MAZZARELLA, Bonaventura.
– Nacque a Gallipoli, in Terra d’Otranto, il 6 febbr. 1818 da Carlo, cancelliere comunale, e da Caterina Forsenito. Secondo di quattro figli, ricevette la prima educazione sotto la guida dello zio paterno, il sacerdote Domenico, ex monaco paolotto di convinzioni gianseniste.
Nel 1835 si recò a Napoli dove intraprese gli studi universitari frequentando i corsi di filosofia di Pasquale Galluppi, per poi dedicarsi alle discipline giuridiche. Nel 1840 conseguì la laurea in utroque iure e nello stesso anno superò l’esame di patrocinatore presso la gran corte civile di Napoli. Tornato nella città natale, esercitò la professione di avvocato fino al 1844, quando ottenne la nomina a supplente giudiziario nel distretto circondariale di Gallipoli. Nel giugno 1846 vinse il concorso per il posto di giudice regio a Gagliano del Capo, prima di essere destinato a Novoli nel febbraio dell’anno successivo. Qui, avvertendo l’esigenza di radicalizzare in senso repubblicano l’opposizione al regime monarchico, costituì «una famiglia della “Giovine Italia”» (Vulcano, p. 11). Il 22 marzo 1848 sposò Chiara Tarantini, di una ricca famiglia salentina di tradizioni liberali, da cui non ebbe figli.
Nei mesi immediatamente successivi crebbe il distacco tra il sovrano e le istituzioni parlamentari da lui stesso concesse. Dopo la repressione del 15 maggio 1848 il M., in segno di protesta, decise di rinunciare alla carica di giudice regio e il 22 maggio inviò una lettera di dimissioni al procuratore generale del re.
Il M. assunse la presidenza del circolo patriottico provinciale di Terra d’Otranto, che si costituì il 29 giugno 1848 con l’intento di difendere la costituzione e di arruolare una compagnia di volontari per promuovere una insurrezione contro l’iniziativa restauratrice del sovrano. Tuttavia, appena si diffuse la notizia che lo sbarco delle truppe inviate dal re per sedare i disordini era ormai imminente, a prevalere furono il timore e il disinteresse della popolazione, oltre alle numerose diserzioni all’interno della guardia nazionale. Il successivo 15 luglio il M., ormai consapevole di non poter disporre delle forze necessarie per organizzare una resistenza armata, decise lo scioglimento del circolo, lasciando così che il 13 settembre le truppe borboniche entrassero a Lecce e procedessero alla cattura e all’arresto di numerosi patrioti e alla soppressione dei giornali liberali. Poi, per sottrarsi alle persecuzioni e al mandato di arresto emesso nei suoi confronti, alla fine dello stesso mese di settembre si imbarcò da Monopoli per un esilio volontario, dopo avere sottoscritto una dichiarazione in cui, per rendere meno compromettente la posizione dei suoi compagni, si assumeva l’intera responsabilità delle attività svolte dal circolo patriottico.
Toccò prima Ancona; poi, dopo aver appreso della fuga del papa, raggiunse Roma dove entrò in contatto con gli esponenti del partito democratico che guidavano il movimento rivoluzionario e dove collaborò al giornale Il Contemporaneo, diretto con altri da P. Sterbini. Accolse con soddisfazione la proclamazione della Repubblica Romana e combatté nella legione dell’esercito repubblicano formata dagli esuli degli altri Stati italiani.
Al ritorno a Roma di Pio IX, il M. riprese la via dell’esilio insieme con alcuni suoi compagni; giunse dapprima a Corfù e poi, alla fine del luglio 1849, sbarcò ad Atene, dove rimase per quasi due anni guadagnandosi da vivere come insegnante di lingua italiana e dove proseguì la sua opera di apostolato fra gli esuli italiani organizzando riunioni clandestine, fino a quando la nostalgia e le malferme condizioni di salute non lo spinsero a fare ritorno in Italia. Il 28 febbr. 1851, ottenuto il foglio di via dal governo greco, partì alla volta della Svizzera, via Genova, fermandosi per qualche tempo a Torino. In questi anni di esilio il M. si dedicò agli studi filosofici, sua passione giovanile, ed entrò in contatto con la cultura europea e in particolare con il pensiero tedesco.
Frattanto la gran corte criminale di Lecce concluse il processo in contumacia a suo carico con una sentenza di condanna alla pena di morte, emessa il 29 nov. 1851, che lo riconosceva colpevole di cospirazione contro l’autorità del sovrano. Un secondo processo sempre in contumacia, con sentenza del 17 nov. 1852, nel confermare la pena capitale lo dichiarò nemico pubblico.
