BORGOGNA
(franc. Bourgogne)
Regione storica della Francia orientale, che coincide, dal 1790, con gli attuali dip. dell'Ain, della Côte-d'Or, di Saône-et-Loire e, in parte, della Nièvre e dell'Yonne. L'insediamento della popolazione germanica dei Burgundi sui due versanti del Giura e nelle valli della Saona e del Rodano (seconda metà del sec. 5°) è all'origine del nome della regione, costituita in regno dopo la conquista da parte dei Franchi (534), a seguito della sconfitta dell'ultimo re burgundo, Gondemaro.
Nel sec. 6° la B. è una regione in via di ridefinizione: dall'ultimo quarto del sec. 5° i Burgundi, risaliti dalla Sapaudia (Savoia) verso N attraverso la valle del Reno, si trovano a occupare un importante regno, che riunisce le antiche civitates degli Edui, dei Lingoni, dei Sequani e dei Sennoni. Il loro potere politico è effimero, ma pone le radici di una unità regionale che non fu senza conseguenze per l'arte prodotta nella regione.Nel 561 l'antica B. (privata della Provenza ma dilatata verso N, con capitale a Chalon-sur-Saône, dopo Lione e Ginevra) fu ereditata da Gontrano, uno degli ultimi figli di Clotario I e la sua unità ne risultò consolidata.Lungo l'asse N-S, segnato dalla Saona, sono stati rinvenuti, a partire dall'Ottocento, i più importanti cimiteri barbarici, con caratteristici depositi funerari.Le popolazioni burgunde avevano raramente usato l'inumazione dei corpi con i vestiti e i sistematici depositi funerari si moltiplicarono solo con l'influenza franca, soprattutto alla fine del 6° e nel corso del 7° secolo. Lo confermano ad abbondanza i recenti scavi di Brèves (Nièvre), dove la metà ca. delle duecentoventiquattro sepolture rinvenute conteneva un corredo, spesso assai ricco: armi di vario tipo, gioielli, recipienti di terraglia, vetro o bronzo, come non si riscontra nelle località del Sud o comunque vicino alle città, rimaste sempre sostanzialmente romanizzate.Tra i secc. 6° e 7° non si registrano cesure di rilievo nelle guarnizioni metalliche di cinture o nella ceramica; va tenuto peraltro conto del fatto che nelle sepolture sono presenti anche oggetti di importazione, come, per es., placche di fibule visigote.Non è sempre facile identificare i manufatti più propriamente burgundi, come dimostra anzitutto il caso del tesoro di Gourdon (Saône-et-Loire), oggi conservato a Parigi (BN, Cab. Méd.) e scoperto fortuitamente nel 1845. Si tratta di un centinaio di monete e di due oggetti liturgici di oreficeria cloisonnée - un calice ornato da filigrane e da sei motivi cuoriformi con granati e turchesi alternati nei cloisons e una patena d'oro massiccio decorata in modo analogo - probabilmente nascosti all'epoca dell'invasione dei Franchi, come indicherebbero i conî di età giustinianea (527-565).Oggi gli studiosi concordano sulla difficoltà di definire burgundi gli oggetti posteriori agli anni 530-540, dal momento che manufatti analoghi si ritrovano anche in area franca. Si preferisce parlare piuttosto di forme postburgunde, diffuse soprattutto con le guarnizioni di cinture in bronzo fuso o in ferro ageminato, rinvenute in gran numero nei cimiteri della B., della Savoia e della Svizzera, con datazioni a partire dalla metà del 6° secolo. Nelle placche delle fibule si distinguono quattro tipologie: il tipo A, in ferro ageminato, di grande formato a contorno trapezoidale; il tipo B, solitamente rettangolare, in ferro ageminato; il tipo C, di forme differenziate (triangolari, trapezoidali o rettangolari); il tipo D, di forma rettangolare, in bronzo. Le meglio note sono le grandi placche rettangolari in bronzo o in ferro di derivazione tardoantica. Lavorate talora a giorno, esse presentano in ogni caso motivi vegetali, intrecci, animali mostruosi o figurazioni desunte dall'iconografia cristiana: Daniele nella fossa dei leoni, oranti, l'adorazione dei Magi, Cristo a cavallo. Questi manufatti ageminati sono di qualità molto alta e attestano l'esistenza di una produzione organizzata di cui si trovano echi nella Loi Gombette - legge redatta in latino per volontà del re Gondebaudo e riguardante i sudditi che non erano di origine gallo-romana - in cui si distingue tra la figura dello schiavo ageminatore (faber argentarius) e quella del vero e proprio orafo (aurifex letus).Attualmente la ceramica del sec. 6° è oggetto di studi intesi a stabilirne le eventuali varianti locali, nella sostanziale continuità tipologica e formale - malgrado talune differenze degli impasti - nei confronti di quella del sec. 5° e della Tarda Antichità. Nelle città la caratterizzazione appare più ricca: è il caso dei famosi bicchierini detti burgundi, rinvenuti nelle tombe sin dai primi scavi del sec. 19°, di cui oggi si conoscono anche esemplari riferibili a regioni limitrofe alla B., lungo un ampio arco cronologico che giunge sino al 7° secolo.Cristiani ariani, come i Longobardi o i Vandali, i Burgundi si mostrarono tolleranti nei confronti dei cristiani ortodossi, al cui credo, del resto, si convertirono sin dall'inizio del 6° secolo. È l'epoca in cui il re Sigismondo fondò l'abbazia in seguito denominata di Saint-Maurice d'Agaune; ma è a Ginevra e Lione, città avvicendatesi quali capitali della B., che le recenti ricerche archeologiche hanno permesso di conoscere meglio i complessi monumentali vescovili, il cui sviluppo planimetrico è ricostruibile a partire dalla fine del sec. 4° per quanto riguarda le cattedrali, e dai secc. 5° e 6° per i battisteri. Nell'ambito geografico della od. B. nessuno scavo ha finora permesso analoghe restituzioni.Il primo insediamento cristiano di Chalon è noto solo attraverso testi ed epigrafi, mentre uno dei più antichi vescovi, Giamblico, è citato su un vaso liturgico recentemente ritrovato nelle acque della Saona. Nulla si sa della prima cattedrale di Mâcon, sulla cui esistenza non si hanno notizie prima del 538; sempre al sec. 6° risale il battistero rinvenuto verso il 1950 sotto la zona absidale dell'attuale cattedrale gotica di Nevers, uno degli ultimi vescovadi istituiti in Borgogna. Resti di muri rasati attestano una costruzione a pianta centrale, sviluppata attorno alla vasca battesimale con una struttura a otto colonne, circondata da absidiole o nicchie rettangolari e circolari alternate. Tale struttura, visibilmente restaurata nei secc. 9°-11°, quando la cattedrale venne ricostruita, è una delle rare sopravvivenze dell'architettura altomedievale in Borgogna. Se la sua tipologia sembra modellarsi su edifici relativamente lontani, come il battistero di Novara, le sue forme non si allontanano dalla tradizione architettonica periferica tardoantica, come del resto si verifica anche nelle basiliche, secondo quanto è noto attraverso vestigia superstiti o dati di scavo.Basiliche sorsero nel sec. 6° in B. alla periferia dei centri abitati anche su antichi siti funerari, come ad Autun, dove la chiesa di Saint-Pierre ingloba resti dei secc. 4°-5° insieme alle tombe ivi stratificatesi. In altri casi la basilica segna la tomba di un personaggio venerato, talora un martire, come in Saint-Bénigne a Digione. Il personaggio venerato poteva essere anche un vescovo, come ad Auxerre, dove sulla tomba di s. Germano (ma l'interpretazione archeologica dei resti è peraltro tuttora problematica) venne ricostruita una basilica nel sec. 6° a opera della regina Clotilde. In Saint-Clément di Mâcon è stata messa in luce con assoluta evidenza la pianta di una basilica funeraria, della fine del sec. 6°, nella quale fu inumato uno dei primi vescovi della città. Doveva trattarsi di un edificio riccamente decorato, almeno a giudicare dal rinvenimento di una rilevante quantità di tessere dorate provenienti da un perduto mosaico parietale; tessere identiche, ma in numero minore, sono state rinvenute negli scavi del battistero di Nevers, così come a Chalon e ad Autun. In quest'ultimo caso testimonianze del sec. 17° documentano l'esistenza di absidi a fondo aureo allora ancora visibili, nonché la presenza di colonne e capitelli in marmo. Si conosce inoltre la planimetria della chiesa di Saint-Martin, fondata dalla regina Brunilde (ivi sepolta) e dal vescovo Siagrio, amico di re Gontrano, morto nel 593 appena prima della fondazione dell'edificio.Nelle chiese della B. è molto ricco l'arredo liturgico in marmo del sec. 6° (per es. una lastra raffigurante l'Agnello mistico; Autun, Mus. Rolin) e così pure la produzione dei sarcofagi in marmo, decorati con motivi di carattere ancora paleocristiano (Autun, Saulieu, Vienne). La lavorazione del marmo, la decorazione a mosaico, il moltiplicarsi delle grandi fondazioni nelle maggiori città manifestano la continuità di un'aristocrazia e di una corte assai potenti, in grado, assieme al clero locale, di segnare in modo duraturo il contesto figurativo religioso sino all'età carolingia.Sempre nella seconda metà del sec. 6° e durante il 7° si sviluppa di fatto la produzione dei sarcofagi in pietra, più o meno decorati; se ne sono conservati numerosi esemplari di diverse tipologie, caratterizzati dalle raffinate lavorazioni delle superfici. Furono senza dubbio le cave di calcare tenero delle regioni del Nord e dell'Ovest della B. che ne favorirono la produzione, permettendo l'organizzazione delle relative botteghe, come è attestato dalla esportazione di alcuni tipi di sarcofagi a molte centinaia di chilometri di distanza.La fine dell'età merovingia in B. non è segnata da avvenimenti o tracce significative di rinnovamento della produzione artistica e architettonica. L'oreficeria non mostra caratteri regionali specifici, mentre la scultura in pietra o in marmo tende di fatto a scomparire. A Saint-Martin d'Autun sono stati rinvenuti chiavi di volta e frammenti di architrave, solamente incisi, che potrebbero appartenere a questo periodo.Solo alla fine del sec. 8° appaiono presso centri vescovili, come Autun, o abbazie, come Flavigny, i primi scriptoria attenti anche alla resa decorativa, di nuova evidenza plastica, degli importanti testi trascritti.Ad Autun come ad Auxerre una precisa volontà di rinnovamento è ben attestata in primo luogo nella chiesa cattedrale e negli edifici episcopali. Ad Auxerre il vescovo Eribaldo (823-857) restaura sia il battistero sia soffitti, dipinti e vetrate della chiesa di Notre-Dame. In quest'epoca, i più antichi resti architettonici rinvenuti riguardano soprattutto il chiostro e gli edifici per i canonici. I due passaggi coperti rintracciati ad Autun, a S dell'antica cattedrale di Saint-Nazaire, sono una testimonianza delle prime strutture edilizie (sec. 9°) concernenti la vita comunitaria dei canonici, su cui peraltro si hanno notizie anche grazie a un documento dell'858.Sia documenti scritti sia risultati di scavo e sopravvivenze monumentali testimoniano che le realizzazioni architettoniche più prestigiose - e