BULGARIA
(Bălgarija; A. T., 16 bis, 81).
Sommario. - Geografia: Il nome, i confini (p. 66); Storia della conoscenza del paese (p. 66); Geologia (p. 66); Morfologia (p. 67); Clima (p. 69); Acque continentali (p. 70); Flora e fauna (p. 70); Etnografia (p. 71); Folklore (p. 72); Demografia (p. 73); Condizioni economiche (p. 73); Comunicazioni (p. 76); Densità della popolazione, centri abitati (p. 77). Ordinamento dello stato: Costituzione e amministrazione (p. 79); Cultura (p. 79); Forze armate (p. 79); Finanze (p. 80); Chiesa (p. 80); Storia (p. 81); Lingua (p. 94); Letteratura (p. 96); Arte (p. 99).
Geografia.
Il nome. I confini. - Nei suoi attuali confini politici, la Bulgaria occupa la parte NE. della penisola balcanica, disegnando all'ingrosso un trapezio fra i seguenti punti estremi: 41° 12′ 48′′ (Karlak Dag) −44°12′ 30″ (confluenza del Timok nel Danubio) N. e 22° 21′ 14″ (Zatvorničeska Poljana) −22° 3′ 54° (foce dell'Ekrene) E., con una superficie di 101.146,170 kmq.
Il nome Bulgari (Βούλγαροι) nei testi bizantini compare nelle fonti sul finire del sec. V d. C. (per la prima volta presso lo scrittore armeno Mosè di Corene), quando una parte di essi, abbandonata la regione fra il Don e il Volga (dove erano pervenuti dalla zona dell'Altai non prima del sec. III e avevano formato una forte comunità politica) si stabilisce nell'odierna Bessarabia, per passare il Danubio verso la fine del sec. VII. Durante il Medioevo, l'epoca moderna ed anche in tempi a noi vicini, il nome Bulgaria servì a indicare un territorio con estensione e limiti sensibilmente diversi, ciò che sta in rapporto soprattutto con la mancanza di chiare linee di separazione verso mezzodì e occidente.
Soltanto a N. (Danubio) e ad E. (Mar Nero) vi è infatti un confine naturale; sugli altri due lati il passaggio agli stati contermini avviene in zone dove la distribuzione dei diversi gruppi etnici non ricalca più quelle maggiori e minori unità morfologiche o geografiche che, pur con diversi criterî, sarebbe possibile isolarvi.
Data la sua posizione nella penisola balcanica, che culminò in ogni tempo come un ponte naturale fra l'Europa centrale e l'Asia Minore, la Bulgaria è attraversata dalla grande via di comunicazione che dal medio Danubio porta a Costantinopoli e all'Anatolia, nonché da quella che per l'Iskăr e lo Struma dal bassopiano valacco porta a Salonicco e all'Egeo; vie che non trovano serî ostacoli da vincere né attraverso i Balcani e la Srednja Gora, né entro le varie chiostre di monti che chiudono la Bulgaria da occidente.
Storia della conoscenza del paese. - SenZa toccare delle fonti classiche (quali territorî di antico popolamento, Mesia e Tracia erano ben note agli scrittori classici, come prova, p. es., il fatto che il Rodope è ricordato già da Omero, Il., XIV, 227), si può dire che anche per la Bulgaria l'inizio di un'esplorazione condotta con criterî moderni non rimonti al di là del secondo venticinquennio del secolo scorso, quando le lotte religiose combattute dai Bulgari richiamarono in modo speciale l'attenzione degli studiosi europei sulla regione a S. del basso Danubio. A. Griesebach (1839), A. Boué (1840), M. Blanqui (1841), J. Müller (1844), Grigorovič (1848) segnano il punto di partenza delle nostre conoscenze sulla B., non pure geografiche, ma scientifiche in largo senso; conoscenze cui contribuirono, nella seconda metà dello stesso secolo, soprattutto studiosi tedeschi. Fra i tanti, di questa o d'altra nazionalità, che percorsero la regione e la illustrarono sotto varî aspetti, primeggiano A. M. Perrot (1855), V. A. Papadopoulos (1856), A. Viquesnel (1857-69), F. Kanitz (1860-80), J. G. von Hahn (1861), G. Leean (1867), e L. Hugonnet (1886). Ma solo dopo la liberazione dal giogo turco l'esplorazione si fa veramente intensa, e, come permettevano i tempi, sistematicamente scientifica. Di questo più vicino periodo van ricordati con onore i nomi di F. Toula, H. Kiepert, C. Sax, A. Tuma, R. Oestreich, A. Burchardt, e, fra gli slavi, K. Jireček, l'ingigne storico della Bulgaria, K. G. Popov, J. Ivanov, G. M. Zlatarski, L. Dimitrov, L. Vankov, J. Cvijić, A. Iširkov, dei quali i due ultimi hanno particolari meriti nel campo della geografia. In complesso, e specialmente sotto questo punto di vista, se il paese può dirsi abbastanza ben conosciuto, si deve riconoscere che gli studî regionali sono ancora al loro inizio, anche perché le vicende storiche cui è andata soggetta negli ultimi cinquant'anni la penisola balcanica ne hanno piuttosto agitato i problemi etnografici e politici, e questi stessi con metodi e intendimenti non sempre scientifici, che non hanno promosso un'esplorazione armonica, diretta e approfondita in ogni senso.
Balcani e Rodope offrono largo campo alla ricognizione intensiva, non solo per ciò che riguarda la morfologia, ancora imperfettamente nota, ma anche negli studî sulla popolazione. L'Istituto geografico militare bulgaro ha pubblicato diverse carte del regno: una al 40.000 (a 200 fogli fino al 1926) e una al 50.000 (27 fogli); una terza, alla scala di 1 : 126.000 (63 fogli), abbraccia una più larga parte della penisola balcanica. La Bulgaria è compresa anche nella nota carta al 200.000 dell'Istituto geografico militare di Vienna, e in quella internazionale al milione, nella quale occupa i fogli NK 34-5 dell'edizione provvisoria inglese.
Geologia. - I Balcani separano due zone a caratteri nettamente distinti: l'ampia fascia di assise cretacee che si espande a N., parallela al corso del Danubio, e l'ancor più larga massa di terreni che continua a mezzodì le caratteristiche formazioni agnotozoiche della penisola, distese dal medio Danubio alle Cicladi. Rodope, Pirin, Rila, Strandža, Balcani centrali e orientali risultano di gneiss, calcari e scisti cristallini, attraversati da espandimenti eruttivi che corrispondono in più luoghi alle elevazioni maggiori. Degli orizzonti del Paleozoico solo il Carbonico è ben rappresentato: nella Bulgaria di NO. affiora in letti di arenarie alternanti con scisti argillosi e antracitiferi, caratterizzati da facies continentale del tipo di Kulm. Il Permico compare nei Balcani occidentali (Iskăr) e nel bacino di Sofia con caratteristiche arenarie rosse e conglomerati, sui quali poggiano le assise mesozoiche, che vengono a luce anche nella parte mediana della catena. In complesso, però, l'estensione di queste ultime è, innanzi il Cretacico, piuttosto modesta. Durante il Trias l'ampiezza del nucleo continentale di cui faceva parte la Bulgaria si vien riducendo, finché nel Cenomaniano dilata anche qui la grande trasgressione marina, che ricopre tutta la Bulgaria settentrionale. Il Cretacico è perciò rappresentato largamente, con calcari compatti, scistosi o argillosi, marne, arenarie, ecc., che si stendono dal Timok al M. Nero, formando, nella zona prossima al Danubio, l'imbasamento della potente coltre di löss, che li ha ricoperti. Nella Srednja Cora e nello Strandža, il flysch segna il passaggio alla serie eocenica.
La fine del Mesozoico è caratterizzata da un'intensa attività eruttiva, di cui rimangono larghe tracce nella Bulgaria meridionale (da Burgaz a Nova Zagora, a S. dello Strandža e nel bacino di Sofia). L'Eocene appare con tipiche formazioni di calcare nummulitico presso Varna, poggia su ambedue i lati dei Balcani e si allarga in Dobrugia; l'Oligocene soprattutto presso Burgaz, anche esso con estensione piuttosto limitata, com'è in genere del Mesozoico. Oligocene e Miocene sono contrassegnati dai fenomeni orogenetici che determinarono il sollevamento dei Balcani, l'affondamento del tavolato danubiano e la formazione dei solchi tettonici che dovevano separare questo (valle superiore della Tungia [Tundža]) dal più resistente nucleo cristallino, già frammentatosi in epoca preeocenica (bacino della Marizza). Il Paleocene mostra ampiezza considerevole solo oltre i confini di SE. della Bulgaria; una fascia è fra Haskovo e Nova Zagora, qualche frammento fra Arda e Marizza. Il Miocene superiore affiora presso Plevna (Pleven) e fra Varna e Burgaz, il Sarmaziano anch'esso nella zona prospiciente il Danubio, e in Dobrugia, fra Varna e Silistra. Il Terziario più recente vede ad O. e a SO. il formarsi di più o meno estesi bacini lacustri, nei quali assumono importanza le deposizioni plioceniche (letti lignitiferi di Pernik e Radomir, medio bacino della Marizza, bacino di Sofia, Lom, ecc.). Più ancora che le alluvioni distese sul fondo dei solchi tettonici o lungo il corso dei fiumi, va ricordato il löss, che ricopre, come s'è accennato, larghe superficie nella Bulgaria settentrionale. Tracce glaciali (circhi, laghi) conservano il Rodope, il Rila e il Pitin, ma si tratta di apparati mal comparabili con quelli delle Alpi. Per contro notevoli sono le formazioni fluvioglaciali, tra cui particolarmente importanti le terrazze nella valle superiore della Marizza.
Morfologia. - La Bulgaria è il territorio balcanico che presenta meglio definite e più ampie regioni naturali. La loro originalità consiste essenzialmente nel fatto che, a differenza degli altri paesi della penisola, esse assumono la direzione O.-E., ricalcano cioè il motivo tettonico dei Balcani. Correndo press'a poco paralleli al Danubio per circa 600 km., dal Timok al M. Nero. con una larghezza media di circa 30 km., i Balcani (in bulgaro Stara Planina, o "montagna vecchia") rivelano un marcato contrasto fra il versante settentrionale, che scende a gradini sulla pianura danubiana, e quello volto a mezzodì, segnato da faglie. L'intero sistema può essere suddiviso in tre sezioni, alquanto diverse per i loro caratteri. L'occidentale, che s'inarca nettamente verso NE. fino al solco dell'Iskăr, ed è costituito per lo più da terreni paleozoici, con calcari ed arenarie rosse che le acque meteoriche han bulinato in caratteristiche forme d'erosione (rupi di Belogradčik), si solleva man mano che si procede verso SE. (Midžor, m. 2186, Dabišin Vărh m. 2180); la centrale, che assume una direzione quasi esattamente O.-E., è contrassegnata dalle massime elevazioni del sistema (Jumruk Čal m. 2371, Kademlija m. 2273) e si presenta più aspra, più alpestre, più pittoresca; l'orientale, dal Demirkapija al M. Nero, risultante soprattutto di arenarie e sedimenti terziarî, è suddivisa in due o tre catene parallele, anch'esse volte da O. ad E., di altezza molto modesta (in genere non superiore ai 500 m.).
In complesso, la catena mostra forme piuttosto della media che dell'alta montagna, con sommità dolci e arrotondate, pendio generalmente acclive, ampî ripiani ondulati che forniscono buoni pascoli (Čal); manca di tracce glaciali ed offre non difficile transito attraverso numerosi passi.
A N. dei Balcani, preceduta da una larga fascia collinare che li frangia con ampiezza tanto maggiore quanto più si procede verso E., si apre verso il Danubio l'ampio tavolato cretacico, costituito da superficie a linee orizzontali o debolmente inclinate. I fiumi scendenti dai Balcani frazionano l'una e l'altro in una serie di minori unità, del tutto simili morfologicamente. Le valli che le separano, dal caratteristico profilo largo e svasato, corrispondendo a fratture, risultano asimmetriche, col margine destro più elevato. L'imbasamento arenaceo-calcareo rimane nascosto da uno spesso mantello di argille di decomposizione e di humus, che dà un suolo poroso, fertile, adatto alla coltura dei cereali, ma imprime al paesaggio l'aspetto monotono e grigio della steppa pontica. Nella sua estrema porzione SE. il tavolato danubiano e la zona collinare che lo precede sfumano nella Dobrugia centrale, nel Deli Orman e nella regione compresa fra Provadiiska Planina e Kamčij, pianeggiante e nuda la prima, mossa e boscosa la seconda, incisa da profondi solchi l'ultima, che preannuncia già il rilievo dei Balcani. Il paesaggio morfologico è qui caratterizzato dallo sviluppo dei fenomeni carsici e dal reticolo idrografico che ne consegue.
Tutt'altro carattere presenta la Bulgaria di SO., formata dal massiccio del Rodope, che si allarga fra Marizza e Struma. È questa la più compatta e la più elevata zona montuosa non solo della Bulgaria, ma di tutta la penisola. Le cime si avvicinano ai 3000 m. così nel gruppo del Rila (Mus Allah, m. 2926, il più alto della Bulgaria, Juruški Čal, m. 2774, Popova Šapka, m. 2699), come in quello del Pirin (El Tepè, m. 2930, Ala Burun, m. 2206). Nell'insieme il massiccio costituisce una vera barriera fra le regioni orientali, le occidentali e le centrali della Balcania. Soprattutto i gruppi del Rila e del Pirin ricordano - per l'asprezza dei declivî, le valli profonde e intaccate da soglie, le vette aguzze ed ardite, le nevi che vi persistono fin quasi all'estate, lo sviluppo delle tracce glaciali (circhi, morene, laghi: di questi un centinaio nel Rila, una quarantina nel Pirin), l'imponenza del rivestimento boschivo - il paesaggio alpino d'alta montagna. Le varie sezioni del Rodope, non meno che il Pirin ed il Rila, appaiono nettamente individuate per mezzo degli alti bacini tettonici (Samokov, Dupnica, Razlog, Džumaja) e dalle valli incassate e interrotte da gole (Struma, Mesta, Veka, Arda e loro affluenti), che ne costituiscono in pari tempo le sole vie di comunicazione.
A differenza dei Balcani, il gruppo del Rodope si presenta come un vero labirinto di sproni montuosi, diretti in ogni senso. Il lungo cimale che fiancheggia il corso della Mesta forma, con quello che serve a separare l'Arda dagli affluenti dell'alta Marizza (Rodope centrale), un ampio triangolo, con la base volta a quest'ultimo. L'elevato zoccolo cristallino è sormontato verso O. dalle massime elevazioni del sistema (Sjutke, m. 2188, Karlăk, m. 2082). Verso E. alle valli incassate e tortuose che lo incidono si alternano più o meno vasti bacini montani (Čepino, Stanimaka) e larghe zone prative, mentre l'altezza delle cime va decrescendo, fino a deprimersi sotto i 600 m. nella regione della media Marizza. Solo gli sproni più meridionali, che corrono lungo l'attuale confine greco e segnano il displuvio fra l'Arda e i fiumi sboccanti direttamente nell'Egeo, tornano a superare i 1500 m. (Kušlar Dag, m. 2177; Karlăk, m. 1900).
Continuazione del Rodope si possono considerare i rilievi che formano il fianco destro della doccia in cui corre lo Struma. Con gli Osogov (Ruen, m. 2225) si entra in una zona di bacini tettonici di varia estensione, più o meno nettamente delimitati da fasce montuose, coperti sul fondo da deposizioni lacustri terziarie e contraddistinti sui margini da linee di frattura. La regione, che si continua a N. fino al solco della Nisava, è attraversata dai corsi superiori dello Struma, dell'Iskăr e dei loro affluenti; la connessione idrografica che ne deriva si traduce in una molto relativa facilità di comunicazioni, perché di regola gl'intagli erosivi che intercedono fra le conche stesse ostacolano per la loro angustia, più che non facilitino, il passaggio dall'una all'altra di questo. Dei bacini (Samokov, Pernik, Kjustendil, Dupnica) il più importante, anche perché senza confronto il più ampio (1000 kmq.), è quello di Sofia, coronato a S. da una serie di sorgenti termali che va da Bankia a Pančerevo: la sua altezza media è di 550 m., la larghezza e lunghezza massime rispettivamente di 20 e 75 km.
L'elevato e pittoresco massiccio sienitico del Vitoša (Černi Vărh, m. 2285), che fa da sfondo verso mezzodì a questa pianura, si congiunge oltre l'Iskăr col gruppo degli Ihtiman, i quali iniziano una lunga e stretta fascia di rilievi, distesa parallelamente ai Balcani da Sofia alla Tungia e detta nel complesso Srednja Gora. Assai meno elevato dei Balcani (Bogdan, m. 1573, Bunaja, m. 1566), la Srednja Gora ne riproduce in sostanza i caratteri. Il corrugamento cenozoico, che ne determinò il distacco dall'antistante catena, interpose, fra l'una e l'altra, una zona depressa, che basse insellature separano in più tronchi o unità minori (bacini di Zlatica, Karlovo, Kazanlăk, Slivno). L'altezza di questi decresce verso est (Zlatica 750, Slivno 150 m.), dove le ultime ondulazioni della catena si congiungono con le propaggini meridionali dei Balcani. Le conche di Karnobat, Aitos, Anhiolo si possono considerare come la continuazione morfologica di quelli, cui assomigliano anche per altri caratteri (clima, vegetazione). Si tratta di una serie di bacini chiusi, in cui penetrano assai poco le influenze marittime, e dominano invece le continentali; negli umidi fondi alluvionali, più che la coltura dei cereali, trova condizioni adatte quella di alcune piante industriali, degli alberi da frutta e soprattutto della vite, che mostrano una minore diffusione a N. dei Balcani. Talune di queste pianure, come p. es. il Tulovsko Pole di Kazanlăk, sono famose per i loro giardini di rose.
La Srednja Gora e il Rodope isolano l'ampio bacino della Marizza, svasato verso E. e SE., l'unità morfologica più ampia e in pari tempo più completa della penisola. Geneticamente analoga alle valli prebalcaniche, se ne distingue per le proporzioni senza confronto più vaste, per la maggior potenza dei depositi alluvionali, e soprattutto perché aperta alle influenze meridionali, e perciò a quelle del clima mediterraneo. Essa risulta divisa in due parti pressoché uguali d'estensione. Ad O. è la pianura di Filippopoli (Plovdiv) nel cui fondo la Marizza divaga lenta fra rive basse; territorio fertile e adatto ad ogni genere di coltura: vigne e campi, frutteti e risaie, prati e boschi si alternano in un paesaggio pingue e ridente, considerato a ragione fra i più belli della Bulgaria. La sua continuazione orientale, che può denominarsì da Stara Zagora o da Haskovo, manca dell'unità idrografica che caratterizza l'alto bacino della Marizza. Più che una pianura, essa corrisponde ad un territorio sensibilmente mosso, inclinato in complesso verso S. e chiuso ad E. dalle colline che fiancheggiano il corso inferiore della Tungia. Queste ultime si legano a SO. con la massa gneissica del Sakar Planina, distesa fra la Marizza e Tungia, a S. di Jambol. Più ad E. il nucleo cristallino, di cui rappresentano un avanzo, emerge nel piatto rilievo dello Strandža, del quale solo una piccola sezione rientra nei confini della Bulgaria.
La posizione del bacino della Marizza spiega perché esso sia andato soggetto più che qualunque altra regione della penisola alle influenze bizantina prima e poi turca, differenziandosi così per molti aspetti (si ricordi il nome Rumelia) dalla Bulgaria settentrionale. La coltura dei cereali vi è congiunta o addirittura sostituita da quella del tabacco, del cotone e delle piante che trovan posto nelle valli balcaniche, mentre nelle zone collinari, meglio riparate e più densamente abitate, son diffuse quelle della vite e del gelso.
Clima. - Dal punto di vista climatico la Bulgaria rappresenta un territorio di transizione tra l'Europa centrale, l'Europa sudorientale e il Mediterraneo. La piattaforma danubiana, rimanendo del tutto fuori dalle influenze di quest'ultimo e risentendo solo di quelle, trascurabili, del M. Nero, è caratterizzata da tipico clima continentale: inverni rigidi e precoci, estati ardenti, brevi stagioni intermedie. Le piogge, già abbondanti in primavera, toccano il loro massimo in giugno, si mantengono copiose nei primi mesi estivi, e decrescono poi rapidamente col sopravvenire dell'autunno. D'inverno la neve cade di frequente e si mantiene a lungo sul suolo. Rustciuk (Ruse) registra 24 giorni nevosi all'anno, quanti Plevna; il numero cresce se ci si avvicina ai Balcani (Gabrovo: 39). L'escursione diurna ed annua è di regola assai marcata (Plevna: 24°,8; Gabrovo: 21°,9; le medie dei mesi estremi sono rispettivamente: gennaio −1,8° e −1°,0; luglio 23°, 1 e 20°,5). Da massimi aisoluti di 38° o 40° si scende lungo il Danubio a minimi di −18° o −20° Rustciuk (Ruse), mentre il distacco si fa ancora più sensibile verso O. (Vidin). La media temperatura annua oscilla fra 9° e 12° all'incirca (Plevna, 125 m. s. m. segna 11°,2; Gabrovo, a 375 m., 10°,0; le medie si riferiscono al periodo 1894-1928), e le precipitazioni si mantengono intorno ai 650-700 mm.
Questi caratteri si accentuano quando ci si sposti verso NE. o verso E., così in Dobrugia e nel Deli-Orman, come nella regione della Strandža, che climaticamente se ne può considerare la continuazione. L'inverno, salvo che in corrispondenza ad una ristretta fascia lungo il M. Nero (Burgaz: media temperatura annua 120,8; gennaio 2°,4; luglio 22°,8), si fa ancora più crudo, le piogge diminuiscono, lasciando per mesi e mesi asciutto il terreno (meno di 500 mm. nel bacino della Provadiiska Planina e lungo il Danubio fra Lom e Orehovo).
Per contro, le zone che si distendono a S. dei Balcani, e le meno elevate del Rodope, lungo lo Struma e il Mesta, pur mantenendo i loro massimi estivi di piovosità, vedono accentuata, sempre più a misura che si scende verso mezzodì, la quantità delle precipitazioni primaverili e invernali: e questo segna il trapasso al tipo di clima che domina sul litorale tracio-macedone. La Marizza costituisce un corridoio naturale, attraverso il quale le influenze mediterranee possono spingersi fin quasi sul rovescio dei Balcani, senza penetrare tuttavia molto addentro nelle valli che da questi e dalle pendici settentrionali del Rodope si spingono verso il centro del bacino (Stara Zagora, Haskovo). La media valle del fiume fino a Filippopoli gode di condizioni climatiche relativamente migliori, sebbene l'escursione termica rimanga sempre notevole (Filippopoli: 160 m. s. m.; temp. media annua: 12°,6; gennaio 0°,5; luglio 23°,5; massimi assoluti 38°-40°, minimi da −15° a −20°), le estati siano altrettanto calde che a N. dei Balcani, e altrettanto modesta sia la quantità delle precipitazioni (Filippopoli: millimetri 530,6). Tuttavia, mentre nella Bulgaria del N. i mesi estivi hanno oltre il 30% della piovosità, la proporzione scende fin quasi al 20% nelle regioni meridionali.
Dove la disposizione del rilievo, come nelle valli prebalcaniche, permette il riparo dai venti di N. e di NE., si hanno oasi di clima più mite: gli alberi da frutta, i giardini, e soprattutto la coltura della vite ne sono già un indizio. Tanto nei Balcani, quanto sul Rila, sul Pirin e sul Rodope, dovunque abbondino le precipitazioni nevose e si faccia sentire l'influenza dell'altezza, si riscontra un vero e proprio clima alpino. Il passaggio è segnato in certo modo dai bacini tettonici di SO. A Sofia, che sorge a 550 m. d'altezza, si ha una media annua di 10,0, fra estremi che vanno da 35° o 37° a −20° o −22° (medie del gennaio -1°,9, del luglio 20°,7), mentre crescono alquanto le precipitazioni (Varna 470 mm., Sofia 624,7 mm.), che tuttavia non sembra oltrepassino in nessun distretto, neppure dei più elevati, i 1500 mm. annui (sul Petrošan 1400 mm., a Gabrovo 870,2 mm.).
Le condizioni della nebulosità, dell'umidità relativa e dei venti dominanti in Bulgaria non sono state ancora, come si desidererebbe, fatte oggetto di studio. In generale la prima non sembra molto notevole. Le medie annue di Sofia (5,6) possono essere assunte come indice del più delle altre stazioni. Un po' più varia risulta da zona a zona l'umidità relativa, che d'estate si riduce sensibilmente: i valori annui oscillanti fra 69 e 76 per Sofia, fra 70 e 79 per Filippopoli, si fissano sul 78-80 per Burgaz e Varna. Nei venti la prevalenza spetta alle direzioni O., NO. ed E.; caratteristico è il cosiddetto vento nero, che spira con gran violenza in primavera nelle regioni orientali.
Acque continentali. - Paese essenzialmente continentale, la Bulgaria non guarda al mare se non ad E., sulla breve costa dell'Eusino (311 km.), alta, poco articolata, dove ancora più ristretto è lo spazio segnato dalla natura alla possibilità di crearvi dei porti (Varua, Burgaz).
L'orografia del paese ed il suo ristretto contorno non hanno permesso si formassero fiumi lunghi e navigabili; la scarsezza delle precipitazioni, la mancanza di ghiacciai e di nevi persistenti dànno ragione della loro relativa povertà d'acqua, mentre, prendendo essi origine da rilievi abbastanza elevati, la pendenza è quasi sempre considerevole. Di più le condizioni morfogenetiche determinano spesso un regime che si potrebbe dire piuttosto torrentizio.
I fiumi che sfociano nel Mar Nero hanno corso breve e irregolare, valli in più luoghi paludose e coperte di boschi. Con un bacino di 5147 kmq., il Kamčija, che è lungo 244 km., divide i Balcani dal tavolato danubiano (pendenza media: 3, 1‰, 0,65 % nel tratto terminale); a nord di questo sbocca il Provadiisko Dere (km. 121; bacino kmq. 2411), che prima di Varna si allarga nel Devnensko Jezero, geneticamente analogo alle criptodepressioni che orlano la costa del Mar Nero a occidente di Burgaz.
Dei fiumi che vanno al Danubio, solo l'Iskăr taglia i Balcani, portando uno dei suoi rami sorgentiferi fin sul rovescio del Rila. Lungo 400 km. (bacino 4304 kmq.), attraversa il bacino di Samokov (160 kmq.) e quello di Sofia (1000 kmq.; lunghezza km. 75, larghezza media 15,8, altezza 500 m.), nel quale formava una volta un lago, aprendosi il passaggio verso N. per mezzo di una pittoresca gola, seguita dalla ferrovia Sofia-Plevna. L'Iskăr è alimentato dal copioso tributo di acque della Bulgaria occidentale; si vuole fosse navigato in epoca romana. Con minore lunghezza (271 km.), ma bacino quasi doppio (7846 kmq.), lo Jantra raccoglie le acque di gran parte dei Balcani medî e orientali. Molto meno notevoli sono l'Osăm (265 km.), il Černi Lom (238), il Vit (195), l'Ogosta (147) e il Lom (93): tutti caratterizzati da deflusso incostante, forte pendenza del letto (da 4,8% nello Jantra a 10,8% nell'Ogosta), salvo che nel tratto terminale, e scarsa portata media. Grande è invece la loro importanza demografica, segnando essi non solo le vie naturali di comunicazione fra N. e S., ma anche luoghi più adatti, perché più umidi, all'insediamento umano.
Dello Struma e del Mesta appartiene alla Bulgaria solo il corso superiore, in cui l'uno e l'altro corrono fra aspre e lunghe forre, che separano più o meno ampie conche montane. Sceso dalle alte pendici del Vitoša, lo Struma (392 km.) attraversa successivamente i bacini di Peruik (2 km. di lunghezza), di Radomir (259 kmq., lunghezza km. 34, larghezza media km. 7, altezza media 600 m.), e di Kjustendil (140 kmq., lunghezza km. 21, larghezza media km. 6,7, altezza media 500 m.), per distendersi, a S. di Boboševo, in una valle larga e fertile, che si chiude a Kresna. Qui il fiume si apre il passo per mezzo di una gola che divide il gruppo del Maleš o dal Pirin, continuando fino alla confluenza con la Strumica, oltre la quale entra in territorio greco. Dopo il 1919 solo un piccolo tratto di questo affiuente è rimasto alla Bulgaria (bacino di Petrič).
