BORSA (VII, p. 519; App. I, p. 304; II, 1, p. 439)
La b. ha subìto in Italia un mutamento abbastanza profondo nel suo funzionamento strumentale, in seguito all'entrata in vigore, alla data del 1° luglio 1956, dell'art. 17 della legge 5 gennaio 1956, n. i (legge Tremelloni). Tale articolo stabilisce che gli agenti di cambio, le aziende e istituti di credito, le società finanziarie e fiduciarie, i commissionarî di b. e i cambiavalute devono tenere un libro bollato e vidimato secondo le disposizioni del codice civile circa i libri obbligatorî delle imprese e annotarvi giornalmente tutte le operazioni a termine e i riporti su titoli. Dall'annotazione debbono risultare: a) cognome, nome e paternità, ovvero la ditta e il domicilio fiscale e reale dichiarato dai committenti, venditori ed acquirenti, e, ove trattisi di enti, la loro denominazione e la sede legale; b) la specie, la quantità e il valore nominale dei titoli, con l'indicazione dell'emittente; c) la data dell'operazione e il prezzo fatto; d) il termine allo scadere del quale l'operazione deve essere regolata. Le operazioni a termine e i riporti su titoli, che non diano luogo alle segnalazioni allo schedario previste dagli articoli 15,38 e 39 del r. decr. 29 marzo 1942, n. 239, devono essere comunicati singolarmente allo schedario stesso con l'indicazione del numero progressivo del libro giornale e degli elementi proprî dell'operazione entro i primi dieci giorni del mese successivo a quello della liquidazione mensile di borsa.
Nelle comunicazioni allo schedario e alle stanze di compensazione deve essere inoltre indicato il prezzo fatto per i riporti e per le operazioni a termine. Per tutte le operazioni suddette è obbligatorio inoltre l'uso di foglietti bollati, in conformità alle vigenti disposizioni sul bollo. Le contromatrici dei foglietti bollati e la documentazione relativa alle operazioni cui si riferiscono dovranno essere conservati per cinque anni dalla data della conclusione dei contratti.
Scopo di tale articolo era di rendere operante, agli effetti tributarî, la nominatività obbligatoria dei titoli azionarî, evitando le evasioni in atto - attuate con la mancata intestazione dei titoli dati a riporto, donde la denominazione di "riporti fittizî"- sia per quanto concerne i redditi derivanti dai dividendi annuali, sia per quanto si riferisce ai profitti ottenibili dall'esercizio professionale dell'attività speculativa di borsa. Lo scopo anzidetto non è stato praticamente raggiunto, perché la b., dopo proteste, agitazioni, scioperi, trovò la via per aggirare il disposto dell'art. 17, senza essere contrastata in ciò dalla vigilanza governativa. Poiché oggetto della denuncia prevista dall'art. citato erano i contratti a termine e di riporto, i mediatori di b. - con il tacito accordo delle banche - non hanno infatti più eseguito contratti di compravendita a termine di titoli azionarî, almeno secondo la prassi sino allora seguita. Per il prolungamento delle operazioni speculative, gli operatori hanno evitato inoltre di regola di ricorrere al contratto di riporto cosicché sono venute a mancare almeno formalmente le operazioni di borsa soggette alla denuncia.
In concreto, il funzionamento della b. - dopo il 1° luglio 1956 - presenta le seguenti innovazioni nei confronti del passato:
a) in luogo e vece del contratto di compravendita a termine, a ciclo di liquidazione mensile, secondo il calendario ufficiale - il quale continua per altro ad essere fissato ogni anno - il mercato svolge la propria attività col cosiddetto contratto per contanti a giorni, la cui liquidazione avviene, in base al tecnicismo previsto per quella mensile, a ritmo quindicinale. Il contratto per contanti a giorni può avere esecuzione, secondo gli usi di b., nel termine di sette giorni di borsa aperta successivi a quello della stipulazione del contratto stesso, ed è considerato alla stregua degli usi predetti come contratto per contanti. In contraddizione con gli usi, il decr. m. 27 settembre 1931 ne fa menzione tra le norme riguardanti la copertura degli ordini nei contratti a termine.