più a lungo mantenutesi tali nel tempo - avvennero nell'ambito di complessi abbaziali. La traslazione delle reliquie, il conseguente svilupparsi di una liturgia legata alla loro venerazione, le riforme monastiche furono tutti elementi di importanza decisiva per il rinnovamento edilizio. È il caso delle abbazie di Flavigny, di Saint-Pierre-le-Vif e di Sainte-Colombe a Sens, di Saint-Bénigne a Digione, ma soprattutto, in modo anche più clamoroso, di quella di Saint-Germain ad Auxerre. Qui l'abate laico Conrad, zio dell'imperatore Carlo il Calvo, decise nell'841 di far ricostruire una parte della chiesa abbaziale per dare una nuova sistemazione alla sepoltura di s. Germano, vescovo della città, ivi inumato nel sec. 5° e molto venerato nell'intera Gallia. La zona orientale dell'edificio venne articolata in due livelli, corrispondenti a due cripte sovrapposte, in relazione alle nuove esigenze liturgiche. Di essa costruzione si conserva oggi la cripta inferiore, vasto ambiente che, abbandonata la struttura a corridoi anulari percorribili attorno ad angusti 'luoghi santi', si articola da una parte in ampi corridoi, larghi m. 2,50 ca., che a E aggettano aprendosi su una rotonda, dall'altra in un'aula centrale (Sancta Sanctorum o confessio), scandita in tre navate di tre campate, dove erano collocati, vicini alla tomba di Germano, i sepolcri dei santi vescovi suoi successori. Visibili solo attraverso fenestellae, questi sepolcri erano sottolineati dall'intera struttura in tutta la loro importanza. Le strutture parietali si presentano in forme a evidenza studiate per ampi spazi voltati, i primi di questo tipo in un contesto di edifici solitamente a copertura lignea. La lavorazione accurata degli abachi dei capitelli attesta d'altronde l'attenzione con cui - recuperando tradizioni antiche - vennero elaborate le modanature e in genere tutti gli elementi architettonici che mediano i passaggi tra un piano e l'altro. Analogamente, la decorazione affrescata, scoperta nel 1927, sottolinea lo sviluppo delle strutture architettoniche.La ricchezza di questo ornato pittorico si rivela pienamente nel ciclo di s. Stefano, che si svolge su tre lunette poste al di sotto dei costoloni della volta del corridoio nord, incorniciate da fregi a palmette. Caratterizzati da colori in cui predominano i toni ocra, rossi e gialli, con lumeggiature bianche, e raffiguranti S. Stefano dinanzi al sinedrio, la Visione dell'angelo e la Lapidazione del santo, questi affreschi costituiscono il più antico ciclo dipinto della Francia altomedievale, dovuto senza dubbio, come dimostra in particolare la scena del martirio, a un maestro di eccezionale qualità.In Auxerre è evidente una dimensione che oggi si direbbe europea, ampiamente travalicante i confini delle influenze regionali, una dimensione che ha origine, del resto, nella politica carolingia e nei relativi grandi movimenti di riforma liturgica e religiosa ed è inoltre frutto anche della presenza, nel sec. 9°, di forti personalità intellettuali, capaci di creare correnti di pensiero e di farle durare per generazioni: si pensi alla famosa scuola di Auxerre, che contribuì - in particolare con Aimone e Remigio - al moltiplicarsi delle filiazioni dell'abbazia e all'aprirsi del centro monastico a influssi culturali esterni, intellettuali, architettonici, artistici, pertinenti in ogni caso in radice alla temperie culturale della rinascenza carolingia.Se la cripta dell'abbazia di Flavigny (Côte-d'Or) non presenta oggi una decorazione significativa come quella di Auxerre, la sua pianta mostra peraltro un'analoga articolazione e coerente armonizzazione degli spazi nonché le stesse esigenze di collegamento tra liturgia e culto delle reliquie. È probabile che la personalità dell'abate Eigil, proveniente da un'abbazia vicina ad Aquisgrana e chiamato dall'imperatore Carlo il Calvo per riformare Flavigny, abbia avuto un peso determinante sullo spirito generale della nuova costruzione - databile a quanto pare verso l'860-880 - come pure sulle sue strette affinità con la cripta di Auxerre, allora da poco compiuta per quanto concerne la costruzione e la decorazione dipinta. È l'epoca cui va riferita anche la decorazione scolpita di numerosi pilastri della cripta di Flavigny (uno solo dei quali rimasto in situ), a racemi ed entrelacs bisolcati, comuni nelle sculture prodotte in età carolingia nell'Italia del Nord e diffuse nella valle del Rodano: se ne trovano in particolare a Vienne, Lione e nella B. del Nord (Digione, Saint-LégerTriey, Langres e, appunto, Flavigny). I capitelli dello stesso periodo appaiono eseguiti con minore abilità, ma indicano comunque, come ad Auxerre, la volontà di recuperare i caratteri di una scultura monumentale abbandonata da più di due secoli.In questi ultimi anni le ricerche archeologiche hanno permesso di riportare alle luce altre importanti testimonianze architettoniche e artistiche di età carolingia, con lo scavo dell'antica abbazia di Saint-Léger di Champeaux nel comune di Saint-Léger-Triey (Côte-d'Or), che ha restituito numerosi frammenti scolpiti (tra i quali un bel capitello in marmo a foglie 'mosse dal vento') e quello della chiesa di Saint-Pierre-l'Estrier nel territorio di Autun (Saône-et-Loire), da cui sono emerse strutture della navata carolingia con la quale si diede un nuovo assetto all'antica basilica funeraria paleocristiana.Rispetto a questi geniali momenti creativi del mondo monastico o ecclesiastico, dal punto di vista della produzione architettonica e artistica, la B. del sec. 10° appare povera sino agli ultimi decenni del secolo. Si è cercato di interpretare testi e documenti, nel tentativo di riempire questo vuoto con costruzioni affatto ipotetiche, come lo chevet di Saint-Pierre-le-Vif a Sens, ma senza che esistano punti fermi, stante la mancanza di scavi e relativi ritrovamenti archeologici riferibili a questo periodo. Gli esempi databili verso l'anno Mille mostrano in ogni caso che le esigenze liturgiche continuavano a condizionare l'elaborazione di nuove planimetrie, mentre i già visti modelli carolingi restavano dominanti per la formazione degli architetti: lo si vede in particolare nello chevet a due livelli della piccola chiesa di Saint-Aubin presso Beaune (Côte-d'Or), della fine del 10° secolo.Il centro più importante della B. dei secc. 10°-11° è certamente Cluny (v.), la cui fondazione (910) era destinata a segnare di sé il mondo monastico e non monastico del tempo. È nota infatti l'importanza storica ed economica dell'abbazia e delle sue filiazioni, che ben si sa diffuse a poco a poco in tutta l'Europa, ma di cui non si valuta tuttora appieno l'impatto sulla cultura architettonica e figurativa del sec. 10°, a opera degli edifici realizzati al tempo degli abati Bernone, Oddone o Maiolo: il che è dovuto almeno in parte alla carenza di notizie e documenti su questi edifici. Non si conosce infatti l'aspetto dei primi edifici abbaziali di Cluny se non attraverso descrizioni successive al sec. 11° e mediante l'interpretazione delle tracce ritrovate da Conant (1954; 1959), il cui influsso si ritrova, in ogni caso, in molti edifici del sec. 11°, a partire per es., dal Saint-Philibert di Tournus. Risulta di conseguenza indiscutibile che Cluny costituì, come Saint-Bénigne di Digione, un momento di snodo determinante nella storia dell'architettura in B., concretizzatosi appunto nell'ultimo scorcio del sec. 10°, anche se le singole opere sono talora successive di qualche decennio. È in questi anni (990-1000) che la guida delle abbazie benedettine si trova affidata a personalità nuove come Odilone o Guglielmo di Volpiano, che aiutarono la B., detentrice della tradizione costruttiva di cui sin qui si è detto, ad assimilare in forme proprie - che costituirono a partire da quel momento una vera e propria identità regionale - le nuove correnti culturali provenienti sia dall'impero ottoniano, sia dalla Francia meridionale, sia dall'Italia settentrionale. Nei monumenti borgognoni di quegli anni la pietra assurge progressivamente a una posizione dominante, senza tuttavia che essi perdano la propria dimensione di luminosità, in cui le masse architettoniche si ridefiniscono e la scultura trova il suo ruolo.
Bibl.: M. Chaume, Les origines du duché de Bourgogne, I, Histoire politique; II, 1-3, Géographie historique, Dijon 1925-1937; K.J. Conant, Medieval Academy Excavations at Cluny. VIII Final Stages of the Project, Speculum 29, 1954, pp. 1-43; id., Carolingian and Romanesque Architecture. 800 to 1200 (The Pelican History of Art, 13), Harmondswort 1959, pp. 107-125; Les mérovingiens au Musée de Dijon, collections mérovingiennes du musée archéologique, cat., Dijon 1977; J. Marilier, La Bourgogne du Haut Moyen Age, in Histoire de la Bourgogne, a cura di J. Richard, Toulouse 1978; M. Vieillard-Troiekouroff, La sculpture paléochrétienne et mérovingienne en Bourgogne (Côte-d'Or, Saône-et-Loire et Yonne), BSNAF, 1978-1979, pp. 273-279; H. Gaillard de Semainville, Les cimetières mérovingiens de la Côte chalonnaise et la Côte mâconnaise, Revue archéologique de l'Est et du Centre-Est, suppl. 3, 1980; M. Martin, s.v. Burgunden, archäologisches, in Reallexikon der Germanischen Altertumskunde, IV, Berlin-New York 1980, pp. 248-271; M. Colardelle, Sépultures et traditions funéraires du Ve au XIIIe siècle ap. J-C. dans les Alpes françaises du nord, Grenoble 1983; La topographie chrétienne des cités de la Gaule des origines au milieu du VIIIe siècle, IV, Province ecclésiatique de Lyon. Lugdunensis prima, Paris 1986; C. Sapin, La Bourgogne préromane: construction, décor et fonction des édifices religieux, Paris 1986; Bourgogne médiévale, la mémoire du sol, cat., Autun 1987.C. Sapin