La valle del Mesta (226 km.), detta dai Turchi Kara-su (acqua nera), divide il Pirin dal Rodope occidentale, dei quali raccoglie il tributo. È formata dal Mesta bianco e dal Mesta nero, dei quali il secondo raccoglie le acque nei laghetti alpestri del Rila. Riunitisi i due rami, il Mesta attraversa la conca di Razlog, e si affonda poi nell'aspro solco della Momina Klisura (in turco Kyz derbend "gola delle fanciulle"), lungo una trentina di chilometri, cui segue il bacino di Nevrokop (lunghezza 15 km., larghezza 5 km., altezza media 350 m.) e quindi una seconda gola, in cui il fiume spumeggia fra rapide o cascate.
Al contrario del Mesta, che per le condizioni del suo corso ha scarsa importanza antropogeografica, lo Struma rappresenta la via più breve di comunicazione fra la media Bulgaria e il mare - seguita dalla ferrovia che porta al confine greco - e percorre una delle regioni più densamente popolate di tutto il paese. Nonostante la loro altezza, i bacini montani offrono agli abitanti larghe risorse (agricoltura), e più ne offriranno quando saranno convenientemente sfruttate le ricchezze del sottosuolo e l'energia idrica.
Se si prescinde dal Danubio, il più importante tra i fiumi bulgari è la Marizza (km. 440), che finisce anch'essa oltre frontiera, ma si presta, pur nel suo corso medio (a valle di Pazardžik), alla navigazione, una volta utilizzata per il trasporto dei cereali e delle merci. La sua debole pendenza (1‰), la copia delle acque, la fertilità e la ricchezza (miniere) dei territorî che attraversa, la stessa sua posizione nel cuore del regno spiegano perché nel suo bacino siano zone fra le più densamente popolate di tutta la Bulgaria. Con una lunghezza di poco superiore a quella dell'Adige, convoglia le acque di un territorio oltre tre volte più esteso (54.000 km), e in ogni modo grande press'a poco la metà della superficie del regno. Scesa dal Rila, la Marizza attraversa la pingue pianura di Filippopoli, appoggiandosi sul fianco volto al Rodope, e dividendosi, con deflusso lento e copioso, in più rami, per scendere, oltre le alture di Čirpan, verso Haskovo e Adrianopoli, dove la raggiungono i suoi maggiori affluenti. Di questi i più ricchi d'acqua e i più regolari scendono da destra, dalle boscose pendici del Rodope, dove li alimenta una provvida riserva di nevi; gli altri hanno una portata senza confronto più variabile, maggior carico di alluvioni, letto instabile e spesso pensile, e corrono, nell'ultimo tratto del loro alveo, paralleli alla Marizza, spostando a poco a poco verso E. le loro foci. Dei primi il più importante è l'Arda (310 km.), vero fiume di montagna (corre profondamente incassato, senza interruzione di ripiani o bacini), ricco di acque, ma di scarsa importanza come via di comunicazione; dei secondi lo Struma (114 km.) e la Tungia (416 km.), che percorrono la lunga valle tettonica compresa fra i Balcani e la Srednja Gora e sfociano a Filippopoli e ad Adrianopoli rispettivamente e il Sazlǎ Dere, che segna la zona più depressa di tutto il bacino.
Lungo il Danubio si stendono 397 km. di frontiera: l'alto e ripido ciglio della riva bulgara contrasta con la piatta cimosa di acquitrini che delimita la sponda opposta, sebbene anche sulla destra del fiume a quel ciglio (che segna il margine della linea dl frattura ricalcato dal Danubio) precedano per lo più ampie bassure paludose, le quali rappresentano antichi letti o espandimenti delle acque. Delle numerose isole fluviali (un centinaio), poste innanzi a questo tratto di frontiera, la metà appartiene alla Bulgaria: le maggiori (Kozlodui, 600 ha.) sono utilizzate come pascolo.
La Bulgaria è poverissima di laghi, ove se ne eccettuino quelli montani, numerosi ma minuscoli (Rila, Pirin, Rodope) ed i liman, che lungo le sponde del M. Nero segnano lo sbocco in mare dei fiumi maggiori (presso Varna e Burgaz). Di questo il maggiore è il già ricordato Devnensko Jezero (lago di Devna), che copre una superficie di 18,9 kmq. (un po' più grande, dunque, del nostro Lago d'Orta, meno della metà di quello di Salpi, che è della stessa origine), con una profondità massima di 20,4 m., media di 9,7 m., e un perimetro di 33,4 km. È alto 1,8 m. s. m.; il fondo, quindi, è a 18,6 m. sotto questo stesso livello.
Flora e fauna - Anche floristicamente la Bulgaria non ha una individualità propria. Accanto a specie comuni con le Alpi transilvaniche, i Balcani ne presentano di quelle che ricordano il Caucaso (Chamaemelum caucasicum, Campanula Stevenii, C. hemschinica); mentre la maggior parte del suo patrimonio floristico appartiene al dominio dell'Europa centrale, verso mezzodì appare, benché immiserita, la tipica macchia mediterranea, e le regioni di NE. segnano il passaggio alle steppe pontiche, la cui maggiore aridità è sottolineata dalla presenza delle alofite. Un certo numero di specie endemiche sta in rapporto con l'isolamento del massiccio balcanico durante un lungo periodo di storia geologica; come in tutti i territorî di antico popolamento, l'influsso dell'uomo ha però profondamente modificato le condizioni originarie. La riduzione del manto boschivo è più grave che non appaia dalle statistiche: del 30% di superficie forestale solo 1/4 è veramente utilizzabile: la maggior parte è costituita da macchie o ridotta a magro sterpeto.
Le foreste di latifoglie che si stendevano un tempo sino sulle pianure si conservano ora (querce, limite superiore: 1000-1200 m.) solo lungo i fiumi (Marizza, Danubio) e il Mar Nero, nel Deli-Orman, e sulle pendici dei Balcani; nelle zone montuose il faggio (Fagus silvatica) copre estese superficie, insieme con le conifere (soprattutto Abies pectinata, A. excelsa e Pinus silvestris) che ammantano le alte groppe del Rila, del Pirin e del Rodope. Le conifere si spingono fino a 1800 m. in media, ma tendono a salire sul Pirin e sul Rila, dove oltrepassano i 2000 m., e 0edono poi il posto ad una vegetazione di tipo alpino (Piuis montanus, Juniperus nana), che è però limitata a piccole oasi.
La macchia mediterranea risale dall'Egeo il bacino della Marizza, ma impoverita (Corulus avellana, Acer tataricum, Rhamnus cathartica, Palmirus australis, Syringa vulgaryis, Rhus cotinus, ecc.), e stenta tanto più quanto più si procede verso la Tungia e il massiccio dello Strandža.
In rapporto con la non molto elevata densità di popolazione sta la relativa abbondanza della fauna selvatica. Degli animali più pericolosi solo il lupo è veramente diffuso, l'orso (piccolo e grigio, di regola) essendo ridotto a pochi individui nelle zone montuose più impervie. La lince (Lynx pardinus) è piuttosto rara; per contro abbastanza comune è lo sciacallo (Canis aureus; distr. di Burgaz e Strandža), e ancor più la volpe, il tasso, la lepre, il gatto selvatico, la martora, la puzzola (Foetorius putorius, anche F. sarmaticus), il cinghiale, ecc. Il castoro, una volta abbondante, sembra oggi estinto; il capriolo (Capreolus caprea) si trova in quasi tutte le foreste; meno comuni il cervo (Cervus elaphus) e il camoscio (Rupicapra tragus), accantonati sul Rila e sul Rodope. Numerosi sono i rettili e gli anfibî, ricchissima l'avifauna e l'ittiofauna, delle quali la prima è notevole, oltre che per il gran numero di specie acquatiche che vive lungo il Danubio, per i grossi uccelli di rapina, la seconda per l'importanza che potrebbe avere nell'economia della nazione se ne fosse tentato uno sfruttamento razionale, data l'abbondanza delle specie che popolano i fiumi e le rive del M. Nero.
Etnografia. - La più antica popolazione storicamente nota della Bulgaria fu quella dei Traci, sui quali si stese il dominio e la cultura di Roma. Ancora nel Medioevo si avevano molti resti delle vecchie genti indigene romanizzate, che erano chiamate Valacchi, e la toponomastica della Bulgaria centro-occidentale ne serba tuttora tracce numerose. Ma nella prima metà del sec. VII gli Slavi, passato il Danubio con le loro tribù di agricoltori piuttosto pacifici e saldamente attaccati alla terra che colonizzavano, assorbirono quasi totalmente le popolazioni preesistenti e fissarono i caratteri etnici essenziali degli odierni abitanti. Quando, nel 678, le tribù turco-tatare nomadi e bellicose dei Bulgari passarono a loro volta a sud del Danubio, imposero alle genti slave o slavizzate la loro forte organizzazione militare e politica e quindi anche il nome, ma non la lingua né la cultura. Fuse con scarsi residui (Gagausi) nella massa slava, finirono pure le succesive invasioni tatare degli Avari, dei Cumani, dei Peceneghi, dei Tatari. Importanza molto maggiore ebbero invece la moderna dominazione turca, sia con lo stanziamento di forti nuclei di coloni, che modificarono largamente anche la toponomastica, sia con la diffusione dell'islamismo e di molti tratti culturali tra i Bulgari, e la penetrazione di altre nazionalità balcaniche: Romeni e Greci specialmente.
Le ricerche del Vatev e del Drončilov sui caratteri fisici della popolazione mostrano che questa ha in media tipo bruno, statura alquanto superiore alla media (m. 1.67 negli uomini), prevalente dolicocefalia (ind. cefalico nei varî distretti 78-82), faccia mezzanamente lunga (indice 86-87), naso sottile (indice 65). I veri biondi sono rari (50%), mentre il tipo bruno puro (occhi e capelli scuri) giunge al 47%. Alquanto più bruni dei Bulgari sono, nella Bulgaria, i Greci, i Gagausi, gli Armeni; i Turchi invece presentano una percentuale alquanto maggiore di colorazione chiara (13%). Se dai caratteri medî passiamo ad analizzare la composizione della popolazione vediamo che in questa entrano elementi assai diversi, già presenti del resto in un tumulo funerario del sec. IV d. C. della regione di Filippopoli (Hamy, in Bull. du Musée d'Histoire nat., VIII, Parigi 1902). La miscela è quindi anteriore all'arrivo degli Slavi, dei quali ignoriamo in ogni modo il tipo fisico originario. Il tipo "dinarico", dominante fra gli Iugoslavi occidentali, brachicefalo, bruno, alto di statura, a faccia larghetta e naso forte e prominente, è numeroso specialmente nei distretti della Bulgaria nord-occidentale: sempre in minoranza però rispetto al tipo dolicocefalo e mesocefalo, che si presenta anch'esso con statura media-alta e tratti facciali ben modellati. Questo è in netta prevalenza nella Bulgaria orientale e meridionale, ove tende anche ad una minore statura e quindi a somigliare di più al comune tipo mediterraneo. Vi sono inoltre alcuni elementi con fattezze più rozze, cranio corto, faccia assai larga e piccola statura, che richiamano ai brachicefali carpatici o rappresentano residui di sangue tataro.
I Bulgari formavano nel censimento del 1920 l'81.4% della popolazione, con 3.948.000 anime: vi è fra essi una forte minoranza (400.000) di Bulgari maomettani, detti Pomaki, numerosi specialmente nei distretti meridionali e nel Rodope, e piccole comunità di cattolici detti pauliciani (32.000) lungo il Danubio e la Marizza, e di protestanti (6000). Forti nuclei di popolazione bulgara vivono fuori delle frontiere dello stato, soprattutto nei territorî contermini: nella Romania (250.000), ove sono localizzati specialmente nella Dobrugia, nella Macedonia (900.000), nella vecchia Serbia (200.000). In Bessarabia le colonie bulgare sommano a circa 170.000 individui. Complessivamente al popolo bulgaro appartengono circa 5.500.000 individui.
Nella Bulgaria vivono oltre 1/2 milione di Turchi, diffusi di preferenza nella Bulgaria orientale e in tutte le città, 80.000 Romeni con 10.000 Aromuni. 90.000 Greci sulle coste del Mar Nero, ove varie cittadine sono interamente greche, e nei distretti centro-orientali e 13.500 Armeni. Molto numerosi, come in tutta l'Europa sud-orientale, gli Zingari (130.000). Gli Ebrei, tutti nei centri urbani, sono 43.000. Una menzione speciale meritano i Gagausi (4400), di lingua turca ma ortodossi di religione, che si ritengono discendere dai Cumani, invasori tatari del sec. XIII.
I cittadini stranieri residenti nello stato sono circa 30.000 e fra essi (nel 1927) 1047 Italiani.
La popolazione, per due terzi rurale, vive in casali e villaggi accentrati. Rare le dimore isolate, fuori che nella catena dei Balcani e nella Srednja Gora. Sono invece numerose in aperta campagna le capanne di paglia nelle quali sverna il bestiame, e le case sparse nei boschi e sui pascoli lontani dal villaggio, nel quale però i proprietarî di quelle vivono abitualmente. Le abitazioni sono ancora di solito costruite coi materiali disponibili più vicini. Sul löss della pianura danubiana, come in Romania, è frequente l'abitazione semi-sotterranea, scavata nel suolo argilloso, della quale emerge solo il basso tetto a spioventi coperto sovente anch'esso di terra: sono dimore assai primitive, ma calde d'inverno e fresche d'estate. Nelle altre costruzioni si distinguono due tipi: uno che possiamo dire mediterraneo, in muratura e tetto di tegole curve o lastre di pietra, con abitazioni che nei Balcani, sul Rodope e sugli orli della valle della Marizza hanno spesso due o tre piani e sono grandi e spaziose; l'altro è il tipo di origine turca o orientale, tutto o in gran parte di legno, col piano superiore sporgente sul piano terreno e poggiante su pali di legno. Le forme miste sono tuttavia le più diffuse. Le abitazioni più modeste sono, in alcune regioni, costruite con mattoni d'argilla seccata al sole, ed hanno il solo pian terreno, con un loggiato anteriore formato dal tetto sporgente sulla facciata e poggiato su pali.
Le svariate influenze etniche e lo stato generale e locale d'isolamento nel quale la Bulgaria rimase per secoli, sotto il dominio turco, hanno favorito lo sviluppo e la conservazione delle particolarità regionali. Ciò si verifica soprattutto nell'abbigliamento paesano, che cede tuttavia rapidamente di fronte alla diffusione delle fogge occidentali. A seconda del colore prevalente del costume maschile, i Bulgari son designati nel paese come belodreskovci (a pantaloni bianchi) e černodreskovci (a pantaloni neri). I pantaloni bianchi, lunghi e stretti all'antica moda balcanica, erano una volta molto diffusi, ma sono ora localizzati specialmente nei distretti danubiani e occidentali. I pantaloni scuri, assai larghi e chiusi sotto il ginocchio (forma bosniaca), si incontrano di preferenza fra i montanari ed i Pomaki, completati da gambali di panno e da una larga fascia di lana alla cintura. Sulla camicia, di tessuto grossolano, viene indossata la giacca senza maniche o un ampio abito: d'inverno, la pelliccia di pecora. Il berretto di pelo, basso e piatto, è, come nella Romania, il copricapo più usato. Sandali di pelle (ciocie) e pezze per i piedi si portano ancora, specialmente in montagna, in luogo di scarpe e calze.
Nel costume femminile le differenze locali sono molto notevoli. Gli elementi comuni più caratteristici sono: le lunghe camicie ricamate, a larghe maniche, di tessuto assai fine (alle volte di seta) in tutte le parti visibili; il sukman di lana scura, talvolta turchina, con maniche corte, spesso ornato di galloni d'oro e di ricami multicolori, aperto sul petto, che arriva per lo più sino alle spalle e scende in alcuni luoghi sino alla caviglia, altrove invece poco sotto il ginocchio, scoprendo l'estremità della camicia, e un grembiule doppio, che è quasi sempre tessuto o ricamato in colori vivaci. Il capo è coperto dal fazzoletto bianco o nero, in qualche regione fissato sopra un berrettino. Orecchini, collane, braccialetti d'oro, d'argento e in filigrana non mancano mai al costume completo (per maggiori particolari v., alla fine dell'articolo: Arte popolare).
La vita sociale ha varî tratti caratteristici, ma la grande comunità familiare (la zadruga dei Serbi), che accoglie ogni nuova generazione nel suo seno, è ormai scomparsa quasi dovunque, se si eccettuano alcuni dei distretti montuosi. In generale la sposa è scelta fuori del villaggio (esogamia) ed ha nella famiglia una posizione più elevata che non presso le altre popolazioni balcaniche. La danza nazionale è il chorò (cfr. rom. hora, gr. χορός), nella quale i ballerini si tengono per mano in fila o in circolo e ballano con ritmo composto, spesso senza altro accompagnamento musicale che il canto corale.
Folklore. - Nei costumi e riti bulgari si riscontrano elementi e influssi svariatissimi: traci, veteroslavi, bizantini, romani. Molte delle feste religiose e molti dei culti pagani vennero sostituiti con i riti della nuova religione cristiana. In essi peraltro è possibile scorgere alcune delle antiche tracce pagane. Le stesse canzoni che accompagnano i riti contengono elementi antichi, specialmente nel valore magico, che ad alcuni di essi si attribuisce, di scongiuro da determinati mali o iatture. Tutto si fa al fine di impietosire Dio o il santo, perché dia la salute, la fertilità, l'abbondanza.
I riti connessi con la festività del Natale mostrano un certo legame con le antiche feste pagane in onore del sole e con le calende. Lo stesso termine Kòleda ("Natale") deriva da calendae. Il ceppo arde tutta la notte della vigilia nel focolare domestico; si preparano speciali ciambelle la vigilia dello stesso giorno della festa, gruppi di koledari vanno cantando di casa in casa; le canzoni si volgono al giovane Dio che nasce, perché apporti fertilità, salute e ricchezza.
Per l'anno nuovo crocchi di ragazzi vanno girando per le case con dei ramoscelli, per augurare salute e fortuna. Analogamente in certi luoghi la donna di casa tocca con un ramoscello il bestiame e talvolta anche i neonati, per propiziar loro la buona salute. In alcune regioni la medesima pratica si ripete con le immagini sacre.
Interessante è il costume dei kukeri, conservatosi in alcune regioni: sono uomini mascherati, che vanno nei villaggi durante il carnevale per divertire la gente.
La Pasqua si festeggia nella rigida cornice dei riti ecclesiastici. Ma la festa di S. Giorgio, come il culto dello stesso santo, tradisce i suoi legami con l'antica festa pagana del sole e della primavera. Durante tutta la settimana dopo il Corpus Domini si festeggiano le rusalke o rusalie, discendenti dalle rosalie romane, ma trasformate e messe in relazione con l'usanza di raccogliere piante medicinali e con la fertilità del suolo. La festa di San Giovanni (Enevden′, 24 giugno) è pure un miscuglio di elementi pagani e cristiani, come la festa di S. Elia: il santo ha gli attributi del dio Perun (il dio del tuono).
Molto complesse nel loro rituale, che contiene simboli primitivi e profondi, sono le cerimonie in occasione di eventi familiari: fidanzamento, matrimonio, battesimo, morte, come gli stessi comuni passatempi domestici (chorò, sedjanki, ecc.).
Tutti questi usi vengono gradualmente scomparendo, come lo stesso costume nazionale, sopraffatto dalla penetrazione dei prodotti dell'industria moderna. Il suo elemento più caratteristico e prezioso è il ricamo, per il quale la razza bulgara deve aver avuto assai antica attitudine, se dobbiamo attenerci a Prisco, che parla di donne slave ricamanti insieme con la moglie di Attila. I ricami bulgari riflettono influenze diverse: cristiane, bizantine, copte, orientali in genere. Ma caratteristica generale ne rimane la stilizzazione, spontanea e diversa da regione a regione.
Più di tutto vengono ricamate le camicie nelle maniche, nelle falde, nel petto. I più frequenti motivi sono quelli di piante e di animali; più rare le figure umane. Alcuni ricami (p. es. in Macedonia) si distinguono per il carattere geometrico dell'ornamento, in cui si perdono i vecchi motivi di piante e animali. Nella regione di Samokov peraltro la stilizzazione è meno rigorosa. La tinta fondamentale è generalmente rossa; in alcuni luoghi diventa marrone scura e perfino nera, tinta variante a imitazione dell'antica porpora bizantina del sec. IX. Fra gli ornamenti del capo primeggiano i fazzoletti riccamente ricamati, adorni di placche e monete. (Isukmani e i vestiti maschili sono adorni di alamari.
Demografia. - Demograficamente, la Bulgaria si rivela un paese sano. Il suo attuale indice di natalità (36,7‰), sebbene leggermente inferiore alle medie del periodo prebellico (42,5 nel quinquennio 1905-9) è superiore a quello di tutte le nazioni europee, eccetto la Russia, e così è anche per la nuzialità (12,8‰). Per l'eccedenza delle nascite (15,9‰) è invece superata anche dalla Polonia, data la media piuttosto alta (20,8‰) della mortalità, che tuttavia segue un lento movimento decrescente (22,7‰ nel periodo 1901-4).
Entro gli attuali confini del regno la popolazione è cresciuta in un cinquantennio (1880-1930) da due milioni all'incirca a 5.900.000. Stando alle cifre dei censimenti, la Bulgaria contava 3.744.283 abitanti nel 1900, 4.337.513 nel 1910, 4.846.971 nel 1920 e 5.478.741 nel 1926. La densità è quindi passata dai 29 abitanti per kmq. del 1880 ai 53 del 1926 (circa 57 nel 1930).
Dal punto di vista della religione, i greco-ortodossi costituiscono l'enorme maggioranza (83,8%), notevole è però anche il nucleo dei musulmani (14,25%), che abbracciano, oltre ai Turchi, gli Zingari e i Tatari. I cattolici formano appena lo o,70% e i protestanti lo 0, 12% della popolazione; gli israeliti lo 0,89%; tutte queste cifre rivelano debolissime variazioni nei diversi censimenti.
Condizioni economiche. - Agricoltura e allevamento. - La Bulgaria è un paese essenzialmente agricolo: il 75,42% della sua popolazione è occupato nell'agricoltura; all'industria appartiene appena il 10%, il 6,35% al commercio, il 6,54% all'amministrazione pubblica, ai professionisti, ai possidenti e alle altre occupazioni.
Caratteristica dell'economia bulgara è il predominio della piccola e media proprietà. Circa la metà del territorio (48,8%) appartiene ai privati, poco più di 1/4 ai comuni (25,09%), intorno a 1/12 allo stato (7,89%): i primi possedendo soprattutto campi e prati, i secondi pascoli e foreste, l'ultimo quasi esclusivamente foreste. La liberazione dal giogo turco inizia il frazionamento della proprietà, acceleratosi nel ventennio 1888-1908. In questo periodo il numero dei proprietarî è aumentato del 50%, mentre la popolazione cresceva solo del 37%.
La superficie coltivata, che ammontava a 3.920.251 ha. nel periodo 1908-12, scende a 3.820.068, in quello 1923-7 (40,69% e 37,04% rispettivamente del territorio nazionale): la diminuzione è una conseguenza del trattato di Neuilly, che, mentre toglieva alla Bulgaria fertili terre in Dobrugia, le lasciava in Tracia e Macedonia zone eminentemente montuose.
Della superficie coltivabile 2.430.096 ha. (70,14%) erano destinati nel 1927 a cereali, proporzione che dalla fine della guerra (1919: 61,82%) in poi ha segnato un ritmo ascendente (periodo 1923-7: media 2.311.023 ha.), nonostante lo sviluppo che in pari tempo s'è accentuato nella coltura delle piante oleifere e industriali (1914: 1,28%, 1927: 3,17%, media 1923-7:96.300 ha., 1927: 109.668), in quella delle patate (11.499 ha. nel 1927 contro 2958 in media dal 1908 al 1912) e in quella degli ortaggi. Tra i cereali il primo posto spetta al frumento; superficie (1.028.691 ha in media nel 1923-7) e rendimento (9-10 q. per ha.) hanno poco variato dal principio del 1900. La quantità del frumento registrata nel 1929 fu di 9 milioni di q., ma la media del periodo 1923-7 è sui 91/2 milioni contro più di 11 in quello 1908-12. Cifre non lontane si hanno per il granturco (9,4 milioni di q. nel 1929; media del periodo 1923-7 poco più di 6 milioni); seguono a distanza l'orzo (2 milioni di q. nel 1929; media 1923-7 q. 21/4), la segale (1,9 milioni di q nel 1929, media 1923-7 q. 11/2) e l'avena (1,4 milioni di q. nel 1929, media 1923-7 q. 1).
La coltura delle piante industriali e soprattutto di quelle oleifere (colza, sesamo, girasole, ecc.) e delle barbabietole da zucchero si è diffusa rapidamente. Dal 1924 in poi l'importazione degli olî vegetali è diminuita della metà. Il cotone, diffuso nei distretti di Filippopoli, Haskovo, Hanmanlii e Petrič, occupava nel 1929 circa 5400 ha. contro 763 nel 1912; la produzione di fibre è salita da 140 a 938 mila kg. nello stesso periodo. Ben più importante è la coltura del tabacco, antichissima (risale almeno al sec. XIII), concentrata soprattutto nei distretti meridionali di Dupnica, Gorna Džumaja, Pazardžik, Filippopoli, Stanimaka, Haskovo, Harmanlii e Kărdžali, ma ancora in periodo di razionale assestamento. Di fronte ai 6 mila ettari seminati e ai 5 milioni di kg. prodotti nel 1913, il 1929 ha segnato 34,4 mila ha. e 25 milioni di kg. (media 1923-7: 38 milioni di kg. contro 6 circa del quinquennio 1908-12). A differenza del cotone, la cui coltura è fatta ancora coi sistemi primitivi e non dà prodotti pregevoli, il tabacco bulgaro gode fama di essere di qualità ottima, e ha conquistato un buon posto sui mercati europei.
Un certo interesse hanno anche la coltura della vite, da cui si ricavano 1-11/2 milioni di ettolitri di vino, e 2-3 milioni di quintali di uva all'anno; quella del riso (lungo la Marizza e lo Struma), e gli alberi da frutta (distretti di Tărnovo, Plevna e Kjustendil) che potrebbero dar vita a un discreto commercio di primizie.
L'allevamento del bestiame viene fatto essenzialmente per le necessità dei lavori agricoli. Sebbene entri fra le voci più importanti dell'esportazione, la qualità non è molto curata; il numero invece è aumentato di 1/3 dal 1890. La Bulgaria conta quasi 2 milioni di bovini, 400 mila bufali, altrettanti cavalli e circa 200 mila tra asini e muli. Il Rodope, la Srednja Gora e la Bulgaria orientale miantengono numerosi ovini (10 milioni di capi nel regno), ma la lana è di qualità scadente. Capre e suini oltrepassano i 2 milioni di capi: grandi progressi sono stati fatti soprattutto nell'allevamento dei suini, il cui totale è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Ancora più importante è l'avicoltura. Si fa larga esportazione così di pollame (872 mila capi nel 1927) come di uova (11 milioni di kg. per un valore di 750 milioni di leva, in media negli ultimi anni). Molto cammino resta ancora da percorrere perché si possa parlare di un allevamento razionale.
La bachicoltura ha vecchie tradizioni ed è in forte aumento anch'essa è però soltanto un'attività ausiliaria dell'agricoltura.
Un posto a sé è da dare alla notissima coltura delle rose, concentrata sul versante meridionale della Srednja Gora, nella famosa "valle delle rose" lungo l'alta Tungia, nei distretti di Kazanlăk e Karlovo. La superficie coltivata è scesa dai 7629 kmq. in media del periodo 1908-12 a 4940 nel 1923-7; la produzione da 11 a 6,2 milioni di kg. (4,8 nel 1928), il valore da 4,5 a 3,1 milioni di leva Si estraggono in media 3-4 mila kg. di essenza all'anno, la quale dà vita ad una quarantina di fabbriche.
Il diboscamento è stato intenso anche in Bulgaria, sebbene non se ne abbiano dati statistici attendibili. Le riserve forestali coprono una superficie probabilmente inferiore al 30% (25% secondo altri dati) della totale, e son ridotte alle parti più impervie del Rila, del Rodope, dei Balcani e alla zona fra il Sakar e il Mar Nero. Si calcola che 2/5 di quelle riserve siano costituiti da conifere, ma poco o nulla si è fatto per il loro sfruttamento razionale, e il paese è oggi costretto a importar legname dalla Romania.
Nonostante le difficoltà finanziarie in cui per lungo tempo si è trovato dopo le guerre balcaniche, il governo bulgaro ha consacrato cure intense ad ogni ramo dell'agricoltura nazionale. Tra i lavori previsti o in corso di esecuzione meritano un cenno quelli idraulici e idroelettrici, per i quali si calcola di poter contare sopra oltre 1 milione di HP. Una trentina di centrali idroelettriche sono già in funzione; con le termiche il numero sale a 139 (1927).
