BONIFACIO
Nato intorno al 1223, fu canonico della cattedrale di Parenzo fino alla sua elezione a vescovo di quella città, avvenuta tra la fine dell'anno 1282 e l'inizio del 1283.
Vari documenti editi dal Kandler e già esaminati dal Babudri (I vescovi) testimoniano la sua politica dal 1283 al 1305. B. succedeva ad Ottone nella cattedra di Parenzo in un momento difficile non solo per la città, ma per tutta l'Istria. Alla vertenza tra il Comune e il vescovo - che rivendicava sul territorio del primo il dominio temporale - si aggiungevano i contrasti con il patriarca di Aquileia, signore feudale dell'Istria, con Venezia, che perseguiva una politica di espansione nella regione, e con il conte di Gorizia, che, in opposizione a Venezia, cercava di inserirsi nei vuoti lasciati dal declinante potere di Aquileia. Qualche anno prima della nomina di B. a vescovo, nel 1267, il Comune di Parenzo, in lotta con Capodistria, alleata di Gorizia, si era dato a Venezia che ne aveva accettato subito la sottomissione. Il predecessore di B., Ottone, si oppose al dominio veneziano: il 24 ag. 1270 scomunicava il podestà veneziano Marco Micheli e i cittadini di Parenzo.
La politica di Ottone fu ripresa da Bonifacio. La sua opposizione a Venezia indusse il podestà veneziano di Parenzo, Giovanni Soranzo, ad agire contro di lui sin dal 1283. Approfittando, infatti, di una sua assenza dalla città, il Soranzo indusse i cittadini favorevoli al suo governo a saccheggiare le proprietà del vescovo e dei suoi fedeli e fece scacciare lo stesso B. dal rettore di Rovigno, dove si trovava, come nemico del doge. B. andò allora a Venezia: il 29 nov. 1283 denunciava apertamente le persecuzioni cui erano stati sottoposti la sua persona e il suo clero.
Intanto era scoppiata la guerra tra Venezia e Aquileia: a B., partigiano di quest'ultima, fu vietato il ritorno a Parenzo. Sarebbe potuto tornare in patria solo se avesse chiesto il permesso al podestà veneto del Comune, riconoscendone così l'autorità. B. rifiutò di piegarsi e, rientrato a Venezia, di li scomunicava il 20 genn. 1284 il Soranzo e comminava l'interdetto a Parenzo.
Terminata la guerra l'8 marzo 1285, B. dovette rientrare nella sua sede ove lo troviamo il 16 dicembre di quell'anno, quando il capitolo lo autorizza a contrarre il mutuo necessario per sostenere le finanze del vescovato, seriamente compromesse per la mancata riscossione delle rendite, il cui diritto veniva ora contestato dal Comune. In questo periodo ha inizio la sua lotta col patriarca di Aquileia, Raimondo della Torre, il quale aveva ottenuto nel trattato di pace con Venezia la supremazia su Parenzo, Rovigno e Montona. Per trovare una base giuridica più salda alle sue pretese sul territorio comunale, B. se ne faceva confermare il dominio, nel febbraio del 1291, dall'imperatore Rodolfo I d'Asburgo. Al diploma imperiale rispose, però, nello stesso anno il Soranzo con uno statuto che attribuiva la proprietà dei beni a quei cittadini che ne avessero goduto in modo continuo negli ultimi sette anni.
Si riaccendeva così il dissidio tra B. e il governo veneto, mentre non si sopiva quello con Aquileia. La lotta contro il podestà raggiunse la fase più acuta nel 1296, quando B. si rifiutò di aderire all'invito del doge di recarsi a Venezia. Il Soranzo, allora, alla testa del popolo armato assallì il 14 settembre il palazzo vescovile, da dove a stento B. riuscì a trarsi in salvo. Fuggì a Pirano e di lì si recò a Venezia: qui il 19 ottobre lanciò per la seconda volta la scomunica contro il podestà e i suoi collaboratori. A Venezia dovette rimanere fino all'inizio del 1299: il 7 gennaio era a Pisino, nel territorio di Parenzo, donde scomunicò il nuovo podestà Marino Villono; il 29 luglio da Orsera, ove si era rifugiato, rinnovava la scomunica al podestà.