La storia del ducato di B. nel sec. 11° si apre con la lotta per la successione di Enrico I (965-1002). I diritti di Ottone Guglielmo, suo figlio adottivo, da lui designato come erede, vennero di fatto contestati dal re di Francia Roberto il Pio, figlio di Ugo Capeto, fratello di Enrico I. Nella lotta che ne seguì un ruolo importante fu giocato da due vescovi: Brunone di Roucy, vescovo di Langres, cognato di Ottone Guglielmo e strenuo difensore dei suoi diritti di erede, e Ugo di Chalon, vescovo di Auxerre, sostenitore di Roberto il Pio. La parte occidentale della B. entrò ben presto, con l'Auxerrois, nell'area d'influenza reale, così che per salvaguardare i propri possedimenti nel Giura, a E della Saona, Ottone Guglielmo dovette abbandonare di fatto il ducato al re. Fu tuttavia soltanto dopo la morte di Brunone di Roucy, nel 1016, che Roberto poté effettivamente prendere possesso di Digione.Alla morte del sovrano il ducato passò al figlio Roberto, capostipite di una linea dinastica che si protrasse per tre secoli e mezzo, fino al matrimonio della reggente Giovanna di Boulogne con il re di Francia Giovanni il Buono. In questo arco di tempo, i rapporti fra i duchi di B. e il regno ebbero importanti sviluppi. Dopo un conflitto tra Ugo III (1162-1192) e il re Filippo Augusto, risoltosi con la sconfitta del duca, l'erede di quest'ultimo, Oddone III (1192-1218), compresa l'inutilità di continuare a scontrarsi con il re di Francia, ne divenne uno dei più fedeli vassalli. I suoi successori parteciparono alla vita politica del sovrano, imparentandosi a più riprese con la famiglia reale, come nel caso di Roberto II (1272-1306) che sposò Agnese di Francia, figlia di Luigi IX il Santo.Di pari passo con il progressivo rafforzamento del potere ducale procedeva l'ampliamento dei possedimenti della dinastia; le annessioni territoriali, limitate nel sec. 11° (Auxois, Duesmois e una parte del Tonnerrois), s'intensificarono durante il 12° (Châtillon-sur-Seine e Langres) e, soprattutto, nel Duecento, con l'acquisizione per es. della potente signoria di Vergy, della castellania di Auxonne. Il ducato, a quel tempo, si consolidò entro confini che sono approssimativamente coincidenti con quelli dell'attuale Borgogna. In assenza di criteri geografici, è la storia che ha provveduto a definire tali confini, circoscrivendo il ducato tra l'Ile-de-France a O, la Champagne a N, la Franca Contea a E, il Beaujolais, il Bourbonnais e il Nivernais a S. Malgrado la diversità tra le varie zone, esiste un autentico carattere specificamente borgognone affermatosi con decisione nel corso del Medioevo, non soltanto in campo politico, ma anche in quello artistico; quest'ultimo risulta tuttavia difficilmente circoscrivibile entro rigidi confini territoriali: laddove i grandi edifici del sec. 11° erano partecipi di una ricerca 'internazionale' che portò alla definizione dell'arte romanica (Saint-Philibert a Tournus, cattedrale di Auxerre, Saint-Bénigne a Digione), il modello cluniacense conobbe per gran parte del sec. 12° un successo che andò ben oltre i confini del ducato (La Charité-sur-Loire, Souvigny soprattutto); nel sec. 13°, infine, l'architettura gotica borgognona esercitò un notevole influsso anche a E della Saona. Sarebbe difficoltoso perciò tracciare la storia dell'arte di una regione tanto innovativa nel periodo romanico e gotico senza evocare taluni monumenti - esterni al ducato stricto sensu - ma che rientrano a pieno titolo nell'arte borgognona.Cluny e Cîteaux si trovano nel ducato di B., che vide dunque la nascita e lo sviluppo di due dei principali ordini monastici dell'Occidente medievale. L'Ordine cluniacense, anche se non ancora pienamente organizzato in quanto tale, all'inizio del sec. 11° era in piena fase di espansione e sotto gli abati Odilone (994-1048) e s. Ugo (1048-1109) giunse rapidamente al pieno sviluppo, non solo diffondendo la propria Regola in tutta Europa, ma anche segnando profondamente la vita religiosa nella Borgogna. Sul finire del sec. 10° Guglielmo di Volpiano introdusse la riforma cluniacense nell'abbazia di Saint-Bénigne a Digione e successivamente in numerosi monasteri borgognoni (Bèze, Moutiers-Saint-Jean, Réome, Saint-Michel de Tonnerre, Molesme), normanni, lorenesi, senza tuttavia sottomettere a Cluny le varie abbazie riformate. Diversa fu la sorte di altri insediamenti monastici che, dopo la riforma, divennero priorati dipendenti dall'abate di Cluny; fra i più importanti della B. vanno ricordati Charlieu, Marcigny, Paray-le-Monial, Saint-Marcel a Chalon, Vergy. I rapporti delle altre abbazie borgognone con Cluny non furono sempre facili; così avvenne per es. nel caso di Vézelay - monastero posto, dal momento della sua fondazione, sotto l'autorità diretta del papa -, che per un certo periodo, sotto l'abbaziato di Renaud de Semur, nipote di s. Ugo, dipese da Cluny e riacquistò la propria indipendenza solo in seguito a un conflitto armato (1166). Nel sec. 12° l'influenza di Cluny si estendeva al di là dell'ambito delle istituzioni monastiche, segnando di sé di fatto l'intera vita religiosa della B. sino ai primi segni di declino del prestigio dell'Ordine, nella seconda metà del 12° e, soprattutto, nel 13° secolo.Come quello cluniacense, anche l'Ordine cistercense ebbe origine in B., ma nel Nord e precisamente a Cîteaux alla fine del sec. 11°, con l'intento di far ritorno a uno stile di vita monastica più austero. Al tempo di s. Bernardo, abate di Clairvaux - una delle prime quattro figlie di Cîteaux insieme a La Ferté-sur-Grosne (1113), Pontigny (1114) e Morimond (1114) -, il nuovo Ordine ebbe grande sviluppo incoraggiato dai duchi di Borgogna. Mentre la diffusione dell'arte cluniacense restò limitata alla stessa B. e a certe aree limitrofe, l'arte cistercense, tramite l'aderenza a soluzioni formali adottate nelle abbazie-madri e ai principi via via elaborati nell'ambito dell'Ordine, contribuì a far circolare in gran parte dell'Europa i modelli architettonici delle prime fondazioni borgognone.
La B. è considerata una delle regioni chiave per gli inizi dell'architettura romanica. Già prima dell'anno Mille, la costruzione di Cluny II (consacrata nel 981) aveva preannunciato importanti innovazioni nel tracciato absidale, con il moltiplicarsi delle cappelle orientate, ai lati di un coro fortemente allungato. Sfortunatamente, la scomparsa del monumento e l'incertezza dei risultati raggiunti dagli scavi non permettono di formulare molte congetture sul ruolo spettante all'edificio nella storia dell'architettura romanica: non si conoscono infatti esattamente l'articolazione interna dell'area absidale, le proporzioni delle aperture delle cappelle sul transetto, l'alzato e il tipo di copertura della navata, né quale fu il contributo delle successive trasformazioni (torre dell'incrocio, copertura a volta). Troppo spesso sono state rapportate al prototipo di Cluny II chiese con terminazione orientale caratterizzata da numerose cappelle di profondità digradante, costruite nel corso del sec. 11° in B. o altrove, schematizzando così, in termini troppo riduttivi, una realtà infinitamente più ricca e diversificata. Nella stessa B. gli edifici dell'inizio del sec. 11° mostrano diverse interpretazioni di questo tipo di abside. Il vescovo Brunone di Roucy (m. nel 1016) fece erigere nel castello dei vescovi di Langres, a Châtillon-sur-Seine, una chiesa destinata ad accogliere le reliquie di s. Verolo. Nonostante le parziali trasformazioni subìte in età gotica - riedificazione delle cappelle - e poi nel sec. 17°, è possibile ricostruire a grandi linee l'aspetto della terminazione orientale dell'edificio: l'abside era preceduta da una campata di coro e inquadrata, su ciascun lato, da due cappelle orientate e poco profonde. A Perrecy, nel primo terzo del sec. 11°, cappelle di profondità decrescente si scalano lungo i lati del coro, consentendo l'apertura di arcate di comunicazione fra questo e le cappelle adiacenti. Si può anche citare l'esempio di Anzy-le-Duc, la cui terminazione orientale comportava, oltre alle cappelle scalate ai due lati del coro, una piccola absidiola che si apriva all'estremità dell'abside, o, ancora, quello di Couches, dove cappelle di uguale profondità sono allineate lungo i bracci del transetto. Queste soluzioni, che conobbero in seguito grande fortuna in regioni come il Berry (Méobecq) o la Normandia (Bernay), in B. non approdarono ad alcuna formulazione stabile e non vennero adottate molto oltre il settimo decennio del sec. 11°, malgrado la sontuosa realizzazione, nell'ultimo terzo, della Charité-sur-Loire.Parallelamente alle soluzioni di terminazione orientale con cappelle scalate o allineate, gli architetti borgognoni esploravano altre vie. Alcune, benché straordinarie, non ebbero futuro, come nel caso della rotonda costruita all'estremità del coro di Saint-Bénigne a Digione dall'abate Guglielmo di Volpiano e consacrata nel 1019. Per contro, la realizzazione di terminazioni orientali con deambulatorio e cappelle radiali risultò fondamentale nel processo di definizione dell'architettura romanica. Fra le regioni in cui tale soluzione fu adottata precocemente (Alvernia e media valle della Loira), la B. occupa un ruolo particolarmente significativo con gli esempi di Saint-Philibert a Tournus e della cattedrale di Auxerre, del primo terzo dell'11° secolo. Recentemente è stata rivalutata pienamente l'importanza della terminazione orientale di Saint-Philibert a Tournus: ricostruita dopo un incendio, che nel 1007 aveva distrutto la chiesa, essa costituisce il più antico esempio, parzialmente conservato in alzato, di una tipologia che venne poi adottata, durante tutto il periodo romanico - e oltre - in molti grandi edifici francesi. A Tournus, certo, non tutto è perfettamente definito: vi compaiono ancora le cappelle radiali a pianta rettangolare come nella cripta della cattedrale di Clermont-Ferrand, di poco precedente; nella cripta, i passaggi tra l'ambiente centrale, sostenuto da due file di esili colonne, e il deambulatorio sono limitati; al livello superiore, i pilastri del coro sono massicci e privi di articolazione, mentre l'emiciclo poggia su un muro basso che isola l'abside dal deambulatorio. Le caratteristiche principali dello schema sono già presenti nell'alternanza, lungo il giro dell'abside, tra le finestre che si aprono sul deambulatorio e le cappelle radiali, nonché nella corrispondenza tra l'inserimento di queste ultime e quello delle colonne dell'emiciclo. Sfortunatamente le parti alte dell'abside sono state ricostruite all'inizio del sec. 12°, lasciando margini di incertezza interpretativa su diverse questioni importanti. Nonostante queste lacune, la terminazione orientale di Saint-Philibert a Tournus costituisce una testimonianza tanto più importante in quanto i primi deambulatori a cappelle radiali, risalenti agli inizi del sec. 11°, sono in peggiori condizioni di conservazione (scavi delle cattedrali di Orléans e di Rouen, cripte di Saint-Agnan a Orléans o della cattedrale di Chartres). Paragonata agli esempi citati, la cripta con deambulatorio della cattedrale di Auxerre (1023-1035) appare come un'opera eccezionale. Concepita per servire da base a un ampio capocroce, si presenta come una vera chiesa inferiore, con grande aula centrale, divisa in tre navate da due file di pilastri compositi assai distanziati e comunicante con il deambulatorio attraverso numerose aperture; lungo l'asse si apre una bifora che lascia penetrare fino al centro della cripta la luce proveniente dall'unica cappella del deambulatorio, situata anch'essa nella campata d'asse. La sapienza degli effetti, l'articolazione delle murature, l'originalità dell'interpretazione spaziale fanno di questa cripta uno dei grandi capolavori dell'architettura dell'11° secolo. Non si conoscono purtroppo altri edifici attribuibili all'architetto