Ricchezze minerarie. Quantunque si abbia ragione di credere che alla Bulgaria non difettino risorse minerarie, il loro sfruttamento è scarsissimo, e si riduce in sostanza a piccole quantità di carbon fossile, di piombo, di zinco, di ferro e di rame. È stata segnalata (nei distretti di Kazanlăk e di Varna) la presenza del petrolio, e così pure di molti altri minerali (oro, argento, grafite, asfalto, antimonio, manganese, uranio, asbesto, allume ecc.), ma poco o nulla è stato fatto per accertare l'effettiva consistenza dei depositi e il loro probabile rendimento.
La produzione del carbon fossile, salita da 33 mila a circa 1/2 milione di tonnellate annue dal 1892 al 1928 e dovuta per il 90% alla miniera statale di Pernik (a SO. di Sofia), copre il fabbisogno nazionale (oltre 2/5 alle ferrovie, 1/4 a Sofia) con una insignificante eccedenza esportata (meno di 10 mila tonn. nel periodo 1925-9). Si tratta di ligniti assai scadenti, con alta proporzione di materie incombustibili, capaci di 4500-5200 calorie al massimo, sì che è stato proposto di convertirle in energia elettrica sul luogo. Altre miniere sono nella Bulgaria occidentale (Struma, Osogov) e meridionale (Rakovski); la loro potenzialità è per ora trascurabile.
Il rame è dato quasi tutto dalla miniera di Plakalnica (sul medio Iskǎr). La produzione ha oscillato fortemente negli ultimi anni: da 35 (1926) a 10 (1928) mila tonn. (press'a poco il quantitativo d'anteguerra), fuse sul posto (Jelisena) ed esportate quasi tutte negli Stati Uniti. Il piombo, che aveva segnato 11 mila tonn. nel '26, è sceso a poco più di 1000 nel '27 e nel '28. Insignificante è la produzione dello zinco.
L'estrazione del ferro è fatta da epoca antichissima, ma in modo ancora primordiale, nel distretto di Samokov. Molto si potrebbe trarre dalle acque minerali (anche termali), numerose e varie, ma anche qui si è poco più che agli inizî.
Industria. - Sebbene non le manchino condizioni favorevoli per un discreto sviluppo, l'industria ha ancora proporzioni modeste, almeno in quanto non mantiene forma di piccola industria o addirittura di industria domestica.
Le industrie maggiori (secondo la legge bulgara del 1909 è tale ogni impresa con 10 HP. di forza motrice, 10 operai per 6 mesi, ed un'installazione meccanica di 20 mila leva come minimo) risultano (inchiesta del 1921) come nella tabella a pie' di pagina.
Dal 1909 al 1921 il capitale investito nelle industrie è aumentato del 180% circa, il numero degli operai occupati del 70%, la produzione del 31% circa. È da osservare però che il 1921 non può considerarsi anno di condizioni industriali normali, onde i dati riportati servono più che altro a delineare le caratteristiche di sviluppo dell'industria bulgara. Tra il '21 e il '28 i progressi, non meno notevoli, son stati possibili grazie ad un largo impiego (27% del totale) di capitali stranieri, fra i quali è rappresentato anche il capitale italiano (tabacchi e molini).
Data l'economia prevalente nel paese, le industrie connesse con l'agricoltura e l'allevamento (molitura, pilatura, zuccherificio, lavorazione delle pelli, essenze) son quelle che hanno la prevalenza numerica; ma grandi passi sono stati compiuti anche nelle industrie tessili, e soprattutto in quella della lana (39,4% delle tessili, mentre il cotone ne rappresenta il 24%, il 16% le passamanerie, l'8, 1% le sete, il 6,5% i tappeti, il 5% il lino), concentrate a Gabrovo (15.000 fusi) Slivno (10.000 fusi), Varna, Sofia, Filippopoli con una settantina di stabilimenti, oltre 40.000 fusi ed un capitale che ammonta a circa 700 milioni di leva.
Le industrie tessili dànno lavoro a 7747 operai (di cui 5740 donne), con una produzione che nel 1926 toccava 961 milioni di leva, di cui 447 alle lane, 350 ai cotoni. Gli altri rami (anche la seta) hanno assai minore importanza, e lo stesso si dica delle industrie minori, come le chimiche, le metallurgiche, quella del legno, della carta e le elettriche, tutte ancora nello stato d'infanzia.
Commercio. - Come in tutti i paesi essenzialmente agricoli, l'andamento del commercio estero dipende soprattutto dal raccolto. A prescindere dalle inevitabili oscillazioni, i dati statistici permettono di constatare un aumento progressivo e continuo nelle cifre che ne esprimono il valore (da 115 a 384 milioni di leva dal 1886 al 1911), aumento che dopo il 1920 (2 miliardi di leva, 4 nel 1922, 7 nel 1925) mostra una confortante ripresa nell'economia della nazione. La bilancia commerciale, che appare attiva solo durante periodi brevi e discontinui, accentua tuttavia negli ultimi anni il suo deficit; esso è salito a quasi un miliardo di leva nel 1929, nonostante che il governo abbia tentato con varî provvedimenti di diminuire il valore delle importazioni e di aumentare in pari tempo quello delle esportazioni.
Queste consistono soprattutto di prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento; in ordine d'importanza (quinquennio 1924-8): cereali, tabacco, prodotti alimentari (uova), animali (pollame e ovini), pelli, frutta e bozzoli. Per contro la Bulgaria importa largamente prodotti tessili, metalli, macchine, strumenti e manufatti. In confronto con l'anteguerra, l'importanza dell'esportazione dei cereali è diminuita (era di gran lunga preponderante nel periodo 1906-11), mentre è aumentata quella del tabacco, e son cambiati così i mercati di sbocco (prima soprattutto Belgio, Turchia, Inghilterra, oggi Germania, Austria, Grecia e Italia), come quelli di origine per le importazioni (oggi Germania, Italia, Inghilterra e Cecoslovacchia), il cui quantitativo tende a diminuire, in proporzione, pur rimanendo immutata la qualità delle merci.
Il tabacco rappresenta oltre il 30% delle esportazioni, mentre ne rappresentava appena l'1,6% nel 1910. I principali acquirenti, oltre alla Germania che ne importa da sola il 30%, sono la Cecoslovacchia, l'Austria, l'Inghilterra, la Polonia e l'Italia (6 milioni di kg. nel 1925, 2 nel 1928). Il prodotto è ricercato per la sua qualità anche dagli altri paesi produttori.
Fra i cereali il primo posto spetta al granturco, il secondo al frumento e il terzo all'orzo. Segale e miglio entrano con quantitativi assai minori. Il granturco è diretto per la più parte all'Europa occidentale (anche in Italia), il frumento in Grecia e in Turchia, l'orzo nel Belgio. Il valore dei cereali esportati ascese nel 1928 a 3 miliardi di leva.
Le uova e il pollame hanno costituito finora una notevole risorsa, e così pure le pelli, dirette quasi tutte in Germania, in Italia e in Francia, e il bestiame ovino e bovino, i cui mercati di sbocco sono in Grecia e in Turchia. L'essenza di rose (3oo kg. nel '28) è assorbita dalla Francia, i bozzoli per la quasi totalità (99%) dall'Italia (836 mila kg. nel 1928).
Quanto alle importazioni, i prodotti dell'industria tessile (2,6 miliardi di leva nel 1928) som forniti per la più parte da Francia, Germania, Inghilterra, e Belgio per ciò che riguarda le lanerie. Per il cotone, la canapa e il lino, l'Italia, che occupa il primo posto, ha sempre meglio consolidato la sua posizione (99% del cotone grezzo, 64% dei filati nel 1927), mentre è scarsamente rappresentata nelle altre voci. Macchine e strumenti, metalli e prodotti metallici provengono dalla Germania, dalla Cecoslovacchia, dal Belgio e dall'Inghilterra.
Delle importazioni, il 50% ha luogo per la via del Danubio, il 14% attraverso il M. Nero; nelle esportazioni le cifre s'invertono (29% e 65% rispettivamente). Insignificante è la partecipazione delle ferrovie (16% e 6%).
Comunicazioni. - Per quanto paese montuoso, la Bulgaria non presenta all'interno difficoltà naturali alle vie di comunicazione. I Balcani e la Srednja Gora, transitabili in più punti, furono ab antiquo valicati da strade, con le quali i Romani lasciarono anche qui ricordo della loro grandezza. Ma all'epoca della liberazione la viabilità, a parte la poca sicurezza, era, per la cattiva manutenzione turca, in uno stato deplorevole: molte strade non erano neppure carrozzabili, e, poiché i ponti mancavano quasi completamente, i fiumi dovevano esser passati di regola a guado. Alla fine del 1928 si contavano in Bulgaria 14.752 km. di strade nazionali mentre nel 1911 ce n'erano 8944 (altri 6304 km. sono in costruzione e 1773 in progetto), ciò che dà in media 26,92 km. per ogni 10.000 abitanti e 14,31 km. per ogni 100 kmq. di superficie.
Alla grande via Belgrado-Costantinopoli, che passa per Sofia e Filippopoli si collegano quelle che da Sofia menano in Macedonia (Kjustendil e Petrič), a Plevna, Tărnovo, Rustciuck e Varna attraverso la gola dell'Iskăr, a Pidrop, Karlovo, Kazanlăk, Slivno e Burgaz, e da Filippopoli a Stara Zagora, Jambol e Karnobat; dalle quali si staccano tronchi in più direzioni. Tuttavia queste strade non sono ancora né così numerose come sarebbe desiderabile, né ben mantenute, e varî distretti montuosi del S. rimangono isolati dal resto del paese e dalle regioni contermini.
Cinquant'anni fa sul territorio bulgaro c'erano poco più di 400 chilometri di ferrovie. La più antica, da Rustciuk a Varna, fu aperta all'esercizio nel 1866. Nel 1888, la Bulgaria veniva a collegarsi con l'Europa occidentale e due anni dopo la ferrovia si spingeva fino a Burgaz. Nel 1908, anno dell'indipendenza nazionale, lo stato avocava a sé l'esercizio di tutta la rete, che misurava allora 1589 km. Nell'anteguerra (1914) questa era salita a 2108 km., alla fine del 1928 a 2417, più 477 km. a scartamento ridotto. Mentre la linea internazionale Dragoman-Sofia-Svilengrad, percorsa dall'Orient Express (353 km.), lega la capitale alle provincie del S., anche mediante il tronco che da Filippopoli va a Burgaz (259 km.), un'altra linea, traversando i Balcani lungo il solco dell'Iskăr, mena per Plevna e Sciumla (km. 541) a Varna. Su questa s'innestano poi varie diramazioni (Vidin, Lom, Orehovo, Somovit, Svištov, Berkovica, Loveč). I Balcani sono attraversati dalla linea Tărnovo-Stara Zagora (con diramazione su Gabrovo e Kazanlǎk), e presto saranno attraversati anche fra Sciumla e Karnobat. La valle dello Struma è seguita da una linea che porta sino a Petrič (a scartamento ridotto dopo Radomir); la frontiera macedone è raggiunta a Giueševo attraverso Kjustendil.
La rete è però ancora inegualmente densa a S. e a N. dei Balcani; le linee hanno pendenze troppo forti (circa il 30% superiore al 10‰), la manutenzione lascia a desiderare, e insufficiente ai bisogni risulta in genere la capacità del traffico. Tuttavia questo è in sensibile aumento. I viaggiatori sono cresciuti da 3,5 milioni nel 1911 a oltre 9 nell'esercizio 1922-3 (8 in quello 1927-8); le merci da 2,3 milioni di tonn. del 1911 a 4 nel 1927-8. Un gran numero di linee è in costruzione o in progetto (1044 km.); con esse sarà dato ascolto ai desiderî di molte zone che non possono più oltre rimanere escluse dai benefizî del traffico ferroviario (tutta la valle prebalcanica è in queste condizioni). È degno di nota che la Bulgaria è restata e resta in una specie d'isolamento da alcuni degli stati finitimi, mancando comunicazioni dirette con la Romania e la Macedonia.
Nel 1927 futono inaugurate le aviolinee Sofia-Varna (bisettimanale), che è esercita da una società bulgara Bounavad, e Dragoman Sofia-Svilengrad, quest'ultima come tronco della grande arteria internazionale Belgrado-Costantinopoli; e sono già organizzate quelle che congiungeranno Sofia con Burgaz, Sofia con Lom e Vidin con Rustciuk.
L'importanza del Danubio nel commercio bulgaro è cresciuta dopo la guerra. Sebbene la metà delle esportazioni muovano dal M. Nero, le importazioni hanno luogo soprattutto per via fluviale, nei porti danubiani, Rustciuk tiene il primo posto (21% del traffico, i milione di tonnellate nel periodo 1924-7, press'a poco come nel 1911), seguito dai porti di Lom (17%), Somovit (13%), Svištov, Orehovo e Vidin. Debole è la partecipazione del naviglio bulgaro a questo traffico, che è esercitato soprattutto sotto bandiera austriaca, ungherese e romena.
Dei porti del M. Nero, Burgaz e Varna assorbono oltre il 92% del traffico marittimo bulgaro, che non ha ancora raggiunto le cifre dell'anteguerra. Con un tonnellaggio annuo di 1,6 milioni (1925-6, ugualmente distribuito fra arrivi e partenze), Burgaz ha superato Varna (1,3 mil.): ambedue i porti servono soprattutto all'esportazione, ma nessuno dei due è attrezzato con sistemi moderni. Nello stesso periodo l'Italia ha tenuto il primo posto in questo traffico, giacché il tonnellaggio italiano rappresenta il 24% del tonnellaggio totale. Insignificanti sono le cifre degli altri porti: Bela, Mesemvrija, Anhiolo, Sozopol, Vasiliko e Anthopol.
Densità della popolazione, centri abitati. - L'insediamento umano si presenta piuttosto vario da regione a regione, a prescindere dall'influenza che sulla distribuzione degli abitati esercita l'altezza. Mentre nella zona fra 500 e 900 m. d'altezza (l'altezza media della Bulgaria è di 425 m.) si ha una densità superiore a quella della zona fra 200 e 500 m., il maggior numero dei centri abitati più importanti è al disotto dei 500 m. d'altezza, eccetto Sofia (550 m.), che deve il suo sviluppo a cause in gran parte artificiali. Le cifre più basse della densità si hanno in alcuni dei distretti montuosi del Rodope (Diovlen: 11,6 per kmq.) e dello Strandža (Vasiliko: 11,1, Malko-Tărnovo: 11,4), le più alte da un lato nelle regioni occidentali prossime al Danubio (Vidin: 91,2), e in quelle della Bulgaria nord-orientale fra Rustciuk e Sciumla, dall'altro nella zona industriale della Bulgaria centrale (Gabrovo: 82,3) e lungo la Marizza. Ben popolati sono però anche gli alti bacini montani della media Bulgaria sudoccidentale: in questa regione non si scende mai al disotto della media del regno.
Stando ai censimenti, la percentuale della popolazione urbana è cresciuta dal 19,8% al 20,6% dal 1900 ad oggi, ma va tenuto presente che la qualifica di città si applica in Bulgaria a 93 centri riconosciuti tali per ragioni storiche o amministrative o per deliberazione del parlamento, indipendentemente dal loro carattere e dall'entità numerica della loro popolazione. Ve ne sono che non toccano i 1000 abitanti (Ahtopol, Melnik, Košu-Kavak), mentre non vengono considerati città centri che hanno anche più di 10.000 ab. (Pernik, Kneža). Nel 1926 oltrepassavano i 10.000 ab. 29 città, delle quali solo due (Filippopoli e Varna) con più di 50.000 (a prescindere dalla capitale che ne conta 213.002).
Alcune delle città bulgare ricordano per la loro struttura e i loro caratteri il tipo che si potrebbe chiamare sud-europeo: si hanno case aggruppate ad anfiteatro sopra pendii più o meno acclivi, con vie strette e tortuose e case alte (Tărnovo, Filippopoli, Svištov); altre sono vere città di pianura (turche), con edifizî bassi, circondati da giardini, con due o tre arterie principali e tutte le altre vie strette e curve (Kazanlǎk, Kjustendil, Rustciuk); altre ancora, le più importanti, mostrano l'influsso dell'attività moderna, che tende a svilupparle secondo un piano geometrico preordinato (Sofia, Varna, Burgaz); non poche rappresentano piuttosto dei grossi centri agricoli che delle vere e proprie città. Accanto ad agglomerati urbani che segnano una diminuzione di popolazione per il periodo 1887-1928 (Koprivčica, Kotel, Sopot, Drenovo, Karlovo), non molti registrano un accrescimento superiore alla media del periodo; fra questi Sofia (oltre il 400%), Burgaz (300%), Popovo, Ferdinand e Bela-Slatina. Lungo il Danubio sono Vidin (l'antica Bononia, 18.611 abitanti), Lom (Alma, 14.471), Svištov (12.066) e Rustciuk (45 .672): quest'ultimo è il maggior porto fluviale della Bulgaria, ed è anche città industriale. Nella Bulgaria settentrionale numerosi sono i centri con più di 10.000 abitanti: Tărnovo (12.780) sullo Jantra, antica capitale (1186-1393), Sciumla (25.314), Plevna (29.058), centro di commercio agricolo, Gabrovo (10.536), la più importante città bulgara per le industrie tessili, ecc. Oltre i Balcani: Slivno (29.280), nota per le fabbriche di tessuti di lana, Kazanlăk (11.785), Stara Zagora (29.015); nella Bulgaria occidentale: Kjustendil, che è l'antica Ulpia Pantalia (15 .875), Dupnica (15.070) e Samokov (10.326), tutti centri agricoli e commerciali. Pochi centri notevoli ha la regione del Rodope: fra questi Stanimaka (16.336) e Haskovo (26.316). (V. tavv. XXIII-XXX).
Bibl.: Manca una buona bibliografia di carattere geografico. Non si riferiscono se non per eccezione opere che, trattando in genere della penisola balcanica, riguardano naturalmente anche la Bulgaria, e nemmeno opere in bulgaro, che si trovano tuttavia ricordate in alcune delle più recenti pubblicazioni qui elencate: A. Boué, La Turquie d'Europe, Parigi 1840, volumi 4; A. Griesebach, Reise durch Rumelien und nach Brussa im Jahre 1839, Gottinga 1841, volumi 2; M. Blanqui, Voyage en Bulgarie pendant l'année 1841, Parigi 1843; A. Boué, Recueil d'itinéraires dans la Turquie d'Europe, Vienna 1854, voll. 2; A. Papadopoulos-Vretos, La Bulgarie ancienne et moderne ecc., Pietroburgo-Lipsia 1856; F. Kanitz, Donau "Bulgarien und der Balkan ecc., Lipsia 1875-79, volumi 3; J. G. von Hahn, Der Kampf der Bulgaren und ihre Nationaleinheit, Lipsia 1886; A. Tuma, Die östiche Balkanhalbinsel, Vienna 1886; J. Samuelson, Bulgaria past and present, Londra 1888; F. Toula, Reisen und geologische Untersuchungen in Bulgarien, Vienna 1890; C. J. Jireček, Das Fürstentum Bulgarien, Praga 1891; S. Lamouche, La Bulgarie dans le présent, Parigi 1892; A. De Gubernatis, La Bulgarie et les Bulgares, Firenze 1899; Ministère du commerce bulgare, La Bulgarie contemporaine, Bruxelles 1906; V. Mantegazza, La grande Bulgaria, Roma 1912; C. Abagieff, Die Handelspolitik Bulgariens, Lipsia 1912; A. Iširkov, Oro- und Hydrographie von Bulgarien, Sarajevo 1913; M. J. Newbigin, Geographical aspects of Balkan problems in their relation to the Great European War, Londra 1915; K. Kassner, Bulgarien. Land und Leute, Lipsia 1916; A. Isirkov, Bulgarien. Land und Leute, Lipsia 1916-17, voll. 2; G. Buschan, Die Bulgaren, Stoccarda 1917; W. K. Weiss-Bartenstein, Bulgariens Volkswirtschaft, Berlino 1918; J.Cvijič, La péninsule Balcanique, Parigi 1918; A. Iširkov, La Bulgarie et la Dobrudja, Berna 1918; O. Kunzer, Bulgarien, Gotha 1919; A. Jaranoff, La Bulgaria economica, Roma 1919; K. G. Popoff, La Bulgarie économique 1879-1911, Sofia 1920; A. Iširkov, La Bulgarie: aperçu géographique, Sofia 1924; K. Oestreich, Reise in Bulgarien 1917: eine Übersicht der grossen Formen bulgarischer Landschaft, Utrecht 1927; M. N. Scipcovensky, Bulgaria, Milano 1927; J. Parlapanoff, Jubileums-Almanach des Königreichs Bulgarien, Lipsia 1928; Banque Franco-Belge et Balkanique, Situation économique et financière de la Bulgarie 1927, Sofia [1929]; I. Sakasoff, Bulgarische Wirtschaftsgeschichte, Lipsia 1929; A. Focarile, Bulgaria d'oggi, Milano 1930; K. D. Spissarewski, La Bulgarie au travail, Marsiglia 1930.
Per l'etnografia e il folklore, oltre alle opere già citate, di Jireček, Iširkov, Buschan e Cvijič, si possono utilmente consultare: S. Wateff [Vatev], Contribution à l'étude anthropologique des Bulgares, in Bull. de la soc. d'Anthropologie, Parigi 1904; K. Drontschilow [Drončilov], Beiträge zur Anthropologie der Bulgaren, in Archiv. für Anthrop., XIV, Brunswick 1915; F. Nopcsa, Albanien, Berlino 1925 (molti dati sull'etnografia bulgara, introdotti per scopi comparativi); Sbornik za narodni umotvorenija i narodopis (Miscellanea etnografica), voll. 31, Sofia 1889-1915; M. Arnaudov, Bǎlgarskitě praznični običai (Usi festivi bulgari), Sofia 1918; M. Arnaudov, Studii vǎrhu bǎlgarski obredi i legendi (Studî su riti e leggende bulgare), Sofia; Izvestija na Narodnija Etnografičeski Muzej (Notizie del Museo etnografico), Sofia.
Ordinamento dello stato.
Costituzione e amministrazione. - Il regno bulgaro è una monarchia costituzionale ereditaria (discendenti maschi in linea diretta). La costituzione, stabilita sulla base della divisione dei poteri, modellata su quella delle altre nazioni balcaniche, fu promulgata a Tărnovo il I6 aprile 1879, e subì poi varie modificazioni. La rappresentanza nazionale (Sobranje) è formata di 274 membri, eletti per suffragio universale diretto maschile (dal 1919) e per 4 anni. Nelle questioni più gravi (integrità del paese, organizzazione politica) è competente la Grande assemblea nazionale, convocata per decreto reale con numero doppio di eletti. La divisione amministrativa della Bulgaria risulta dalla tabella
Cultura. - La Bulgaria è, a ragione, fiera dei progressi compiuti nel campo dell'istruzione. Quando i Turchi abbandonarono il paese (1878-85) tutto era da rifare e gravissime apparivano le difficoltà a questo proposito. Nel 1887 la proporzione degli analfabeti ascendeva ancora all'88,5% (96,2 per le donne), ma già nel 1886 lo stato contava 4823 scuole, 9978 addetti all'insegnamento e 389.404 scolari. Nel 1914 le scuole erano 5177, e nel 1926 7566 con 26.020 addetti e 723.042 allievi. Oltre alle scuole inferiori, alle medie e a un certo numero d'istituti specializzati (una scuola superiore di commercio è a Varna, una di agricoltura a Plevna), lo stato mantiene a Sofia un'università (fondata nel 1889), che conta 285 insegnanti e 3065 iscritti (1925-6). Proporzione degli analfabeti nel cens. del 1920: 55,54% per il totale del regno (49,1% per i Bulgari; 96,29% per i Pomaki, 91,31% per i Turchi; 41,02% per gli Israeliti): i maschi figurano con 44,24%, le femmine con 66,82%.
Forze armate. - Esercito. - L'ordinamento dell'esercito bulgaro deriva dall'applicazione delle clausole militari del trattato di pace di Neuilly, che obbliga la Bulgaria a tenere un esercito volontario di non più di 33.000 uomini (ivi compresi 10.000 gendarmi e 3000 guardiafrontiere) e non consente la costituzione di unità superiori alla divisione. La Bulgaria, però, ha rinunciato ufficialmente a costituire anche le divisioni e quindi il suo esercito non comprende che reggimenti e battaglioni o gruppi autonomi.
L'ordinamento di pace delle forze armate bulgare è il seguente: a) fanteria: 8 reggimenti di linea su 3 battaglioni di 3 compagnie di armi leggiere ed una di armi pesanti: ogni compagnia è su 3 plotoni di 2 mitragliatrici (leggiere o pesanti); 16 battaglioni di gendarmeria a piedi; 1 battaglione di gendarmeria costiera; 1 battaglione scuola su 4 compagnie di 3 plotoni (hanno formazione analoga a quella dei battaglioni di linea); 8 settori di guardiafrontiere, veri e proprî battaglioni di fanteria. Ogni settore comprende tre sottosettori (compagnie armi leggiere) ed un reparto mitragliatrici (compagnia mitragliatrici pesanti). Ogni sottosettore si suddivide a sua volta in sezioni (plotoni). b) cavalleria: 3 reggimenti di cavalleria su 4 squadroni ed 1 reparto mitragliatrici di 4 armi; 8 gruppi di gendarmeria a cavallo che hanno formazione analoga a quella dei reggimenti di cavalleria. c) artiglieria: 8 gruppi di artiglieria leggiera (da campagna e da montagna); ogni gruppo è su 3 batterie (i da 75 da campagna, 1 da 75 da montagna, 1 di obici da 105); 3 gruppi di artiglieria pesante, ogni gruppo su 3 batterie di vario calibro (105, 120, 150 ecc.); 3 gruppi di artiglieria da costa con formazione varia e materiale di calibri diversi (105, 120, 150, 210, 240 ecc.). d) genio: 3 battaglioni pontieri; 3 battaglioni ciclisti; ogni battaglione pontieri comprende 2 compagnie zappatori-minatori, 1 compagnia mista (i sezione pontieri, 1 sezione fotoelettrica, 1 sezione radiotelegrafica; 1 parco genio). e) automobilisti: 8 drappelli reggimentali (ciascuno di 40 uomini e 15 autoveicoli). f) servizî e stabilimenti: l'arsenale militare di Sofia è l'unica fabbrica consentita dal trattato di Neuilly. Esistono anche parecchi depositi di munizioni ed un Istituto geografico militare. g) scuole militari: ne esiste una sola, a Sofia. h) aeronautica: il trattato di Neuilly vieta alla Bulgaria di tenere un'aviazione militare (per quella civile v. sotto).
Il reclutamento è con ferma di 12 anni, ridotta alla metà per la gendarmeria. I militari congedati rimangono, però, iscritti fino all'età di 40 anni nella riserva, passano poi alla milizia di 1° bando (fino al 44° di età) e successivamente a quella di 2° bando (fino al 46° di età). In caso di guerra possono essere chiamati anche i giovani dai 18 ai 20 anni.
L'organizzazione militare bulgara è completata dall'istituzione del lavoro obbligatorio, col quale si dà una certa istruzione premilitare ai contingenti annuali di leva.
Secondo la legge che regola tale istituzione tutti i cittadini bulgari, d'ambo i sessi, sono soggetti al lavoro sociale obbligatorio per la durata di 16 mesi per gli uomini e di 8 per le donne; sono esentati solo gl'invalidi, i militari e le donne maritate.
Gli iscritti al lavoro obbligatorio sono inquadrati con ufficiali e sottufficiali peemanenti e di riserva.
Il bilancio della guerra, nel 1926-27, è stato di 1235 milioni di leva, cifra che, però, sale a circa 1700 milioni di leva quando vi si aggiungano le spese per il lavoro obbligatorio e per le forze di polizia, pari a circa 70 milioni di lire oro.
Esso rappresenta quasi un quarto del bilancio complessivo dello stato (7 miliardi di leva), percentuale molto forte, dovuta, in parte, all'elevato costo del personale reclutato col sistema volontario, imposto dal trattato di pace.
Marina militare. - In base al trattato di Neuilly la Bulgaria ha diritto di tenere 4 torpediniere e 6 motoscafi per i soli servizî di polizia marittima e fluviale. Tali unità sono alle dipendenze del Ministero delle ferrovie, poste e telegrafi, e della Direzione generale dei porti. Effettivi autorizzati: 15 funzionarî con rango di ufficiali e 15 con rango di sottufficiali; 300 marinai. Basi: Burgas e Varna. Bilancio: circa 33 milioni di leva annui (quasi 4.500.000 lire italiane).
