Buchi neri
Un osservatore solidale con un corpo in caduta libera su un buco nero può accorgersi soltanto mediante misurazioni molto accurate di aver attraversato ciò che a un osservatore lontano appare invece come un orizzonte degli eventi. Avvicinandosi all'orizzonte, i segnali luminosi inviati dall'osservatore in caduta libera sarebbero ricevuti, da osservatori posti a grande distanza dal buco nero, spostati verso lunghezze d'onda via via sempre più lunghe ‒ fenomeno detto spostamento verso il rosso. Questa variazione di lunghezza d'onda è causata, in parte, dallo spostamento Doppler dovuto alla velocità relativa dei due osservatori e, in parte, dallo spostamento gravitazionale. Al contrario, l'osservatore in caduta riceverebbe i segnali inviati dall'osservatore a grande distanza sempre alla stessa lunghezza d'onda, poiché in questo caso l'effetto Doppler compenserebbe lo spostamento gravitazionale. Inoltre, l'osservatore distante riceverebbe i messaggi di quello in caduta libera a intervalli temporali sempre più radi. L'osservatore in caduta libera, dopo un tempo finito, e senza avvertire alcun fenomeno particolare, attraverserebbe l'orizzonte degli eventi e, non potendo invertire il proprio moto, continuerebbe a precipitare in modo irreversibile sulla singolarità centrale, in cui r=0; l'osservatore posto a grande distanza vedrebbe invece l'osservatore in caduta avvicinarsi indefinitamente all'orizzonte degli eventi, ma mai raggiungerlo o attraversarlo. Dal punto di vista della relatività generale, la vera singolarità della metrica è rappresentata dal punto r=0, caratterizzato da curvatura infinita, e non dall'orizzonte degli eventi. In relatività generale si può definire buco nero una qualunque soluzione stazionaria delle equazioni di Einstein, con metrica fissata all'infinito (in generale piatta, ma sono stati studiati anche buchi neri in spazi non piatti all'infinito), che sia caratterizzata da un orizzonte degli eventi. Il principio di censura cosmica, enunciato da Roger Penrose nel 1969 ma mai dimostrato, sancisce che in relatività generale non si possono avere singolarità 'nude', ossia non protette all'osservazione esterna da un orizzonte degli eventi.
L'origine degli studi termodinamici sui buchi neri risale a una questione posta da John A. Wheeler a Jacob Bekenstein nella prima metà degli anni Settanta del XX sec., all'epoca in cui questi era suo studente. Il problema in discussione era quello dell'entropia, grandezza fisica che non può che aumentare nell'Universo, e che è connessa con la quantità d'informazione. Visto che l'orizzonte degli eventi rappresenta una superficie che non permette l'accesso ad alcun tipo di osservazione, se si confinasse il materiale ad alta entropia in un volume limitato e lo si facesse cadere su un buco nero riusciremmo a eludere l'aumento di entropia? Bekenstein escluse una simile possibilità, stabilendo che i buchi neri hanno un'entropia proporzionale alla superficie del loro orizzonte degli eventi data da:
[3] formula
dove kB e ℏ sono, rispettivamente, le costanti di Boltzmann e di Planck ridotta e A=4πrg2 è la superficie del buco nero. Per la [3], qualunque materiale che cade in un buco nero, aumentandone la massa, ne aumenta la superficie e quindi l'entropia. L'entropia espressa mediante la [3] implica anche una temperatura data da:
[4] formula.