di Auxerre e soltanto la cripta della cattedrale di Nevers, di più modeste ambizioni, ne riprende alcuni elementi, in particolare nei pilastri formati da un fusto quadrangolare racchiuso tra quattro semicolonne e nel sistema delle imposte d'arco utilizzate in sostituzione dei capitelli; ma si tratta soltanto di una riproposizione di soluzioni già precedentemente elaborate.Gli architetti borgognoni del sec. 11° proposero soluzioni altrettanto variate per l'incrocio del transetto. Alcuni restarono legati al gusto per il tipo di illuminazione caratteristico delle torri-lanterna carolinge e tentarono di trascrivere in un'architettura che adottava la copertura a volta soluzioni in varia misura ereditate da edifici con copertura lignea dell'Alto Medioevo. È quanto accade in Saint-Vorles a Châtillon-sur-Seine - il cui incrocio presenta una cupola su trombe, posta al di sopra di un ordine di finestre - o a Perrecy. In quest'ultimo esempio l'adozione di archi diaframma aperti a giorno tramite arcature per delimitare l'incrocio contribuisce a creare una sorta di gabbia interna che isola e valorizza a un tempo lo spazio centrale, mentre a Saint-Vorles i diversi spazi interni sono ampiamente intercomunicanti. Anche in questo ambito, dunque, come in quello dei capocroce, è impossibile ricondurre le diverse esperienze a una tendenza unica. Comunque sia, la torre d'incrocio doveva costituire uno dei dati più costanti dell'architettura romanica borgognona, tanto che certi edifici privi di transetto, come la chiesa di Chapaize, furono ugualmente dotati di uno pseudoincrocio mediante la costruzione, sulla campata antistante il coro, di una cupola che sosteneva una torre campanaria.Se da un lato le sperimentazioni riguardanti la copertura a volta del blocco orientale delle chiese (capocroce e transetto) ebbero in B. uno sviluppo precoce e generale, dall'altro si riscontrano due modi diversi di affrontare il problema della copertura delle navate: alcuni architetti mantennero per la navata centrale la soluzione a capriate di tradizione altomedievale (Châtillon-sur-Seine, Perrecy), mentre altri sperimentarono diversi tipi di copertura a volta. Per comprendere il problema nel suo insieme è tuttavia opportuno ampliare in senso geografico il campo di indagine: le soluzioni sperimentali adottate per le volte della navata centrale di Chapaize non si possono dissociare, per es., da quelle di Romainmôtier. In entrambi i casi l'architetto coprì la navata centrale con una volta a botte longitudinale, utilizzando per quelle laterali volte a crociera o lunettate. Tale scelta non ha carattere di straordinarietà, se non nel fatto che gli architetti vollero conservare l'alzato di una basilica con copertura a capriate, illuminata da un ordine di finestre nella zona superiore della parete, creando inevitabilmente gravi problemi per la chiesa di Chapaize, dove, nel sec. 12°, si rese necessario ricostruire la volta della navata centrale e parte di quella della navata laterale nord, che erano crollate; in quanto alla fila di finestre alte, esse dovettero essere demolite. La volontà degli architetti borgognoni di adottare la copertura a volta senza discapito per l'illuminazione li spinse sovente, nei secc. 11° e 12°, a introdurre innovazioni. È in quest'ottica che si colloca, nel Saint-Philibert a Tournus, l'adozione nella navata centrale di volte a botte trasversali, che permettevano l'apertura di ampie finestre. Tale straordinaria soluzione non è più riferibile alle prime esperienze borgognone, ma acquista tutto il suo effettivo significato se vista nel suo reale contesto: nella stessa epoca, infatti, gli architetti di Saint-Nazaire a Bourbon-Lancy o di Baume-les-Messieurs nella Franca Contea continuavano a costruire grandi navate con tetto su capriate.Dall'arte carolingia derivano parimenti alcune soluzioni adottate per le facciate occidentali, come nel caso della galilea di Saint-Philibert a Tournus. Si tratta però di una tradizione reinterpretata: due torri in facciata e due livelli sovrapposti, comprendenti ciascuno tre navate longitudinali e tre campate. Al piano inferiore, che funge da basamento, le tre navate hanno la stessa altezza: ne conseguono alcuni problemi, riguardanti in particolare il tipo di volta scelto per la copertura (a botte trasversale per le navate laterali, a crociera per quella centrale). La chiesa superiore presenta invece una navata centrale con volta a botte longitudinale, illuminata da finestre alte e contraffortata da navate laterali voltate a mezza botte. In questo edificio, che probabilmente risale alla metà del secolo, sono evidenti gli obiettivi consueti agli architetti borgognoni: dotare di volte e allo stesso tempo illuminare la navata centrale. L'audacia architettonica consistette però in questo caso nell'erigere una chiesa voltata, insistente su di un primo edificio. Al di là del valore dell'impresa dal punto di vista tecnico, la galilea di Tournus appartiene a una tipologia molto diffusa nel sec. 11° nell'architettura del ducato di B. e nelle regioni limitrofe: una galilea di dimensioni ridotte ma di disposizione affine è presente a Romainmôtier e si possono inoltre citare esempi oggi scomparsi, che mostravano alcune varianti dello stesso tipo di pianta, in Cluny II, in Saint-Germain a Auxerre (benché i problemi cronologici di questo edificio non siano del tutto risolti) e, ancora, a Souvigny. La galilea di Tournus non era l'unica costruzione borgognona a presentare due torri in facciata: a Saint-Vincent di Mâcon le torri, risalenti probabilmente anch'esse alla metà del sec. 11°, sono gli unici resti della chiesa, distrutta agli inizi del 19° secolo. Per tutta l'età romanica in B. si adottò costantemente questo tipo di galilea, più o meno sviluppata, anche se con il tempo la distribuzione dello spazio interno andò via via modificandosi; a Cluny III o a Vézelay, verso la fine della prima metà del sec. 12°, le tribune si aprono su uno spazio centrale, sottolineando l'analogia tra l'alzato della galilea e quello delle navate stesse.Sebbene l'impiego di pilastri compositi non abbia mai avuto in B. nel sec. 11° un'applicazione sistematica, se ne riscontrano esempi estremamente precoci: la navata e la crociera del transetto di Saint-Vorles a Châtillon-sur-Seine, per es., presentano pilastri dal fusto quadrangolare con quattro semicolonne dai volumi assai incerti, che costituiscono uno dei casi più antichi di sostegni di questo tipo. Nella cripta della cattedrale di Auxerre l'articolazione dei pilastri dello stesso tipo è più possente e corrisponde già a una formulazione matura di questo tipo di sostegno. È opportuno a questo punto chiedersi per quale motivo il pilastro composito, elemento essenziale dell'articolazione plastica della parete romanica, si sia diffuso nei grandi monumenti della valle della Loira, del Poitou e della Normandia e abbia avuto invece un uso limitato nella B. dell'11° secolo. Senza dubbio si può trovare una risposta alla questione nella coesistenza, all'interno del ducato, di due sistemi costruttivi. Il primo si fondava sull'impiego di piccoli conci di pietra, il secondo sull'utilizzo di conci di media grandezza, almeno per i pilastri, per i contrafforti e per le cornici delle aperture. Si sarebbe tentati - ed è in effetti accaduto - di associare il primo sistema agli edifici più antichi, ma la realtà è più complessa: nella terminazione orientale di Saint-Philibert di Tournus la pietra da taglio è largamente usata in conci di media grandezza, mentre la navata, più tarda, presenta conci più piccoli; la cripta della cattedrale di Auxerre, invece, offre uno degli esempi noti più belli del secondo sistema. Per ciò che riguarda la possibilità di dividere i due sistemi per aree geografiche, si può affermare che - a eccezione del Saint-Philibert a Tournus - sembra proprio che in B. la muratura in pietra da taglio e conci di media grandezza non abbia avuto diffusione al di là delle zone sul confine occidentale (cattedrale di Auxerre, Châtel-Censoir); questo sistema costruttivo nel sec. 11° sembra essere stato associato prevalentemente all'uso di pilastri compositi (Saint-Benoît-sur-Loire, Bernay, Jumièges, ecc.). Per contro, gli edifici del ducato costruiti a piccoli conci mostrano, per la maggior parte, supporti massicci e semplici, a sezione quadrata o, soprattutto, circolare. Indipendentemente dalla loro sezione, questi sostegni non favoriscono la valorizzazione delle campate; soltanto le navate di Châtillon-sur-Seine e di Chapaize mostrano un tentativo di ritmare lo spazio longitudinale mediante colonne costruite a piccoli conci e salienti ininterrotte sin dalla base. Così la B., tanto innovatrice nel campo delle forme architettoniche in generale, nel sec. 11° appare invece relativamente conservatrice in quello dell'articolazione plastica delle membrature.Ci si deve pertanto chiedere se sia questa la ragione per cui la scultura monumentale, che nella stessa epoca conobbe una rapida fioritura nella valle della Loira e nella Francia occidentale, è così scarsamente presente negli edifici del ducato. A eccezione dei capitelli figurati di Saint-Bénigne a Digione, caso quasi unico, si trovano soltanto capitelli di tipo corinzio, più o meno derivati da quelli del periodo carolingio. Di questo tipo è, per es., il repertorio decorativo di Saint-Philibert a Tournus, in tutte le fasi della sua costruzione. Nella cripta della cattedrale di Auxerre i tre capitelli scolpiti derivano anch'essi dal tipo corinzio, ma sono talmente schematizzati da aver perso quasi completamente la facies vegetale dei modelli antichi. A Châtel-Censoir è presente tuttavia un gruppo di capitelli più diversificati, in cui alcune forme derivate dallo schema corinzio si combinano con un repertorio di grossolani racemi e leoni affrontati o di palmette di fantasia. Esistono però evidenti punti di contatto tra questo gruppo di sculture e l'arte della valle della Loira, anche se lo scultore borgognone, dallo stile possente e rude, non seppe comprendere la raffinatezza di creazioni quali, per es., la torre-portico di Saint-Benoît-sur-Loire. La maggior parte degli altri edifici borgognoni del sec. 11° non presenta capitelli scolpiti: pilastri ad angoli in Saint-Vorles a Châtillon-sur-Seine e a Chapaize, semplici imposte d'arco nella galilea e nella navata di Tournus. Un tale rifiuto della decorazione scolpita, in questo periodo, non è una prerogativa della B. ma si rileva anche in molte chiese della Franca Contea e della Lombardia. Come in queste regioni, d'altronde, l'austerità della decorazione interna è spesso compensata dalla presenza all'esterno di un fitto intreccio di lesene e arcate cieche (Châtillon-sur-Seine, galilea di Tournus, Chapaize, Combertault, Saint-Vincent a Mâcon).