Aviazione. - La Bulgaria, come sì è detlo, è per il trattato di Neully priva di aviazione militare. L'aviazione civile cominciò ad esistere in seguito alla legge del 23 luglio 1925 a favore dell'aeronautica statale. Con questa legge, il governo bulgaro non ha voluto ostacolare l'iniziativa privata, ma si è riservato il diritto di esercitarvi un controllo. Esso ha perciò stretto accordi anche con società straniere, regolando il traffico aereo nazionale ed il collegamento di questo col traffico internazionale.
Società di aeronavigazione. - Sono: la Compagnie internationale de navigation aérienne (C.I.D.N.A.) e la compagnia bulgara Bounavad, fondata in seguito ad accordi del governo bulgaro con la compagnia tedesca Junkers.
Linee aeree. - La C.I.D.N.A. gestisce la Belgrado-Sofia-Costantinopoli, continuazione della Parigi-Belgrado, trisettimanale; la Bounavad le linee Vidin-Rustciuk-Varna e Sofia-Rustciuk-Varna.
Forza. - La forza bilanciata è di 340 persone; di queste 63 costituiscono il personale navigante. La forza in velivoli è di 50, dei quali 20 adibiti a scuola, 25 da traffico, 5 idrovolanti. Gli apparecchi sono dei tipi Potez, Bristol, Albatros, Macchi e Dar.
Scuola. - L'unica scuola di pilotaggio si trova sul campo di Kazanlăk, dove si brevettano piloti e motoristi.
Basi aeree. - Le principali basi aeree della Bulgaria sono le seguenti: Borurište-Sofia, aeroporto doganale e centro di allenamento, a 16 km. NO. dalla città; misura m. 800 per 700; ha 4 hangar, direzione, uffici, officina e alloggi. Gorna-Orehovica, aeroporto civile, a 3 km. N. dalla città; misura m. 600 per 100; ha un hangar, un'officina, una stazione ricevente radiotelegrafica. Jamboli, aeroporto civile, a 4 km. O. dalla città; misura m. 500 per 500; ha un hangar per dirigibili, dì m. 50 per 200. Kazanlăh aeroporto civile, a 2 km. S. dalla città; misura m. 1000 per 1000; ha 2 hangar, un'offícina e una stazione meteorologica. Peinergik, idroscalo, a 7 km. O. dalla città; il bacino d'ammaraggio misura km. 20 per 2; ha un'officina riparazioni e una stazione meteorologica; Varna, aeroporto, a 7 km. O. dalla città; misura m. 6000 per 400; ha 3 hangar, un'officina e una stazione radiotelegrafica. Esistono inoltre numerosi campi di fortuna.
Finanze. - Già negli anni precedenti alla guerra, la Bulgaria, paese povero e di recente formazione, aveva dovuto largamente ricorrere ai prestiti (interni e soprattutto esteri), non solo per sopperire a spese straordinarie, come costruzioni di strade, ferrovie, porti ecc., ma altresì per saldare l'eccesso delle spese ordinarie sulle entrate ordinarie, nonostante che anche queste ultime (specie le imposte indirette) mostrassero un rapido incremento in armonia con lo sviluppo economico del paese. Le guerre balcaniche prima e la conflagrazione mondiale poi aggravarono di molto la situazione, e alla chiusura del conflitto la Bulgaria, ridotta nel suo territorio, si trovava in condizioni assai sfavorevoli per affrontare la crisi economica e finanziaria manifestatasi in tutti gli stati. Il suo debito pubblico da 683 milioni di leva nel 1912 era salito a 3900 milioni nel 1919, e a questo si aggiungeva il peso delle riparazioni, 2250 milioni di franchi oro. Il bilancio era permanentemente e fortemente in deficit, il valore del leva in franchi svizzeri era nel 1919 sceso a 1/15 del suo valore del 1911, e i prezzi interni ondeggiavano intorno a un livello fra le 20 e le 30 volte superiore (negli anni immediatamente seguenti, la svalutazione del potere di acquisto del leva all'estero superò poi quella sul mercato interno).
Per migliorare le finanze pubbliche il governo bulgaro ricorse a un forte aumento delle imposte esistenti e alla creazione di nuovi tributi fino al limite massimo consentito dalla capacità del contribuente nazionale, già sensibilmente diminuita dalla generale disorganizzazione, dai torbidi sociali e dalla svalutazione della moneta. Con tutto ciò si era ancora ben lontani dal raggiungere l'equilibrio del bilancio, e l'eccesso delle spese straordinarie, sia imposte dalle convenzioni di armistizio e dal trattato di Neuilly, sia da bisogni urgenti dello stato, sia da nuovi obblighi interni (per pensioni a vedove, orfani, invalidi), costringeva ad aumentare di giorno in giorno le cifre del debito pubblico fluttuante e della circolazione dei biglietti di banca. E inoltre l'articolo 132 del trattato di Neuilly, stabilendo un privilegio di primo grado su tutti i beni e le risorse della Bulgaria a garanzia delle riparazioni, precludeva a questo paese la possibilità di contrarre prestiti all'estero.
Nonostante la sua critica situazione, la Bulgaria cominciò subito dopo l'armistizio a soddisfare parte dei suoi obblighi (dall'armistizio al 31 gennaio 1922 un miliardo circa di leva) e chiese nello stesso tempo alla Commissione interalleata una moratoria di 3 anni per il pagamento delle riparazioni. La commissione accondiscese ad accordarla, senza però alcuno sgravio degl'interessi, a patto che il governo bulgaro s'impegnasse a prendere determinati provvedimenti atti a garantire il riassetto del bilancio e il pagamento delle riparazioni: tra questi importantissima la legge sulla circolazione (votata il 30 giugno 1912) che ebbe un effetto salutare sulle finanze dello stato, fissando il limite massimo delle anticipazioni della banca allo stato e della circolazione per conto del commercio. Sugli altri punti l'accordo non fu raggiunto; le trattative, interrotte per allora, furono riprese dopo sei mesi e portarono al definitivo regolamento delle riparazioni solo nel marzo del 1923. In questo nuovo accordo si tenne conto dell'ammontare dei crediti della Bulgaria sulla Germania, sull'Austria-Ungheria e sulla Turchia, e in seguito a ciò il debito delle riparazioni si divise in due parti: 1) 550 milioni di franchi oro al 5%, pagabili in 60 annualità a decorrere dal 1923; 2) 1700 milioni il cui pagamento viene protratto senza interesse al 1953, epoca in cui la Bulgaria si ritiene, avrà potuto ricuperare i suoi crediti.
Così gli obblighi immediati della Bulgaria vennero ridotti in proporzione della sua effettiva capacità di pagamento, e a quella data rimonta il miglioramento finanziario, per cui nell'esercizio 1926-27 fu raggiunto l'equilibrio del bilancio (in milioni di leva).
Ecco l'analisi delle entrate e delle spese nella previsione per l'ultimo esercizio (i aprile 1929-31 marzo 1930):
Il debito pubblico della Bulgaria al 31 ottobre 1928 era composto di 5354 milioni di leva di debito interno (754 di debito consolidato e 4600 fluttuante) e di 1169,7 milioni di franchi oro di debito estero (consolidato 479,3; fluttuante 11,8; debito per le riparazioni 66″4; in seguito all'occupazione 14,2).
L'ammontare della circolazione alla fine del 1927 era di 3327 milioni di leva e l'ammontare della riserva di 48 milioni di leva oro, più divise estere per 320 milioni di leva carta.
Bibl.: A. Jaranoff, La Bulgaria economica, Roma 1919; Vlakhoff, La situation économique et financière de la Bulgarie, Sofia 1920; Commissariato bulgaro delle riparazioni, La situation financière de la Bulgarie et la dette bulgare des réparations, Sofia 1923; H. Prost, La liquidation financière de la guerre en Bulgarie, Parigi 1925; Annuaires statistiques du Royaume de Bulgarie; Società delle Nazioni, Annuaire Statistique International 1927, Ginevra 1928; The Statesman's Year Book 1930, Londra 1930.
Chiesa.
Quando l'Impero romano fu diviso da Diocleziano in quattro grandi prefetture, quella dell'Illirico orientale fece parte dell'Impero d'Occidente fino al 389, nel quale anno fu ceduta all'Impero d'Oriente. Ecclesiasticamente dipendeva da Roma, non da Bisanzio, e a salvaguardia dei diritti di Roma il papa S. Damaso, o forse S. Siricio, istituì tra gli anni 380 e 385 il vicariato apostolico dell'Illirico con centro Tessalonica. Nel 535 Giustiniano I, d'intesa col papa Agapito e col suo successore Vigilio, formò con una parte di detto vicariato la metropoli di Giustiniana Prima, l'odierna Skoplje (Üsküb), ma soltanto verso il 731, in seguito all'iconoclastia, l'Illirico orientale venne sottoposto ai patriarchi di Costantinopoli. I papi dopo aver protestato, si rassegnarono.
Nel corso del sec. VII, i Bulgari, invasero la Bessarabia e la Dobrugia attuali, e nel IX si estesero fino all'Egeo (v. sotto). Verso l'865, il re bulgaro Boris I si fece cristiano, più per politica che per convinzione. Non potendo ottenere un patriarca da Bisanzio, si rivolse a Roma, e così ebbe principio la lunga contesa fra Roma e Costantinopoli a proposito della Bulgaria. Il titolo patriarcale fu probabilmente concesso all'arcivescovo di Bulgaria da Roma verso il 924, e poi riconosciuto da Costantinopoli soltanto nel 945. Così fu iniziato il primo patriarcato bulgaro, il quale durò dal 924 al 1019, con un numero di sedi suflraganee variante da sedici a trenta. Dopo varî cambiamenti, la residenza si era fissata a Ochrida, sul lago dello stesso nome. Dopo aver devastato il regno bulgaro, l'imperatore Basilio II Bulgaroctono soppresse anche il patriarcato. Ochrida diventò nel 1020 la sede di un arcivescovato indipendente da Costantinopoli, ma occupato quasi sempre da prelati greci.
Dopo che i Bulgari riuscirono a ricostituire nel 1185 il loro paese in forma di regno indipendente, essi chiesero un patriarca a Roma; e così nel 1204 l'arcivescovo di Tărnovo, Vasilij ricevette da Innocenzo III il titolo patriarcale. L'unione con Roma durò fino all'anno 1232: le circostanze politiche influirono sulle relazioni ecclesiastiche, i Bulgari diventarono alleati dei Greci di Nicea contro i Latini di Costantinopoli, e, nel 1235, il patriarca di Costantinopoli Germano II riconobbe l'indipendenza della chiesa bulgara e il titolo patriarcale per il suo supremo gerarca. La conquista ottomana del 1393 rovinò quel patriarcato, e il territorio del patriarcato di Tărnovo fu riunito a quello dell'arcivescovato di Ochrida.
È difficile determinare con precisione verso quale epoca l'arcivescovato di Ochrida fu trascinato nello scisma di Cerulario; sembra che ciò avvenisse dopo il sec. XII. Dal 1767, i Greci signoreggiarono in modo assoluto nei paesi bulgari, e l'arcivescovato di Ochrida, perduta la sua indipendenza, divenne una delle metropoli dipendenti dal patriarcato di Costantinopoli.
I primi albori del risorgimento nazionale cominciarono nella seconda metà del sec. XVIII. Dapprima non si pensò a una separazione dal patriarcato, ma le resistenze di questo cagionarono lo scisma nel 1860. Un esarcato indipendente, inaugurato nel 1860, venne riconosciuto dalla Sublime Porta nel 1870. I Greci risposero scomunicando i Bulgari nel 1872: questa scomunica non è stata riconosciuta dalle altre chiese ortodosse autocefale non greche, le quali si considerano in comunione sia con i Greci sia con i Bulgari. Lo scisma dura ancora oggi. La residenza dell'esarca, fissata dapprima a Costantinopoli, è stata trasferita a Sofia dopo le guerre balcaniche del 1912-1913. L'esarca Iosif morto nel 1916 non ebbe successore. La chiesa bulgara, oggi ristretta ai confini consentiti alla Bulgaria dai recenti trattati di pace, è amministrata dal Santo Sinodo dei metropoliti (non vi sono più vescovi suffraganei, come d'altronde presso i Greci). Le metropoli sono Loveč, Sofia, Filippopoli (Plovdiv), Samokov, Stara Zagora, Slivno, Tărnovo, Vrača, Varna, Rustciuk e Vidin. Vi sono anche vescovi ausiliarî. Come le altre chiese ortodosse, la chiesa bulgara è del tutto subordinata allo stato. Esiste un seminario maggiore a Sofia, e seminari minori a Samokov, Filippopoli e altrove. La vita monastica è in completa decadenza. Il popolo bulgaro si è conservato ancora fedele nelle campagne; ma nelle città è sempre più indifferente.
Già verso la metà del sec. XIX, gruppi di Bulgari di Macedonia, del paese di Kukus, avevan cercato per mezzo del delegato apostolico della Santa Sede di venire ammessi nella chiesa cattolica. Sembra che questo passo non abbia avuto conseguenze; ma il 12/24 dicembre 1860, un altro gtuppo di Bulgari abitanti a Costantinopoli faceva un passo simile presso il primate degli Armeni cattolici Antonio Ḥassūn, ed era ricevuto nel seno della chiesa il 31 dicembre. Con breve del 24 gennaio 1861 (Maxima in Domino iaetitia, in Mansi, XLV, 65) Pio IX incoraggiò i Bulgari nelle loro disposizioni, e la Sublime Porta concedette alla nuova comunità la personalità civile. A suo vescovo fu scelto l'archimandrita Iosif Sokolskij, che venne consacrato da Pio IX l'8 aprile 1861. Poco dopo furono inviati in Bulgaria missionarî delle congregazioni degli agostiniani dell'Assunzione e dei resurrezionisti.
Tornato a Costantinopoli, il nuovo vescovo Iosif Sokolskij riuscì a ottenere numerose adesioni nelle parti di Salonicco, Monastir, Kazanlǎk, Adrianopoli. Ma il 18 giugno, attirato in tranello dall'ambasciata russa, preoccupata dall'estensione del movimento, fu rapito, e condotto prima a Odessa, poi a Kiev. Visse ancora una diecina di anni: non si è maì saputo con precisione se sia morto cattolico o no, quantunque il primo caso sia più verosimile.
A lui successe il pauliciano Pietro Arabadžiskij, e, dimessosi costui nel 1863 per difficoltà incontrate da parte dei nazionalisti, fu eletto vescovo Raffaele Popov che durò in carica dal 1865 al 1876, quando morì. Tre anni prima si era rifugiato presso di lui il vescovo bulgaro ortodosso Nilo Izvorov, che per dissensi con i Greci aveva aderito all'unione con Roma. Morto il Popov, l'Izvorov fu nominato amministratore con breve pontificio del 1° ottobre 1876; ma nel 1895 l'Izvorov, che dal 1882 era stato inviato a Costantinopoli, tornò e morì nello scisma.
Nel 1883 furono istituiti da Roma due vicariati apostolici, uno per la Macedonia con residenza a Kukuš e uno per la Tracia con residenza ad Adrianopoli. Ultimo amministratore apostolico dei Bulgari cattolici, nominato dalla congregazione della chiesa orientale (31 luglio 1926), è Stefano Kurtev, che, consacrato vescovo a Roma, ha assunto il nome di Cirillo.
La chiesa ortodossa non cattolica conta in Bulgaria undici metropoli: viene amministrata da un Santo Sinodo composto di tutti i metropoliti e presieduto dal metropolita di Sofia. Secondo il censimento del 1920 la popolazione era così divisa per confessioni: 4.061.829 ortodossi non cattolici; 40.000 cattolici sia orientali sia latini; 5617 protestanti; 690.734 musulmani; 43.232 israeliti e 5560 di altre confessioni. Secondo dati che risalgono al 1924, i cattolici di rito orientale avevano 11 chiese, 9 cappelle, 15 case parrocchiali, 36 sacerdoti parte celibi e parte ammogliati, 5 scuole proprie, 10 religiosi sacerdoti appartenenti alle congregazioni dei resurrezionisti e degli assunzionisti, una piccola congregazione di suore con 14 persone, e contavano 4267 anime; queste cifre hanno subito da quell'epoca un lieve aumento.
Bulgari cattolici di rito romano. - La Bulgaria conta un certo numero di cattolici di rito romano. Il nucleo più importante è costituito dai discendenti dei bogomili (v.), detti oggi pavlikani, (pauliciani, uno dei termini dei manichei del Medioevo). Gli antichi eretici furono tutti convertiti al cattolicismo sotto la forma latina, e ciò per opera dei frati minori venuti dalla Bosnia. Soltanto nel 1624 fu eretta una Custodia speciale per la Bulgaria: si estendeva anche alla Valacchia, cioè alla Romania meridionale di oggi. Nel 1763 la missione bulgara passò ai battistini di Genova, poi, nel 1781, ai passionisti per la parte settentrionale del paese mentre la Valacchia era lasciata ai francescani. Il vescovato di Nicopoli, con residenza a Rustciuk (Ruse), appartiene ancora ai passionisti. Conta 17 parrocchie, tutte nella Bulgaria centrale o settentrionale, con circa 15.000 cattolici latini. Per la Bulgaria del sud venne eretto nel 1610 il vescovato latino di Sofia, trasformato nel 1643 in arcivescovato e affidato ai francescani. Dopo una violenta persecuzione, la sede di Sofia venne data ai redentoristi nel 1835, e nel 1841 ai cappuccini, che vi sono tuttora. Le parrocchie sono 15, con circa 12.000 cattolici, in grande maggioranza pauliciani. Le congregazioni religiose venute dall'Occidente lavorano nelle città: resurrezionisti, fratelli delle scuole cristiane, e alcune congregazioni di monache. I pauliciani hanno una fisionomia speciale e vengono considerati dagli altri Bulgari come di razza inferiore; quasi tutti dediti all'agricoltura e in generale poveri parlano un dialetto bulgaro particolare.
Bibl.: Oltre alle opere generali sulla storia bulgara citate al paragrafo Storia, v.: A. Lapôtre, L'Europe et le Saint-Siège à l'époque carolingienne: première partie, le pape Jean VIII (872-882), Parigi 1895 (opera classica); František Dvorník, Les Slaves, Byzance et Rome au IX siècle, Parigi 1926; D. Bartolini, Memorie storico-critico archeologiche dei santi Cirillo e Metodio e del loro apostolato fra le genti slave, Roma 1881 (invecchiata); P. Balan, Delle relazioni fra la Chiesa cattolica e gli Slavi della Bulgaria, Bosnia, Serbia, Erzegovina, Roma 1880; G. Markovič, Gli Slavi ed i papi, Zagabria 1897. D. Cuhlev ha iniziato nel 1911 a Sofia la pubblicazione di una monumentale storia ecclesastica bulgara: Istorija na bǎlgarskata Cerkva (Storia della Chiesa bulgara): il primo volume, solo pubblicato, abbraccia il periodo 864-1186. Altrettanto si può dire di Ivan Snegarov, Istorija na ohridskata arhiepiskopija (Storia dell'arcivescovado di Ochrida), I, Sofia 1924. Per la Chiesa cattolica di rito orientale, i documenti fondamentali si trovano in Mansi-Petit, Collectio conciliorum recentiorum Ecclesiae universae, IX (XLV del Mansi completo), coll. 1-562: dà inoltre il testo di tutti i documenti riguardanti la costituzione dell'esarcato bulgaro ortodosso per il periodo 1860-1873. I documenti del periodo più antico della storia del cattolicismo in Bulgaria sono raccolti da Eusebio Fermendžin, Acta Bulgariae ecclesiasticae ab anno 1565 usque ad annum 1799, Zagabria 1887 (Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, XVIII). Il migliore conoscitore della storia dei pauliciani è L. Miletič, Zaselenieto na katoličkitě Bǎlgari v Sedmigradsko i Banat (L'emigrazione dei cattolici bulgari nel distretto di Transilvania e nel Banato), Sofia 1897; Našitě Pavlikjani: istorija, etnografija, kniznina (I nostri pauliciani: storia, etnografia, letteratura), Sofia 1903; Novi dokumenti po minuloto na našitě Pavlikjani (Nuovi documenti sul passato dei nostri pauliciani), Sofia 1905.
Storia.
I Protobulgari. - I Protobulgari appaiono nella storia con il sec. V d. C. Formavano in quell'epoca la parte orientale del gran popolo degli Unni, e vivevano sparsi sulle rive settentrionali del Mar Nero, presso il mar d'Azov ed il fiume Kufis (ora Kuban). Ma, benché divisi in molti gruppi o orde, si raggruppavano di già in due maggiori unità: lo stato dei Kutriguri, cbe si estendeva a ovest del fiume Don, a nord del Mar Nero e sulla penisola di Tauride (oggì Crimea); e quello degli Utriguri, ad est del Don e del Mar d'Azov, nel bacino del fiume Kuban.
La potenza dei Kutriguri si era molto accresciuta dopo il crollo dell'impero di Attila, sì che essi, verso la fine del sec. V, cominciarono ad assalire l'impero di Bisanzio, a scopo di bottino, minacciando la capitale stessa. Nel 540 giungono davanti alla città e contemporaneamente fino all'istmo di Corinto; nel 552 minacciano Salonicco; infine, nell'inverno 558-559 sotto la guida del khān Zavergani, muovono il più terribile dei loro assalti contro la capitale, che è salvata solo dall'abilità di Belisario. Per renderli innocui, Giustiniano I ricorse a un espediente: armò contro i Kutriguri gli Utriguri, i quali, per essere lontani dall'Impero, vivevano in perfetto accordo con esso. E avvennero da allora cruenti lotte fra i due popoli fratelli: i quali s'indebolirono a tal segno che quando, verso il 558, gli Avari si rovesciarono sull'Europa orientale, gli Utriguri dovettero sottomettersi ai nuovi venuti; e i Kutriguri, invece, che avevano cercato di resistere, ebbero distrutto il loro stato e furono trascinati dagli Avari verso occidente.
Indeboliti dall'attacco degli Avari, gli Utriguri furono, subito dopo, il bersaglio degli assalti dei cosiddetti Turchi dell'ovest, verso occidente; e nel 567 dovettero sottomettersi al khān Silgivula. Ma la sottomissione non durò a lungo: sminuita la potenza turca dopo la morte di Silgivula (576), le tribù e orde bulgare si ribellarono, sotto la guida di Zastana Organa, della stirpe degli Enni, che governò dal 582 al 584. Il consolidamento del nuovo stato avvenne sotto Kurt (Kubrat), nipote di Organa: i Kutriguri, rimasti sulle rive settentrionali del Mar Nero, vennero liberati dal dominio degli Avari, tutte le orde bulgare e altre popolazioni ancora vennero riunite sotto un solo potere. Si ebbe allora l'antica magna Bulgaria, che si estendeva dal fiume Dnepr fin quasi al Mar Caspio, e che fu in ottimi rapporti con Bisanzio, specialmente al tempo dell'imperatore Eraclio. Quest'ultimo fu aiutato più volte da Kurt contro i Persiani e gli Avari.
Ma alla morte di Kurt (642), il suo stato fu, secondo la consuetudine, diviso tra i cinque suoi figli. Fra essi scoppiò subito la discordia; e in questa loro condizione li sorprese l'invasione d'un nuovo forte popolo asiatico: i Cazari. Impossibile la resistenza. Il più anziano dei fratelli, Bat Baian, avendo riconosciuto il dominio dei Cazari, conservò i suoi possessi, nella regione del fiume Kuban e nella parte nord del Caucaso, ove egli formò la cosiddetta Bulgaria Nera. Viceversa, gli altri fratelli, non volendo sottomettersi ai Cazari, furono costretti ad abbandonare la patria è si sparsero verso l'ovest. Uno di essi, Kotrag, passato il Don, andò verso il nord, seguendo il corso del Volga, e, dopo aver sottomesso qualche tribù finnica, fondò il cosiddetto regno del Volga e del Kama che ebbe per capitale Bolgary. Questi Bulgari, chiamati del Volga o Argentei, scomparvero verso la fine del sec. XIV. Un altro fratello, Kuber, passò in Pannonia, si riconobbe vassallo del capo degli Avari, ingrandì la sua orda con i prigionieri greci che si trovavano nelle terre degli Avari e, insieme con loro, si trasferì (670-675) nella pianura di Keramisi (Bitolia), ma non riuscì a creare un nuovo stato. L'ultimo fratello, infine, Alzek, passò in Italia, si stabilì presso Ravenna e riconobbe il potere greco. Ma, dopo il 663, si trasferì nelle terre del re longobardo Grimoaldo, che installò i Bulgari in diversi luoghi del Beneventano, tolse ogni effettiva autorità ad Alzek e lo nominò semplicemente suo governatore presso i Bulgari.
Il primo regno bulgaro. - Sorte ben diversa toccò a Isperih (Asparuhi), terzo figlio di Kurt. Egli abbandonò le sue terre presso il mar d'Azov e, autorizzato dall'imperatore Costanzo II (643-668), s'installò con tutta la sua orda, gli Unnugundur-Bulgar, prima nell'attuale Bessarabia e più tardi nella parte settentrionale dell'attuale Dobrugia, con l'obbligo di difendere l'Impero dalle invasioni barbariche. Ma sotto Costantino IV Pogonato (668-685), Isperih si dichiarò capo indipendente della Dobrugia e rifiutò di riconoscere il potere dell'imperatore, facendo scavare una fossa che servisse di frontiera tra Cernavoda e Costanza. La defezione di Isperih, che si era accordato con gli Slavi della Slesia e della Dacia, spinse l'imperatore, subito dopo la liberazione della capitale bizantina dal pericolo arabo, a intraprendere una spedizione contro la Dobrugia. Ma l'impresa fallì completamente; si ebbe anzi l'immediata formazione di un nuovo stato federativo, bulgaro-slavo, con a capo Isperih (679-701). L'imperatore bizantino dovette riconoscerlo, firmando un trattato non onorevole per lui (679).
I Bizantini chiamarono questo nuovo stato Bulgaria, dal nome dei fondatori e organizzatori. Il suo carattere era essenzialmente asiatico. Il capo, che trasferì la sua sede nel campo fortificato di Pliska, soleva chiamarsi han (khān), con l'epiteto di veliki "grande"; i suoi parenti e i suoi alti funzionarî erano chiamati kavhan ed anche tarhan. Le cariche più importanti erano occupate dai nobili, che si ripartivano in due classi: in alti nobili, boliari (boiari), e in bassi nobili o bagaini. Il popolo si divideva in piccole tribù e famiglie, slave o bulgare. I capi delle tribù slave stavano a capo dell'esercito locale. I Bulgari avevano un'ottima cavalleria bene organizzata e sempre pronta ad attaccare, mentre le tribù slave davano la fanteria, cui era affidata la difesa delle frontiere e dei passi.
Favorita dalle contese interne dell'Impero bizantino, la Bulgaria ebbe il tempo di rinforzarsi; anzi, il secondo khān Tervel (701-718), avendo aiutato l'imperatore Giustiniano II a riprendere il trono, ottenne nel 705 il riconoscimento ufficiale dello stato bulgaro. Sotto il suo governo, la frontiera occidentale bulgara si estese oltre il fiume Timok; quella settentrionale giunse fino a Turnu Severin; quella meridionale oltrepassò i Balcani orientali, comprendendo anche la regione slava di Zagorié nella Tracia settentrionale. Un trattato del 716 stabiliva la frontiera meridionale dalla laguna nei pressi di Burgaz fino a Tărnovo-Seimen, e il pagamento di un tributo annuo da parte dell'Impero di Bisanzio. Durò questa fortunata condizione per tutto il tempo in cui la dinastia di Isperih-Dulo rimase al potere. La nuova dinastia dei Vokol, nella persona del khān Kormisoš (719-755), persisté nei rapporti pacifici con l'impero; ma quando l'imperatore Costantino V Copronimo infranse la pace (755) il successore di Kormisoš, khān Vineh (755-761), fu costretto a firmare un nuovo trattato che annullava quello del 716. In seguito a ciò, nell'interno della Bulgaria sorse grave discordia che si risolse in rivoluzione, nel 761. Le famiglie dei boiari bulgari si disputarono con le armi il potere supremo. Di queste lotte intestine seppe approfittare Costantino V per imporsi in Bulgaria e prepararne la completa distruzione. Non poté tuttavia raggiungere questo suo disegno, benché conducesse nove volte il suo esercito contro i Bulgari: ché le difficoltà interne (iconoclastia) lo costrinsero spesso ad abbandonare la Bulgaria. Ebbe poi di fronte un degno avversario, nella persona del khān Telerig, che sempre lo respinse e che, di fronte al pericolo esterno, riuscì a soffocare le lotte interne e a mettersi anche in rapporto con la tribù slava macedone dei Bersiti, per guadagnarli e includerli nel proprio stato. La morte di Costantino V (775) mise fine alla lotta; ma allora divamparono nuovamente le ribellioni interne. Telerig non potè sostenersi contro i boiari, che si erano abituati a nominare e a scacciare i khān. Seguirono ingrandimenti territoriali dei Bulgari, che nel 789 giunsero fino alla regione dello Struma; nuovi assalti di Bisanzio e una pace vittoriosa conchiusa dal khān Kardam nel 796. Poi, col khān Krum (803-814), cominciò il periodo del grande sviluppo politico della Bulgaria.