In natura, oggetti che si trovino a una data temperatura irraggiano energia, in accordo con le leggi di corpo nero; anche un buco nero dovrebbe dunque irraggiare, ma, poiché qualunque moto al suo interno è diretto dall'esterno verso l'interno, non appare plausibile che esso emetta energia. Stephen Hawking studiò questo problema e nel 1975 scoprì il cosiddetto meccanismo di Hawking, che, sfruttando effetti quantistici tuttora non completamente compresi, consente a un buco nero di irraggiare esattamente come un corpo nero ideale alla temperatura data dalla [4]. Il dibattito sulla natura esatta e sulla modalità di irraggiamento di un buco nero non è ancora esaurito e sussistono nella comunità scientifica opinioni discordi.ℏ
È un'opinione comunemente accettata che, se fosse possibile attraversare l'orizzonte degli eventi e raggiungere la singolarità in un tempo finito (senza essere distrutti dalle forze di marea), si realizzerebbe una macchina spazio-tempo. La possibilità di compiere viaggi all'indietro nel tempo avrebbe notevoli implicazioni teoriche (e filosofiche) e per questo motivo molti ricercatori hanno iniziato ad analizzare le equazioni di Einstein alla ricerca di soluzioni che prevedano tale opportunità. Il buco nero di Schwarzschild non rappresenta una macchina del tempo affidabile, per due motivi principali: il primo è che, dal punto di vista dell'osservatore lontano, sarebbe necessario un tempo infinito per raggiungere l'orizzonte degli eventi. Qualora l'osservatore in caduta sopravvivesse al viaggio e riuscisse a tornare al punto di partenza senza ripassare dal buco nero (fig. 2), l'osservatore lontano ne vedrebbe due immagini contemporaneamente, ossia quella che sta ancora cadendo sul buco nero e la nuova. In aggiunta, l'osservatore tornato a grande distanza dal buco nero potrebbe inviare e ricevere messaggi da se stesso mentre è ancora in caduta; ciò rappresenterebbe una violazione della causalità.
Il secondo problema è dato dal fatto che le forze di marea in corrispondenza della singolarità sono infinite e dunque nessun osservatore reale sarebbe in grado di resistervi. Nei buchi neri più complessi di quello di Schwarzschild, come per esempio in quello di Kerr, vi sono regioni vicine alla singolarità dove sarebbe possibile effettuare viaggi nel tempo anche senza dover attraversare la singolarità. Se il principio di censura cosmica fosse dimostrato, tali regioni prossime alle singolarità sarebbero sempre protette da un orizzonte e in pratica inaccessibili. Minori inconvenienti presenterebbe una macchina del tempo che fosse priva non solamente di singolarità infinite ma anche di un orizzonte degli eventi, in modo da consentire il viaggio da grandi distanze fino all'orizzonte in tempi finiti per gli osservatori distanti. Appare difficile conciliare l'esistenza di macchine del tempo con il principio di causalità, ma non tutti i ricercatori condividono questa interpretazione: per esempio, è stato dimostrato come sia possibile costruire soluzioni fisicamente accettabili, nelle quali particelle elementari possono viaggiare nel tempo senza che il principio di causalità sia violato.
Storicamente, il collasso stellare fu il primo meccanismo di formazione di buchi neri a essere preso in considerazione. Le stelle molto più massive del Sole terminano la loro evoluzione con un'esplosione di supernova (di tipo II). Il nucleo della stella collassa su se stesso e raggiunge densità talmente alte da formare una stella di neutroni. Per masse superiori a circa 3 masse solari non esiste alcuna configurazione stabile rispetto al collasso gravitazionale: il nucleo dunque collassa ulteriormente e forma un buco nero. Recentemente si è studiata in dettaglio l'evoluzione delle stelle della prima generazione, dette anche di Popolazione III, la cui metallicità è uguale a quella prodotta durante la nucleosintesi primordiale e per questo bassissima. Si pensa che tali stelle siano molto massive e che abbiano formato al termine della loro vita buchi neri di alcune centinaia di masse solari. Un possibile meccanismo di formazione di un buco nero è anche la fusione delle due componenti di un sistema stellare binario, nel caso in cui entrambe le stelle siano di neutroni. Nel momento in cui esse entrano in contatto, avviene un'esplosione estremamente violenta accompagnata da un'intensa emissione di radiazioni. Qualora l'energia sprigionata sia molto minore della massa (moltiplicata per la velocità della luce al quadrato) di una delle componenti, il residuo materiale dell'esplosione sarà una singola stella che, essendo troppo massiva per poter rimanere una stella di neutroni, collasserà ulteriormente e formerà un buco nero.