A partire dagli anni 1075-1080 si osservano nell'architettura, in B. come in molte altre regioni, radicali trasformazioni sia nello stile sia nelle tecniche di costruzione. Naturalmente la muratura a piccoli conci e l'austerità della plastica architettonica non scomparvero all'improvviso: nel sec. 12° inoltrato - e anche molto dopo (Saint-Albain a Mâcon) - ricorrono ancora, soprattutto in edifici modesti, tecniche e partiti legati a tradizioni costruttive del secolo precedente. Ciò rende spesso difficile lo stabilire una cronologia precisa, come nel caso di Saint-Martin a Laives e di Notre-Dame a Malay, dove è arduo definire il lasso di tempo intercorso tra i due cantieri. Spesso soltanto i cambiamenti nel tipo delle modanature o l'adozione di archi acuti possono offrire qualche indicazione. Ma fu comunque altrove, nei grandi cantieri, che si verificarono rivolgimenti radicali.Nel caso di Cluny III, il termine rivolgimento non suona eccessivo. Infatti la ricerca del gigantismo in cui si esprime l'ambizione del progetto si manifestò in tutti gli aspetti dell'architettura, dalle soluzioni adottate per i vari corpi dell'edificio (terminazione orientale con deambulatorio e cappelle radiali, doppio transetto, corpo longitudinale a cinque navate, moltiplicazione delle torri) alle tecniche di costruzione. Alla muratura in conci di media grandezza - che in B. tendeva a essere una costante finché non venne avviato, nel 1088, il cantiere di Cluny - subentrò l'impiego di pietre da taglio di dimensioni maggiori, adeguate alla misura dei pilastri compositi e dei contrafforti dell'edificio (le pareti continuarono invece a essere costruite essenzialmente con piccoli conci). Dagli inizi del sec. 12° questa differenza di scala nelle parti in muratura venne adottata in molte chiese borgognone anche di più modeste dimensioni, indipendentemente dalla struttura generale, analogamente a una serie di motivi ornamentali, come lesene scanalate, fregi a ovoli, basi attiche; ma soltanto gli edifici piú importanti poterono ispirarsi al partito architettonico di Cluny III.Non v'era alcun precedente, in B., che potesse far prevedere le soluzioni adottate nella grande abbaziale. Il deambulatorio a cappelle radiali, pur avendo conosciuto una qualche fortuna all'inizio del sec. 11°, non era diventato, come nella Francia occidentale, una tipologia abituale degli edifici di prestigio. Analogamente l'alzato a tre piani non aveva nessun antecedente locale, mentre a partire da Bernay esso aveva costituito il problema fondamentale - in un modo o nell'altro - affrontato dagli architetti normanni; nella valle della Loira era stato adottato già dagli anni 1070-1080 nel coro di Saint-Benoît-sur-Loire. Le sperimentazioni relative alla copertura a volta erano invece maggiormente in linea con le esperienze borgognone del sec. 11°; nonostante l'altezza senza precedenti della navata centrale (m. 30 ca.), a Cluny III non si volle rinunciare alle finestre nella parte alta della parete: l'architetto dovette a questo scopo mettere in opera una volta a botte a sesto acuto, gravante sul vuoto in misura inferiore rispetto a una botte a tutto sesto; il che, tuttavia, non poté evitare che una parte dell'edificio crollasse nel 1125. Infine, nulla in B. sembrava preannunciare il gusto per una ricca plastica architettonica che si affermò da un capo all'altro del cantiere cluniacense. Nell'ultimo terzo del sec. 11° la scultura aveva certo conquistato un ruolo che non aveva in precedenza: l'esempio di Anzy-le-Duc e del complesso di monumenti a esso collegati testimonia tale interesse, riguardante comunque soltanto i capitelli ed, eventualmente, le basi; le modanature delle grandi arcate conservavano una certa austerità, con le doppie cornici di archivolto a spigoli vivi e le imposte ad angolo non inquadranti il pilastro. A Cluny, invece, le modanature si arricchirono di motivi derivati dal repertorio antico: lesene scanalate non soltanto sui pilastri, ma anche sulle arcate cieche, archi sottolineati da vari motivi scolpiti, imposte modanate cingenti i pilastri, cornici poste a evidenziare i vari piani. Se la terminazione orientale con deambulatorio e cappelle radiali dell'abbaziale di Cluny fu ripresa solo in pochi altri edifici (in particolare a Paray-le-Monial e La Charité-sur-Loire), l'alzato a tre piani e la volta a botte acuta della sua navata centrale ispirarono gli architetti borgognoni sino alla fine dell'età romanica. Dalla copia fedele alle reinterpretazioni connesse all'introduzione di elementi del primo Gotico, numerose sono le variazioni sul tema della navata cluniacense. A Paray-le-Monial ricorrono tutti gli elementi del modello: ogni campata presenta una grande arcata a sesto acuto, sormontata da tre arcatelle cieche inquadrate da lesene e, al di sopra di queste, da tre finestre a tutto sesto collocate proprio sotto la linea d'imposta della volta a botte; nei pilastri compositi si ritrova il gioco delle semicolonne e delle lesene scanalate della navata di Cluny III; ogni campata è vigorosamente scandita da sostegni di forma diversa di piano in piano: lesene scanalate su semipilastri, quindi lesene scanalate incorniciate da sottili colonnine in controvena, semicolonne addossate a semipilastri; cornici modanate evidenziano queste variazioni, a livello delle grandi arcate, sotto le arcatelle cieche e le finestre, ma anche all'innesto della volta. Il muro risulta in tal modo percorso da una rete di linee orizzontali e verticali secondo una precisa articolazione. Pur conservando i principi di questo tipo di alzato, l'architetto di Saint-Lazare ad Autun introdusse qualche variante; forse a causa del crollo di una parte dell'abbaziale cluniacense (1125), egli rinunciò ad aprire tre finestre per campata rendendo però sistematico l'uso delle lesene scanalate. Altri edifici offrono una versione più pura, come a Saulieu, dove alle lesene scanalate subentrano ovunque le semicolonne, mentre le arcatelle cieche, composte da quattro elementi invece che da tre, introducono un nuovo rapporto tra linee orizzontali e verticali. Ancora alla metà del secolo il modello cluniacense continuò a suggerire nuove variazioni agli architetti, così a Semur-en-Brionnais, dove predomina una certa esuberanza ornamentale, o in Notre-Dame a Beaune, dove, viceversa, regna un'austerità che forse non è priva di rapporto con la crescente influenza dei Cistercensi nella cerchia del duca di B., o ancora nella cattedrale di Langres, dove la ricca decorazione antichizzante si combina con un sistema di volte ogivali che giustificano alcune trasformazioni: per es. colonnine in controvena collocate agli angoli dei pilastri, destinate a ricevere le nervature della volta, contribuiscono a potenziare l'effetto decorativo.Malgrado il successo riscontrato, il modello cluniacense non regnava tuttavia sovrano. La navata della Madeleine a Vézelay - la cui costruzione, iniziata nel 1120, si svolse contemporaneamente a quella di Saint-Lazare ad Autun - s'ispira a tutt'altra tradizione: quella dei monumenti precluniacensi, come Anzy-le-Duc, dotati di una navata a due piani (grandi arcate e finestre alte), coperta con una volta a botte lunettata, non troppo dissimile da una volta a crociera. Come in questi edifici, le grandi arcate e gli arconi trasversali sono a tutto sesto; ma l'ampiezza della navata di Vézelay e la sua intensa luminosità ne fanno un monumento ben diverso dai prototipi di più piccole dimensioni che la precedettero. Come l'architetto ideatore del corpo longitudinale di Cluny III, quello di Vézelay travalicò i limiti del possibile adottando soluzioni tecniche tanto audaci quanto poco solide, come il futuro avrebbe dimostrato: le navatelle, assai poco sviluppate in altezza, lasciano libera al di sopra delle grandi arcate un'ampia porzione di muro, forata da finestre collocate immediatamente al di sotto degli archi di imposta delle volte. Obiettivo dell'architetto fu quello di aumentare non l'altezza dell'edificio, bensì l'ampiezza, per ottenere respiro spaziale: a questo scopo egli scelse materiali leggeri per le volte (detriti) e collocò tiranti all'attacco di ciascun arcone trasversale. Il modello di Vézelay conobbe una certa fortuna nella B. settentrionale, per es. in Saint-Lazare ad Avallon e a Pontaubert, ma nessuno di questi monumenti raggiunse l'audacia e l'armonia di proporzioni della Madeleine.Molto più complesso è il problema riguardante la diffusione della scultura cluniacense. La distruzione dell'abbaziale, dopo la rivoluzione francese, ha comportato la scomparsa di un gran numero di opere di scultura e le poche vestigia conservate devono essere oggetto di uno studio particolareggiato prima di poter essere utilizzate per ricostruire la storia del cantiere. Nonostante la presenza di un programma iconografico complesso quanto ermetico nei capitelli dell'emiciclo absidale, la decorazione dell'abbaziale sembra essere stata caratterizzata essenzialmente da motivi vegetali: da un capo all'altro dell'edificio, l'elemento decorativo corinzio appare come un vero e proprio Leitmotiv, pur subendo spesso notevoli trasformazioni, sorte comune d'altronde a quasi tutte le sue 'rinascite' in età romanica. Tale 'rinascita' si accompagnò, a Cluny, ad altre reminiscenze antiche, come le lesene scanalate o i fregi a ovoli. Gli edifici che in seguito ne ripresero il partito architettonico non ne adottarono però necessariamente il tipo di decorazione. Paray-le-Monial, per es., presenta indubbiamente capitelli con ornato vegetale - di tipo spesso semplificato -, mentre Saint-Lazare ad Autun o Saulieu sono chiese famose per l'insieme dei loro capitelli istorati, il cui legame con lo stile cluniacense è limitato. Cluny non spiega tutta la scultura romanica borgognona, come spesso si è voluto credere: complessi come quelli di Moutiers-Saint-Jean, Bussy-le-Grand e, soprattutto, Vézelay, attestano una reale varietà di stili e di qualità. L'influenza cluniacense è più facilmente individuabile nel campo dei timpani: quello della facciata occidentale dell'abbaziale di Cluny, scolpito negli anni intorno al 1115 (conosciuto unicamente attraverso pochi frammenti conservati a Cluny, Mus. Ochier, e alcune incisioni anteriori alla sua distruzione), segna infatti una svolta nella storia della scultura monumentale della regione. Per le dimensioni e la vastità del suo programma iconografico, esso è molto lontano dai primi esempi di timpani scolpiti in B. alla fine del sec. 11° (Charlieu, Mont-Saint-Vincent). Gli artisti che vi lavorarono segnarono con il proprio stile una serie di opere intorno al terzo decennio del sec. 12°, sia in insiemi prestigiosi come il timpano di Vézelay sia in altri meno ambiziosi, per es. a Perrecy e Montceaux-l'Etoile. Tale influsso agì inoltre soprattutto a livello tipologico e stilistico, dal momento che i temi iconografici presenti nei timpani risultano assai diversificati: Ascensione, Cristo in maestà sorretto da due angeli, Missione degli apostoli. Il Giudizio finale di Autun, firmato da Gislebertus, occupa infine un posto particolare, a sé stante, dovuto all'immenso talento del suo autore.Nonostante tale diversificazione, questa fase della scultura borgognona presenta una certa unità nei suoi principi stilistici e nel repertorio decorativo, unità che venne rimessa in discussione nel quinto decennio del 12° secolo. La rapida diffusione del pensiero cistercense, nel Nord della regione, segnò una prima rottura. Se l'impatto delle prime costruzioni - peraltro scomparse - è difficile da cogliere al di là del partito architettonico, l'estetica dell'austerità dei Cistercensi si esprime al meglio a Fontenay, nel secondo quarto del 12° secolo. È possibile chiedersi se esista un rapporto tra questa nuova austerità e l'abbandono dei cicli di capitelli istoriati; comunque sia, verso la metà del secolo si osserva un ritorno d'interesse per una decorazione esclusivamente a motivi vegetali, vuoi dell'ornato corinzio (cattedrale di Langres), vuoi di forme più semplici (Notre-Dame a Beaune). Parallelamente si assiste, soprattutto nel Sud della B., a uno sviluppo rapidissimo di forme esuberanti (portale nord di Charlieu), talvolta in rapporto con la produzione della valle del Rodano (Vienne, Savigny). Sempre nella stessa epoca fu scolpito ad Autun il sepolcro di s. Lazzaro (Autun, Mus. Rolin), opera straordinaria in cui si fondono un gusto senza precedenti per il realismo delle espressioni e una ricerca di effetti coloristici, ottenuti con l'impiego di marmi intarsiati. Benché coeva alla prima scultura gotica dell'Ile-de-France, quest'opera raffinata rispecchia una sensibilità diversa, di cui si ritrovano echi nelle opere borgognone più tarde.