In questa fase della lotta tra B. e il podestà veneziano si inserì Aquileia. Le truppe del patriarca conquistarono Orsera e fecero prigioniero Bonifacio. Liberato, si rifugiò a Pisino e da qui si appellò al pontefice: Bonifacio VIII accolse il suo ricorso il 7 maggio 1300 e nell'aprile del 1302 lo autorizzò a recuperare i beni della sua diocesi. Non per questo, però, ebbe fine il suo dissidio col patriarca: il 2 giugno 1304 questi lo invitava a giustificargli la sostituzione dell'abate di S. Michele Sottoterra e il 29 dicembre dello stesso anno lo convocava perché si discolpasse delle accuse che contro di lui aveva mosso il clero parentino. Il 10 ag. 1305, infine, il patriarca scomunicava B., il quale a sua volta scomunicava il clero del suo vescovato, divenutogli ormai del tutto ostile.
B. dovette morire poco dopo: l'8 giugno 1306 era eletto vescovo di Parenzo Giuliano Natale.
La sua attività come vescovo di Parenzo è dunque sicuramente documentata dal 1283 al 1305, anche se per alcuni anni non si hanno notizie su di lui. Altri documenti relativi allo stesso periodo, però, indicano come vescovo della città istriana persone diverse da Bonifacio. Il Cappelletti riporta la notizia della sentenza emessa nel 1301 da Teodorico vescovo di Civitapapale: tra i presenti compare un Bernardo vescovo di Parenzo. Il Babudri (Ivescovi)pensa a un errore di lettura, e ha negato ogni validità all'idea, sostenuta dallo stesso Cappelletti, dal Gams e dall'Eubel, che due furono i Bonifacio vescovi, il primo fino al 1301, il secondo dopo quest'anno. Il Babudri basa la sua affermazione sull'unicità di carattere e di politica che dai documenti prima e dopo il 1301 è attribuibile a Bonifacio. In realtà che si tratti di una sola persona è attestato dalla lettera inviata da B. al papa proprio nel 1301, nella quale gli ricorda di essere stato investito del territorio parentino dall'imperatore nel 1291. Piuttosto un identico problema fanno sorgere due documenti tratti dal Liber Rubeus della curia di Parenzo e pubblicati dal De Franceschi nei quali compare, il 27 apr. 1289 e il 13 febbr. 1297, come vescovo di Parenzo un tale Ottone. Ora è da dire che proprio per il 1297 i documenti editi dal Kandler non parlano mai di Bonifacio. Si potrebbe allora pensare che le potenze che contro di lui lottavano lo avessero sostituito con persona loro favorevole: allo stato attuale delle fonti, però, una tale idea è destinata a rimanere sul piano delle mere ipotesi.
Fonti e Bibl.: P. Kandler, Codice diplomaticoistriano, Trieste 1847, I-II, ad annos 1283-1305; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, VIII, Venezia 1851, pp. 791 s.; C. De Franceschi, L'Istria,note storiche, Parenzo 1879, pp. 141-144; F. Babudri, Ivescovi di Parenzo, in Atti e mem. dellasoc. istriana di arch. e storia patria, XXV (1909), pp. 228-34; Id., Parenzo nella storia eccles.,ibid., XXVI (1910), pp. 120-132; B. Benussi, Parenzonell'evo medio e moderno,ibid., pp. 170-174; G. De Vergottini, Momenti e figure della storia istriananell'età comunale,ibid., n.s., II (1952), pp. 44-47; C. De Franceschi, Documenti tratti dal Liber Rubeus della curia episcopale di Parenzo,ibid., n.s., III (1954), pp. 96 s.; M. L. Iona, Una vertenzafeudale tra Bonifacio vescovo di Parenzo e gliZane patrizi veneti, in Boll. dell'Ist. di storia dellasocietà e dello Stato veneziano, II (1960), pp. 203-209; P. B. Gams, Series episcoporum, p. 799; C. Eubel, Hierarchia catholica…, I, Monasterii 1913, pp. 98, 390; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, col. 968.