I buchi neri supermassivi probabilmente iniziano la loro vita come buchi neri di massa stellare, magari formati dalle stelle di prima generazione, e aumentano di massa per accrescimento di materiale durante le fasi di attività nucleare, o per fusione tra buchi neri a seguito degli incontri tra galassie. Un altro meccanismo di formazione di buchi neri supermassivi potrebbe essere il collasso diretto di una massa di gas molto grande nel nucleo di una protogalassia. Si tratta, sfortunatamente, di un processo molto complesso da studiare teoricamente e al momento attuale non sappiamo se si realizzi effettivamente. Buchi neri di massa molto inferiore a una massa solare potrebbero essersi formati nelle prime fasi di espansione immediatamente successive all'origine dell'Universo (il big bang). La massa di tali oggetti potrebbe essere molto piccola ma, poiché la temperatura di un buco nero è inversamente proporzionale alla sua massa, esso irraggia tutta quest'ultima a causa dell'emissione di Hawking in un tempo
[5] formula.
Tale limite, molto maggiore dell'età dell'Universo per buchi neri di massa stellare, è uguale all'età dell'Universo quando M≃1012 kg: buchi neri meno massivi di tale valore, anche se si fossero formati durante il big bang, sarebbero oggi evaporati completamente. Il fatto che la radiazione cosmica di fondo abbia uno spettro assai prossimo a quello di un corpo nero ideale permette di porre limiti stringenti al numero massimo di minuscoli buchi neri che possono essere esistiti, se si considera che, prima di evaporare completamente, essi emettono radiazione altamente energetica in grado di distorcere lo spettro della radiazione cosmica di fondo.
Le prove osservative dell'esistenza di buchi neri si ottengono dalla misurazione degli effetti gravitazionali sul moto di stelle o di gas che si trovino nelle loro vicinanze. Altre tecniche di ricerca, per esempio basate sulla rilevazione di fenomeni di spostamento verso il rosso di origine gravitazionale con valori estremamente elevati, non hanno finora avuto successo.
L'esistenza di buchi neri supermassivi è stata inizialmente dedotta in modo indiretto dalle proprietà delle quasar e dei nuclei galattici attivi. Tali oggetti sono caratterizzati da enormi luminosità, che hanno origine in regioni estremamente ristrette in cui l'energia di legame gravitazionale è assai ingente. Vari autori hanno mostrato come un nucleo galattico attivo finirebbe immancabilmente per formare al proprio interno un buco nero supermassivo, anche se inizialmente non ne ospitasse alcuno. Le stime di massa per i buchi neri supermassivi nei quasar e nei nuclei attivi derivano principalmente da misurazioni indipendenti di dimensioni e di velocità. Le velocità si ricavano dall'osservazione della larghezza delle righe spettrali di emissione di tali oggetti e raggiungono in vari casi valori di 5000 km/s. Le dimensioni sono stimate sulla base di modelli dettagliati, oppure mediante l'osservazione della variabilità nella luminosità totale. Una tecnica più recente, detta reverberation mapping, consiste nel mettere insieme la scala di velocità (ricavata dalla larghezza di una riga di emissione) e il raggio (ottenuto dal ritardo nelle variazioni di intensità della riga rispetto al continuo). I valori che si ottengono per le masse dei buchi neri sono in genere dell'ordine di 107÷108 masse solari.
Una diversa stima della massa per un nucleo galattico attivo si ottiene richiedendo che la sua luminosità non superi un valore critico, detto luminosità di Eddington (LEDD), per il quale la pressione di radiazione su un plasma di idrogeno completamente ionizzato equilibra la forza di attrazione gravitazionale. Nel caso di simmetria sferica si ha:
[6] formula
dove mp=1,673×10−27 kg è la massa del protone e σT=0,665×10−28 m2 è la sezione d'urto di Thomson. Poiché si pensa che la sorgente primaria di energia dei nuclei galattici attivi sia la conversione in radiazione dell'energia gravitazionale della materia che si trova nelle vicinanze del buco nero centrale supermassivo, è necessario che la luminosità di ques'ultimo non superi il valore di Eddington: in caso contrario, la pressione della radiazione bloccherebbe l'accrescimento di materia e ridurrebbe la luminosità del nucleo. A conferma del ruolo svolto dalla luminosità di Eddington come parametro significativo, le stime di massa ricavate dagli allargamenti delle righe spettrali risultano in accordo con la luminosità limite data dalla [6], nonostante l'accrescimento dei nuclei galattici attivi non rispetti la simmetria sferica.