Gli inizi dell'arte gotica in B. - che si inscrivono nel contraddittorio contesto della metà del sec. 12° - sono complessi e non ancora del tutto chiariti. Uno dei più importanti edifici del nuovo stile, la cattedrale di Sens, si trova ai confini occidentali della regione; partecipe delle esperienze sviluppate negli anni quaranta del sec. 12° nel domaine royal, tale costruzione appare molto isolata nel suo contesto e quasi esterna rispetto alla storia dell'arte gotica della B., dove peraltro ebbe scarsa influenza. Altrove solo l'adozione dell'arco acuto introdusse una novità tecnica, senza conseguenze né sulla struttura né sull'estetica degli edifici: nella cattedrale di Langres la navata con volte ogivali è di tipo cluniacense, mentre in quella dell'abbaziale cistercense di Pontigny persiste il gusto romanico per le superfici murarie. Se da un lato l'architettura della metà del sec. 12° si apriva cautamente alle innovazioni artistiche del momento, dall'altro i portali con statue-colonna della prima arte gotica dell'Ile-de-France vennero rapidamente adottati in Saint-Lazare ad Avallon, a Vermenton, in Saint-Bénigne a Digione. Tuttavia, le opere conservate rivelano un senso pittorico che trasforma i modelli e conferisce loro una fisionomia originale.La prima grande costruzione gotica borgognona è la terminazione orientale di Vézelay, ultimata negli anni ottanta del 12° secolo. Su una pianta conforme ai principi definiti a partire dal quinto decennio del secolo nell'Ile-de-France s'innalza un deambulatorio a cappelle contigue (qui parzialmente comunicanti tra loro). L'alzato del coro riprende il modello della cattedrale di Sens includendo, tra gli arconi e le finestre, un piano di false tribune. Le proporzioni sono completamente diverse a Vézelay, dove non si ritrovano né l'ampiezza né la 'generosità' delle forme di Sens. Il moltiplicarsi delle colonnine in controvena, la riduzione della lunghezza delle campate, l'alleggerimento dei supporti costituiscono gli elementi più moderni. Quasi contemporanea all'abside di Vézelay, quella dell'abbaziale cistercense di Pontigny rispecchia l'impianto dello scomparso deambulatorio di Clairvaux, costruito tra il 1154 e il 1174, con le sue cappelle radiali racchiuse in un massiccio corpo murario. La stessa disposizione, su pianta rettangolare, ricorreva nelle absidi, anch'esse scomparse, di Morimond e di Cîteaux (1193). Anche nella seconda generazione gotica, dunque, i Cistercensi continuarono a svolgere un ruolo importante nella definizione di nuove formule.Con la ricostruzione della terminazione orientale della cattedrale di Auxerre, intrapresa dal vescovo Guglielmo di Seignelay (1207-1220), si aprì una nuova fase della storia dell'architettura gotica in B.: il cantiere dovette essere aperto sicuramente fin dal 1215. In quell'epoca si moltiplicarono, peraltro, le grandi realizzazioni architettoniche: le cattedrali di Chartres e di Bourges erano infatti in costruzione, come pure quella di Soissons, per non citare che qualche punto di riferimento. Diffondendosi, l'architettura gotica cominciò anche a diversificarsi. L'architetto della cattedrale di Auxerre propose una soluzione innovativa sotto molti aspetti, il cui ruolo nella definizione dell'architettura rayonnante del sec. 13° non è stato sempre riconosciuto in modo adeguato. I lavori furono ultimati prima del 1234, nel momento in cui cominciavano a sorgere il Saint-Denis di s. Luigi IX e la cattedrale di Troyes. Ciò che maggiormente colpisce nell'abside di Auxerre e la contrappone al modello dominante a quel tempo - l'abside della cattedrale di Chartres - è il trattamento del muro. Nel deambulatorio a cappelle radiali esso risulta totalmente scomposto, ridotto a uno scheletro; nel corpo longitudinale, il triforio, relativamente sviluppato in altezza e segnato da esili colonnine, lascia scorgere ampie porzioni della parete esterna, mentre, a livello delle finestre, corre un passaggio. L'architetto di Auxerre ha moltiplicato gli effetti di cortina, collocando all'ingresso della cappella assiale colonne che moltiplicano le prospettive pur assicurando la continuità del tracciato curvilineo. È dunque un'arte illusionistica quella che trova qui la sua definizione.L'assottigliamento sistematico dei muri s'impose rapidamente come una caratteristica tipica dell'architettura gotica borgognona. Nel primo quarto del sec. 13° fu dato avvio a molti cantieri di edifici particolarmente rappresentativi di questa tendenza: Saint-Martin a Clamecy, il cui alzato s'ispira a quello della cattedrale di Auxerre e, soprattutto, Notre-Dame a Digione. Quest'ultimo edificio, con la sua abside a cappelle oblique, le sequenze di colonne e le volte esapartite, propone un'interpretazione che, sia pure con alcune varianti, conobbe una grande diffusione nella regione (Chalon-sur-Saône, Semur-en-Auxois, cattedrale di Nevers, Auxonne). Questa corrente è stata frequentemente messa in rapporto con altre esperienze gotiche, come quelle della cattedrale di Canterbury in Inghilterra o delle cattedrali di Losanna e Ginevra, tendenti anch'esse all'assottigliamento delle pareti, ma i legami esistenti tra questi edifici devono ancora essere definiti criticamente con esattezza. Comunque sia, questa fase dell'architettura gotica in B. produsse alcune splendide realizzazioni, quali Saint-Seine-l'Abbaye, con alzato a due ordini, ampie superfici murarie e passaggio praticabile lungo il piano delle finestre alte.Questo stile regionale rimase inalterato fino alla metà del sec. 13°, nonostante qualche riproposta di soluzioni più arcaiche a Saint-Père-sous-Vézelay, Villeneuve-sur-Yonne e Saint-Pierre a Varzy. Oltre questa data, l'arte rayonnante originaria del domaine royal incontrò un particolare favore in B. fino al nono decennio del Duecento, anche se in questo periodo l'attività costruttiva si era alquanto ridotta. Va ricordato, in particolare, l'assoluto capolavoro costituito dalla cappella di Saint-Gilles a Saint-Thibault, oppure l'abside di Saint-Germain ad Auxerre, senza dimenticare il Saint-Vincent a Mâcon, distrutto in seguito alla rivoluzione. Ancora una volta, alla fine del secolo fu lo stile borgognone dell'inizio del sec. 13° a tornare in auge nella ricostruzione del Saint-Bénigne a Digione. La storia dell'architettura gotica in B. si presenta quindi come un alternarsi di fasi di apertura alle soluzioni della vicina Ile-de-France e fasi in cui si afferma invece una fisionomia regionale.Quanto alla scultura monumentale, dopo aver superato le prime esperienze connesse a quelle del domaine royal, sviluppò nel sec. 13° esplicito carattere regionale. Dal portale di Rougemont a quelli di Semur-en-Brionnais o di Moutiers-Saint-Jean, si ritrovano le stesse forme possenti ed espressive, le stesse fisionomie marcate e, talvolta, quasi caricaturali. Il senso del pittoresco e del realismo che si era già manifestato nel sec. 12°, verso la metà del successivo produsse a Saint-Thibault un caratteristico portale, arricchito negli strombi da statue di personaggi in abiti laicali del tempo. Completamente diverso è invece lo stile dei portali di facciata nella cattedrale di Auxerre, del terzo quarto del secolo, che potevano rivaleggiare con i grandi capolavori della coeva arte parigina.
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Anche per ciò che concerne la pittura monumentale, il panorama della B. romanica appare dominato dall'influsso esercitato dall'abbazia di Cluny (v.).Scomparsa, com'è noto, ogni traccia delle pitture esistenti nel complesso abbaziale, distrutto nel sec. 19°, la produzione pittorica cluniacense è documentata da un'unica, fondamentale testimonianza superstite, gli affreschi della cappella del c.d. Château des Moines a Berzé-la-Ville (v.), un antico priorato di Cluny, a km. 12 ca. dall'abbazia, residenza preferita dell'abate Ugo (1049-1109). Si tratta di una serie di affreschi che svolgono un'articolata iconografia, centrata sull'immagine absidale con il Cristo in trono tra i ss. Pietro e Paolo, ai quali, simbolicamente, nel 910 erano state donate le terre dell'abbazia. A tale riguardo va ricordato che Cluny era stata posta, sin dal momento della sua fondazione, sotto la diretta giurisdizione del pontefice romano, circostanza questa che può contribuire anche a dare ragione dell'accento stilistico, marcatamente italobizantino, che caratterizza gli affreschi di Berzé-la-Ville. Vi sono raffigurati diversi santi in scene di martirio, come quello di s. Lorenzo, caratterizzato da vivacità di movimento e inedita capacità di concezione spaziale. Recenti indagini tecniche (Di Matteo, 1981) hanno smentito una convinzione, da lunghissimo tempo radicata, secondo cui il ciclo sarebbe stato eseguito usando colori mescolati a cera, mentre appare ormai accertata la presenza della usuale, per l'età romanica, tecnica mista a fresco, con rifiniture a secco. Va peraltro ricordato che gli affreschi di Berzéla-Ville costituiscono un vero e proprio unicum sia per la loro eccezionale qualità figurativa sia per le caratteristiche dello stile, il cui influsso ebbe riscontri verificabili anche nel campo della scultura (Sauerländer, 1965).Per quanto riguarda la datazione, infine, la critica ha avanzato diverse proposte, oscillanti tra i primissimi anni del sec. 12° (Schapiro, 1964; Demus, 1968, piú genericamente parla di primo quarto) e la metà circa dello stesso secolo (Grabar, Nordenfalk, 1958).Del tutto staccato dall'influsso stilistico della pittura cluniacense appare essere un altro importante gruppo di affreschi della B. romanica, quello nella zona absidale della cripta della cattedrale di Auxerre (v.). Qui, sulla volta della campata meridionale, è raffigurata una grande croce gemmata, con al centro il Cristo su un cavallo bianco. Tra i quattro bracci della croce sono raffigurati quattro angeli, anch'essi a cavallo, entro clipei; si tratterebbe di una rara raffigurazione dell'Adventus Christi (Labbé, 1987). Di difficile collocazione cronologica, per la totale assenza di opere confrontabili, questa particolarissima pittura murale sembra genericamente riferibile agli anni intorno alla metà del sec. 12° o a quelli immediatamente successivi (Demus, 1968). Nella parete absidale vi è, inoltre, un affresco raffigurante la Maiestas Domini, databile verso la fine dello stesso secolo.Vanno infine ricordate altre interessanti pitture che si trovano a Tournus, nella chiesa di Saint-Philibert: sulla volta della cappella di Saint-Pierre sono affrescate le immagini del Cristo e della Vergine, mentre in alcuni sottarchi della navata e del deambulatorio si trovano motivi decorativi con animali fantastici e motivi geometrizzanti a meandro, di gusto protogotico.
Nel corso del sec. 13° in B. si ebbe una cospicua produzione di vetrate dipinte, da parte di numerosi ateliers attivi nei cantieri delle cattedrali. In particolare, ad Auxerre si conservano numerose vetrate, databili a partire dal quarto decennio del Duecento (Chieffo Raguin, 1982), che, nel deambulatorio, nella cappella assiale e nel cleristorio, illustrano storie dell'Antico Testamento, storie della Vita e della Passione di Cristo, scene dell'Apocalisse, storie di santi e diverse rappresentazioni allegoriche. Altri interessanti cicli di vetrate sono presenti nella Notre-Dame di Digione, nella collegiata di Saint-Julien-du-Sault, nella Notre-Dame di Semur-en-Auxois, nella cattedrale di Sens, nella chiesa parrocchiale di Saint-Germain-lès-Corbeil. Le ricerche di Chieffo Raguin (1982) hanno evidenziato nella produzione borgognona forti influenze stilistiche degli ateliers parigini - e in particolare di quello della Sainte-Chapelle - che intorno alla metà del secolo crearono alcune tra le massime realizzazioni di questa particolare tecnica della pittura.
