BONVESIN da la Riva
Nato circa il 1240 a Milano; fu maestro di grammatica; appartenne al terz'ordine degli Umiliati; è ancor vivo il 5 gennaio 1313, già morto il 13 marzo 1315.
La produzione poetica di B. consta di oltre 8000 versi alessandrini, per lo più in quartine monorime. Sono tutti poemetti, che, per la forma, si possono dividere in contrasti e in volgari. I primi sono i più caratteristici. B. fa contrastare Satana e la Madonna, la Morte e l'Uomo, l'Anima e il Corpo, ora edificante e pauroso, ora satirico, ora grottesco, ponendo innanzi lo spettro della morte e dei terrori dell'altro mondo. In altri contrasti, benché l'intento moraleggiante traspaia, più vivo e libero si espande il piacere del raccontare. Due contrasti brillano fra gli altri, quello tra la Madonna e Satana, ove il Demonio sostiene le sue ragioni con una singolare efficacia dialettica ed una passione che per quei tempi pare veramente ardita; e il fresco e arguto Trattato dei mesi, che vogliono cacciar dal soglio Gennaio, col pretesto ch'egli è neghittoso. Tra i volgari, oltre a qualche traduzione, come quella dei Disticha Catonis, oltre alle leggende, come la Vita di S. Alessio, versione più libera, e la squisita storia di Frate Ave Maria, si ricorda specialmente il De quinquaginta curialitatibus ad mensam, che è una buona fonte per alcuni particolari del vivere sociale del tempo, ma soprattutto il Libro delle tre scritture, forse l'opera più insigne del fecondo Umiliato. Questo poema (finito prima del 1274) in oltre 2000 versi descrive le pene dell'Inferno (scrittura negra), la redenzione (s. rossa), le gioie paradisiache (s. dorata). La trilogia, architettata con molta perizia, è preceduta da un prologo e seguita da un sermone morale.
Le opere di B. costituiscono per il dialettologo uno dei più cospicui documenti di quella lingua letteraria che s'era costituita nel Duecento in tutta la valle del Po, lingua che, pur serbando più o men vivi i tratti peculiari di questa o quella parlata, tendeva a ogni modo a livellare le varietà dei vernacoli dietro il modello del latino e delle due gloriose favelle d'Oltralpe.
In latino, oltre a qualche poemetto di minor conto e alla Vita scholastica, parte in prosa e parte in distici, molte volte pubblicata nel sec. XV, ma di scarso interesse, scrisse con parola calda di affetto, se non elegante (il suo latino non s'innalza su quello dei contemporanei), il De magnalibus urbis Mediolani (1288), trattato diviso in otto capitoli, che celebra, sia seguendo fonti fededegne, sia dietro l'osservazione diretta, sovente perspicace, i fasti civili e religiosi di quella città che, naturalmente, B. anteponeva a tutte le altre. Quest'opuscolo, cui attingerà largamente pochi anni appresso Galvano Fiamma, è preziosissimo, specie in quelle pagine che contengono la descrizione topografica, demografica ed edilizia di Milano e suo territorio, che occupa i primi quattro capitoli, ramificandosi altresì nel settimo e nell'ottavo.
B. desume la materia dei suoi scritti da fonti tradizionali, offrendo agl'indotti il fiore di quella letteratura piacevole, morale, edificante, che in latino correva da secoli per le bocche dei chierici. Scrive per far del bene, ma non è un moralista fastidioso né un pedante; e la sua fede è profonda, ma libera e schietta. Nel suo cuore due grandi affetti campeggiano, il culto per la Vergine Maria e l'amore per Milano. La poesia non s'innalza a voli arditi, tuttavia è ricca di modeste bellezze, e, se pur non esalta il lettore, desta ad ogni modo un senso di simpatia. Tra i poeti lombardi del Medioevo Bonvesin tiene il primo posto, ed è schiettamente milanese, per la forma della sua religiosità e della sua arte, e per il sano e consapevole orgoglio municipale.
Ediz.: La più ampia raccolta di poesie bonvesiniane è quella di I. Bekker, in Monatsberichte d. Akademie der Wissenschaften, Berlino 1850-1851; il Trattato dei mesi è stato edito da E. Lindforss, Bologna 1872 (Scelta di curiosità inedite o rare, 127). I Carmina de mensibus, che trattano il tema più brevemente in latino, sono stati pubblicati da L. Biadene, in Studi di filol. rom., IX (1901), p. 1 segg. Lo stesso Biadene pubblicò la traduzione dei Disticha Catonis, in Miscellanea di studi critici in onore di V. Crescini, Cividale 1910, p. 1 segg. La Leggenda di S. Alessio fu pubblicata da C. G. Mor, in Arch. Romanicum, VIII, p. 436 (cfr. R. Renier, in Raccolta di studi critici dedicata ad A. D'Ancana, Firenze 1901, pp. 1-12); il Libro delle tre scritture da V. De Bartholomaeis, Roma 1901, e da L. Biadene, Pisa 1902. L'edizione del De magnalibus urbis Mediolani fu data da F. Novati, in Boll. Istituto storico italiano, 1898; una traduzione da E. Verga, Milano 1921.
Bibl.: Per la vita si veda Tiraboschi, Vetera humiliatorum monumenta, I, Milano 1766, p. 297; Canetta, in Giorn. Stor. della letteratura italiana, VII, p. 170 segg.; sul suo nome vedi L. Biadene, in Giorn. stor. della lett. italiana, XLIV, p. 269. Si veda anche G. Bertoni, il Duecento, Milano s. a., pp. 188-192, 283, e la bibl. ivi citata; P. Pecchiai, in Giorn. stor. d. lett. ital., LXXVIII (1921). Per la lingua di B. v. A. Mussafia, Darstellung der altmailändischen Mundart nach Bonvesin's Schriften, in Sitzungsberichte d. Akad. der Wissenschaften, LIX (Vienna 1868), p. 1 segg.; C. Salvioni, Osservazioni sull'antico vocalismo milanese desunte dal metro e dalla rima del Codice berlinese di B. da R., in Studi letterari e linguistici dedicati a P. Rajna, Firenze 1911, p. 367; id., Bricciche bonvesiniane, in Misc. di studi critici edita in onore di A. Graf, Bergamo 1903, p. 391; A. Seifert, Glossar zu den Ged. des Bonvesin da Riva, Berlino 1886 (cfr. Salvioni, in Giorn. stor. d. lett. ital., VIII, p. 410; IX, p. 346).