Nel tentativo di trovare prove decisive dell'esistenza di buchi neri supermassivi si sono studiati i nuclei delle galassie vicine, dove le osservazioni hanno una maggiore risoluzione spaziale. L'osservazione spettroscopica dei nuclei delle galassie permette di misurare i moti delle stelle e del gas in tali regioni. La velocità di rotazione delle stelle o del gas, oppure la dispersione della velocità stellare a una data distanza dal nucleo, fornisce una stima della massa del nucleo stesso con un'incertezza dipendente dagli effetti geometrici di proiezione e dal modello adottato per descrivere i moti del gas e delle stelle. Nonostante molti studi dei nuclei fatti da terra e con il telescopio spaziale Hubble, sono solamente tre i nuclei di galassia, attivi o meno, per i quali è praticamente certa l'esistenza di un buco nero: la nostra galassia (la Via Lattea), la radiogalassia M87 situata nel centro dell'ammasso della Vergine e la galassia NGC 4258. Per la Via Lattea, l'osservazione conclusiva è stata quella delle stelle vicino al nucleo, in rotazione con velocità superiori a 1000 km/s; nel caso di M87 si sono sfruttati i moti di gas e stelle; nel caso di NGC 4258 si è osservato un disco di gas in rotazione rapida che emette radiazione maser. Per le altre galassie la presenza di un buco nero costituisce spesso la spiegazione di gran lunga più semplice, ma non necessariamente l'unica. Un risultato molto interessante è la correlazione tra la massa dei buchi neri supermassivi e quella della galassia ospitante, misurata direttamente oppure stimata semplicemente dalla dispersione di velocità stellare o dalla luminosità infrarossa. I modelli di formazione delle galassie non ci consentono ancora di spiegare questa correlazione, che probabilmente indica come l'attività nucleare sia un fenomeno tipico da includere nello studio dell'evoluzione delle galassie.
La possibile esistenza di buchi neri di massa intermedia tra i supermassivi e quelli di massa stellare non è un'idea nuova, ma soltanto di recente le prove osservative accumulate sono stare ritenute sufficienti a indicare come molto probabile l'esistenza di buchi neri di circa 1000 masse solari. Le prove più convincenti si sono avute nello studio di un ammasso globulare nella nostra galassia, l'M15.
La possibile esistenza nella nostra galassia di buchi neri di massa stellare è stata oggetto di numerose ricerche. A partire dalle osservazioni di Cygnus X-1, sono stati proposti vari altri candidati buchi neri. In genere, questi oggetti sono cercati tra i sistemi binari che emettono raggi X, sistemi composti da una stella di grande massa (HMXRB, High mass X-ray binary) o di massa piccola (LMXRB, Low mass X-ray binary) in moto orbitale insieme a una compagna compatta, generalmente una stella di neutroni. In alcuni casi, tuttavia, le prove dirette derivanti dalla massa della compagna, o quelle indirette derivanti dalle proprietà dettagliate del sistema, sono incompatibili con la presenza di una stella di neutroni, la cui massa limite è non superiore a circa tre masse solari. Ciò suggerisce che la stella compagna sia in realtà un buco nero.
Diversamente dal caso dei buchi neri supermassivi, la dinamica delle stelle binarie può dunque essere studiata in modo accurato. L'incertezza sulla reale presenza di buchi neri in questi sistemi dipende in modo critico da quale sia il valore massimo per la massa di una stella di neutroni o, eventualmente, di altre configurazioni stellari compatte ma non collassate. Poiché tutte le stelle di neutroni la cui massa è stata misurata con precisione hanno una massa di 1,4±0,1 masse solari, è assai probabile che l'insieme dei sistemi binari contenenti stelle tra 1,5 e 3 masse solari nasconda in realtà altri sistemi con buco nero. Tra i sistemi binari che per i valori di massa calcolati appaiono come i migliori candidati per ospitare un buco nero di massa stellare, particolare rilevanza hanno A0620-00 (Nova Monocerotis 1975, con una massa tra 3 e 25 masse solari), GS2023+338 (Nova Cygni 1938/1989, con una massa tra 10 e 14 masse solari) e GS1124-68 (Nova Muscae 1991, con una massa tra 4 e 8 masse solari).
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