Elcin, Boris Nikolaevic
Politico russo (Sverdlovsk 1931-Mosca 2007). Iscrittosi al PCUS nel 1961, svolse vari ruoli come dirigente a Sverdlovsk. Con l’elezione di M.S. Gorbačëv alla segreteria, fu nominato primo segretario del partito a Mosca (1985-87). Favorevole a un più rapido processo di riforma, divenne leader dell’ala «radicale». Nel maggio 1989 fu eletto presidente della Repubblica federativa sovietica russa, di cui enfatizzò l’autonomia legislativa e finanziaria, trovando una crescente sintonia coi gruppi dirigenti nazionalisti delle altre repubbliche sovietiche, sempre più proiettati verso il separatismo. Nel luglio E. si dimise dal PCUS. Dopo il tentato colpo di Stato dell’agosto 1991, sciolse il Partito comunista, assunse il controllo delle forze armate, riconobbe l’indipendenza di Estonia e Lettonia. Anche dopo la dissoluzione dell’URSS (dic. 1991) mantenne la presidenza della Federazione russa. Attuò una politica di radicale liberalizzazione economica, e sul piano internazionale rafforzò l’asse con gli USA. Ebbe rapporti molto conflittuali con il Parlamento per la tendenza ad accentrare il potere sulla sua persona e a governare per decreti; il conflitto, aggravatosi nel 1993, culminò il 4 ottobre in una violenta azione militare e nello scioglimento del Parlamento. Dopo l’approvazione, tramite referendum, di una nuova Costituzione che ampliava notevolmente i poteri presidenziali, E. poté proseguire la politica di privatizzazioni, incentivando gli investimenti stranieri. Intanto, nel gen. 1993, firmò con il presidente USA G. Bush il trattato START II per la riduzione delle armi strategiche dei due paesi, e nel maggio 1997 siglò un accordo di cooperazione fra la NATO e la Russia, con il quale veniva ritirata l’opposizione di Mosca all’adesione di Paesi dell’Europa centrale e orientale al Patto atlantico. Fautore di una soluzione centralistica dei rapporti fra Mosca e le diverse entità costitutive della Federazione russa, di fronte alla politica secessionista perseguita dalla Cecenia decise (dic. 1994) di ristabilire con la forza l’autorità di Mosca. Il cruento conflitto che seguì indebolì ulteriormente il consenso popolare di E., già eroso dal peggioramento delle condizioni materiali del Paese: alle elezioni presidenziali del giugno-luglio 1996 egli ottenne il 35,7% dei voti, a fronte del 32,4% andato al leader comunista G. Zjuganov, e vinse il ballottaggio solo grazie all’alleanza con il gen. A. Lebed. Nel gennaio 1997, in seguito al deteriorarsi delle proprie condizioni di salute, E. fu sottoposto da parte del Parlamento a una procedura di impeachment, che tuttavia non giunse al termine. Il secondo mandato di E. fu caratterizzato dalla malattia e dalle prolungate assenze dalla scena pubblica, oltre che da una crescente crisi economica e sociale. E. dovette quindi accettare un governo di coalizione con la partecipazione dei comunisti, sotto la guida di E. Primakov. Nel maggio 1999 E. affrontò una nuova procedura di impeachment nei suoi confronti, ma su nessuno dei capi d'accusa la Duma trovò il quorum necessario a procedere. Nell’agosto 1999 affidò il governo a V. Putin; il 31 dicembre si dimise, anche sotto la spinta delle polemiche relative al coinvolgimento suo e del suo entourage in gravi scandali finanziari.