Furono sottomessi gli Avari, indeboliti dai Franchi (805); conquistate le terre situate all'est del Tibisco, la Transilvania, la regione di Branicevo e quella di Belgrado. Nei rapporti con Bisanzio, Krum continuò la politica dei suoi predecessori. Provocato da Niceforo I (803-811), che infranse il patto di pace, egli invase la regione verso lo Struma (808) e nell'809 prese la città di Sardica (attuale Sofia); di qui si aprì la strada verso la Macedonia. Niceforo si provò nell'81 a fermare l'avanzata dei Bulgari, ma fallì. Krum s'inoltrò in Tracia, disfece i Bizantini al nord di Adrianopoli, assediò questa città e nell'813 giunse anche sotto le mura di Costantinopoli. Convintosi che era impossibile prendere questa città senza flotta, propose la pace, che fu accettata da Leone V l'Armeno (813-820); ma, ferito a tradimento da frecce nemiche, per vendicarsi devastò i dintorni di Costantinopoli, distrusse varie fortezze lungo la riva del Mar di Marmara e si fermò sotto le mura di Adrianopoli, che poco dopo si arrese. Innumerevoli i prigionieri, che Krum installò in Bessarabia e organizzò militarmente a custodia della frontiera. Mentre si preparava ad assalire di nuovo Costantinopoli, il 13 aprile 814 egli morì.
Il figlio suo e successore, il khān Omortag (814-831), non poté continuare la politica guerresca del padre. La pace gli fu, per così dire, imposta dallo stesso propagarsi del cristianesimo, importato in Bulgaria dai prigionieri bizantini e avidamente accolto dagli Slavi. L'importanza di questi era aumentata in Bulgaria sotto il governo di Krum; e già allora essi aspiravano a un'eguaglianza politica. Omortag cercò di scongiurare questo pericolo con la persecuzione dei cristiani e quindi degli Slavi diventati cristiani. Avvenne allora che parecchie tribù slave, che occupavano la regione nord-ovest della frontiera bulgara, si staccarono dallo stato bulgaro e chiamarono i Franchi in aiuto contro i Bulgari. In principio Omortag decise di risolvere la questione in modo pacifico; ma, visto che le trattative iniziate con Ludovico, re dei Franchi, non giungevano a conclusione, invase anche la Pannonia e ne scacciò i principi slavi ivi nominati dai Franchi (827). Respinti nell'828, i Bulgari ripresero i loro assalti; ma non poterono conservare che la regione di Srem (Sirmium) e quella di Singidunum, che da allora prese il nome di Belgrado. I rapporti pacifici con i Franchi furono ristabiliti e mantenuti sotto il figlio e successore di Omortag, Malamir (831-836); ma non cessò la persecuzione dei cristiani. Tra le vittime, cadde anche il fratello del khān. Tuttavia, il cristianesimo in Bulgaria fioriva sempre più, indīrettamente favorito dalla politica che il successore e nipote di Malamir, il khān Presian (836-852), era costretto a tenere verso gli Slavi. Infatti, dopo aver annesso alla Bulgaria, quasi senza lotta, tutta la Macedonia attuale fino alle terre serbe nei pressi dell'Ibar e fino all'Albania, approfittando della guerra in cui l'imperatore Teofilo era impegnato contro gli Arabi nell'Asia Minore, Presian venne alle prese con i Serbi che aspiravano in parte ad allearsi con Bisanzio contro la Bulgaria. Abbandonato, in un primo tempo, il tentativo, per l'esito sfavorevole della guerra contro il principe serbo Vlastimir (839-842), Presian riprese poi il tentativo, approfittando delle ribellioni scoppiate fra gli Slavi dell'Impero nell'847, e poté giungere alla baia di Orfano. Penetrò nella valle dei fiumi Struma e Mesta;, sottomise tribù slave; ma un'improvvisa irruzione dei Bizantini nella Bulgaria orientale lo forzò a trasportare la guerra in Tracia e, respinto il nemico (ottobre 850), a ristabilire le antiche frontiere. Ora la sua politica rese necessaria da parte sua una certa tolleranza in fatto di religione; ma il trionfo del cristianesimo avvenne soltanto sotto il successore di lui: Boris I (852-889).
La conversione dei Bulgari al cristianesimo è strettamente legata all'estensione della frontiera bulgara a sud-ovest, ai nuovi successi della fede cristiana fra gli Slavi, al desiderio del re Boris di far entrare la Bulgaria nel gruppo dei vicini stati cristiani. Questo ultimo scopo gli riusciva quasi subito: combinata un'intesa con Bisanzio, nell'853 egli entrò in lega con Rostislav, potente principe della Grande Moravia. Ciò dava ombra ai Franchi; e l'imperatore Ludovico II cercò di ostacolare l'unione, provocando la guerra fra i Bulgari ed i Croati (854) e più tardi anche i Serbi. Ma Boris I riuscì a concludere la pace, e poco dopo offrì l'ospitalità ai principi serbi esiliati, preparando così il terreno a un'influenza bulgara sulla politica interna serba.
Più tardi, tuttavia, quando il figlio di Ludovico, Carlomanno, si mise contro il padre, alleandosi con Rostislav, Boris I abbracciò la causa di Ludovico, stringendo una nuova alleanza (863) diretta contro Rostislav. Durante le trattative, fu fatta a Boris anche la proposta di accettare la confessione romana: egli diede il suo consenso; e già si preparava un colloquio che doveva decidere la questione, quando la corte di Bisanzio, allarmata, decise di annientare non solo quest'alleanza, ma anche ogni tentativo di avvicinamento fra il capo bulgaro e il regno dei Franchi. L'imperatore Michele III (856-857) mosse dunque contro i Bulgari; ma Boris I propose la pace, con la promessa di adottare la confessione bizantina. Si ebbero, anche, scambî territoriali: l'Albania del sud, tra i fiumi Voiussa e Semeni fino al mar Adriatico, fu annessa alla Bulgaria, in cambio della regione fra i corsi inferiori dello Struma e del Mesta; anche la frontiera della Tracia fu rettificata. La pace venne conclusa verso la fine dell'864, solo quando il clero greco giunse in Bulgaria. Il re Boris e la sua corte si convertirono nel settembre 865.
Questa tattica del re, grandiosa per sé stessa, fu giudicata male dai boiari bulgari, che nella prima metà dell'866 si scagliarono contro di lui, incolpandolo di aver dato loro una "cattiva legge" e cercando di ucciderlo; ma la rivolta si era localizzata unicamente intorno alla residenza reale e fu facilmente repressa. Sorse però l'altra difficoltà di sistemare la chiesa nuovamente fondata, che, secondo il desiderio del re, doveva essere autonoma e garantire l'indipendenza politica della Bulgaria, mentre la corte di Bisanzio era ostilissima a ciò. Boris si rivolse a Roma (seconda metà dell'866), donde gli fu immediatamente inviato il clero latino. Ma anche con Roma le trattative non erano facili; perciò egli affidò la questione all'adunanza di ecclesiastici che ebbe luogo a Costantinopoli nell'869-870, e che si pronunciò in favore della chiesa bizantina, intendendo tuttavia che la chiesa bulgara fosse autonoma. Così, nell'870, il clero latino dovette lasciare la Bulgaria, e al suo posto venne quello greco, con a capo un arcivescovo che era autonomo nella propria chiesa e riconosceva semplicemente l'autorità suprema del patriarca di Costantinopoli.
L'adozione del cristianesimo da parte dei Bulgari fu l'ultimo atto nel processo di fusione dei due elementi etnici, Bulgari e Slavi: fusione che aveva avuto inizio sin dalla fondazione stessa dello stato e che si era gradualmente intensificata con l'unione degli Slavi balcanici. Per mezzo del cristianesimo Boris I diventava il sovrano degli Slavi inclusi nello stato bulgaro. Egli assunse anzi il titolo di principe slavo, al posto di quello primitivo di khān. Adottando la lingua slava nelle chiese e anche nello stato, egli, da una parte, portava un colpo definitivo all'elemento protobulgaro, che in seguito venne assorbito da quello e slavo; d'altra parte, apriva alla nazionalità bulgaro-slava un'ampia via di sviluppo materiale e culturale, esprimentesi quest'ultimo soprattutto negli scritti slavo-bulgari. Nella sua opera Boris I fu aiutato dai discepoli di San Metodio, scacciati nell'865 dalla Moravia e dalla Pannonia: Clemente, Naum e altri compagni minori trovarono un'accoglienza molto cordiale in Bulgaria, ov'essi lavorarono attivamente per l'istruzione, fondando due scuole slavo-bulgare. Clemente svolse la sua opera nella città di Devol (Albania orientale), ma operando su tutta la parte sud-ovest della Bulgaria: di lì vennero i futuri membri della gerarchia ecclesiastica slavo-bulgara e i maestri che in seguito presero il posto dei gerarchi ecclesiasticì e dei maestri greci. Nel frattempo Naum si stabilì nel monastero di Preslav, lavorando per la Bulgaria del nord-est, dedicandosi in special modo alla traduzione, dal greco in lingua bulgara antica, della Bibbia e di scritti liturgici e agiografici. Quest'ultimo compito fu preso a cuore dallo stesso re Boris che, dopo aver abdicato a favore del figlio maggiore Vladimir, si fece monaco e si ritirò nell'889 nello stesso monastero ove i discepoli di S. Metodio e un figlio del re, frate Simeone, tornato nell'887 da Costantinopoli, svolgevano la loro opera letteraria.
Ma il debole principe Vladimir (889-893), sotto l'istigazione dei boiari, ostili al re Boris perché non condividevano la sua politica slava, tentò di risvegliare il paganesimo già morente e di annientare l'opera letteraria iniziata dal padre. Si mise a perseguitare i rappresentanti della chiesa; abbandonò pure la politica estera di Boris I, alleandosi col re franco Arnolfo contro i Moravi. Allora Boris s'affrettò a lasciare il monastero, punì Vladimir togliendogli gli occhi e gettandolo in prigione; poi, nell'autunno dell'893, radunò a Preslav un'assemblea nazionale e vi proclamò re il suo figlio più giovane, Simeone, che aveva prima liberato dal voto monastico. Il nuovo sovrano, da parte sua, dichiarò alla stessa assemblea che la capitale dello stato si trasferiva da Pliska a Preslav. Su proposta del re, poi, l'assemblea decise di rigettare la lingua greca e di ammettere nelle chiese solo scritti e liturgia slavo-bulgari. Per attuare questa riforma di grande importanza e significato per la vita spirituale dei Bulgari, s'imponeva la nomina di capi nazionali nel corpo direttivo della chiesa: questione risolta dalla medesima assemblea. Clemente fu il primo vescovo officiante in lingua bulgaro-slava; a lui seguì una serie di vescovi bulgari che occuparono i seggi lasciati dai greci o creati ex novo. Dopo lo scioglimento dell'assemblea di Preslav, Boris rientrò nel monastero ove rimase fino alla morte (2 maggio 907).
Mentre il vecchio re seguiva dal monastero lo sviluppo e l'organizzazione della chiesa e dell'istruzione, iniziava il suo governo Simeone (893-927). E fu questa l'età splendida dello stato bulgaro, contrassegnata da una serie continua di guerre che gli diedero il dominio di quasi tutta la penisola balcanica. L'urto con Bisanzio cominciò dall'inizio stesso del regno, nell'897; e fu seguito, per istigazione di Bisanzio, da un'invasione degli Ungari nell'attuale Dobrugia. Simeone riuscì veramente, con l'aiuto dei Peceneghi, a respingere il nemico oltre il Danubio; ma dovette abbandonare ai Peceneghi la parte meridionale della Bessarabia e della Moldavia e la Romania orientale. Nell'896 Simeone poté costringere l'imperatore Leone VI a chiedere la pace e pagare annuo tributo ai Bulgari, i quali s'impegnarono a non assalire più l'Impero. Ma l'impegno non impedì a Simeone di appropriarsi in modo pacifico di gran parte della regione di Durazzo, in un momento critico per Bisanzio, minacciata dagli Arabi; in seguito, secondo il trattato del 904, si annetté ancora quasi tutto il territorio di Salonicco, stabilendo la frontiera a soli 20 km. da questa città. Di più, inserendosi abilmente nelle lotte interne dei Serbi, Simeone acquistò influenza politica anche su questi ultimi, mentre nel contempo egli dava allo stato bulgaro una base con la sua attività culturale-civilizzatrice.
La Bulgaria è, adesso, fattore decisivo nella vita politica dell'Europa sud-orientale, e lo diviene ancor più, quando gli avvenimenti sopraggiunti in Bisanzio dopo la morte di Leone VI suggeriscono a Simeone l'ambizioso progetto d'impadronirsi del trono degli imperatori d'Oriente. Le. guerre continue che egli intraprende dal 913 al 926 non hanno altro scopo. Bisanzio nel 919 rifiuta di riconoscere la sua dignità reale, e gli dà solo il titolo di Cesare; e Simeone vede anche fallire il suo progetto di agire su Bisanzio per mezzo del matrimonio politico di una sua figlia con l'imperatore minorenne Costantino Porfirogenito. Ma Simeone non desiste dal suo piano grandioso: conquistare tutte le terre bizantine della penisola balcanica, impadronirsi di Costantinopoli, con l'aiuto di qualche potenza marinara, e proclamarsi "zar dei Bulgari e dei Greci".
Riuscì a compiere la conquista territoriale: i Bulgari giunsero fino al Peloponneso e alle isole, fino all'Ellesponto, e si accamparono pure parecchie volte presso le mura stesse di Costantinopoli. Solo Salonicco e Durazz0 non furono mai attaccate. Così, nel 918, subito dopo la famosa vittoria sui Bizantini presso il fiume Acheloo (917), Simeone si proclamò zar dei Bulgari e nominò patriarca il suo arcivescovo. Ma se per importanza egli eguagliò il basileus greco, non poté tuttavia toccare la meta, poiché non fu in grado di vincere la potenza di Bisanzio, sorretta dall'usurpatore Romano Lecapeno (919). Il governo bizantino, mentre da una parte con la sua politica conciliante e pacifica si sforzava di convincere il re bulgaro a concludere la pace, dall'altra prendeva misure per sviare le sue aspirazioni su Costantinopoli, facendo di tutto per inimicargli i popoli vicini: Ungari, Peceneghi, Russi, Serbi, Croati. Nei momenti critici, il governo bizantino giunse perfino a chiedere l'aiuto del capo della chiesa romana.
Tutti questi ostacoli resero inaccessibile ai Bulgari la capitale del Bosforo. Simeone, incontrandosi con l'imperatore nel settembre del 923 sotto le mura di Costantinopoli, invano cercò di imporre le seguenti condizioni di pace: abdicazione di Romano; permesso a Simeone di entrare in Costantinopoli come vincitore e d'essere riconosciuto dal popolo bizantino come imperatore. E quando la Serbia, unico stato fino allora alleato di Bisanzio, fu completamente sottomessa da Simeone (924), Romano riuscì ad allearsi con il nuovo nemico di Simeone, il re croato Tomislav. Simeone non desistette tuttavia dalle sue audaci imprese: nel 925 si proclamò "zar dei Bulgari e dei Greci"; poi iniziò contro i Croati una guerra. In questa fu bensì sconfitto, ma ad ogni modo, con la pace del 926 (conchiusa con l'intervento del pontefice romano) riuscì a stornare il pericolo croato. Nuovamente volse le sue mire verso il sud e cominciò una nuova guerra contro Bisanzio, occupando le fortezze della Tracia: ma la morte (27 maggio 927) gl'impedì di portare a termine le sue imprese. Egli lasciava la Bulgaria economicamente rovinata; ma il suo ideale, la conquista di Costantinopoli, continuò ciò nonostante a dominare l'azione e il pensiero dei re bulgari.
Vero è che, in un primo tempo, le lotte interne e il peso delle guerre esterne indussero il successore di Simeone, Pietro (927-969), posto sotto tutela dallo zio Sursuvul, a iniziare trattative di pace; e alla pace, così desiderata da entrambe le parti, si venne l'8 agosto 927 nella stessa Costantinopoli. Per essa, Bisanzio riconosceva la dignità reale del sovrano bulgaro e l'autonomia della chiesa bulgara, con a capo il patriarca, e s'impegnava a pagare annualmente un tributo ai Bulgari, i quali conservarono i medesimi confini stabiliti dai trattati dell'896 e 904. A conferma del trattato, Pietro sposò la nipote dell'imperatore Romano, Maria. Ma la pace non accontentò tutti: nel 928 e nel 930, scoppiarono in Bulgaria rivolte che avevano per scopo di detronizzare il re Pietro e sostituirgli i suoi due fratelli. E se le rivolte fallirono, i Serbi, approfittando del momento, sotto la guida del principe Česlav e con l'aiuto materiale e morale di Bisanzio, si ribellarono nel 931 e ricuperarono la loro libertà. Da allora comincia la decadenza politica della Bulgaria. I Bulgari sono sfiniti materialmente dalle lunghe guerre precedenti, dalle discordie intestine e dagli sperperi della corte reale; i sovrani sono ormai soggetti all'influsso della politica disgregatrice bizantina; e anche nella vita civile Bisanzio predomina, grazie alla regina Maria, principessa greca, che riesce a introdurre nella vita di corte bulgara costumi e consuetudini bizantini. Contemporaneamente, decade spiritualmente la chiesa bulgara, affidata ad ecclesiastici che hanno adottato il fasto e la pompa, l'avidità e la corruzione bizantine. Di più, il popolo è avverso a questa chiesa, e per tal modo, tra laici ed ecclesiastici, s'inasprisce sempre più il dissidio, che si esprime nel movimento religioso noto col nome di bogomilismo (v. bogomili).
Le dottrine bogomile si ricollegano alle eresie manichee e pauliciane, importate e seminate nella penisola balcanica nel sec. VIII dalle colonie siriache e armene; ma, in terra bulgara, assumono una forma nuova, adottando molte credenze pagane popolari degli Slavo-Bulgari, e assumendo un carattere nazionale, con nette tendenze politico-sociali. Il completo disinteressamento del clero ufficiale, le difficili condizioni del popolo, i nuovi dogmi facilmente accessibili, il carattere nazionale e le dottrine sociali-politiche corrispondenti interamente alle necessità del tempo permisero al bogomilismo di guadagnare rapidamente terreno in Bulgaria. E tuttavia questo movimento riusciva dannoso, perché scuoteva dalle basi l'ordine statale, sociale e familiare. Perciò lo stato, di fronte al pericolo imminente, si mise a perseguitare i bogomili, coadiuvato dalla chiesa bulgara, la quale trovò allora dei rappresentanti di carattere forte, decisi a rialzare moralmente il clero e a sradicare il male, con l'esempio di una vita austera e solitaria. Così San Ivan di Rilo, che visse a lungo nel deserto del monte Rilo e che è considerato il fondatore dell'ascetismo in Bulgaria e il santo patrono dei Bulgari; così Cosma di Preslav, che condannava tuttavia, nello stesso tempo, i vescovi ortodossi, i preti e soprattutto i monaci per la loro vita dissoluta, per l'indolenza, per l'avidità e la trascuratezza nell'adempimento dei loro doveri.
Contemporaneamente, s'iniziava un altro movimento politico che man mano si rafforzava nella parte occidentale del regno. Debole era la politica del re Pietro, incapace di tener lontani gli Ungheresi. Mutati erano anche i rapporti con Bisanzio, specialmente dopo la morte della regina Maria Irene e quella di Romano II nel 963: tanto che il re Pietro dovette mandare i suoi due figli Boris e Romano, eredi del trono, in ostaggio a Costantinopoli. S'era anche impegnato con Bisanzio a respingere gli Ungheresi; ma poi con essi fu costretto a far pace. E allora l'imperatore Niceforo Foca invase nel 966 improvvisamente il territorio bulgaro, occupando parecchie fortezze di frontiera; e, deciso a tor di mezzo ogni pericolo da parte dei Bulgari, riuscì a convincere il bellicoso principe russo Svetoslav di Kiev (945-972) a intraprendere una guerra contro i Bulgari. Svetoslav, sul principio della primavera del 968, con un grande esercito assalì e sottomise la Dobrugia attuale. Dovette poi tornare a Kiev per difendere il suo stato dall'invasione dei Peceneghi; ma lasciò la maggior parte del suo esercito nella regione conquistata. Tutto questo accrebbe l'impopolarità di Pietro. Lo sfortunato re cercò invano di liberarsi dai Russi: questa nuova umiliazione disgustò gli spiriti virili del regno. Poco dopo egli morì (30 gennaio 969); e poiché i successori legittimi si trovavano ancora a Costantinopoli, si ebbe un interregno. Allora i quattro fratelli David, Mosè, Aaron e Samuele, figli di uno dei più influenti boiari, Nicola, che abitavano nelle regioni occidentali della Bulgaria ed erano noti sotto il nome di Comitopuli, ne approfittarono per mettersi a capo di una rivolta che s'estese alla metà del regno, e che ebbe per programma l'aperta opposizione all'influenza bizantina sulla vita interna dello stato. Anche quando salì al trono Boris II (969-972), venuto da Bisanzio, i Comitopuli e i loro seguaci rifiutarono di riconoscere il suo potere. Intanto si ripresentava il pericolo russo: Svetoslav di Kiev nel 969 s'inoltrò sempre più nella Bulgaria, prese d'assalto la stessa capitale, Preslav, facendo prigioniero Boris II e la famiglia; non contento di questo, si slanciò alla conquista di Costantinopoli. Ma, disfatto completamente presso Silistria dall'imperatore Giovanni Zimisce nel 972, dovette abbandonare anche le terre bulgare.
Il giogo russo in Bulgaria era stato breve, ma ebbe conseguenze funeste per i Bulgari: ché Giovanni Zimisce, presentatosi dapprima come alleato di Boris II e liberatore dei Bulgari, fece arrestare il re Boris con tutta la sua famiglia e dichiarò possedimenti bizantini tutte le terre conquistate. Così il grande regno bulgaro era distrutto (972) e con esso l'autonomia della chiesa bulgara: ché lo Zimisce dichiarò pure decaduto il patriarca bulgaro, fuggito a Srědec (attuale Sofia), e formò della chiesa bulgara una chiesa separata, ma dipendente da quella di Costantinopoli. Tuttavia, la metà occidentale del regno, cioè l'attuale Macedonia, l'Albania del sud e la Bulgaria del nord-ovest (dal fiume Kolubar fino ai monti di Etropole e di Ihtiman), conservò la sua indipendenza quasi per mezzo secolo ancora. Dopo la separazione, avvenuta in seguito alla rivolta dei fratelli Comitopuli e dopo la caduta della Bulgaria orientale nel 972, i Comitopuli decisero di raggrupparsi in uno stato federale. Il potere fu diviso fra i quattro fratelli che governarono sulle regioni confinanti con Bisanzio. Approfittando della lotta dell'imperatore Zimisce in Asia (973-975), i fratelli Mosè, David e Samuele prepararono la liberazione della Bulgaria del nord est. Ma gli assalti contro i Bizantini furono inutili; e morti Mosè e David, le regioni del primo passarono sotto il potere di Samuele: quelle del secondo, sotto il potere di Aaron.
Intanto, nel 979, gli eredi legittimî del trono bulgaro, Boris e suo fratello Romano, riuscirono a fuggire da Costantinopoli. Ucciso per caso alla frontiera bulgara Boris, Romano fu condotto presso Samuele a Voden. Per prevenire ogni tumulto all'apparizione dell'erede legittimo, Samuele lo prese sotto la sua protezione; più tardi, col consenso di Aaron e degli altri boiari bulgari, lo proclamò re. Con questo atto, i due Comitopuli e i loro seguaci legittimarono, per così dire, lo stato formato da loro, che appariva ora come una continuazione del regno bulgaro sotto la vecchia dinastia. Ma Romano non era che un re di nome; il re effettivo era Samuele. Egli riprese i suoi attacchi, e la Tessaglia intera passò sotto la sua dominazione. Bisanzio decise di reagire; e dopo un tentativo infelice di allearsi con Aaron, Basilio II intraprese una spedizione contro i Bulgari. Ma l'assalto condotto contro Sofia fallì: egli fu vinto nella gola d'Ihtiman, grazie all'intervento tempestivo di Samuele in aiuto di Aaron. Sennonché quest'ultimo aspirava alla supremazia; era perciò incline, nonostante tutto, ad appoggiarsi a Bisanzio, e riprese i rapporti segreti con la corte imperiale, che già aveva tenuti per l'innanzi. Per tale motivo egli fu ucciso con la sua famiglia da Samuele, che vedeva nella condotta del fratello la perfidia e il tradimento (987). Poiché l'Impero era impegnato in Asia Minore, in Crimea e in Italia, Samuele conquistò Durazzo e, poco dopo, tutta la costa del Mar Adriatico e la regione presso il fiume Drin. Ormai, la sua meta era Salonicco; e per assicurarsene la via, cominciò a conquistare le fortezze più importanti: Verrea (Karaferia o Ber) e Servia (l'attuale Selfige; 989). Ma Basilio II muoveva alla riscossa. Nel 991 riprese l'assalto contro i Bulgari, invase la Bulgaria da tutte le parti; devastando il paese, distruggendo le fortezze, catturando il re Romano (991). Ma nel 995 dovette ritirarsi; e Samuele, che aveva assunto il potere in seguito alla prigionia di re Boris, tornò a guerreggiare per le fortezze greche, riportò nel 996 una vittoria strepitosa sotto le mura di Salonicco, avanzò in Tessaglia, giunse fino al Peloponneso, fu sconfitto da Niceforo Ouranos; tuttavia, appena conosciuta la morte del re Romano, si fece proclamare dal clero e dai boiari "zar dei Bulgari" (997). Egli capiva che, per resistere ai Bizantini, doveva unirsi agli altri Slavi della penisola. Perciò, nel 999, sottomise il principato serbo della Zeta (Duklia), s'impossessò di Cattaro e passò accanto a Ragusa, dopo aver devastato la Dalmazia attraversando la Bosnia e la Rascia (attuale Serbia). Ritornò quindi nelle sue terre, obbligando tutte queste regioni a riconoscere il suo potere supremo; e nello stesso tempo stabilì rapporti pacifici con gli Ungheresi.
Nel 1001, Basilio II iniziò la sottomissione sistematica della Bulgaria; dal 1002 al 1004, piegò a sé tutta una serie di fortezze bulgare. Puntò anche su . Srědec; ma fallì. E tuttavia, ogni anno, invase il territorio bulgaro, logorandone le forze. Nel 1014, comincia l'ultima disperata lotta: sconfitta completa di Samuele ai piedi del monte Bělasica (all'ovest); parte del suo esercito completamente distrutta, parte prigioniera; Samuele stesso salvo a stento. La lotta continua presso Strumica, ove i Bulgari riescono a distruggere gran parte dei guerrieri bizantini; ma ciò non serve che ad inasprire Basilio II il quale fa accecare tutti i prigionieri bulgari (15.000 uomini), lasciando a ogni cento uomini un compagno con un occhio solo per condurli dal loro re. Alla vista dei suoi soldati così martoriati, Samuele è colto da un attacco apoplettico e muore tre giorni dopo, il 6 ottobre 1014. Non per questo cessa la lotta dei Bulgari per l'indipendenza, da parte del nuovo re Gavril Radomir (1014-1015), figlio di Samuele: ma, per istigazione di Basilio II, egli è ucciso dal cugino Ivan Vladislav (1015-1018), figlio di Aaron. Il re usurpatore, per assicurarsi il potere, tentò anch'egli di fare pace con l'imperatore, promettendo di riconoscere con tutti i boiari bulgari il potere supremo di Bisanzio; ma fu costretto ancora a lottare. Basilio II, deciso a condurre a termine l'impresa, s'inoltrò in Bulgaria, prendendo l'una dopo l'altra le fortezze ed anche la capitale Ochrida, nonostante la disperata resistenza (soprattutto nel 1017) del re. E all'inizio del 1018, ucciso Vladislav in un tentativo di conquista della città di Durazzo, l'indipendenza bulgara finì. Grande era l'anarchia: i boiari si erano divisi in due partiti: l'uno, guidato dal patriarca e dalla regina con tutta la famiglia reale, si arrese volontariamente; l'altro, con a capo il successore al trono, Frugin, e i suoi fratelli, si ritirò nelle montagne albanesi, combattendo di là per l'indipendenza bulgara. Ma la loro resistenza fu vinta; anch'essi deposero le armi e si sottomisero all'imperatore; parte cadde vittima della crudeltà bizantina, parte riuscì a scappare armata. Repressi furono pure i molti tentativi di ribellione orditi da qualche duce bulgaro. Al principio del 1019 Basilio II, chiamato il Bulgaroctono, entrò in trionfo, per la Porta d'oro, a Costantinopoli come vincitore del popolo bulgaro.
