BRACCIO da Montone
Nacque da Oddo Fortebracci, di nobile famiglia perugina, probabilmente nel castello di Montone, il 1° luglio 1368. Fanciullo, vide il padre esiliato e spogliato dei beni. Fece le prime armi alla scuola di Alberico da Barbiano (v.), dove fu camerata del suo grande antagonista Muzio Attendolo Sforza (v.). Legatosi, nel 1392, alla parte dei nobili, si schierò contro i popolari e il loro capo Biordo dei Michelotti, tentando con i compagni di parte tutti i mezzi per tornare in patria e distruggere gli avversarî. Gli esuli perugini, costituitisi in compagnia, esercitando il mestiere delle armi, profittarono dei dissidî tra i signori della Marca e si affermarono in quei luoghi; anzi B., nel 1407, divenne padrone di Rocca Contrada (Arcevia), e più tardi schieratosi dalla parte di Giovanni XXVIII contro Ladislao di Durazzo, riconquistò dopo la disfatta del durazzese a Roccasecca, buona parte del territorio patrio. La pace di S. Felice (17 giugno 1412) fra il papa e Ladislao, obbligando quello a cedere all'altro per dieci anni Perugia e il suo territorio, tolse all'esule di tornare in patria. Entrato al servizio del pontefice, nei primi del febbraio 1413, B. lasciò l'Umbria ed affrontò vittoriosamiente sul fiume Canale, nel Faentino, le milizie collegate di Ladislao e di Carlo Malatesta.
Tornò durante l'estate nell'Umbria, per difenderla contro Ladislao, ma, inferiore di forze, dovette chiudersi in Marsciano. Giovanni XXIII lo mise allora a capo di Bologna. E qui B. si impossessò di castelli, compì estorsioni, preparò, non appena seppe della deposizione del papa, il ritorno in patria. Restituì ai Bolognesi libertà e castelli lucrando 180.000 fiorini e nell'aprile del 1416 comparve in territorio perugino. Raccolti intorno a sé tutti gli esuli, il 12 luglio batté l'esercito del comune perugino, tra Colle e S. Giglio. Ed eccolo signore della città e di un vasto territorio, capo di numerose milizie, riguardato e temuto come una potenza dalle altre signorie. Sopprime col tradimento un nemico subdolo e potente, Paolo Orsini (5 agosto 1416); fiacca i Malatesta e li costringe a pagare 80 mila fiorini (marzo 1417); riceve in sommissione gran parte delle città dell'Umbria e consolida nella Marca la propria sfera d'azione; approfitta di una congiura, tramata a Roma per dar la sede pontificia all'antipapa Benedetto XIII, e domina la città per 70 giorni (16 giugno-26 agosto 1417), finché si ritira nell'Umbria davanti a M. A. Sforza. Conosciuta l'elezione di Martino V a Costanza, fece votare alle Arti di Perugia un vero plebiscito per domandare al pontefice l'Umbria in vicariato. Il nuovo papa, deciso a riconquistare tutto lo stato ecclesiastico, affidò al conte Guidoantonio da Montefeltro la riconquista del Patrimonio. B. rispondeva con la violenza; toglieva Spoleto a Guidoantonio (15 aprile 1419) mediante un tradimento, rompeva il nuovo alleato del papa, lo Sforza, presso Viterbo (14 giugno 1419). Ma poco dopo quest'ultimo riprendeva vigore, mentre alleati di B. defezionavano in favore della Chiesa. B. si moltiplicò, tenne a bada, nel settore di Todi, lo Sforza; piombò a marce forzate su Assisi, cacciandone i Feltreschi (18 ottobre 1419). I Fiorentini presero l'iniziativa per negoziare un accordo. Il 23 febbraio 1420, B., con seguito quasi regale, si recava a Firenze, dove ricevette da Martino V l'abbraccio della pace. Il 26, furono firmati i capitoli, in virtù dei quali B. riceveva in vicariato quasi tutte quelle terre e città che solo nominalmente restituiva alla Chiesa. Nel novembre, B., dopo aver sottomesso Bologna alla Chiesa, celebrò le seconde nozze con Niccolina Varano, dalla quale ebbe nel settembre 1421 un figlio, che chiamò Carlo.
