BROLETTO (da brolo, prato con piante)
Termine assai diffuso nel Medioevo per indicare campo circondato da un muro.
Nelle leggi carolingie si trova spesso menzione di Brolii, brogili, broili nel senso di prati boscosi dove il re esercitava la caccia. La stessa parola con analogo significato si trova in Francia: Breil, Breuil, Breuille. Nel Veneto, ad es., anche ora i campi coltivati e rinchiusi da muri si chiamano, con termine dialettale, brolo (brôl). A Milano si distingueva, oltre al Brolo (verziere), anche il Broletto, che era un luogo aperto presso il palazzo arcivescovile e occupava l'area - presso a poco - dove è ora il palazzo reale, nel cuore della città. Vi si amministrava la giustizia, forse fin dal tempo (sec. XI) in cui fu abbandonata la Curia Ducis per l'affievolimento dell'autorità regia.
Il nome di broletto assume un significato proprio quando, con lo stabilirsi della magistratura consolare, i consoli si fanno costruire una casa in questo luogo (domus consulatus).
Dal 1145 in poi a Milano il Broletto, che prima era definito Broiletum archiepiscopi, diventa Broiletum consulare o consulatus. Col tempo, il nome del prato (broletto) dove si tenevano i placiti passò all'edificio; e vi si attaccò così bene che quando - a Milano - si costruì circa nel 1228 il nuovo palazzo che ora, deturpato, si erge ancora imponente in Piazza Mercanti, questo si chiamò Broletto Nuovo. E tutti i palazzi municipali delle città lombarde si chiamarono, forse per imitazione, o forse per l'identità dell'origine loro, broletto (Como, Monza, ecc.).
Gli edifici pubblici, che assunsero tale nome, presentano la caratteristica di avere il pianterreno aperto come un portico; è forse da ricercarne la ragione nella pubblicità di certi atti, come le sentenze, e per offrire ai giudici e al pubblico un riparo nelle stagioni inclementi.
Bibl.: Giulini, Memorie spettanti alla storia al governo e alla descrizione della città e campagna di Milano, Milano 1792; C. Manaresi, Gli atti del comune di Milano fino all'anno 1216, Milano 1919, prefaz. § 5.