b) la liquidazione mensile dei contratti a termine è stata sostituita dalle due liquidazioni quindicinali (altrimenti dette anche decadali, perché dieci sono i giorni - compresi quelli di borsa chiusa - coperti dal contratto per contanti a giorni, e cinque sono invece dedicati alle incombenze tecniche della liquidazione stessa, quali la spunta dei contratti, la consegna dei fogli riepilogativi, la consegna dei titoli, il regolamento per cassa dei saldi). Nell'ambito della liquidazione mensile continuano tuttavia ad avere effettuazione la risposta premî e la fissazione dei prezzi di compenso; questi ultimi, per la sistemazione delle operazioni di riporto finanziario eseguite dalle banche con la propria clientela.
c) il riporto speculativo, o proroga, è stato concretamente soppiantato dal riporto cosiddetto "staccato": scissione in due dell'unica operazione di riporto, la quale comporta nel caso più comune del rialzista la vendita dei titoli acquistati e, separatamente, la ricompera degli stessi titoli per la nuova liquidazione quindicinale.
d) il ricorso, divenuto sempre più ampio e frequente nel corso dei due ultimi anni (1958 e 1959), ai contratti a premio "dont" e, in minor misura, a quelli a premio "stellage". Con ciò la b. ha intensificato ed accresciuto il proprio ritmo di attività - tanto che i quantitativi di titoli azionarî, trattati per contanti a giorni ed ufficialmente denunciati, sono non inferiori a quelli delle contrattazioni a termine ante 1° luglio 1956 -, ha mantenuto e, anzi, sviluppato il proprio dinamismo speculativo, e ha infine affinato la propria tecnica differenziale, trasferendola dal campo del semplice contratto a termine fermo a quello del contratto a termine condizionato, o a premio, come avviene sui grandi mercati finanziari esteri, dove si opera prevalentemente per contanti e la speculazione si avvale precisamente dei tipi di compravendita a premio.
Bibl.: Oltre N. Garrone, Le Borse valori, Milano 1956, vedi E. Ginella, Tecnica di Borsa, Milano 1950; id., Aspetti tecnici e giuridici del riporto, in Rivista bancaria, dicembre 1951; G. Martinelli, Il prezzo dei riporti e la perequazione tributaria, in La Borsa valori, 1954, n. 2; F. Martinenghi e G. Pivato, Negozi giuridici di Borsa, in La Borsa valori, 1954, nn. 3 e 4; P. Pelleri, Fatti e tendenze del mercato finanziario italiano, in Bancaria, 1959, nn. 8-9-10-11.
Vicende del mercato finanziario.
Uno sguardo retrospettivo alle vicende del mercato borsistico durante lo scorso decennio rivela una costante tendenza all'aumento delle medie annuali degli indici azionarî, salvo una lieve battuta di arresto registrata nell'anno 1956. L'apprezzamento nel lungo periodo dei valori azionarî risulta dall'aumento dei dividendi distribuiti (cresciuti da circa 24 milioni nel 1940 ad oltre 160 nel 1959) e dalla maggiore redditività dei capitali investiti nelle società quotate per effetto di nuovi apporti di fondi e di investimenti addizionali direttamente da parte delle imprese economiche (profitti non distribuiti). Esso riflette, inoltre, l'accresciuta partecipazione del pubblico agli impieghi azionarî in conseguenza di un'elevazione del reddito e di una maggiore coscienza finanziaria delle classi medie.
Alla fase di assestamento iniziale, durata dall'aprile 1949 alla metà del 1950, è seguita una fase di rialzo pressoché ininterrotto fino all'inizio del 1953 (guerra di Corea) e di relativa stabilità dal marzo del 1953 all'aprile del 1954 (seconda recessione americana). Successivamente l'indice delle azioni ha ripreso a salire fino al settembre del 1955 ed è ripiegato poi rapidamente fino al maggio dell'anno seguente. A questa ondata di regresso non sono stati estranei motivi di ordine tecnico, complicati dall'applicazione della denuncia obbligatoria sulle operazioni di riporto. Nella seconda metà del 1956 e nel 1957 l'andamento dei corsi azionarî ha seguito fasi alterne di ripresa e di flessione, prima di orientarsi decisamente al rialzo a partire dalla seconda metà del 1958 in presenza di una diffusa situazione di liquidità del mercato. Il ritmo dell'aumento si è via via accelerato nel 1959 sicché l'indice medio annuale ha toccato in quest'ultimo anno il livello massimo dell'intiero decennio.
