nella quale il gesuato occupava una posizione non secondaria.
L’evento più importante degli ultimi anni della vita di Cavalieri fu senza dubbio la pubblicazione del De centro gravitatis trium specierum quantitatis continuae del gesuita Paul Guldin e la controversia con quest’ultimo incentrata sui fondamenti della teoria degli indivisibili.
Il De centro gravitatis fu pubblicato in due tempi diversi; il primo libro nel 1635, poco posteriore alla Geometria di Cavalieri, i tre successivi nel 1641. Il primo libro, che trattava del centro di gravità di sistemi di punti, di linee e di figure piane e solide, fu apprezzato da Cavalieri. Nella seconda parte, dopo aver enunciato il teorema che oggi porta il suo nome (il teorema di Pappo-Guldin sul centro di gravità dei solidi di rotazione), Guldin si lanciava in un attacco frontale e dettagliato alla teoria degli indivisibili, che giudicava non geometrica e priva di fondamenti.
Cavalieri venne informato da Rocca della pubblicazione di questa seconda parte, e ancor prima di averla vista (cosa che avvenne nel gennaio 1642), cominciò a pensare a una risposta. Nel frattempo, provvide a inserire, nella prefazione della sua Trigonometria a quel tempo in stampa, alcune righe nelle quali da una parte osservava come i suoi risultati concordassero con quelli ottenuti con i metodi classici, e dall’altra preannunciava una risposta completa e imminente.
In un primo tempo, quest’ultima era stata pensata in forma di dialogo ricalcando la struttura di quelli galileiani, con la stessa caratterizzazione dei tre personaggi: Castelli-Salviati matematico e portavoce dell’autore, Marsili-Sagredo pensatore indipendente e senza pregiudizi, e infine Ginuldus-Simplicio al quale i paraocchi delle dottrine ricevute impediscono di cogliere e apprezzare le novità. Con questo programma in mente, Cavalieri procederà seppure con lentezza – non ultimo a causa della gotta che lo affliggeva fin dalla giovinezza – alla redazione della risposta.
Il primo dialogo è portato a termine alla fine del 1643, ed è mandato alle stampe, seguito poco dopo dal secondo. Nel frattempo però la notizia della morte di Guldin frena il compimento del progetto. Dopo un incontro con Rocca avvenuto nell’ottobre del 1644, nel corso del quale il reggiano gli raccomandò prudenza, Cavalieri decide di abbandonare la stampa e di distruggere le pagine già impresse; un’operazione riuscita così bene che non c’è pervenuta nemmeno una copia di quanto già stampato.
M’ingegnerò da me stesso – scriverà a Rocca nel marzo 1645 – di schivare quelle cose, che li parvero da tralasciare per fuggire la mordacità, e le punture, che porta seco la natura del Dialogo. Sto nel proposito di pubblicare quelle mie poche cosuccie, ch’ella sa, sotto nome di Esercitazioni matematiche e di queste vorrei far la prima questo compendio della risposta al Guldini (G. Rocca, Lettere di uomini illustri del secolo XVII a Giannantonio Rocca, filosofo e matematico reggiano, con alcune del Rocca a’ medesimi, 1785, p. 353).
L’opera, che vedrà la luce con il nome di Exercitationes geometricae sex, sarà stampata solo nel 1647. Infatti, a mano a mano che procedeva, Cavalieri aggiungerà nuove sezioni e nuovi argomenti, fino a raggiungere i sei libri dell’edizione finale. Le prime ad aggiungersi sono le Esercitazioni I e II:
E perché sono finiti gli esemplari della mia Geometria per non ristamparla di nuovo, e nondimeno per dare qualche istruzione breve de’ miei Indivisibili, ho risoluto con tale occasione di far la prima Esercitazione intorno ad essi, ristampando quella parte del mio Lib. 2 di detta Geometria, che contiene i fondamenti della prima maniera di adoprare i detti indivisibili, con aggiungervi alcune note, per maggiormente dilucidare questa dottrina. Ho poi soggiunto la seconda Esercitazione, nella quale spiego il secondo modo di adoprare gl’Indivisibili (G. Rocca, Lettere di uomini illustri del secolo XVII […], 1785, p. 357).
La risposta a Guldin diventa così la terza Esercitazione, seguita l’anno dopo da una quarta «intorno alle potestà cossiche, avendo dimostrate le cose del secondo libro di essa mia Geometria in tutte le potestà cossiche», e infine da una quinta sul centro di gravità di figure di densità variabile e da una sesta di proposizioni miscellanee, che originariamente dovevano costituire il terzo dialogo,
ma non tutte quelle che haveva composte, perché essendo oppresso dalla Gotta, che lo tormentava in tutta la vita, e l’haveva storpiato in maniera, che non poteva camminare e delle mani non gl’haveva lasciate libere se non le dita con le quali maneggiava la penna, dubitando di non haver vita per vederle stampate tutte, se non tralasciava qualche trattato, havendolo il male preso nel petto, e nella gola, le terminò nel modo che si vedono (U. D’Aviso, Vita del P. Buonaventura Cavalieri, in Id., Trattato della sfera, 1682, f. 11r).
Pochi giorni dopo la stampa delle Exercitationes, Cavalieri muore. L’11 dicembre 1647 Rocca scrive ad Andrea Spinola: «Non avviso a V. R. la morte del P. Cavalieri, che seguì l’ultima notte di Novembre a h. 11, perché suppongo, che di già la sappia. È stata perdita grande» (G. Rocca, Lettere di uomini illustri del secolo XVII […], 1785, p. 377).
Directorium generale uranometricum, in quo trigonometriae logarithmicae fundamenta ac regulae demonstrantur, Bononiae 1632.
Lo specchio ustorio overo trattato delle settioni coniche, Bologna 1632, 16502.
Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota, Bononiae 1635, 16532 (trad. it. Geometria degli indivisibili, Torino 1966).
Nuova prattica astrologica di fare le direttioni secondo la via rationale e conforme ancora al fondamento del Kepplero per via di logaritmi, Bologna 1639.
Trigonometria plana et sphaerica, linearis et logarithmica, Bononiae 1643.
Exercitationes geometricae sex, Bononiae 1647.
Carteggio, a cura di G. Baroncelli, Firenze 1987.
L. Lombardo Radice, introduzione a “Geometria degli indivisibili di Bonaventura Cavalieri”, Torino 1966.
G. Galilei, Le opere, Ed. nazionale a cura di A. Favaro, 20 voll., Milano 1890-1909, nuova rist. Firenze 1968.
A. De Ferrari, Cavalieri Bonaventura, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 22° vol., Roma 1979, ad vocem.
E. Giusti, Bonaventura Cavalieri and the theory of indivisibles, Bologna 1980.