A Torino il M. si avvicinò agli ambienti valdesi e in seguito all’incontro con il pastore G.P. Meille conobbe la teologia protestante del Risveglio e si convertì alla fede evangelica; il 29 ott. 1851 entrò a far parte della comunità valdese. Non volendo iniziare il suo ministero evangelico a Torino, dove era conosciuto come rivoluzionario, nel marzo 1852 si recò a Ginevra accogliendo l’invito del Comité d’évangélisation italien-suisse, che sosteneva l’opera di evangelizzazione in Italia e da cui dipendeva, come pastore della congregazione italiana, anche L. Desanctis.
A Ginevra il M. lavorò a stretto contatto con Desanctis nella piccola comunità italiana composta per lo più di esuli e qui iniziò la sua attività di predicatore, ma già il 1° dic. 1852 fece rientro in Italia chiamato dal pastore P. Geymonat a collaborare alla missione nella città di Genova.
Il contributo offerto dal M. nella comunità di Genova si rivelò subito molto efficace al punto che per una maggiore diffusione della iniziativa evangelica egli fece pressioni sulla Tavola valdese per poter disporre di un locale pubblico grande abbastanza da accogliere il numero ormai in crescita dei fedeli. La Tavola valdese decise allora di destinare al culto evangelico una vecchia cappella sconsacrata di proprietà di uno dei suoi membri, dedicata alla Gran Madre di Dio, suscitando però la reazione fortemente ostile degli ambienti cattolici guidata dall’arcivescovo di Genova, Andrea Charvaz. Fu allora che, viste anche le pressioni ricevute da Camillo Benso conte di Cavour, la Tavola ritenne opportuno rivendere la chiesa in questione e acquistare un terreno su cui costruire un nuovo tempio.
L’episodio di per sé banale fu la causa accidentale dello scisma dalla Chiesa valdese degli evangelici italiani, cui aderì anche il M., che maturò la decisione di uscire dalla comunità valdese comunicando con una lettera datata 28 ag. 1854 le ragioni del suo allontanamento. In realtà il dissenso manifestato dagli evangelici italiani, che portò alla fuoriuscita dalla Chiesa valdese e poi, nel 1865, alla costituzione di una Chiesa cristiana libera in Italia, aveva ragioni più profonde di quelle legate alla vendita di un locale.
Si trattava di ragioni molto sentite anche dal M. che non condivideva l’impostazione presbiteriana adottata dai valdesi, che sembrava riprodurre quella invisa del cattolicesimo romano. Egli, inoltre, rifiutava la limitazione del ministero della Parola a un corpo pastorale, ritenendo l’apostolato accessibile a chiunque ne avesse ricevuto il dono; ma soprattutto aveva una diversa idea di come gestire l’opera di evangelizzazione in Italia e a differenza dei valdesi, che intendevano portare avanti una prudente azione di diffusione dei principî evangelici sul territorio nazionale, aspirava alla attuazione di una vera e propria riforma, che fosse italiana e non importata, quindi alla creazione di una Chiesa rinnovata, organizzata in comunità libere e priva di strutture gerarchiche.
Pertanto, già agli inizi del settembre 1854 promosse a Genova, in qualità di presidente del comitato direttivo, la fondazione di una Società evangelica italiana, analoga a quella già realizzata a Torino, per dare maggiore impulso alla predicazione del Vangelo. Sempre in quegli anni il M. collaborò al giornale La Luce evangelica, che si stampò fra il 1854 e il 1855 in opposizione alla Chiesa valdese, e dalle cui colonne polemizzò apertamente contro le posizioni razionaliste di Ausonio Franchi (Cristoforo Bonavino).
L’attività di predicazione che negli anni successivi il M. portò avanti con grande dedizione gli costò prima una grave aggressione fisica, di cui fu vittima a Fara Novarese insieme con il conte P. Guicciardini nell’aprile 1857, poi una condanna, emessa il 5 giugno 1857 dal tribunale provinciale di Alessandria, ad alcuni giorni di carcere e al pagamento di una multa con l’accusa di lesa religione dello Stato.
Nello stesso anno pubblicò un opuscolo intitolato Sulla fede dei cristiani evangelici (Genova 1857), in cui tentava di dare ordine ai fondamenti dottrinali degli evangelici italiani, affermando che essi non sono né cattolici, né protestanti, né valdesi, ma cristiani perché ripongono la loro fede in Cristo ed evangelici perché non ammettono un cristianesimo al di fuori del Vangelo. L’opuscolo era una risposta a G. Nazari, un cattolico di indirizzo liberale, autore dello scritto polemico Professione di fede dei cristiani evangelici d’Italia dichiarata dal loro apostolo B. M.… (Asti 1857), che lo aveva accusato di servirsi della predicazione religiosa per finalità politiche.