La Bulgaria sotto il dominio bizantino. - Dopo la sottomissione della Bulgaria, Basilio II divise l'ex-regno di Simeone in quattro temi: 1. il. tema della Bulgaria, che aveva per frontiera al sud la regione di Salonicco, al nord la parte occidentale della catena della Stara-Planina, all'ovest Durazzo (città principale Ochrida, poi Skoplje); 2. il tema della Macedonia o Tracia e Macedonia, all'est della Bulgaria, fra il Mar Egeo, il Mar di Marmara, e la Stara-Planina (città principale Adrianopoli); 3. il tema delle città, fra la riva del Danubio e Stara-Planina (città principale Dorostol [Drăstăr, Silistria]); 4. il tema centrale, all'ovest della riva del Danubio, intorno alla. Morava, Srem compresa (città centrale Srem, attuale Mitrovica). La costa adriatica apparteneva alla regione di Durazzo, ristabilita nelle sue antiche frontiere. Ma, benché le regioni dell'ex-regno bulgaro fossero formate e organizzate secondo norme puramente bizantine, l'unità delle terre bulgare si conservava, esprimendosi nel titolo che portava il rappresentante dell'imperatore nella regione della Bulgaria: duce o stratego di tutta la Bulgaria. Inoltre, poiché anche i boiari, come del resto la famiglia reale, si erano arresi con un "patto", Basilio II riconobbe l'interna autonomia dei Bulgari, conservando i loro proprî diritti, lasciandoli vivere secondo le leggi di Samuele. La chiesa nazionale bulgara rimase anch'essa autonoma, e tale quale era stata sotto il re Pietro; il suo capo portava il titolo di arcivescovo di tutta la Bulgaria e risiedeva a Ochrida, ciò che significava pure che l'unità delle terre bulgare era rispettata. Il primo arcivescovo fu un bulgaro, il monaco Ivan di Dibra, eletto all'unanimità dai vescovî bulgari e confermato da Basilio II nel 1020.
Ma il popolo non poté a lungo giovarsi dei diritti di autonomia. Tutti i membri della famiglia reale, come pure tutti i voivodi notabili e influenti, furono trasferiti in Asia Minore, ove, costretti a sposare delle greche e nominati ad alte cariche, dimenticarono la patria oppressa: e i Bulgari, lasciati senza capi, cominciarono a soffrire privazioni e miserie d'ogni specie, tormentati dai Peceneghi, dai Valacchi, dalle autorità amministrative e militari. Quando queste imposero che il tributo fosse pagato non più in natura, ma in denaro, la rivolta scoppiò, capeggiata da Pietro Delian, figlio del re Gavril Radomir, fuggito da Costantinopoli (1040). Ma, dopo i primi successi degl'insorti, l'imperatore Michele IV ebbe presto ragione di loro, valendosi anche di milizie mercenarie normanne. Dopo la repressione della ribellione, nel 1041, i Bulgari vennero trattati come veri schiavi. L'autonomia ecclesiastica diminuì a poco a poco, di modo che l'arcivescovato di Ochrida si trasformò da bulgaro in greco; al clero bulgaro non si affidarono più che le parrocchie dei villaggi e qualche monastero, unici centri ormai dove la lingua e gli scritti bulgari trovassero rifugio.
A poco a poco maturava in tal modo una nuova sommossa. Essa divampò nel 1072, in tutta la regione di Skoplje, sotto la guida del boiaro Giorgio Vojtěh, discendente da un'antica famiglia dei Kavhan. Riunitisi a Prizren, con il consenso del principe serbo Stefano Voislav, i capi bulgari proclamarono il figlio di Voislav, Costantino Bodin (Bodini), re bulgaro. Il piano dei ribelli era d'iniziare la liberazione in due direzioni: l'una verso le regioni del Danubio e l'altra verso il Mar Egeo. Ma proprio tale divisione delle forze fece fallire il movimento: l'esercito mandato al sud fu disfatto presso Kostur, e quello mandato al nord subì la stessa sorte nella pianura di Kosovo. Voitìh fu fatto prigioniero e morì poco dopo: Bodin pure, catturato, fu mandato in esilio nell'Asia Minore; il paese fu depredato e devastato. E benché i Bulgari partecipassero ancora ad altre ribellioni balcaniche, erano ormai prostrati, e incapaci di una lotta aperta contro i loro dominatori.
Verso la fine del sec. XI, le terre bulgare, soprattutto quelle occidentali, erano definitivamente entrate nella generale organizzazione bizantina. L'unico mezzo di reazione contro il nemico nazionale fu offerto dalla setta dei bogomili, che sul principio del sec. XI tornò a propagarsi rapidamente nella Bulgaria occidentale. Fatto che indubbiamente rappresenta l'opposizione nazionale-politica contro il giogo opprimente di Bisanzio. Non potendosi volgere contro il potere laico, lo spirito di rivolta si volge contro l'alto clero greco: e così, a capo del movimento bogomilo, troviamo, sotto la guida di Vasilij, il basso clero, i monaci, che reagivano come Bulgari. Una sommossa scoppiò contro l'arcivescovo di Ochrida, Teofilatto, che fu costretto a lasciare finalmente la Bulgaria; ma intervenne l'imperatore Alessio I nel 1111. Vasilij, che non volle abiurare la sua fede, fu bruciato nell'ippodromo di Costantinopoli (1118); e dopo ciò nel paese ritornò la pace.
Sotto i successori di Alessio I, i quali fedelmente ne continuarono la politica interna, la situazione sociale ed economica in Bulgaria non solo non venne migliorata ma peggiorò, perché il paese ebbe a subire nuove invasioni dei rapaci Kumani (1124), dovette tollerare il passaggio dei guerrieri della seconda crociata (1147) e anche essere campo delle molte guerre che i Bizantini conducevano nella penisola (1118-1180), sia contro i Normanni sia contro i Serbi e gli Ungheresi. Più gravi sono i rivolgimenti nella costituzione sociale ed economica, avvenuti nel corso del sec. XII. Scomparvero le piccole proprietà e si ebbe un rincrudimento della schiavitù. Per avere un'idea di quanto i rapporti fra Bisanzio e la Bulgaria fossero cambiati, basti sapere che i nomi Bulgaria e Bulgari erano scomparsi negli scritti dell'epoca e furono sostituiti dai termini antichi Mesia e Zagoria e Mesi, oppure dal nome Valacchi (dai Valacchi sparsi fra la popolazione bulgara).
Ma, nonostante la sua triste sorte, il popolo bulgaro aveva conservato il ricordo della sua indipendenza politica. Approfittando degl'insuccessi esterni e delle frequenti lotte interne sotto il governo dell'ultimo dei Comneni (1180-1185), i Bulgari, a cui si unirono pure i Valacchi, decisero di ricuperare con le armi la loro indipendenza politica. Due boiari, i fratelli Pietro e Asen (v.), per rendersi indipendenti, agirono come agiva l'aristocrazia bizantina dell'epoca; cioè come capi autonomi. E, nel 1186, provocarono a Tărnovo una rivolta. In pochissimo tempo la ribellione divampò in tutto il paese fra il Danubio e i Balcani e anche nella Tracia. Ma Isacco II Angelo (1185-1195) scacciò i Bulgari dalla Tracia, riuscì a valicare le montagne, inaspettato, e a invadere le retrovie, paralizzando la difesa dei guerrieri di Pietro e di Asen che, privi d'esercito, si rifugiarono oltre il Danubio, nella Kumania, per cercarvi aiuto. Convinto che la rivolta fosse unicamente l'opera dei due fratelli e non un movimento nazionale generale, Isacco II se ne tornò a Costantinopoli. I due fratelli risollevarono il popolo ed ebbero l'aiuto dei Kumani, che invasero la Tracia. L'imperatore mosse nuovamente contro di loro. Ma dovette conchiudere pace: anche perché il grande zupano serbo Stefano Nemania si era alleato con Pietro e aveva invaso il territorio bizantino. A conferma di questa pace, Pietro e Asen consentirono a mandare il loro fratello minore, Ivanica, in ostaggio a Costantinopoli. I capi della sommossa e anche il popolo stesso videro nell'armistizio un riconoscimento tacito dell'indipendenza della Bulgaria del nord; perciò nello stesso anno 1187, Asen fu proclamato a Tărnovo re della Bulgaria e un sacerdote Vasilij arcivescovo autonomo di Tărnovo.
Il secondo regno Bulgaro. - L' armistizio avvenuto fra i Bulgari e i Bizantini non durò a lungo. Appena Ivanica, ora chiamato Kalojan, riuscì a evadere da Costantinopoli e rientrò in patria, la lotta per la liberazione ricominciò. In primo luogo, i fratelli chiesero a Federico Barbarossa che lo stato bulgaro fosse riconosciuto dagli altri stati, promettendo al capo della terza crociata (1189) che attraversava la penisola balcanica un esercito di 40.000 uomini, fra Bulgari e Kumani. Federico Barbarossa non prese sul serio quasta proposta; ma i Bulgari erano davvero così forti che, quando Isacco II riprese la guerra contro di loro, subì una grande sconfitta in uno dei passi balcanici, nel 1190. Tale vittoria stabilì definitivamente il potere del re Asen I (1187-1196), che svolse la sua opera di liberazione verso il sud fino a Filippopoli e Adrianopoli; poi anche verso l'ovest fino a Sofia e Niš (1194). L'imperatore Alessio III Angelo (1195-1203) cercò di risolvere la questione in modo pacifico. Ma le condizioni proposte da Asen I mandarono a vuoto il suo piano. La guerra fu ripresa, e Asen I giunse presso Seres, devastando le regioni dello Struma e di Anfipoli. Sfortunatamente, egli non poté compiere la liberazione, poiché, nel ritorno dall'ultima battaglia, fu ucciso dal nipote, il boiaro Ivanko, istigato dai boiari, avversi ad Asen, e dai Bizantini che gli promettevano il trono. Ivanko s'impadronì di Tărnovo, ma non del trono; poiché fu costretto a fuggire dall'armata di Pietro. Assassinato anche questo, fu nominato re il fratello Kalojan, perché i figli di Asen I il vecchio erano ancora minorenni.
Il re Kalojan (1197-1207) è il vero creatore del secondo regno bulgaro. Dopo essersi guadagnati il voivoda macedone Dobromir Hriz, il boiaro Ivanko, che dopo la sua fuga a Bisanzio aveva ricevuto dall'imperatore il governo della regione di Filippopoli, e il governatore della regione di Smoleni, Ivan Spiridonaki, nel 1201 Kalojan intraprese contro Bisanzio una guerra aperta che terminò con un trattato di pace, secondo il quale Alessio III riconosceva ufficialmente l'indipendenza del rinnovato regno bulgaro. Intanto Kalojan, già alla fine del 1199, si era rivolto a Roma acciocché la nuova situazione del suo stato fosse riconosciuta e benedetta, promettendo obbedienza alla Santa Sede, chiedendo per sé il titolo di re e il titolo di patriarca per l'arcivescovo di Tărnovo. Le trattative cominciate nel 1200 fra Tărnovo e Roma, dopo essersi trascinate per cinque anni, si risolsero: il cardinale Leone, arrivato nel 1204, nominò il 7 novembre l'arcivescovo bulgaro primate della Bulgaria, e l'8 dello stesso mese incoronò Kalojan re (kral′), non imperatore (car′, "zar") come Kalojan desiderava. Ed è così che sorse la famosa unione con Roma, che aveva però solo un carattere gerarchico e canonico, non rituale.
Kalojan doveva ora approfittare della situazione alla quale era giunto per difendere gl'interessi dello stato e per appianare i rapporti con i vicini: soprattutto quelli con il re magiaro Emerico, che, dopo essere riuscito a rafforzare il suo potere sovrano sulla Serbia, aveva cominciato a dimostrare il suo malcontento nei riguardi del ristabilito regno bulgaro. L'inimicizia si accentuò maggiormente quando Kalojan, già al tempo delle trattative col papa, riuscì a liberare la Pomoravia scacciando i Serbi da Niš, gli Ungheresi da Belgrado e da Braničevo (1202). E, malgrado tutte le proteste di Emerico, le discussioni fra lui e Kalojan furono risolte in favore di quest'ultimo.
L'impero bizantino crollava per opera della quarta crociata. Già quando i crociati assediavano Costantinopoli, Kalojan ne aveva approfittato per liberare la Macedonia dell'ovest con le città di Prizren, Skoplje, Ochrida e Ber, nominando, al posto dei vescovi greci, vescovi bulgari, e trasferendo i Greci sospetti nella regione danubiana della Bulgaria. Ma i crociati, dopo essersi stabiliti a Costantinopoli, rigettarono la proposta di Kalojan, che pretendeva che i suoi rapporti con l'Impero latino fossero definiti più chiaramente; pretesero invece da lui, trattandolo da usurpatore e istigatore contro Bisanzio, una completa sottomissione. Cominciò pertanto una lotta accanita contro i Latini. I Greci della Tracia, offesi, maltrattati e depredati dai crociati, aiutarono Kalojan, promettendo di riconoscerlo come imperatore dei Greci. Nelle città della Tracia scoppiarono delle rivolte, accompagnate da lotte sanguinose con le guarnigioni latine; e i Bulgari non solo riuscirono a impadronirsi delle città, ma sconfissero completamente l'imperatore latino Baldovino I, facendolo prigioniero presso Adrianopoli (1205). Anche il regno latino di Salonicco, affidato a Bonifacio di Monferrato, fu devastato da Kalojan e il dominio di Bonifacio ridotto. La situazione dell'Impero latino divenne ancora più difficile, dopo il rafforzarsi dell'impero di Nicea sotto il governo di Teodoro I Lascaris (1204-1222); ma, nello stesso tempo, Nicea divenne il centro delle cospirazioni nazionali greche. Di là cominciarono le agitazioni contro il re bulgaro. Di conseguenza, i Greci abbandonarono Kalojan, parte unendosi ai Nicei e parte ai Latini. Kalojan rispose sottomettendo a crudeli trattamenti Greci e Latini, durante la sua avanzata in Tracia nel 1206; e fu chiamato allora l'"assassino dei Greci". Non piegato né dai consigli né dalle minacce del papa, Kalojan nel 1207 cominciò la guerra coi Latini. Sconfisse l'imperatore Enrico, fratello di Baldovino, e lo costrinse a ritirarsi a Costantinopoli; e, appena saputa la morte di Bonifacio, ucciso dai Bulgari nel Rodope, apparve sotto le mura di Salonicco, assediandola. Ma l'8 ottobre 1207 fu ucciso da un suo voivoda kumano.
Il successore, suo nipote Boril (1207-1218), che usurpò il trono, non aveva né lo spirito guerresco né il carattere forte dello zio; e perciò, appena egli fu salito al potere, il regno cominciò a sfasciarsi. Gravi defezioni avvennero tra i Bulgari; gli Ungheresi presero di nuovo Belgrado e Braničevo; nel combattimento presso Filippopoli (1/17 agosto 1208) Boril fu sconfitto da Enrico. Inutilmente egli cercò di continuare la guerra con i Latini: i suoi insuccessi provocarono nel paese un malcontento, che si risolse in un nuovo movimento bogomilo. Questo si sviluppò, approfittando della lotta scatenatasi tra i due partiti sorti allora: l'antidinastico (il partito di Boril) e il dinastico (il partito dei partigiani degli eredi legali del trono, i fratelli Ivan ed Alessandro, figli di Asen, rifugiatisi in Russia). Quest'ultimo partito si appoggiava ai bogomili. Boril, allora, fece perseguitare gli eretici, per fermare il movimento e salvarsi dai suoi nemici politici; convocò un concilio ecclesiastico a Tărnovo nel febbraio del 1211, che scagliò l'anatema contro i bogomili, condannandoli in parte a morte e in parte all'esilio. Ma neppure queste misure lo salvarono: il malcontento, accresciuto anche dai nuovi insuccessi contro i Latini nel 1211, crebbe sempre più, fino a provocare una grande sommossa nella regione di Vidin. La rivolta fu soffocata con l'aiuto del re d'Ungheria Andrea II (1208-1235), ma questi pretese formalmente, in compenso, la cessione delle terre già occupate dagli Ungheresi, cioè le regioni di Belgrado e di Braničevo. L'intervento straniero negli affari interni scosse ancora di più la situazione di Boril, e le agitazioni in favore dei figli di Asen lo obbligarono finalmente ad abbandonare la politica antilatina del suo predecessore. Con l'intervento del papa, Boril concluse la pace con Enrico, a cui diede in isposa sua figlia (1213). La prima conseguenza dell'alleanza latino-bulgara fu la guerra di Boril ed Enrico contro la Serbia. L'esito fu funesto agli alleati; l'alleanza con l'imperatore latino non servì a nulla a Boril, e la situazione peggiorò ancora quando Enrico, unico suo alleato ed appoggio contro i nemici esterni ed interni, morì nel 1216. Ivan e Alessandro apparvero con compagnie russe nella Bulgaria del nord e s'impadronirono di Tărnovo (1218); Boril fu fatto prigioniero, e i boiari proclamarono zar Ivan Asen.
La politica di Ivan Asen II (1218-1241) fu anzitutto politica di pacificazione all'interno e verso i vicini. Ma certi avvenimenti svoltisi nella penisola obbligarono il re a dipartirsi dalla sua linea di condotta. Nel 1222, Teodoro Comneno occupò Salonicco e fu proclamato imperatore, fatto che lo rendeva rivale dichiarato dell'imperatore di Nicea, Giovanni Duca Vatatze (1222-1254); poiché l'uno e l'altro aspiravano a scacciare i Latini da Costantinopoli e a ristabilirvi l'Impero bizantino. Teodoro, per guadagnarsi l'amicizia del re bulgaro nella lotta imminente contro Giovanni Vatatze, si alleò con lui e subito intraprese la guerra contro i Latini, giungendo fin sotto le mura di Costantinopoli. Questo successo indusse i Latini a ricorrere all'aiuto dello zar bulgaro; e proposero di fidanzare il loro imperatore minorenne, Baldovino II, alla figlia di Ivan Asen, la principessa Elena, pure minorenne, alla condizione che il sovrano bulgaro non solo prestasse loro mano, ma riacquistasse anche tutte le terre prese fino allora dall'imperatore di Salonicco. Questo legame della corte di Tărnovo con quella dei Latini rese Ivan Asen pericoloso per Teodoro Comneno; e questi decise di sbrigarsi di lui prima di assaltare Costantinopoli. Ma il suo progetto andò a vuoto: nel combattimento presso Klokotnica (9 marzo 1230), egli fu sconfitto e fatto prigioniero con tutto il suo seguito: le sue terre, da Adrianopoli fino al mare Adriatico, furono aggregate alla Bulgaria, e solo Salonicco e le regioni vicine, la Tessaglia e l'Epiro, furono lasciate al fratello di lui, Manuele, col titolo di despota, ma sotto il protettorato dello zar bulgaro, che aveva preso ora l'antico titolo dei sovrani bulgari "zar dei Bulgari e dei Greci". Nello stesso tempo Ivan Asen II fece amicizia con la città di Ragusa: i commercianti di questa città ebbero da lui certi privilegi, per cui potevano trafficare liberamente dappertutto nel suo stato (1231). Più tardi, egli riuscì pure ad avere un'influenza assai grande in Serbia, immischiandosi nelle lotte intestine serbe.
Sennonché il risultato della vittoria presso Klokotnica aveva impaurito i Latini di Costantinopoli: essi si staccarono da Ivan Asen e gli mandarono contro l'ex-re di Gerusalemme, Giovanni di Brienne, coimperatore di Costantinopoli insieme con Baldovino II, ancora minorenne. Il matrimonio politico su cui il re bulgaro contava tanto fallì; gli Ungheresi approfittarono di questo stato di cose e infransero la pace, impadronendosi infine di tutta la regione valacca occidentale (il banato di Severin nella regione dell'attuale Turnu-Severin, 1232). Ivan Asen II rispose formando una coalizione ortodossa contro l'impero cattolico. Dopo aver distrutto l'unione ecclesiastica con Roma e proclamato l'autonomia della chiesa bulgara (1235), egli si alleò con Giovanni Vatatze a Gallipoli: alleanza consolidata dalle nozze della figlia di Ivan Asen, Elena, con il figlio di Giovanni Vatatze, Teodoro, e dal riconoscimento dell'autocefalia della chiesa bulgara con il patriarca a capo. A quest'alleanza si unì poco dopo anche il desposta Manuele. Scopo dei coalizzati, era distruggere l'impero latino, scacciare i Latini dalla penisola e dividersi i territorî latini. Effettivamente, nel 1235 e 1236, gli alleati s'impadronirono di molte delle terre latine e cominciarono a mettere il blocco a Costantinopoli; ma la scomunica che il papa Gregorio IX aveva lanciata contro Ivan Asen, l'assalto del re d'Ungheria Béla IV (1235-1270), e finalmente le discordie con i Nicei al momento della ripartizione delle terre conquistate e di quelle da conquistare obbligarono Ivan Asen II da una parte a rompere l'alleanza con Nicea e dall'altra a riannodare i rapporti con i Latini e a sostenerli contro Nicea. Per evitare il pericolo ungherese, Ivan Asen II sollevò di nuovo la questione dell'unione con la chiesa romana; ma per la mancanza di sincerità nei suoi rapporti con la Santa Sede (per quanto toccava i bogomili) il suo piano fallì. Ciò nonostante, il pericolo ungherese fu evitato per l'incapacità di Béla IV a effettuare il piano impostogli dal papa; e Baldovino II, spaurito dalle orde kumane che Ivan Asen II aveva istallate alla frontiera latina, si alleò con lui contro Nicea. Ma anche la nuova lega non giovò: Ivan Asen dovette abbandonare, prima del tempo, l'assalto intrapreso contro Nicea, soprattutto perché il papa istigò più insistentemente Béla IV a intraprendere una vera crociata contro i Bulgari, ed anche perché le conquiste rapide dei Tatari minacciavano il suo stato. Perciò cambiò un'altra volta la sua politica in favore di Nicea e rinnovò la pace e alleanza con Giovanni Vatatze. Con la Serbia pure era in ottimi rapporti. Così negli ultimi anni del regno di Ivan Asen regnò la pace coi vicini.
Questa pace continuò dopo la morte di Ivan Asen II (1241); ma il suo grande stato cominciò a decadere, specialmente per la forte scossa causata, sotto il regno di suo figlio Koloman I (1241-1246), dalle invasioni dei Tatari che, di ritorno dalla Dalmazia, devastarono le terre bulgare e obbligarono i Bulgari a versare loro un tributo. S'aggiungevano vivissime lotte tra i partiti bulgari. Koloman stesso ne fu vittima: egli morì improvvisamente e al trono salì un altro figlio di Ivan Asen II, Michele Asen (1246-1256). Di questo cambiamento sul trono approfittarono l'imperatore di Nicea Giovanni Vatatze, che invase le terre al sud del Rodope fino al Vardar, scegliendosi per residenza Salonicco; e il despota dell'Epiro, Michele II, che si appropriò delle terre bulgare all'ovest del Vardar, con le città di Veles, Prilep e Ochrida. I Bulgari furono obbligati a concludere la pace con Nicea (1264). Poi fecero pace anche con gli Ungheresi: pace necessaria ai Bulgari, poiché i loro rapporti con i Serbi peggioravano. Pur tuttavia, il maggior pericolo per la Bulgaria erano sempre i Nicei. Michele Asen, dopo la morte di Giovanni Vatatze (1254), decise di riprendersi le terre bulgare toltegli. Ma la guerra con Teodoro II Lascaris (1254-1258), terminata con la pace di Reim (presso il fiume Reim, attualmente Erkene), fu quasi vana. Questi insuccessi e l'influenza del principe russo Rostislav negli affari interni della Bulgaria provocarono un malcontento generale; il re fu ucciso dal cugino Kaloman II che sposò la regina vedova, figlia di Rostislav, e si fece proclamare re. Ma quando il principe Rostislav apparve con i suoi guerrieri sotto le mura di Tărnovo per liberare la figlia dalle mani dell'usurpatore, Koloman fuggì e scomparve. Rostislav si proclamò re dei Bulgari; ma i boiari di Tărnovo insorsero contro di lui e, dopo avergli consegnato la figlia, lo obbligarono a ritornare nei suoi possedimenti.
Poiché Michele Asen II non aveva lasciato eredi, il trono dovette passare a Ivan Asen II Mico (Mizzo), genero del defunto re: ma i boiari rifiutarono di riconoscerlo, e scelsero invece Costantino (1257-1277), che governava la regione di Skoplje ed era imparentato per parte di madre con la corte serba. Il nuovo re, nel 1261, dovette sostenere un altro assalto degli Ungheresi, condotti dal giovane re Stefano, che s'impadronì delle fortezze bulgare lungo il Danubio e giunse fino al fiume Iskăr (qualche distaccamento del suo esercito arrivò fino a Tărnovo). La situazione critica fu salvata dal boiaro bulgaro Jakov Svetoslav, di origine russa, governatore della regione montuosa della Stara-Planina occidentale, che costrinse gli Ungheresi a lasciare la Bulgaria. Allora Costantino dichiarò la guerra a Bisanzio (1263). Ma i Bizantini occuparono tutta la Bulgaria del sud e si spinsero fino in Macedonia. Affatto incapace si dimostrò Costantino. Volle tuttavia ritentare ancora un colpo su Bisanzio, alleandosi con i Tatari. Ma la campagna del 1265, in cui pure Costantino giunse fino a Enos, non giovò alla Bulgaria; anzi, le città bulgare situate sulla costa del Mar Nero al sud della Stara-Planina, vennero perse per sempre, come pure le terre bulgare in Macedonia. Oltre a ciò, Stefano dalla Transilvania invase di nuovo, nel 1265, la Bulgaria e giunse fino a Plevna, costringendo Jakov Svetoslav, che si era ravvicinato al re bulgaro, a diventare un vero vassallo ungherese. Completamente rovinato per questa aggressione, Costantino non fu più in grado di rialzarsi. Morta la regina Irene (1268), l'imperatore Michele Paleologo, che voleva guadagnarsi l'amicizia dei Bulgari nell'imminenza di una guerra contro il re di Napoli Carlo I d'Angiò, propose a Costantino di sposare la figlia di sua sorella, Maria. Il re bulgaro accettò, a condizione che il Paleologo gli restituisse le città bulgare sul Mar Nero, Mesemvriia e Anchialos e ciò gli fu promesso. Ma tale condizione non fu rispettata, anche dopo la nascita del figlio di Costantino, Michele. Quindi una nuova guerra (1272), che rese alla Bulgaria non solo Mesemvrija ed Anchialos, ma anche Sozopol, Agatopol ed altre fortezze sul mare. Effimero successo: ché, minacciato da Carlo d'Angiò che con l'appoggio del papa si preparava a ristabilire l'impero latino, Michele Paleologo, per tranquillizzarsi da parte dei Bulgari, mandò contro di loro il khān tataro Nogai. Costantino si vide costretto ad abbandonare la guerra con Bisanzio, e nel 1275 perdette tutte le città ultimamente conquistate. Michele Paleologo tentò un'altra volta d'imporsi in Bulgaria, anche per mezzo della chiesa; ma il suo appello al concilio di Lione, nel 1274, che richiedeva l'annullamento del patriarcato di Tărnovo e l'unione della chiesa bulgara all'arcivescovato di Ochrida, allora in mano dei Bizantini, rimase senza risposta. Il progetto dell'unione della chiesa d'Oriente con la chiesa d'Occidente ebbe la stessa sorte.
La Bulgaria tornava ad essere in preda a disordini interni. Approfittando della salute poco buona del re, la regina Maria s'impadronì del trono facendo incoronare il figlio Michele ancora minorenne; per consolidare il potere nelle mani del figlio, essa fece scomparire le più alte personalità a lei avverse. La sua prima vittima fu il despota Jakov Svetoslav, ch'essa fece perfidamente uccidere (1275); poi molti altri boiari. Ma la tirannia della regina Maria e le facili invasioni dei Tatari che, sotto l'istigazione del Paleologo, non smettevano di depredare i confini nord-est della Bulgaria, causarono nel paese un forte malcontento, che a poco a poco si mutò in sommossa. A capo degli scontenti era un eroico pastore, Ivajlo, che, respinti i Tatari con le folle aggruppatesi intorno a lui si diresse verso Tărnovo. Costantino si oppose, ma fu sconfitto ed ucciso; Ivajlo fu proclamato re dal popolo nel 1277.