Ma B. non poteva limitarsi ad essere semplice vicario della Chiesa. Martino V, temendo di essere attanagliato dall'ambizioso vicario che intendeva immischiarsi nelle lotte dei baroni nel Napoletano, si oppose a ciò con ogni forza. Ma B. fu sostenuto dai Fiorentini, e l'intervento, nel reame gli procurò nuovo prestigio, mezzi finanziarî, il principato di Capua e la signoria di altri castelli che intaccavano i possedimenti della Santa Sede in Abruzzo (dicembre 1421). Si ebbe, per l'intervento dei Fiorentini, una nuova rappacificazione fra il papa e il suo vicario; per riscattare i castelli di Abruzzo, quello rinunciò a Città di Castello. Ma i sospetti dei Fiorentini contro Filippo Maria Visconti tendevano a creare condizioni di fatto assai favorevoli a B. da Montone. Gli storici sincroni concordemente ci palesano le sue aspirazioni: nec enim desperrabat Italicum sibi regnum vindicare. Ma sotto le mura di Aquila trovò il suo epilogo il duello in cui s'erano impegnati B. e Martino V. Al papa, B. aveva dato promessa che nulla avrebbe intrapreso ai danni della Chiesa. Invece aveva subito puntato contro l'Aquila, città che, al dire dei contemporanei, clavis regni videbatur. Ma la città, assediata, resistette; nemmeno la morte inopinata di M. A. Sforza (3 gennaio 1424), venuto al soccorso, riuscì a farla piegare. Martino V si adoperò a tutt'uomo per schierare mezza Italia contro B. Non è arbitrario né esagerato il credere che, in questa primavera del 1424, sotto le mura dell'Aquila si decidesse la sorte di buona parte della penisola. Il 2 giugno 1424, la fortuna di B. fu spezzata, in quella battaglia dell'Aquila che fu la più cruenta tra le battaglie del secolo. Ferito a morte dai suoi più acerrimi nemici che lo avevano riconosciuto e pedinato (quasi certamente i Michelotti o i loro sicarî), sopravvisse pochi giorni alla sconfitta. Chiuso in un mutismo impenetrabile, rifiutò farmachi e cibi e cessò di vivere la notte del 5 giugno 1424. Il cadavere dello scomunicato fu inviato da Ludovico Colonna al pontefice e sepolto presso S. Lorenzo extra muros, in luogo non sacro. Solo nel 1432, Niccolò Fortebracci ottenne che le ossa fossero, con solenni onoranze, tumulate nella chiesa di S. Francesco dei Minori conventuali, a Perugia.
Lo stato di B. si era esteso, negli ultimi tempi, su tutta l'Umbria, su una parte considerevole della Marca e sul principato di Capua. Le città sottomesse egli governò per mezzo di uomini devoti alla sua causa: i più, compagni d'arme e d'esilio. Acquistata Perugia per diritto di guerra, non ebbe ragione di legarsi a partiti, anzi mirò a fondere, per farsene forte, le varie fazioni. Lonservò solo formalmente le istituzioni e gli statuti delle città conquistate; volle che il suo luogotenente, al disopra di ogni consuetudine o diritto, fosse l'arbitro di ogni situazione. Per mantenere i suoi uomini d'arme, specie nel tempo successivo all'acquisto di Perugia, estorse danaro alle popolazioni soggette, con balzelli e prestiti forzosi. Curò l'abbellimento di Perugia e promosse opere veramente regali: si pensi alla Loggia di Braccio, alle gigantesche vòlte che sorreggono la piazza del Sopramuro, alla ricostruzione della rocca di Todi, ma specialmente all'emissario del Trasimeno, opera che fu tra le più grandi del tempo.
B. è figura di alto rilievo nella storia italiana del sec. XV. E se il suo stato, mancata la virtù che lo teneva unito, si dissolse con la sua morte, di B. restò una scuola d'arte bellica che da lui prese il nome e ne continuò le gesta.
Fonti: A. Campano, Braccii Perusini vita et gesta, in Rerum Italicarum Script., a cura di R. Valentini, Bologna 1929; L. Gualtieri (detto Spirito), L'altro Marte, Vicenza 1489; E. S. Piccolomini, De viris illustr., in Biblioth. des literar. Vereins, Stoccarda, I, p. 10 segg.; A. Minuti, Vita di M. A. Sforza, in Misc. di stor. ital., VII, Torino 1869.
Bibl.: P. Pellini, Dell'Histor. di Perugia, Venezia 1664; II; A. Fabretti, Biografia dei capitani venturieri dell'Umbria, Montepulciano 1842; A. Fonticulano, Bellum Braccianum, in Thesaurus del Burmann, IX, iii; R. Valentini, Braccio da Montone e il comune di Orvieto, in Boll. di Stor. patr. per l'Umbria, XXV (1922), pp. 65-157; XXVI (1923), pp. 1-199; id., De gestis et vita Braccii di A. Campano, in Boll. cit., XXVII (1925); fasc. 1°; id., Arch. Soc. rom. di stor. patr., XLIX (1926), p. 415 segg. Sulla battaglia dell'Aquila cfr. W. Block, Die Condottieri, Berlino 1913.