Nonostante il carcere e le persecuzioni da parte della polizia, il M. rimase comunque impegnato nell’opera di evangelizzazione, dapprima in Piemonte poi a Londra nel 1859, poi ancora a Firenze, dove si recò nel 1860 su invito del conte Guicciardini per tenere una serie di conferenze, pubblicate in seguito con il titolo Tre predicazioni… su Paolo in Atene (Firenze 1905). Nello stesso 1860, con la collaborazione di Desanctis, diede vita a Genova a una scuola teologica, presso la quale insegnò egli stesso, rivolta all’educazione dei giovani e alla loro formazione non solo come predicatori, ma anche come insegnanti elementari.
Intanto, dopo la concessione dell’amnistia generale da parte del re Francesco II, nel giugno 1860 fece ritorno a Novoli dove prese parte alle commissioni istituite per l’arruolamento dei garibaldini e poi al governo provvisorio che si costituì a Lecce dopo l’annessione del Mezzogiorno al Regno d’Italia. Durante la breve permanenza a Novoli fu però colpito da una grave forma di epilessia da cui non si sarebbe più ripreso.
Sempre nel 1860 diede alle stampe la sua opera filosofica più importante: La critica della scienza (Genova), cui seguì una seconda, Della critica, libri tre, pubblicata in due volumi fra il 1866 e il 1868 (ibid.), e quindi aggiornata in una nuova edizione (Roma 1878-79).
La critica della scienza, considerata opera precorritrice della corrente del neokantismo, prendeva le mosse dall’esaltazione del principio critico per approdare alla esigenza di superare la separazione fra la ragione pura e la ragione pratica. Il M. definiva la sua filosofia una religione del dovere, il cui imperativo morale è «agisci in modo che la tua azione sia un passo con coscienza inverso lo scopo supremo» (p. 525); e per il M. lo scopo supremo dell’uomo è Dio, che la filosofia indica come un ideale lontano mentre la religione cristiana propone come raggiunto.
La notorietà procuratagli anche Oltralpe dalla pubblicazione della Critica della scienza gli valse nell’ottobre del 1860 la chiamata del ministro della Pubblica Istruzione T. Mamiani a ricoprire la cattedra di pedagogia dell’Università di Bologna. Tale scelta sollevò la violenta reazione del clero e della cittadinanza decisa a impedire che un evangelico assumesse una cattedra universitaria, ma provocò anche la difesa appassionata di G. Carducci, apparsa ne La Nazione di Firenze (22 dic. 1860).
A Bologna tuttavia il M. rimase solo pochi mesi perché le condizioni climatiche non erano adatte al suo stato di salute; chiese quindi di essere trasferito all’Università di Genova, dove ricoprì la cattedra di storia della filosofia. Intanto il 27 genn. 1861 si erano tenute le consultazioni elettorali per scegliere il primo Parlamento del Regno d’Italia e il M. fu eletto nel collegio di Gallipoli. Nel gennaio 1863 riprese la sua attività di magistrato dopo essere stato richiamato dal ministro di Giustizia a svolgere le funzioni di consigliere presso la corte d’appello di Genova. La nomina a magistrato lo costrinse a dimettersi da deputato fino alle elezioni del 22 ott. 1865, quando entrò alla Camera, dove sarebbe rimasto anche per le successive legislature schierato nelle fila dell’estrema Sinistra.
L’attività parlamentare del M. si caratterizzò per la particolare sensibilità ai problemi del Meridione, come fu nel caso dell’impegno per la realizzazione del tratto ferroviario Zollino-Galatina-Gallipoli.
Dopo l’avvento al potere della Sinistra entrò spesso in conflitto con A. Depretis e con il trasformismo che caratterizzò quella stagione politica, arrivando in diversi casi a esprimere il suo voto contrario al governo. Depretis allora, deciso a emarginare i deputati della Sinistra ritenuti scomodi, tentò di escludere il M. dal collegio di Gallipoli per le elezioni che si sarebbero tenute nel 1882 a suffragio allargato. Ciò indusse il M. a comunicare il 15 genn. 1882 le sue dimissioni da deputato e a ritirarsi a Genova.
Numerose furono le pressioni da parte della stampa e dell’opinione pubblica salentina per ottenere la riconferma del M., ma il 6 marzo 1882 egli morì a Genova.
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