Ancora una volta, Michele Paleologo approfittò della guerra civile dei suoi vicini: scoprî un altro pretendente al trono bulgaro, il figlio di Mico, Ivan, e, dopo avergli fatto sposare la figlia, lo mandò a capo d'un esercito bizantino per conquistarsi il trono. Dinnanzi a questo pericolo, la regina Maria cercò di avvicinarsi ad Ivajlo, che prese Tărnovo, vi entrò come re e sposò la regina stessa. Nel 1278, Ivajlo respinse bravamente tutte le aggressioni dei Tatari e dei Bizantini, ma fu incapace di lottare contro i boiari nemici suoi e guadagnati, specie i più notevoli, da Michele Paleologo alla causa di Ivan Mico. La città di Tărnovo si pose contro il re e contro la regina Maria; e quando, nel 1279, il re si trovava in guerra contro i Tatari, sparsasi la voce della sua morte, gli abitanti aprirono le porte a Ivan Mico proclamandolo re sotto il nome di Ivan Asen III (1279-1280). Ma il nuovo re si mostrò senza carattere e il potere passò di fatto nelle mani dei boiari, fra i quali risaltò in modo speciale Giorgio Terter, di origine kumana. Ivajlo, riuscito a raccogliere un nuovo esercito, apparve, inaspettato, dinanzi a Tărnovo; respinse i tentativi intrapresi dall'esercito bizantino mandato a difendere il nuovo re, sì che questi dovette lasciare la capitale bulgara e rifugiarsi a Costantinopoli. Ma nemmeno dopo la fuga del re i boiari lasciavano Ivajlo entrare a Tărnovo; diedero invece il potere a GiorgioTerter, che fu proclamato re (1280) dopo la morte d'Ivajlo, ucciso dalla orda tatara di Nogai.
Giorgio Terter (1280-1291) adottò una politica antibizantina ed entrò in trattative d'alleanza con Carlo d'Angiò; ma quando i Tatari, inviati da Michele Paleologo, si riversarono nuovamente sulla Bulgaria, Terter non fu in grado di opporre loro resistenza e si vide costretto a concludere la pace con il successore di Michele VIII, Andronico II (1282-1328). Contemporaneamente, il re bulgaro diede sua figlia Anna in moglie al re serbo Uroš II Milutin (1284). Ma né la pace con Bisanzio, né la parentela con la corte serba salvarono la Bulgaria dai Tatari. Nel 1285, il khān Nogai mandò 10.000 uomini per sottomettere la Bulgaria; per salvare il trono e per evitare l'assalto, Giorgio Terter fu obbligato a riconoscersi vassallo tataro e a dare la propria figlia in isposa al figlio di Nogai, Čaka. Questa impotenza del re bulgaro causò lo sfasciamento dello stato. Parecchi voivodi governatori di regioni si staccarono dal regno e divennero autonomi: nella regione di Braničevo i due fratelli Dărman e Kudělin; in quella di Bdin (ora Vidin), Ivan Šišman; in quella di Krăn (presso l'attuale Kazanlik) il fratello di Terter, Eltimir; in quella della Srednja Gora e al sud, lungo il fiume Topolnica, i 3 fratelli boiari: Smilec, Radoslav, Voisil. Rimasto solo, Giorgio Terter non fu in grado d'intraprendere una lotta contro il khān Nogai, che nel 1292 invase di nuovo la Bulgaria. Quindi abbandonò lo stato e andò a rifugiarsi presso Andronico II. Nogai entrò a Tărnovo e fece proclamare re Smilec (1292-1298), che riconobbe il potere del khān tataro e divenne suo vassallo, benché avesse per moglie la nipote dell'imperatore di Bisanzio. Nulla si sa del regno di lui: egli visse in pace con i vicini e morì alla fine del 1298, senza lasciare eredi. Alla sua morte, i boiari non si decisero a scegliere un nuovo re senza il consenso del khān Nogai; dopo la morte di Nogai e la distruzione del suo stato (1299), suo figlio Čaka pretese il trono bulgaro come figlio di Nogai e genero di Terter. Sulla fine del 1299 fu proclamato re a Tărnovo, ma dopo poco il cognato Svetoslav, che l'aveva introdotto in Bulgaria, lo detronizzò, lo fece decapitare e ne prese il trono.
Così aveva fine la dominazione tatara in Bulgaria; e il nuovo re, Teodoro Svetoslav (1301-1321), volse lo sguardo verso Bisanzio. Andronico II continuava ad immischiarsi negli affari interni della Bulgaria, incoraggiando diversi pretendenti al trono bulgaro. Svetoslav seppe tuttavia risolvere le difficoltà; e più tardi, approfittando della situazione critica dell'Impero, dovuta ai successi rapidi dei Turchi Ottomani in Asia Minore, e alla politica folle dell'imperatore verso l'esercito catalano, intraprese nel 1305 un'offensiva contro Bisanzio, impadronendosi di parecchie fortezze a sud dei Balcani orientali e giungendo presso Adrianopoli. La guerra, durata dal 1306 al 1307, non sempre con successo, si chiuse con la pace di Sozopol nel 1308: secondo essa, tutte le conquiste di Svetoslav diventavano proprietà sua ed Andronico II acconsentiva a dare la nipote, Teodora, al re bulgaro (il matrimonio ebbe luogo però solo nel 1320). Il patto fu rispettato fino alla morte del re Svetoslav; ed egli poté mantenere buoni rapporti anche con i Serbi. Per tal modo, dal 1308 al 1321, Svetoslav poté consacrarsi esclusivamente alle attività interme, in special modo al miglioramento economico dello stato, sforzandosi di mantenere i rapporti commerciali con i Veneziani ed i Genovesi che dominavano il commercio sul mar Nero. Da ultimo s'immischiò nella lotta tra il nonno ed il nipote (Andronico II e Andronico III) a Bisanzio, in favore del vecchio imperatore, che decise invano di liberare dal nipote. Poco dopo morì (1321), lasciando il trono all'unico figlio Giorgio.
Giorgio Terter II (1321-1323) ereditò dal padre il carattere bellicoso, ma non seguì la sua politica verso Bisanzio. Quando nel 1322 ricominciò la lotta fra nonno e nipote, il re bulgaro invase il territorio bizantino, impossessandosi di varie fortezze sulla frontiera e della città di Filippopoli, avanzando verso Adrianopoli. Ma qui fu sconfitto da Andronico nipote. Nel 1323 improvvisamente morì senza eredi. La sua morte mise fine alla dinastia dei Terter e fu causa di un interregno, di cui approfittarono tutte le città comprese fra Mesemvrija e Slivno per staccarsi dalla Bulgaria e unirsi volontariamente a Bisanzio. Nello stesso tempo, da Costantinopoli fu inviato governatore in questa regione Voisil, fratello del re Smilec, che poco dopo aggiunse ai dominî bizantini il territorio all'ovest di Slivno fino al Kopsis: divenne così padrone di tutta la regione sud-balcanica, come feudatario dell'imperatore bizantino, sotto il nome di "despota dei Mesî". Filippopoli rimase in mani bulgare, ma anch'essa fu assediata; e durante l'assedio Voisil, incoraggiato da Andronico nipote, valicò i Balcani, dirigendosi verso Tǎrnovo, con lo scopo di entrarvi e d'impadronirsi del trono bulgaro. I boiari avevano già scelto per re il principe Michele, figlio di Šišman principe di Bdin, che fu proclamato re a Tărnovo nel 1324. Intraprendente e molto audace, il nuovo re regnò dal 1324 al 1330, sotto il nome di Michele III Šišman; e fu il primo della dinastia bulgara dei Šišman. Soppresso immediatamente il rivale Voisil, unì le terre di lui e la regione della Srednja Gora allo stato bulgaro; poi s'inoltrò in Tracia. Andronico il nipote si alleò con i Bulgari. Il patto non fu rispettato; ma salito al trono costantinopolitano Andronico III (1328-1341), l'alleanza contro la Serbia fu di nuovo pattuita.
Sennonché, senza aspettare l'arrivo dell'esercito bizantino promesso, nell'estate del 1330 Michele III intraprese un'avanzata contro i Serbi, i quali, condotti da Stefano Dečanski e dal figlio di lui Stefano Dušan, assalirono all'improvviso l'esercito bulgaro (28 giugno 1330), lo distrussero presso Velbužd (attuale Kjustendil) e uccisero il re. I boiari contrattarono la pace, acconsentendo di affidare il trono alla prima moglie di Michele III, divorziata e scacciata, la principessa serba Anna, con i figli minorenni, Ivan Stefano e Šišman. Quando Andronico III conobbe la catastrofe presso Velbužd, interruppe l'avanzata e fece ritorno a Bisanzio, approfittando della situazione critica della Bulgaria per impossessarsi di alcune fortezze lungo la frontiera bulgara del sud. ll regno della regina Anna e di suo figlio Ivan Stefano (1330-1331) fu breve: in seguito a una rivoluzione salì sul trono bulgaro il figlio della sorella di Michele III, Ivan Aleksander (1331-1371), che volle subito riprendere le città prese da Andronico III. Repressa, con l'aiuto dei Tatari, una ribellione scoppiata nella parte occidentale della Bulgaria, Aleksander continuò la guerra contro Bisanzio, alla quale mise fine la pace di Russocastro (1332). Per essa, tutte le città della penisola occupate dall'imperatore furono rese alla Bulgaria, e il re bulgaro, da parte sua, s'impegnava a restituire i prigionieri bizantini senza riscatto. Aleksander rimase in rapporti pacifici con Bisanzio fino alla morte d'Andronico III (1341), epoca in cui i rapporti fra i due stati si alterarono di nuovo.
Delle nuove guerre intestine nell'impero fra i partigiani di Giovanni V Paleologo e di Giovanni VI Cantacuzeno, profittò Ivan Alexander per farsi cedere tutte le fortezze sul pendio nord del Rodope e Filippopoli. Il Paleologo ebbe dalla sua il famoso eroe bulgaro del Rodope, il voivoda (capo) Momčil, che, raccolti tutti i banditi del Rodope, servendo or l'uno or l'altro partito, riuscì a diventare despota e padrone autonomo della regione al sud del Rodope: sinché fu sconfitto e ucciso dal Cantacuzeno presso le fortezze di Peritheorion (vicino all'attuale Burughiol sul Mediterraneo), nel 1345. Per le sue gesta e per essersi, primo, opposto ai Turchi, Momčil diventò l'eroe favorito dei Bulgari e dei Serbi.
Ormai, infatti, il pericolo imminente per i Bulgari era costituito dai Turchi Ottomani, che cominciarono l'assalto nel 1350. Nel 1352, alcune migliaia di guerrieri serbi e bulgari mandati dal Dušan e da Aleksander furono sconfitti presso Dimotika; la Bulgaria fu di nuovo devastata nel 1354. I Turchi diventavano un pericolo permanente, fortificati com'erano sulla riva nord del Mar di Marmara in seguito alla presa di Gallipoli. E da questo momento la Bulgaria del sud diventò lo scopo principale dei loro assalti: nella guerra intrapresa contro di loro, re Aleksander perse i suoi due figli Ivan e Michele (1355). La morte di Stefano Dušan isolò e indebolì ancor più lo stato bulgaro, già depresso dallo sfacelo interno. Lo spirito separatistico dilagò: verso la metà del sec. XIV una parte della costa del Mar Nero, con centro a Karbona (Balčik), formò un principato autonomo, allargato ancora verso la fine del 1350 al sud fino al monte Emon (ora Emine), al nord fino alla foce del Danubio. All'inizio, questo principe era vassallo del re di Tărnovo, ma internamente autonomo. Il re Ivan Aleksander stesso, dopo la morte dell'erede Michele nel 1355, si vide costretto, per ragioni di famiglia, a staccare dal regno Vidin e dintorni, per darlo al figlio Ivan Sracimir col titolo di re; poi, quando lo stato di Stefano Dušan si sfasciò, dalle terre bulgare in Macedonia sorsero il regno di Prilep e il principato di Velbužd. L' unità del regno sussisteva ancora formalmente nella persona del re Ivan Alexander; ma le conseguenze di questa divisione dello stato non tardarono a farsi sentire.
Benché, dopo la morte di suo figlio Michele, Ivan Aleksander avesse rinnovato i legami di parentela con la corte di Bisanzio fidanzando una delle sue figlie con il figlio di Giovanni Paleologo e avesse stretto alleanza con Bisanzio contro i Turchi (1355), verso la fine del 1364 un nuovo conflitto sorse fra i due stati alleati. Giovanni Paleologo non rispettò le condizioni imposte dal trattato del 1355: egli non venne in aiuto ai Bulgari quando i Turchi, dopo la pace di Adrianopoli (1363), s'impossessarono di Boruj (Stara Zagora) e in seguito di Filippopoli, nel 1364. Di qui un avvicinamento fra il re bulgaro e il sultano turco Murād I. E quando, nel 1365, il re d'Ungheria Luigi I d'Angiò (1342-1382) s'impossessò di Vidin, unendo le sue terre allo stato d'Ungheria sotto il nome di "banato bulgaro", mandandovi molti missionarî cattolici che convertirono per forza il popolo al cattolicesimo, sorse un nuovo contrasto con Bisanzio. Giovanni Paleologo, nel 1365, chiese l'aiuto di Luigi d'Angiò e lo ebbe; ritornando a Costantinopoli voleva attraversare la Bulgaria entrando da Vidin; ma i Bulgari glielo impedirono. Su invito del papa, parente del Paleologo, il conte Amedeo VI di Savoia intraprese allora una crociata contro i Turchi e contro i Bulgari scismatici (1366-1367). La flotta dei crociati depredò la costa bulgara del Mar Nero, conquistando le città sul mare, esclusa Varna, e costrinse Ivan Aleksander ad accettare la pace, secondo la quale non solo egli lasciava rientrare il Paleologo a Costantinopoli attraverso la Bulgaria, ma cedeva pure le città sul Mar Nero: Sozopol, Anchialos e Mesemvrija. Il re bulgaro si volse allora verso Vidin, che con l'aiuto del voivoda valacco Vladislav (1364-1374) riprese nel 1369, stabilendovi il regno di Vidin: ma poco dopo morì, il 17 febbraio 1371, lasciando il regno in preda ai disordini interni e agli ostacoli esterni.
Il suo successore Ivan Šišman (1371-1391) dovette lottare in primo luogo per assicurarsi il trono; poi, dopo l'esito disastroso della guerra dei Serbi contro i Turchi nel 1371 e dopo la sottomissione dei capi serbi ai Turchi (1374), per evitare l'assalto imminente dei Turchi decise di seguire l'esempio degli altri sovrani balcanici. Si sottomise così volontariamente al sultano Murād I (1359-1388), diventando suo vassallo, e come conferma di questo atto diede sua sorella Maria in isposa al sultano (1375). Tranquillizzato dalla parte dei Turchi, Ivan Šišman riuscì, a quanto pare, a riconquistare Sofia, toltagli dal fratello Sracimir nel 1379; ma la discordia tra i due fratelli servì ai Turchi, che nel 1382 s'impadronirono di Sofia per inganno, dopo essere stati più volte respinti dai Bulgari. Le battaglie nelle regioni di Sofia e di Samokov rimasero famose; ed oggi ancora ne è vivo il ricordo nei canti popolari. La presa di Sofia da parte dei Turchi impressionò fortemente i sovrani slavi, che s'unirono in coalizione: ad essa prese parte Ivan Šišman, senza però dichiararsi ufficialmente contro il sultano. Gli alleati riportarono nel 1387 una vittoria brillante presso Pločanik, che ravvivò le speranze dei popoli cristiani dei Balcani. Ma nel 1388 Murād I intraprese una grande guerra contro la coalizione, attaccando o depredando la Bulgaria. Ivan Šišman si difese tenacemente; alla fine dovette cedere e presentarsi con la sua famiglia all'accampamento del sultano, presso Jambol, per domandargli grazia. La Bulgaria divenne una provincia dell'impero turco. Sracimir pure, nello stesso anno, riconobbe il potere turco. Così, nel 1388, la potenza della Bulgaria fu scossa; e si preparò la sua rapida caduta, che venne subito dopo la battaglia di Kosovo, nel 1389.
La distruzione definitiva del regno bulgaro fu però effettuata solo da Bāyezīd I, dopo ch'egli aveva già soggiogato il voivoda valacco Mircea, conquistato Salonicco (1391) e concluso la pace con l'imperatore Manuele II Paleologo. Col pretesto che delle trattative segrete si ordivano fra le corti ungherese e bulgara, nell'estate del 1393 Bāyezīd I inviò un grande esercito che valicò i Balcani e apparve dinanzi a Tărnovo. Ivan Šišman era assente dalla capitale; ma, nonostante ciò, Tărnovo resistette tre mesi all'assedio e non si arrese che per tradimento (17 luglio 1393). La città e i dintorni furono depredati: le famiglie più ricche e più note di Tǎrnovo furono sterminate e il patriarca Eufemio, scampato miracolosamente alla morte, fu rinchiuso in un monastero presso Stanimaka.
In seguito Ivan Šišman fu fatto prigioniero da Bāyezīd I e mandato in carcere a Filippopoli, ove fu ucciso il 3 luglio del 1395. Fu preso pure il figlio maggiore del re, Alessandro che per paura della morte abbracciò la fede musulmana e ricevette in appannaggio la città di Samsūn nell'Asia Minore; il figlio minore dell'ucciso re, Vladislav, riuscì a fuggire in Ungheria. Il popolo bulgaro perse con la sua indipendenza politica anche quella ecclesiastica; il patriarca Eufemio era esiliato, e alla sua morte verso il 1402, il patriarcato di Tărnovo venne annullato. Allora il patriarca di Costantinopoli mandò a Tărnovo un metropolita speciale. Caduta Tăruvo, anche le terre bulgare orientali, Dobrugia e Silistria, furono sottomesse. Il voivoda valacco Mircea tentò di estendere i suoi possessi nella Bulgaria, appena sottomessa, e di recuperare la sua indipendenza: ma fu disfatto nella battaglia presso Rovini (l'odierna Rovinari) il 10 ottobre 1394 e si salvò rifugiandosi presso gli Ungheresi. Il suo dominio al sud del Danubio venne quindi distrutto.
Dell'immenso ex-regno bulgaro non rimaneva più che una parte sola, ora in rapporti di vassallaggio col sultano: il regno di Vidin, in cui regnava Ivan Sracimir. Questi fece di tutto per rimanere in buoni rapporti con Bāyezīd I; ma in seguito alla sconfitta del re d'Ungheria Sigismondo presso Nicopoli, nel settembre del 1396, egli, che aveva partecipato alla lotta, fu preso e mandato prigioniero a Brussa, ove morì. Il tentativo fatto dal figlio suo Costantino, nel 1405, di ristabilire il regno del padre fu vano: così la Bulgaria passava tutta sotto il dominio turco.
Il dominio turco dal sec. XV al XIX. - Sulla Bulgaria, sottoposta amministrativamente al Beglerbey della Rumelia (che comprendeva allora tutta la penisola balcanica, eccetto la Bosnia), residente a Sofia, e suddivisa nei 5 sangiaccati di Sofia, Nicopoli, Vidin, Silistria e Kjustendil, cominciava così il dominio turco, destinato a durare per circa cinque secoli. E fu l'età certo più infausta per il popolo bulgaro: soprattutto perché esso fu, in tal modo, staccato quasi completamente dalla civiltà dell'Europa centro-occidentale, di cui non poté avvertire il benefico influsso, proprio quando quella civiltà si faceva più ricca, più complessa, più alta. Non che propriamente i rapporti con le nazioni europee mancassero totalmente. Se non altro, una qualche eco della civiltà occidentale giungeva attraverso i Ragusei, grandi monopolizzatori del commercio balcanico nei secoli XVI-XVIII; e attraverso le relazioni tra i cattolici di Bulgaria e Roma, che divennero assai più intense nella seconda metà del sec. XVII. Né mancarono tentativi di far penetrare le idee della Rifomma nella Bulgaria, con l'introduzione di libri stampati nell'alfabeto cirillico: come tentò di fare Hans von Ungnad, fra il 1561 e il 1564. Ma si trattava sempre di rapporti sporadici, mentre la vita complessiva del paese risentiva sempre più dell'influsso turco-orientale. Il giogo dei dominatori era pesante; e se per un certo periodo, dalla fine del sec. XV, le relazioni fra conquistati e conquistatori migliorarono, poi, dalla fine del sec. XVI, tomarono a peggiorare rapidamente e gravemente, col peggioramento del governo interno dello stato ottomano.
Primo effetto della conquista fu la difficile situazione dei Bulgari cristiani. Parte notevole della popolazione si convertì all'Islam: il che si comprende, ove si pensi che, seppure i cristiani mantenevano il diritto al loro culto, alle loro chiese, ecc., in realtà lo strato privilegiato della popolazione era formato dai musulmani. Ma a parte anche questo, successe che la chiesa bulgara perdette rapidamente il suo carattere nazionale, per divenir feudo dell'elemento greco, invadentissimo. Sottoposta la chiesa di Tărnovo al patriarcato di Costantinopoli sin dal 1394, le dignità ecclesiastiche passarono nelle mani dei Greci; e poiché le cattedre episcopali si compravano con danaro, la moralità dell'alto clero non era certo edificante. Inoltre, i Greci svolgevano opera accanita contro la chiesa nazionale, difesa nel suo spirito soltanto dal basso clero; e la loro azione divenne pericolosissima specialmente nella seconda metà del secolo XVIII, in seguito al movimento di rinascita nazionalistica promosso dai fanarioti (v.) di Costantinopoli. Nel 1767 venne soppresso l'arcivescovado di Ochrida, ultimo resto della chiesa nazionale; seguirono poi la soppressione della lingua slava nella liturgia e l'introduzione di quella greca. Molti allora, per non soggiacere all'influsso greco, passarono al cattolicismo, la cui attività era in risveglio già dal 1650 e si manifestava con la fondazione di chiese e di scuole da cui uscirono molti che in seguito si recarono a completare la loro istruzione in Italia (a Loreto). Centro dei cattolici era la cittadina di Čiprovec.
Dai dominatori i cristiani furono generalmente sottoposti a carichi finanziarî particolari e gravosi. C'era infatti il kharaǵ, imposta che colpiva annualmente, per la somma di un ducato, ogni cristiano maggiore di 14 anni. Di più, varie altre imposte, donativi per i pascià e i sangiacchi; e infine - tassa di particolare natura - il prelevamento quinquennale di ragazzi tra i 10 e i 12 anni per il corpo dei giannizzeri, prelevamento a cui solo le città potevano sottrarsi, mediante pagamento di somme in denaro. Tutto ciò senza contare le angherie, i soprusi di cui i cristiani erano vittime; specialmente quando le truppe turche passassero o alloggiassero nei loro villaggi. Il ratto di ragazze cristiane, per esempio, era avvenimento quasi consuetudinario. I Bulgari cristiani erano insomma un gregge senza diritti, erano i raya, legati alla terra, sottoposti ai signori turchi. Niuna meraviglia, quindi, che da una popolazione così oppressa uscissero quegli hajdutin o hajduki, briganti patrioti, che combattevano i musulmani cercando di aiutare la popolazione cristiana. Centro delle loro scorrerie erano le regioni montuose, come la Stara-Planina e il Rodope.
Di una condizione assai migliore godevano tuttavia alcuni cristiani bulgari: coloro cioè che in tempo di guerra avevano compiuti i servizî di rifornimento, preparate trincee, costruite strade, ecc., oppure, in tempo di pace, lavorati i terreni o condotti al pascolo i cavalli del sultano, e che in cambio ricevevano terre dal sultano e l'esenzione dai tributi, salvo la bastina per la terra paterna ereditata. Formavano essi interi villaggi militari nella regione sotto i Balcani. Altri privilegiati erano i derbengi, che custodivano i valichi montani, i martolosi, che difendevano i confini. Migliore ancora, s'intende, la condizione di quelli tra i Bulgari che avevano abbracciato la religione dei dominatori. Ad essi, infatti, erano aperte le vie per giungere anche alle alte cariche nell'amministrazione statale: tipico il caso del bulgaro Mehmed, di umilissima origine, condotto schiavo a Costantinopoli, divenuto barbiere del sultano e poi a grado a grado salito sino all'ufficio di gran visir.
Economicamente, il traffico era monopolizzato dai Ragusei. Ve ne erano grossi nuclei ad Adrianopoli, a Filippopoli, a Sofia, nelle città sulla costa del mar Nero, in Macedonia. I loro rapporti col sultano erano amichevoli sin dal 1365: in cambio del pagamento annuo di 12.500 ducati veneziani, essi godevano di ampia libertà e nelle città stesse e nei traffici fra le varie città, tanto che parecchi tra gli ortodossi, convertiti al cattolicesimo, entravano nelle file dei Ragusei per goderne i privilegi. La grande via di comunicazione andava da Costantinopoli a Belgrado, con diramazione a Sofia per Kjustendil, Skoplje e Prizren fino ad Alessio, con altra diramazione a Niš per Ragusa; e nelle principali città v'erano appositi fondaci.
Sfuggiva così ai nazionali il commercio; i Turchi nemmeno se ne interessavano. Si preoccuparono essi invece di colonizzare la Bulgaria settentrionale e quella meridionale (nella parte occidentale si limitarono soprattutto ad occupare le città): ma tanto più gravi ne divennero le condizioni dei Bulgari, costretti più volte ad abbandonare le città e i luoghi fertili, per nascondersi nelle montagne. Alla nobiltà bulgara, annientata, si sostituirono signori turchi: gli spahii, che ricevevano dal sultano in temporaneo possesso parti di territorio, i cosiddetti spahileci (distinti in maggiori o siyāmet, e minori o timār). Negli spahileci la popolazione bulgara era legata alla terra; e quando essi si cambiarono poi in ciflik ereditarî, si ebbe la vera e propria servitù della gleba. Sistemi quindi che non potevano certo contribuire a un rifiorire della vita economica.
Contro un tale dominio, per lungo periodo pienissimo e saldo, non mancarono - come s'è già accennato - proteste e rivolte. Già nel 1598, ad opera di Ragusei alleati con Sigismondo Báthory, scoppia una ribellione, subito repressa, che ha per centro Tărnovo. Poi, fra la fine del sec. XVII e la prima metà del XVIII, le speranze dei cristiani di Bulgaria - come di tutta la penisola Balcanica - si appuntano sull'Austria, lanciata alla controffensiva contro i Turchi. Alle speranze non corrispose veramente l'effettivo esito delle guerre: ma intanto nuclei di coloni bulgari emigravano verso regioni austriache, fossero esse la Valacchia austriaca o il Banato o la Transilvania. Con la seconda metà del sec. XVIII raccoglie su di sé le aspirazioni e le speranze dei Bulgari cristiani la Russia di Caterina la Grande. Ma le paci di Sistova (Svištov, 1791) e di Iaşi (1792) ponevano fine alle guerre austro-russe contro la Turchia, senza che neppure questa volta venisse la liberazione. Vennero invece miserie, devastazioni, stragi. E come se queste non bastassero, subito dopo cominciò per le popolazioni bulgare l'era dei krdžalij. Erano, questi, briganti di varia nazionalità, Turchi, Tatari, Albanesi, Bosniaci, Bulgari, militarmente organizzati in bande numerose e agguerrite, guidati da capi abili ed esperti di guerra. Dal 1792 al 1804, desolarono le terre bulgare, specie sul Rodope, devastando villaggi, conducendo schiave le donne, attaccando persino le città: così Koprivčica, che fu distrutta. Furono anni di desolazione e di terrore; e i krdžalij scomparvero solo dopo parecchi anni di lotta contro la Porta.
Fra stragi e devastazioni s'era così aperto il sec. XIX. E se pure si riaffacciavano le mire degli stati europei sui Balcani (a Tilsit, Napoleone e Alessandro I s'erano messi d'accordo sulla spartizione dell'Impero ottomano, riservandosi l'imperatore russo, oltre ad altre terre, anche la Bulgaria), veramente la condizione dei Bulgari s'era fatta miserrima, dopo quattro secoli di dominio turco. Impressionante anche il fatto dell'ellenizzazione progressiva dei ceti alti della popolazione. Promossa, favorita dalla chiesa venuta in mano dei fanarioti, la cultura greca dominava; la lingua greca era divenuta usuale nei rapporti epistolari, nelle chiese, negli studî. Col rifiorire degli studî in Grecia, nella seconda metà del sec. XVIII, l'influsso sulla Bulgaria si accresceva; e minacciava così di annullare la coscienza nazionale del popolo bulgaro.