Miniatura nei secoli 12°-14°
Nel corso dei secc. 11° e 12° la produzione miniatoria della B. ebbe il suo centro più significativo nello scriptorium dell'abbazia di Cluny (v.). Vi si produssero opere la cui importanza e influenza sulla miniatura di quei secoli possono difficilmente essere sottovalutate. A Cluny si realizzò una singolarissima fusione tra influssi bizantini provenienti dall'Italia - cui l'abbazia era legata per motivi politico-religiosi, dipendendo direttamente dal pontefice romano - e tradizione carolingia e ottoniana. Tra i manoscritti più importanti di questa produzione vanno ricordati almeno il c.d. Lezionario di Cluny, della fine del sec. 11° (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2246), il De virginitate di s. Ildefonso, eseguito nella seconda metà dello stesso secolo (Parma, Bibl. Palatina, 1650), una Bibbia (Parigi, BN, lat. 15176), una Vita di s. Amando, eseguita intorno al 1140 (Valenciennes, Bibl. Mun., 501), e l'unico frammento superstite di un'altra Bibbia (Cleveland, Mus. of Art).Manoscritti decorati si producevano anche in altri scriptoria, alcuni attivi già da secoli, come per es. quelli di Auxerre, Digione (abbazia di Saint-Bénigne), Langres, Nevers, per non citare che alcuni dei più noti, dove forte persisteva la tradizione della miniatura carolingia e ottoniana e cominciavano a farsi sentire gli influssi di quella della Normandia.A partire dai primi anni del sec. 12°, la B. divenne teatro anche di un'altra splendida e vivacissima fioritura di manoscritti miniati, nettamente differenziata dalle tendenze della produzione locale. Centro iniziatore di questa nuova fase fu lo scriptorium dell'abbazia di Cîteaux, fondata nel 1098, in cui, durante l'abbaziato dell'inglese Stefano Harding di Sherborne (1108/1109-1133), terzo abate del cenobio borgognone, furono illustrati numerosi manoscritti di elevatissimo livello qualitativo e portatori di importanti novità stilistiche e iconografiche (v. Cistercensi).Il primo manoscritto conosciuto tra quelli miniati a Cîteaux è la Bibbia detta appunto di Stefano Harding, in origine probabilmente formata da due volumi, ma oggi suddivisa in quattro; è conservata a Digione (Bibl. Mun., 12-13 [1], 14-15 [2]), dove in effetti si trova la maggior parte dei codici prodotti a Cîteaux. Il colophon del primo volume della Bibbia reca la data 1109, mentre l'intera opera dovette essere portata a termine nel 1111, almeno per quanto riguarda la copiatura del testo (Zaluska, 1989, p. 64ss). Evidenti differenze caratterizzano la decorazione miniata del primo volume da quella del secondo e, anche, dalla successiva produzione dello scriptorium cistercense. Attraverso la definizione critica di 'primo stile di Cîteaux', infatti, viene individuata la decorazione del solo secondo volume della Bibbia di Stefano Harding e di altri manoscritti a esso correlati e prodotti, comunque, nel medesimo ambito monastico e in uno stretto giro di anni. Le miniature del primo volume - in cui si trovano esclusivamente iniziali ornate - si inscrivono, infatti, nel quadro della coeva produzione della Francia centrosettentrionale, in cui reminiscenze carolinge e lontani echi della miniatura anglosassone si fondono con gli influssi dello stile della Normandia. Ben diverso è invece il discorso riguardante la decorazione del secondo volume, eseguita da un'équipe di illustratori alla cui attività si devono pure le miniature di altri manoscritti, sempre conservati a Digione, con il testo dei Moralia in Job di s. Gregorio (Bibl. Mun., 168-170 [3], 173 [4]) e delle Enarrationes in Psalmos di s. Agostino (Bibl. Mun., 145-147 [5]), decorati verosimilmente entro i primi anni del secondo decennio del 12° secolo. Nell'ambito di questa équipe emerge con nitidezza di contorni la personalità di un artista, denominato dalla critica Maestro dei Moralia di Cîteaux, autore di molte delle miniature che decorano, con tipologie e iconografie inedite, sia il secondo volume della Bibbia di Stefano Harding sia, appunto, il testo dei Moralia in Job (Romanini, 1978). È ormai accettata quasi concordemente l'individuazione dell'Inghilterra come l'area culturale in cui dovette aver luogo la formazione del Maestro dei Moralia, del quale, peraltro, si è proposta anche l'identificazione con lo stesso Stefano Harding, stanti le origini inglesi di quest'ultimo e la sua documentata, diretta responsabilità nella confezione di questo gruppo di manoscritti (Porcher, 1959; Dimier, Porcher, 1962). Indipendentemente dalla questione dell'attribuzione all'abate in prima persona delle miniature che ornano i codici, le caratteristiche formali della decorazione denunciano in effetti precisi collegamenti con la produzione insulare a cavallo tra i secc. 11° e 12° - in particolare con gli scriptoria attivi nell'orbita dell'abbazia di Canterbury - e, altrettanto chiaramente, si allontanano dalla coeva produzione di matrice schiettamente borgognona, rappresentata da manoscritti quali il Lezionario di Cluny o il De virginitate di s. Ildefonso, già ricordati. Ma la produzione di Cîteaux si distingue allo stesso tempo da quella inglese per un'assoluta originalità di concezione e per contenuti evidentemente innovativi sul piano stilistico e iconografico. Particolarmente significative a questo proposito sono alcune famose miniature dei Moralia, raffiguranti monaci intenti ai diversi lavori dei campi e dei boschi (Digione, Bibl. Mun., 170 [3], cc. 32r, 59r, 75v; 173 [4], cc. 41r, 148r), segnate da un'inedita e vivacissima attenzione al vero e slegate da qualsivoglia rapporto con il testo che le affianca, tali pertanto da "intendersi, non già come racconto più o meno apologetico o cronachistico, ma come autentiche 'impressioni' visive" (Romanini, 1978, p. 236).Tra il terzo e il quarto decennio del sec. 12° nello scriptorium di Cîteaux furono miniati alcuni altri manoscritti che la critica ha raggruppato nell'ambito di un 'secondo stile di Cîteaux' (Digione, Bibl. Mun., 129 [13]; 131 [16]; 132 [12]; 180 [15]; 641 [14]; 642 [17]; 643 [18]), caratterizzato da modi solenni e idealizzati assai lontani dallo spiccato naturalismo e dalla vivacità del primo stile (Zaluska, 1989, pp. 113-147). La produzione dello scriptorium abbaziale proseguì nel corso del sec. 12° con opere ornate nel c.d. stile monocromo, conseguente alla nota proibizione di colorare le lettere ("Litterae unius coloris fiant et non depictae"; Statuta Capitulorum, 1933-1941, I, p. 31), sancita dal Capitolo generale dell'Ordine in una data incerta, ma comunque collocabile intorno alla metà del secolo, quando ancora sembrano coesistere una produzione 'colorata' e una 'monocroma' (Romanini, 1978; Zaluska, 1989).La produzione dello scriptorium cistercense influenzò non poco la produzione borgognona contemporanea; ne sono esempi evidenti numerosi manoscritti, tra cui vanno ricordati almeno la c.d. seconda Bibbia dell'abbazia benedettina di Saint-Bénigne (Digione, Bibl. Mun., 2 [104]) e un martirologio, proveniente dal medesimo scriptorium monastico (Digione, Bibl. Mun., 634 [105]), databili al secondo quarto del 12° secolo. Tra la fine di questo secolo e gli inizi del successivo la produzione borgognona appare in stretto rapporto con quella parigina (Zaluska, 1991, p. 6ss.), rapporto che si protrasse assai a lungo nel tempo, fino al Trecento, e che si trasformò in vera e propria dipendenza, quando, con il progressivo formarsi di ateliers professionali, nella capitale del regno si concentrò la maggior parte della produzione di manoscritti. Parigi, in tal modo, diventò il principale punto di riferimento per le aree limitrofe, che là si indirizzavano per rifornirsi di manoscritti 'moderni' sia dal punto di vista del testo sia da quello della decorazione: ciò naturalmente provocò una notevole riduzione della produzione di codici da parte degli scriptoria monastici.Nel 1364 il ducato di B. passò nelle mani di Filippo l'Ardito, figlio di Giovanni il Buono e quindi fratello sia del re di Francia Carlo V sia del principe Jean de Berry; tutti e tre i fratelli furono attivissimi e raffinatissimi conoscitori e sostenitori delle arti nel loro complesso. Ma fu nel campo specifico dell'arte libraria che la committenza dei figli di Giovanni il Buono assunse rilevanza culturale. In particolare, il nuovo duca di B., Filippo, fu appassionato collezionista di codici, riuniti in una ricchissima e famosa biblioteca, la cui formazione è stata oggetto di approfondite ricerche, che hanno permesso di ridelinearne la composizione - attraverso la collazione di inventari diversi - e che, soprattutto, hanno portato alla redazione di un catalogo analitico dei manoscritti ancora esistenti (Winter, 1985). Il duca fu naturalmente anche un importante committente di codici miniati, tra i quali uno dei più noti è senz'altro quello della Bible moralisée detta appunto di Filippo l'Ardito (Parigi, BN, fr. 166), eseguita verso il 1400-1402, alla cui decorazione parteciparono, insieme ad altri artisti, i fratelli Jean e Paul de Limbourg (Winter, 1985, p. 264ss.). Un altro importante manoscritto, eseguito tra il 1376 e il 1378 (Winter, 1985, p. 182ss.), è quello delle Grandes Heures de Notre Dame du Duc, attualmente diviso tra Cambridge (Fitzwilliam Mus., 3-1954) e Bruxelles (Bibl. Royale, 11035-11037), a cui si lega un Livre de prières et de dévotions du duc (Bruxelles, Bibl. Royale, 10392). L'apparato illustrativo di questi codici si deve a due diversi ateliers, quello del c.d. Maestro del Livre du Sacre di Carlo V e quello del piú raffinato Maestro aux Bouqueteaux, che mostra alcuni punti di contatto con lo stile di Jean Pucelle e che ebbe un ruolo di particolare rilievo nel panorama della miniatura parigina della seconda metà del 14° secolo. Alla c. 13r del codice di Cambridge, al di sotto della scena dell'Annunciazione è raffigurato, con vivido realismo e particolare attenzione alla resa delle fattezze fisionomiche, lo stesso Filippo l'Ardito, inginocchiato in preghiera.Un altro importante manoscritto, già facente parte della biblioteca del duca, è il De femmes nobles et renomées di Giovanni Boccaccio (Parigi, BN, fr. 12420), offerto a Filippo da Jacques Raponde, mercante parigino. Si tratta della prima traduzione francese conosciuta del De mulieribus di Boccaccio ed è anche assai probabile che questo sia stato il primo codice dell'opera stessa a ricevere un apparato illustrativo. In un altro atelier parigino veniva miniato, pochi mesi dopo l'esemplare di proprietà del duca, un altro codice con lo stesso testo, eseguito per il fratello, Jean de Berry (Parigi, BN, fr. 598; Meiss, 1967-1974, III; Sterling, 1987). La decorazione del manoscritto appartenuto al duca di B., raffinata e ricca, testimonia di una fase della pittura parigina che sembra anticipare i modi del famoso Maestro di Boucicaut, attivo nel primo quarto del Quattrocento. Essa si deve a un ignoto artista che la critica ha convenzionalmente denominato Maestro del Livre des femmes nobles e di Filippo l'Ardito (Winter, 1985) o Maestro del Couronnement de la Vierge (Meiss, 1967-1974, II-III; Sterling, 1987), dal soggetto iconografico di una miniatura a lui stesso attribuita, presente sul frontespizio di una Légende dorée copiata nel 1402 (Parigi, BN, fr. 242, c. 1r). Da ricordare, inoltre, i codici con le opere di Christine de Pizan - singolare figura di scrittrice attiva nell'entourage della corte dei Valois tra la fine del sec. 14° e gli inizi del successivo -, di cui si conservano un Livre de la mutacion de fortune e un Livre du chemin de longue estude (Bruxelles, Bibl. Royale, 9508 e 10982), ambedue miniati a Parigi nel 1403 (Winter, 1985). La pressoché totale dipendenza della corte borgognona dalla produzione parigina per quanto concerneva l'approvvigionamento di manoscritti - miniati e non - appare documentata ad abundantiam dalla composizione della biblioteca di Filippo l'Ardito; ma già la vitale cultura figurativa delle Fiandre aveva cominciato a far sentire il proprio influsso sulla tradizione francese, influsso che nel corso del sec. 15° divenne a tutti gli effetti dominante nella produzione miniatoria della Borgogna.