Tale andamento di lungo periodo segue da vicino il movimento di generale ascesa dei corsi azionarî registratosi in tutti i maggiori mercati mondiali, in corrispondenza di stimoli comuni emergenti dalla congiuntura politica internazionale e dai ricorsi inflazionistici alternati a pause più o meno gravi nello sviluppo produttivo (Tab. 1). Questa solidarietà di tendenza è apparsa più marcata negli ultimi anni in seguito alla ripresa dei movimenti internazionali di capitali dopo l'instaurazione del mercato comune e la rimozione di molti controlli valutarî. In realtà il flusso di capitali dall'estero ha rappresentato il fattore predominante delle più recenti vicende del nostro mercato finanziario poiché ha contribuito a rarefare ulteriormente il volume dei titoli fluttuanti sul mercato e, quindi, ad alimentare il trend ascendente delle quotazioni di borsa.
La variazione dell'indice dall'inizio alla fine del 1959 è stata del 62%, percentuale questa che rappresenta la punta massima dal 1949 in poi. Malgrado il forte apprezzamento durante il 1959, la tendenza all'aumento è continuata per la gran parte del 1960, analogamente a quanto si è registrato in altri paesi del mercato comune (Francia e Germania) ma staccandosi da quella prevalente su altri mercati, in particolare su quello anglo-sassone e in Belgio. L'indice dei valori azionarî (1953=100) è salito da 312 nel dicembre 1959 a 512 nel settembre del 1960, secondo una progressione pressoché continua da un mese all'altro.
In questa seconda fase di ulteriore rialzo, l'elemento speculativo ha forse giocato un ruolo dominante, favorito da accorgimenti tecnici-finanziarî e assistito dal credito bancario (specialmente da parte di medie e piccole banche, oltre che dall'estero).
Con l'inserimento ad ampio raggio della corrente speculativa il mercato ha perduto gran parte della sua fisionomia tradizionale, risultando sempre più limitata la partecipazione dei risparmiatori per scopi d'investimento. Mentre, infatti, la speculazione, operando in concomitanza della domanda estera, rendeva più costoso per i non residenti l'acquisizione di valori di società azionarie italiane, la zona del mercato costituita dalle classi risparmiatrici andava sempre più restringendosi. Il livello eccezionalmente elevato raggiunto dalla quota nel settembre 1960 faceva segnare rendimenti dell'ordine dell'1-1,50% per molti valori, rendendo così sempre più problematiche le scelte degli investitori, una volta che le prospettive di un'ulteriore rivalutazione dei corsi sono sembrate pressoché esaurite. Nell'autunno, infatti, il mercato di b. è entrato in una nuova fase di assestamento caratterizzata da un atteggiamento più selettivo nei confronti dei singoli titoli e da un divergente andamento delle quotazioni nei singoli comparti.
L'indice dei titoli a reddito fisso ha seguito un declino quasi costante lungo l'intero arco del decennio in esame. Tale tendenza si è però decisamente invertita negli ultimi due anni per effetto del riflusso di liquidità sul mercato e del mancato prelievo di fondi a medio termine da parte dello stato. Le quotazioni sono salite quindi ai livelli massimi del periodo, mentre il rendimento dei titoli stessi è sceso a quello minimo di questo dopoguerra. Rispetto ai rendimenti delle azioni, quelli dei titoli a reddito fisso sono stati in media più bassi nel biennio 1951-52; in seguito si sono mantenuti sempre più elevati, con uno scarto massimo superiore al 2% (Tab. 2).