Bibl.:
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Nel sec. 14° la storia della B. può essere suddivisa in due fasi distinte: fino al 1361 la regione fu possesso della casata dei suoi duchi di stirpe capetingia, mentre in seguito, dopo un breve periodo di diretta annessione alla corona di Francia, essa passò con Filippo l'Ardito sotto il dominio di una nuova dinastia, ramo cadetto dei Valois.In precedenza il ducato era stato retto successivamente da quattro duchi capetingi: Roberto II dal 1272 al 1305, seguito dal figlio maggiore Ugo V (m. nel 1315), al quale succedette il fratello cadetto Oddone IV (1315-1349), il più attivo e brillante rappresentante della casata. Poiché il figlio di quest'ultimo, Filippo Monsieur, era premorto al padre (1346), il ducato passò al nipote, Filippo di Rouvres, che a quel tempo aveva solo quattro anni. La madre di questi, Giovanna di Boulogne, nel 1350 sposò in seconde nozze Giovanni il Buono, duca di Normandia, che, divenuto re di Francia, assunse la reggenza fino al 1356. I quattro duchi avevano diretti legami di parentela con la famiglia reale: Roberto II aveva sposato Agnese di Francia, figlia di Luigi il Santo (1279); Oddone IV ebbe in moglie Giovanna di Francia, figlia di Filippo il Lungo (1318) e, come già si è detto, Giovanna di Boulogne, vedova di Filippo Monsieur, divenne regina attraverso il secondo matrimonio. I duchi furono nel contempo anche grandi feudatari del regno, spesso presenti a corte o nelle armate reali, estendendo più volte il loro potere al di là dei confini del ducato. Oddone IV avviò iniziative politiche tendenti a espandere la propria influenza nella contea di B. - la Franca Contea - che gli toccò nel 1330, grazie alla moglie, Giovanna di Francia, che l'aveva ereditata in seguito alla scomparsa della madre, contessa di B. e d'Artois. Tuttavia, l'unione delle due province limitrofe non fu agevole: sia Oddone IV sia Giovanni il Buono ebbero numerosi conflitti con la nobiltà della contea, sempre pronta alla ribellione per l'indipendenza dalla tutela borgognona. L'acquisizione dell'Artois, ottenuta tramite la medesima eredità, pose meno problemi ma allontanò spesso il duca dal proprio ducato e attirò anche l'interesse dei principi per gli stati settentrionali. Non meraviglia, quindi, che per volontà di Giovanni il Buono e di Giovanna di Boulogne si combinasse un matrimonio tra l'erede del ducato, Filippo di Rouvres, e l'erede della contea di Fiandra, Margherita; ma, nel 1361, la peste colpì il giovane Filippo, all'età di sedici anni.Il re Giovanni il Buono, ereditando il ducato, ne assicurò il nucleo principale al proprio figlio, Filippo l'Ardito: dal 1363 gli conferì in appannaggio la B., donazione confermata da Carlo V. Filippo l'Ardito sposò infine Margherita di Fiandra, la quale gli portò in dote ciò che Giovanni il Buono in un primo tempo aveva desiderato per Filippo di Rouvres. Così anche l'Artois, che alla morte di quest'ultimo era toccato alla prozia Margherita di Fiandra, si trovò infine nel 1384 a far parte dell'eredità di Luigi di Mâle, padre di Margherita, il che fece di Filippo l'Ardito il primo 'gran duca d'Occidente'.I duchi capetingi non ebbero né i mezzi né il tempo per promuovere la realizzazione di opere d'arte. Le difficoltà politiche con la Franca Contea e, in seguito, sotto il regno di Giovanni il Buono, la comparsa di imponenti armate causarono devastazioni e difficoltà finanziarie. Oddone IV, dopo aver ereditato l'Artois, si interessò soprattutto della prosecuzione dell'attività nei cantieri iniziati da Mahaut d'Artois a Hesdin piuttosto che dei propri castelli in Borgogna. Nella stessa Digione la sola impresa rilevante fu la Sainte-Chapelle, iniziata nel secolo precedente, il cui cantiere si protrasse oltre misura nel tempo. Il castello di Argilly, ricostruito nel sec. 13°, venne dotato di una cappella per iniziativa di Oddone IV, al pari di quelli di Jugny e di Monbard, dove fu attivo in particolare un maître Thierry, pittore del duca. Per quanto riguarda l'architettura religiosa, si ha notizia solo di cantieri con lavori in via di conclusione: realizzazione di un atrio in Notre-Dame a Beaune, interventi a Semur-en-Auxois. Delle cappelle castrensi non si è conservato nulla e nelle altre chiese non spiccano opere coeve d'importanza decisiva. Con il duca Oddone IV cominciò a svilupparsi un legame privilegiato della B. con i paesi settentrionali. Almeno per le committenze importanti, egli si rivolgeva agli artisti dell'Artois o a coloro che avevano lavorato per la duchessa Mahaut. Non è accertato se questo sia il caso di maître Thierry ma, comunque, questi aveva come aiuto un certo Gellequin de Brucelles; il duca commissionò peraltro alcune sculture anche al belga Jean Pépin di Huy. Nessuna di queste opere si è conservata, neppure le statue di Oddone IV e della duchessa Giovanna, che erano collocate in Notre-Dame a Digione.Un unico monumento molto noto, il priorato di Saint-Thibault-en-Auxois, di datazione e interpretazione controverse, testimonia forse un'altra committenza ducale agli albori del 14° secolo. Nel 1297 Roberto II lasciava nel proprio testamento quaranta livres all'Opera di Saint-Thibault-en-Auxois e la sua vedova Agnese, nel 1323, assicurava alla stessa cent sols dygenois. Non si conosce con certezza la data dell'acquisizione delle reliquie di s. Teobaldo, l'eremita originario di Provins, in seguito alla quale il priorato dipendente dall'abbazia cluniacense di Saint-Rigaud-d'Arcize cambiò dedicazione; quest'evento diede però l'avvio a una ricostruzione ambiziosa del santuario, iniziata, sembra, verso la metà del 13° secolo. Se ne conservano solo il coro e il portale nord, poiché la navata e il transetto crollarono nel 1686. Quel che rimane dell'architettura - sotto l'influsso diretto di Troyes - sembra risalire alla fine del sec. 13° o all'inizio del 14° e anche il portale settentrionale, nel suo complesso, potrebbe appartenere alla stessa fase di lavori. I piedritti del portale accolgono tuttavia quattro statue - un nobile e un giovane, una principessa e un vescovo - dal carattere spiccatamente profano. Lefrançois-Pillion (1922) le ha interpretate come possibili doni di sovrani, supponendo che possano rappresentare Roberto V con il figlio Ugo V, la duchessa Agnese e uno dei consiglieri spirituali del duca, forse Ugo, vescovo di Autun. In questo caso il portale sarebbe uno dei più antichi, se non il primo, monumento religioso in cui i donatori laici siano stati rappresentati in una collocazione abitualmente riservata ai santi. L'ipotesi è suggestiva, ma si scontra con un problema di ordine stilistico. Le quattro statue sembrano piuttosto suggerire una datazione prossima al 1240-1260, che è stata accolta da Quarré (1965), Sauerländer (1972) e Kurrmann (Freigang, Kurrmann, 1986). Esse devono dunque avere un altro significato e, secondo Enders (1984), potrebbero rappresentare due episodi della vita di s. Teobaldo: l'annuncio della sua nascita, a sinistra, e la sua amicizia con il compagno Walter, a destra. Non si può escludere tuttavia che il programma particolarmente innovatore ipotizzato da Lefrançois-Pillion (1922) sia stato eseguito nei primi anni del sec. 14° da uno scultore attardato, ancora legato allo stile duecentesco. Il portale testimonierebbe dunque una sorta di immobilismo nella produzione plastica in B., comunque posta, in questo caso, al servizio di una concezione nuova. Nello stesso santuario un retablo scolpito con la Vita di s. Teobaldo rivela un'arte di carattere provinciale, senza grande inventiva; quest'opera confermerebbe piuttosto la decadenza della scultura borgognona del sec. 14°, di cui, del resto, si conoscono poche altre testimonianze.Solo poco prima di ottenere l'eredità fiamminga il duca Filippo l'Ardito commissionò grandi imprese artistiche. Nel 1385 - un anno dopo la morte di Luigi di Mâle - egli sottoscrisse l'atto di fondazione della certosa di Champmol, che peraltro meditava già da diversi anni. Questo cantiere raccolse un numero significativo di artisti, provenienti in gran parte dai territori settentrionali del ducato. Fa eccezione l'architetto, il maître général, Drouet de Dammartin, fratello di Guy, autore della celebre scala elicoidale del Louvre.In qualità di scultori, si succedettero a Champmol Jean de Marville, probabilmente proveniente dai dintorni di Lille e attivo, fra l'altro, a Valenciennes, prima di essere chiamato nel 1372 dal duca, e Claus Sluter (v.), che si suppone originario di Haarlem. Gli ateliers dei pittori furono diretti in un primo tempo da Jean de Beaumetz (v.), proveniente dall'omonimo villaggio vicino ad Arras, quindi da Jean Malouel, nato intorno al 1365-1370 a Nimega. Il duca commissionò inoltre due retabli allo scultore Jacques de Baerze (v.), che li eseguì nel proprio atelier di Termonde, mentre la doratura e le pitture degli sportelli di uno di essi furono in seguito realizzate da Melchior Broederlam (v.), pittore attivo a Ypres.La committenza dei sovrani in B. non si limitò, tuttavia, a questo cantiere prestigioso. Trattandosi di un'impresa che accentrava gran parte degli sforzi economici, esso ebbe qualche influsso sulle varie dimore ducali, che poterono avvalersi della presenza di artisti eccezionali. Purtroppo non resta più traccia di questi lavori documentati dai testi: soprattutto il palazzo ducale di Digione è stato oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di ristrutturazione; venne inoltre ripreso il cantiere della Sainte-Chapelle, lasciata incompiuta dai Capetingi. I castelli di Rouvres e di Pontailler furono anch'essi oggetto di lavori, sia pure di minor rilievo. Ad Argilly risultano attivi scultori e pittori che certamente rinnovarono la decorazione dell'antico castello e completarono quella della cappella; soprattutto, a partire dal 1370, la duchessa Margherita di Fiandra fece erigere una nuova residenza a Germolles, di cui si conoscono solo pochi elementi: una decorazione sontuosa, affidata all'atelier di Jean de Beaumetz realizzata, sembra, nel corso del 1388, e la chambre des parements, e decorata da pitture raffiguranti montoni.La B. nel sec. 14° presenta quindi una situazione duplice: se l'attività artistica subì una stasi fino all'avvento dei duchi della casa di Valois, dal momento della sua ripresa il ducato divenne centro di un'attività prodigiosa, animata da artisti non borgognoni. Essi assicurarono inoltre le basi di una cultura artistica originale che ebbe ampi sviluppi nel secolo seguente. Infatti negli ateliers dei grandi artisti chiamati da Filippo l'Ardito operarono maestri borgognoni di livello più modesto - come nel caso di Arnoul Picornet, attivo nella bottega di Jean Malouel -, grazie ai quali le opere eseguite a Champmol continuarono a influenzare la produzione artistica in tutto il territorio del ducato nel corso del 15° secolo.
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