L'ascesa delle quotazioni di borsa ha coinciso con una notevole espansione dell'attività del mercato, che è stata più intensa durante le fasi di rialzo e si è ridotta invece durante le fasi di declino e di assestamento dei corsi. Le borse valori hanno operato prevalentemente a termine fino al 1955, anno in cui si è avuta la punta massima degli affari. Successivamente, il volume delle operazioni a termine si è notevolmente contratto per effetto dei noti provvedimenti fiscali che prevedevano la denuncia nominativa obbligatoria di tali operazioni. Per contro si è assistito ad una ripresa delle operazioni in contanti, tanto che nel 1959 il volume complessivo delle azioni trattate si è elevato grandemente rispetto agli anni precedenti, pur rimanendo ancora al di sotto di quello massimo registrato nel 1955. È da rilevare che, di fatto, le transazioni per contanti sono liquidate ogni quindici giorni. Attualmente queste operazioni rappresentano oltre il 90% del totale dei titoli liquidati attraverso le stanze di compensazione.
Da una media nel triennio 1949-51 di circa 470 milioni di titoli trattati giornalmente presso tutte le borse valori si è saliti ad una media di oltre 1600 milioni nei tre anni successivi. Nel 1955 la media giornaliera è stata di circa 4240 milioni, ma è discesa nel triennio 1956-58 attorno ai 1370 milioni. In termini relativi però l'attività delle borse valori che risulta dalle statistiche ufficiali ha continuato a regredire a causa della formazione di mercati paralleli e per la crescente importanza che hanno assunto le transazioni dirette fra la clientela e le banche. Ciò è specialmente evidente per il comparto dei titoli a reddito fisso (titoli di stato, obbligazioni di istituti speciali e di società) che in maggioranza godono del privilegio dell'ammissione alle quotazioni di borsa, mentre il loro scambio si effettua in realtà al di fuori di tale mercato. Ma anche le contrattazioni in azioni hanno segnato in media uno sviluppo inferiore a quello registrato dai capitali azionarî delle società quotate, importo questo che rappresenta il mercato potenziale di tali titoli. Da una media di circa 60 miliardi nel 1949-51 il valore nominale delle azioni trattate in borsa è salito (a prescindere quindi dall'incremento dovuto al più alto livello raggiunto dalle quotazioni) ad una media di circa 230 miliardi nel 1958-59, dopo aver toccato il massimo di circa 370 miliardi nel 1955-56. In corrispondenza, il valore nominale dei capitali delle società quotate si è accresciuto da 474 a 2232 miliardi dalla fine del 1949 al dicembre 1959 per effetto delle nuove ammissioni di titoli alle borse e dell'aumento dei valori nominali unitarî. Il rapporto fra azioni trattate e azioni quotate ha oscillato dal 10% circa nel triennio 1949-51 al 24% nei 4 anni seguenti per poi scendere attorno al 5% negli ultimi anni.
L'ammontare netto delle emissioni di valori mobiliari, che interessa per la gran parte le società e gli enti quotati in borsa, è salito da una media di 270 miliardi nel triennio 1949-51 a circa il doppio nei 4 anni dal 1952 al 1955 (esclusi i buoni del tesoro ordinarî). Nel 1957-59 esso è quasi triplicato rispetto a quello del periodo iniziale con una media che è di poco inferiore ai 700 miliardi (Tab. 3). L'aumento più sensibile delle emissioni si è registrato fra le società azionarie, malgrado che le remore fiscali (di recente attenuate) abbiano grandemente ridotto il prelievo di fondi sotto forma obbligazionaria dal 1949 in poi. Gli istituti di credito speciale hanno raccolto dal mercato un ammontare crescente di mezzi assumendo una vera e propria funzione intermediaria fra le imprese e il mercato, dopo un periodo iniziale (fino al 1952) in cui la massa dei capitali amministrata da tali istituti è dipesa in larga misura dall'assegnazione di fondi statali. Le imprese del gruppo IRI hanno potuto ricorrere direttamente al mercato anziché attingere all'istituto, che ha perciò rallentato il ritmo delle emissioni. In sua vece, l'altro gruppo finanziario statale costituito nel 1955 l'ENI, ha finora emesso (1957-59) obbligazioni per 85 miliardi.