Ma ecco i segni del rifiorire dell'anima bulgara. Già nel 1762, il monaco Paisij scriveva una piccola Istorija slaveno-bălgarskaja, in cui vibrava un'entusiastica coscienza nazionale: l'opera (continuata dal padre Stojko Vladislavov) ebbe larghissima risonanza nei paesi bulgari, sì da segnare l'inizio del risorgimento morale della nazione. A rinforzare il quale contribuirono efficacemente le vicende generali in cui l'Impero ottomano e la Bulgaria furono coinvolti. La guerra russo-turca del 1806-1812, aggiudicando ai Russi la Bessarabia, li porta ancor più vicino agli ortodossi dei Balcani. e durante la guerra scoppiano sommosse, allo scopo di affrettare la liberazione con l'aiuto delle armi russe. Giorgio Stoikov Mamarčov, nel 1810, promuove la rivolta. Si aggiunge l'opera degli emigrati bulgari, in massima mercanti, che dall'estero, riprendono il contatto fra i Bulgari e la civiltà europea, proprio allora tutta pervasa dalle idee di nazionalità e di libertà, e ravvivano la coscienza nazionale dei loro compatriotti. Si aggiungono gli studî di stranieri: del russo Venelin, per esempio, incaricato dall'Accademia di Pietroburgo di visitare la Moldavia, la Valacchia, la Bulgaria, di raccogliere documenti e di pubblicare una grammatica bulgara. La quale non vide mai la luce; ma uscirono per le stampe i canti popolari bulgari. L'opera di Venelin esercita profondo influsso: per esempio, su Vasil Eustatiev Aprilov, fondatore delle nuove scuole per il popolo a indirizzo europeo e, con ciò, uno dei più efficaci artefici del risorgimento bulgaro. La prima scuola fu quella di Gabrovo (1835): dieci anni dopo, nel 1845, ve n'erano già 53. Apparve anche la prima rivista bulgara e s'iniziava il risorgimento della coscienza nazionale bulgara, limitato, s'intende, a circoli ristretti; veniva dopo il risorgimento politico e morale di Serbi e Greci e manteneva ancora un carattere quasi esclusivamente letterario. Ma era tuttavia risorgimento della coscienza nazionale.
Storia dal 1850 in poi. - Tanto le rivoluzioni dell'Europa nel 1848, quanto la guerra di Crimea (1854-1855), non ebbero una ripercussione speciale fra i Bulgari. Le piccole insurrezioni bulgare degli anni 1851, 1862, 1867 furono suscitate dalle agitazioni degli altri popoli balcanici. Nel 1867 il ministro serbo Garasanin fece il primo tentativo di avvicinamento fra i due popoli vicini ed affini con l'idea di una confederazione serbo-bulgara. Per effetto di questi esempî altrui, i Bulgari iniziarono, dopo la guerra di Crimea, la lotta per emanciparsi dall'influenza del clero greco, e nel 1860 minacciarono di unirsi alla chiesa latina e di riconoscere l'autorità del papa. La lotta durò tre lustri e finì nel 1872 con la concessione, fatta dai Turchi anche per calcolo politico, di una chiesa bulgara autonoma con a capo un vescovo, che assunse il titolo di esarca. Con l'istituzione dell'Esarcato anche la nazione bulgara acquistò coscienza dei suoi diritti. L'occasione per farli valere fu offerta dall'insurrezione dei Serbi della Bosnia-Erzegovina, negli anni 1875-1876. Anche i Bulgari si sollevarono in più luoghi con l'intenzione evidente di scacciare i Turchi; ma questa loro ribellione, forse ritenuta più pericolosa delle altre, fu repressa dai Turchi con tanta ferocia da richiamare subito l'attenzione dell'Europa su queste atrocità. Per iniziativa dell'Inghilterra fu riunita a Costantinopoli una conferenza, in cui fu proposta l'istituzione di due provincie autonome bulgare, di Tărnovo e di Sofia, con governato1i cristiani. La Turchia vi si oppose.
La liberazione dei Bulgari fu uno dei pretesti cercati dalla Russia per iniziare la guerra (russo-turca) del 1877-78, che fu la prima a cui la nazione bulgara partecipò, non ancora indipendente. Se non si fosse opposta l'Inghilterra, la Russia sarebbe entrata trionfante a Costantinopoli e si sarebbe valsa del popolo bulgaro per le proprie mire di espansione verso il Mediterraneo. Per prevenire un intervento inglese, la Russia firmò con la Turchia il trattato di Santo Stefano (3 marzo 1878), in cui fu istituito, tra l'altro, un principato autonomo di Bulgaria, tributario della Sublime Porta, ma retto da un principe eletto dal popolo e confermato dal sultano. Il nuovo principato, comprendente tutto il territorio fra il Danubio e l'Egeo, cioè la Bulgaria propriamente detta, la Rumelia e la Macedonia, sarebbe stato presidiato provvisoriamente da un esercito russo e quindi da milizie locali. Il Congresso di Berlino (13 giugno 1878) distrusse immediatamente anche questo episodio russo-bulgaro dei grandi sogni panslavi, poiché il nuovo principato, autonomo ma tributario, di Bulgaria fu ristretto fino ai monti Balcani, mentre del territorio a mezzogiorno fu formata una provincia autonoma dell'Impero turco, denominata Rumelia orientale, e la Macedonia continuò ad essere turca senza limitazione. La diplomazia europea impose i suoi interessi, ma non poté distruggere il fatto che la "Grande Bulgaria" era risorta, dopo quasi cinque secoli, per opera dei Russi. Il popolo bulgaro aveva ormai nel trattato di Santo Stefano una base recente di aspirazioni nazionali e di rivendicazioni politiche, che costituirono, e costituiscono ancora, la meta della sua politica estera.
Il 10 febbraio 1879 si riunì a Tărnovo la prima assemblea nazionale (Sobranje) del principato di Bulgaria; fu aperta dal principe russo Dondukov-Korsakov; votò la Costituzione liberale, ed elesse (16 febbraio) per acclamazione il principe tedesco Alessandro di Battenberg, nipote dell'imperatrice di Russia e gradito allo zar. Alessandro esitò ad accettare, ma cedette per consiglio di Bismarck. Andato subito in Bulgaria, giurò la Costituzione il 9 luglio e trasportò la capitale a Sofia, centro geografico della Grande Bulgaria ideale. Il nuovo Sobranje fu subito agitato da due correnti, quella dei liberali, russofili, panslavisti, avversarî del trattato di Berlino, che avevano la maggioranza e perciò facevano una viva agitazione panbulgara, e quella dei conservatori, che accettavano il fatto compiuto del distacco della Rumelia. Vedendo il suo principato agitato dai contrasti fra i Bulgari e gli ufficiali e funzionarî russi, incaricati di organiżzare il nuovo stato, Alessandro di Battenberg cercò un po' alla volta di emanciparsi dalla tutela della Russia. Perciò il 9 gennaio 1881, chiamò al governo, con un colpo di stato, un ministero conservatore e ottenne l'autorizzazione di regnare per sette anni senza costituzione, ponendosi in urto con lo zar Alessandro III, che lo tacciò d'ingratitudine e di ribellione. Per prevenire le vendette dei Russi, ripristinò (19 settembre 1883) la vecchia costituzione liberale, detta di Tărnovo; ma un anno dopo affidò il Governo a un ministero radicale, presieduto da Stambulov, uomo d'azione audace, inflessibile, russofobo. Questa politica instabile avrebbe potuto riuscire dannosa al principe e alla Bulgaria se non fosse invece scoppiata nel 1885 la rivoluzione rumeliota. Nel settembre la Rumelia si sollevò, incoraggiata da Alessandro di Battenberg, ma contrariamente ai consigli russi, e proclamò la sua unione con la Bulgaria. Nel momento di agire, il principe di Battenberg esitò; lo zar richiamò tutti gli ufficiali russi. Milan Obrenović di Serbia, suscitato dall'Austria e forse anche dalla Russia, dichiarò subito (13 novembre 1885) la guerra "in nome dell'equilibrio politico dei Balcani". I Bulgari erano impreparati; ma senza. perdersi d'animo affidando i posti di comando a ufficiali giovanissimi, affrontarono l'avversario e lo sconfissero a Slivnica e Pirot (22 e 28 novembre). Questa guerra, detta "dei dieci giorni", fu chiusa per volere dell'Austria, contraria all'ingrandimento di qualsiasi stato nei Balcani, con la pace di Bucarest (3 marzo 1886). La Serbia, che aveva aggredito ed era stata sconfitta, non perdette nulla. La Bulgaria, che per difendersi aveva fatto grandi sacrifici, non guadagnò se non la sanzione da parte dell'Europa dell'unione con la Rumelia.
L'emancipazione bulgara irritò lo zar e i panslavisti russi, che congiurarono contro il principe di Battenberg. Nella notte del 21 agosto 1886 egli fu aggredito nel suo palazzo, costretto ad abdicare e trasportato in Russia; ma poco dopo tornò in Bulgaria e vi fu accolto trionfalmente. Titubante sempre, Alessandro, per ingraziarsi lo zar, chiese il suo consenso. Questo fu rifiutato, e allora egli abbandonò la Bulgaria per sempre. Stambulov formò una reggenza. Il 7 novembre 1886 il governo russo ruppe ogni relazione con la Bulgaria e combatté la candidatura del principe Valdemaro di Danimarca. Il 25 giugno 1887 il Sobranje elesse principe Ferdinando di Sassonia Coburgo-Gotha, nipote di Luigi Filippo re di Francia. Ferdinando, che era allora ufficiale dell'esercito austro-ungarico, con un atto di audacia andò subito a Sofia, vi fu accolto con entusiasmo, e nominò Stambulov presidente del Consiglio. L'elezione dí Ferdinando, molto contrastata, specialmente dalla Russia e dalla Turchia, fu ratificata mercé l'intervento italiano. Ferdinando, uomo intelligente e amante degli studî, ambizioso ed aristocratico di modi e di sentimenti, non comprese il popolo semplice e primitivo, che la sorte gli aveva assegnato, e non fu compreso. Tuttavia, il lungo suo regno fu un periodo di lavoro e di progresso interno e di prestigio all'estero, specialmente nella penisola balcanica, turbato però dalle continue lotte fra russofili e tedescofili.
Nel 1893 incominciarono serie agitazioni nella Macedonia. Questa provincia, nella quale i Bulgari formavano la maggioranza in confronto agli Aromuni, agli Albanesi, ai Greci, e ai Serbi, era divenuta per la Turchia la più importante, ma anche la più difficile a governare. Al Congresso di Berlino la Turchia si era impegnata a introdurvi riforme radicali, e invece aveva intensificato le persecuzioni. I Bulgari cercarono di difendersi, creando nel 1893 la "organizzazione rivoluzionaria macedone interna" e nel 1894 la cosiddetta "organizzazione esterna"; tuttavia, il numero dei Macedoni profughi ed emigrati in Bulgaria, andò sempre crescendo, fino a raggiungere in quell'epoca la cifra di 150.000 persone.
Nel 1894 Ferdinando ritenne di aver acquistato tanta pratica del paese e degli uomini da poter far cessare il regime eccezionale di Stambulov. Approfittando di uno scandalo privato, ne accettò le dimissioni e poco dopo (15 luglio 1895) una mano assassina tolse dalla scena il più tipico esponente della razza bulgara. La morte di Stambulov iniziò un periodo di pacificazione all'interno e all'estero. Nel 1896 Ferdinando si recò a Pietroburgo per assistere all'incoronazione dello zar. Nel medesimo anno stipulò un trattato di commercio con la Serbia. Poi ottenne dal sultano due firmani, che lo investirono del potere in Bulgaria e in Rumelia.
Ferdinando aveva inaugurato migliori rapporti con la Russia; ma questo orientamento russofilo era soltanto apparente, poiché nell'intimo dell'animo suo egli era rimasto tedesco e austrofilo, tanto è vero che nel 1898 stipulò con l'Austria un accordo segreto, rimasto effettivamente ignorato per parecchi anni. Questa politica fu condivisa dalla maggioranza del popolo bulgaro che, dopo la caduta del principe di Battenberg e dopo gl'insegnamenti di Stambulov, cessò di essere russofilo ad ogni costo. Tuttavia, per non turbare la tradizione, i Bulgari stipularono nel 1902 un trattato segreto russo-bulgaro; però pensarono in primo luogo alla loro reintegrazione nazionale e quindi, negli anni che seguirono, rivolsero l'attenzione alla Macedonia. Il 20 luglio 1903 scoppiò nella Macedonia e nella Tracia quella violenta insurrezione conosciuta col nome di Ilinden (giorno di S. Elena), che mise in moto la diplomazia e l'opinione pubblica europee e fu l'inizio del periodo della gendarmeria internazionale in Macedonia (1904-1908). Nel 1905 comparvero i comitagi; la Macedonia, contesa ora ai Bulgari dai Serbi, dai Greci e talvolta anche dagli Aromuni, soffrì le stragi maggiori. I Bulgari approfittarono di questo stato di cose per proclamare la loro indipendenza. Il 5 ottobre 1908 Ferdinando assunse il titolo di zar.
Nel 1909 il ministro Malinov, col concorso del ministro russo a Belgrado Hartwig, iniziò le trattative col ministro serbo Milovanović sulla spartizione della Macedonia tra Bulgari e Serbi. La Bulgaria, dominata dalla persona di Ferdinando, aveva intanto raggiunto un tale grado di ordine, di progresso e di forza da diventare la prima potenza militare dei Balcani. La coscienza di questa supremazia, rafforzata da una meravigliosa intuizione del momento critico che attraversava la Turchia, indusse i Bulgari a mettersi a capo di quella fortunata Lega balcanica del 1912, che in poco tempo ridusse i Turchi alle porte di Costantinopoli (v. balcaniche, guerre). Nelle trattative i Bulgari s'erano dovuti rassegnare a cedere l'alta Macedonia ai Serbi: in compenso sperarono di guadagnare nella Tracia, verso Salonicco e verso Costantinopoli. Perciò, forse, il governo bulgaro, nel trattato di alleanza coi Serbi (29 febbraio), specificò esattamente le rivendicazioni territoriali, ma evitò invece, nel trattato di alleanza difensiva coi Greci (16 maggio), di parlare delle questioni territoriali riguardanti la Tracia e la Macedonia. Nella guerra, che, secondo le previsioni degli alleati, Bulgari, Serbi, Greci e Montenegrini, avrebbe dovuto essere di breve durata, i Bulgari dimostrarono di essere i migliori soldati dei Balcani. La grande, sanguinosa vittoria di Lüle Burgaz sembrò aprir loro la strada verso Costantinopoli, che era la meta delle aspirazioni nazionali: invece si arrestarono a Ciatalgia, né si sa ancora se per ragioni militari o politiche. I Bulgari si videro ancora una volta amaramente delusi. Avevano sostenuto i sacrifici maggiori, mobilitando 300.000 uomini, quasi quanto tutti i tre altri alleati insieme, avevano affrontato e debellato il grosso dell'esercito nemico; eppure nel primo bilancio della guerra il maggior bottino territoriale cadeva nelle mani degli altri. La diplomazia aveva negato loro Costantinopoli; gli alleati serbi e greci s'erano spartiti la Macedonia, altra costante aspirazione bulgara: i Serbi s'erano insediati a Skoplje e a Monastir, i Greci a Salonicco, e vi si comportavano da padroni definitivi, dichiarando anzi che nessuno avrebbe potuto scacciarli. Intanto, per effetto della superiorità militare, le simpatie delle grandi potenze erano per i Bulgari, e perfino l'Austria, che in un primo tempo aveva aiutato la Turchia, ora, vedendo che la Serbia stava per prendere il sopravvento nelle cose balcaniche, si atteggiò a protettrice della Bulgaria. Nella conferenza, convocata a Londra il 12 dicembre 1912 si svolse un aspro duello diplomatico fra l'Austria e la Russia, la quale ultima minacciava, ma non pensava a muoversi, mentre l'Austria pareva pronta ad agire. I consigli di Vienna a re Ferdinando finirono col prevalere; i Bulgari ruppero gl'indugi delle lunghe trattative di Londra, e, denunciato l'armistizio, ricominciarono le ostilità (3 febbraio 1913). Questa ripresa della guerra balcanica fu fiacca; i Bulgari non avevano altro obiettivo che la conquista di Adrianopoli, la quale capitolò il 26 marzo 1913; ma il suo difensore volle rimettere la spada nelle mani di un generale serbo. Dopo altre operazioni negli altri scacchieri, fu stipulato un primo armistizio il 15 maggio; indi furono riprese le discussioni a Londra, e finalmente il 30 maggio fu firmato dai delegati degli alleati balcanici e della Turchia il trattato di Londra, che nel suo secondo articolo stabilì il confine bulgaro-turco alla linea Enos-Midia. I vincitori balcanici dovevano però ancora accordarsi sulla spartizione del bottino nella Macedonia e nella Tracia.
I Bulgari, dominati sempre dell'idea d'una Grande Bulgaria, avrebbero voluto avere alcuni porti sull'Egeo, per lo meno Dedeagač e Cavalla, e unire i loro confini occidentali con quelli dell'Albania: pretendevano quindi anche Monastir e Ochrida. Ciò suscitò le gelosie dei Serbi e dei Greci. Pašić, che s'era inteso tacitamente con Venizelos per sventare il sogno di egemonia bulgara nella Macedonia, chiese la revisione del trattato, che era molto preciso e prevedeva in questo caso l'arbitrato dello zar. Ma tanto i Serbi quanto i Bulgari diffidavano dello zar, e temevano che la sua decisione riuscisse favorevole all'avversario.
La questione era tanto complicata che, essendo esclusa ormai qualsiasi possibilità di arbitrato o di accordo, l'unica soluzione era quella delle armi. Trascinati dal loro coraggio e da un'eccessiva fiducia in sé stessi, i Bulgari prestarono fede a una dichiarazione dell'Austria, che cioè mai avrebbe permesso la distruzione della Bulgaria, e credendosi sostenuti da questa parte, assunsero un tono bellicoso, chiedendo "la Grande Bulgaria a mezzo della guerra". Ma quando, commettendo un errore politico e militare, assalirono per primi gli eserciti serbo e greco, ebbero ad avvedersi che l'opinione pubblica dell'Europa non era ad essi favorevole. Malgrado alcuni successi militari iniziali, furono sopraffatti dall'attacco concentrico serbo-greco-romeno, e costretti alla pace di Bucarest (10 agosto 1913), nella quale la Bulgaria, sebbene fosse sostenuta diplomaticamente dall'Austria e dalla Russia, dovette rassegnarsi a vedere spartita la parte maggiore della Macedonia tra i Serbi e i Greci, e contentarsi della piccola vallata di Strumica e di un altro tratto tra la Marizza e il Mesta, a perdere nella Dobrugia il quadrilatero di Silistria e a lasciare, più tardi, Adrianopoli nelle mani della Turchia. L'acquisto di un breve tratto di costa dell'Egeo, col solo porto imperfetto di Dedeagač, non valse certamente a compensare i Bulgari di questo secondo crollo doloroso delle loro aspirazioni nazionali.
La dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia fece stare la Bulgaria indecisa per lungo tempo. Il posto assegnatole dalla storia era nel campo antiserbo; d'altra parte, doveva aver riguardo al contegno della Grecia. Siccome per questa il casus foederis con la Serbia si sarebbe presentato solamente nel caso in cui la Bulgaria avesse mobilitato, l'Austria-Ungheria suggerì alla Bulgaria di tenersi neutrale. In questo senso deve essere intesa la mobilitazione parziale bulgara del 23 settembre 1914. Fra la Bulgaria e l'Austria esisteva il trattato segreto del 1898; fra la Bulgaria e la Turchia era stato anche stipulato un accordo offensivo e difensivo. La Bulgaria avrebbe, è vero, protetto il fianco sinistro del suo nemico secolare; però, non potendo sperare di avere Costantinopoli, le conveniva che i Dardanelli non cambiassero padrone. Il 17 luglio 1915 la Bulgaria conchiuse un trattato di alleanza con la Germania, che le promise la Tracia occidentale (Cavalla e Seres), la parte meridionale della Macedonia (Florina e Monastir) e l'Albania. Il 4 settembre 1915 ebbe luogo nel castello reale di Sofia un tragico colloquio fra re Ferdinando e Stamboliski, capo del nuovo partito agrario. Stamboliski si oppose con tutte le sue energie all'intenzione del re di entrare in guerra a fianco delle potenze centrali. Fu processato e condannato al carcere a vita. Il 10 settembre la Bulgaria mobilitò altre classi. Il 21 fu pubblicato un trattato bulgaro-turco, per cui i nuovi confini della Bulgaria sarebbero stati portati fino alla riva destra della Marizza. Siccome le aspirazioni nazionali bulgare avevano per oggetto tre regioni: la Tracia, la Macedonia (serba e greca) e la Dobrugia, il gruppo delle potenze centrali aveva assicurato alla Bulgaria tutto, meno la piccola parte della Dobrugia. Il 22 settembre la Bulgaria ultimò la sua mobilitazione. A generalissimo fu nominato il generale Jakov, a capo di Stato maggiore il generale Savov: tutti due però furono messi a disposizione del generale germanico Mackensen, che assunse il comando in capo della prossima offensiva austro-tedesco-bulgara. Il 6 ottobre la Bulgaria diresse alla Serbia un ultimatum per la Macedonia; il 12 ottobre dichiarò la guerra; il 14 ottobre iniziò l'offensiva. 400.000 Bulgari attaccarono i Serbi alle spalle sulla linea Niš-Skoplje; il 13 ottobre i Bulgari erano già a Prilep. Il 16 ottobre Inghilterra e Francia dichiararono la guerra alla Bulgaria; il 19 subentrò lo stato di guerra anche fra l'Italia e la Bulgaria. Il 25 ottobre le truppe bulgare entrarono a Skoplje; tre giorni dopo avvenne il collegamento tra l'esercito austro-tedesco e quello bulgaro. Nella primavera del 1916 i Bulgari occupavano tutta la Macedonia orientale. Nell'ottobre di quell'anno il presidente dei ministri Radoslavov poté rilevare che la Bulgaria aveva raggiunto i suoi confini, dal Mar Nero all'Albania, dal Danubio all'Egeo.
Nel 1917 e nella prima metà del 1918 i Bulgari continuarono nella guerra di posizione, iniziata nell'anno precedente. Questo sistema di lotta finì per deprimere l'animo dell'esercito. Gli avvenimenti politici generali, come la pace separata con la Russia a Brest-Litovsk e quella, pure separata, con la Romania a Bucarest, nonché alcuni avvenimenti politici e militari locali balcanici, sui quali non è stata fatta ancora una luce completa, produssero una rivoluzione negli animi del popolo e dell'esercito bulgaro. Radoslavov, germanofilo, fu fatto cadere il 19 giugno 1918. Approfittando di questi mutamenti, l'Intesa deliberò di tentare un'operazione decisiva: lo sfondamento del fronte germano-bulgaro nella Macedonia. L'offensiva fu scatenata su Dobropolie, punto di congiungimento dei due eserciti: il fronte fu rotto; l'ala destra capitolò, quella sinistra ripiegò in Bulgaria. Il 22 settembre tutto il fronte di 150 km. fra Monastir e Doiran era in ritirata. Re Ferdinando fu costretto a chiedere un armistizio (27 settembre) che fu firmato due giorni dopo a Salonicco. Il 4 ottobre re Ferdinando abdicò in favore del figlio ventiquattrenne, che salì al trono come Boris III, e si ritirò a vita privata in Germania.
La rivoluzione liberò Stamboliski dal carcere. Al principio del 1919 gli effetti depressivi della sconfitta favorirono gli elementi demagogici a impadronirsi del potere. Stamboliski, autodidatta, imbevuto di idee sociali ultraumanitarie, divenne il capo del nuovo indirizzo politico socialistoide-bolscevizzante. Per tale effetto egli poté figurare come delegato della Bulgaria alla Conferenza della pace e firmare, il 27 novembre 1919, il trattato di Neuilly, che ribadì nuove mutilazioni territoriali della Bulgaria, sconfitta, ancora una volta, più diplomaticamente che militarmente. Per effetto della pace di Neuilly la Bulgaria dovette restituire alla Grecia la Tracia orientale col porto di Dedeagač, alla Romania il quadrilatero della Dobrugia, alla Serbia, trasformata in regno dei Serbi-Croati-Sloveni, 2473 kmq. con 162 villaggi e 90.000 abitanti, concentrati nei luoghi maggiori di Caribrod, Strumica e Bosiljgrad. Queste cessioni furono volute da Pašić per ragioni puramente strategiche, contro le regole della geografia, della storia, dell'etnografia. La più dolorosa perdita fu quella di Caribrod, che domina la via su Sofia. In dipendenza al trattato di Neuilly, la Bulgaria dovette accettare anche due convenzioni, una con la Iugoslavia e l'altra con la Grecia, sullo scambio delle popolazioni, scambio però che i governi successivi cercarono di sventare.
Il 28 marzo 1920 Alessandro Stamboliski divenne presidente del consiglio. Nella sua testa turbinavano idee nuove di iugoslavismo, di panslavismo, di comunismo. Egli mantenne buone relazioni con Mosca e con Belgrado, a prezzo però della dignità e degli interessi bulgari. I tre anni del governo di Stamboliski furono assai tristi per la Bulgaria. Nell'aprile 1920 la Conferenza di S. Remo assegnò la Tracia alla Grecia; nell'agosto il trattato di Sèvres regolò il confine turco-bulgaro, sempre senza riguardo alle aspirazioni bulgare. Ma la reazione maggiore a questo indirizzo politico personale di Stamboliski partì dai Macedoni. Per avvicinarsi ai Serbi, Stamboliski aveva messo a tacere le pretese sulla Macedonia. In compenso Pašić mostrò di voler favorire le aspirazioni bulgare a uno sbocco all'Egeo. I nazionalisti, di qua e di là dal confine, rialzarono la testa, si riorganizzarono, e per effetto di un colpo di mano macedone Stamboliski fu assassinato il 9 giugno 1923, insieme con molti altri ministri e uomini politici suoi aderenti. I rapporti col regno dei S.C.S. divennero, naturalmente, assai tesi. Le redini del governo furono riprese dagli elementi d'ordine che si unirono in un blocco politico, detto Demokratičeski Zgovor (Intesa democratica). Questa intesa democratica, in cui primeggiavano gli elementi macedoni come i presidenti del consiglio Cankov e Lapčev, prese la direzione delle sorti della Bulgaria. Nel 1925 i seguaci di Stamboliski fecero un nuovo tentativo rivoluzionario, che però non ebbe successo. A questo piccolo trambusto seguì un miglioramento della situazione interna e una diminuzione di tensione nei rapporti con Belgrado. Il ministero dell'Intesa democratica iniziò una politica di raccoglimento, cauta e circospetta. Cercò di guadagnarsi la fiducia morale e l'aiuto finanziario dell'estero; e infatti, nell'ottobre 1925, quando la Grecia, in seguito all'incidente di confine di Petrič, invase il territorio bulgaro, la Società delle Nazioni regolò il conflitto condannando la Grecia a pagare un'indennità.
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Lingua.
La lingua bulgara è parlata in una regione che può essere circoscritta dai confini seguenti: a nord dal Danubio dalle foci del Timok a Silistra e di qui a Tulcea e al Mar Nero; a oriente dallo stesso Mar Nero fin circa a Midia; di qui da una linea ideale che si protende fino ad Adrianopoli e serpeggia poi verso occidente tenendosi a circa una sessantina di chilometri dalla costa (ma in qualche punto raggiungendola, in qualche altro allontanandosi un centinaio di km.) fino a Seres per poi scendere a Salonicco. Da Salonicco la linea di confine prosegue fino a Kastoria, poi volge a nord fino nelle vicinanze di Prizren (seguendo i confini dell'albanese già tracciati alla voce albania: Lingua) e quindi s'incurva verso oriente fin circa a Tetovo per poi spingersi verso nord e raggiungere le foci del Timok. Ma tale confine non è assoluto: p. es. in Dobrugia, al nord della linea Silistra-Mar Nero, vivono molti Bulgari mescolati a Romeni, Turchi, Tatari, ecc., e vi sono numerose colonie bulgare anche nella Bessarabia meridionale, nella Valacchia (anche nei dintorni di Bucarest), nella Russia meridionale e nel Banato.
Il bulgaro è una lingua slava, e fa parte, insieme col serbocroato e lo sloveno, del ramo slavo-meridionale che si distingue per alcune particolarità fonetiche (palatalizzazione limitata, mutamento, dei gruppi tort, tolt in trat, tlat e di tert, telt in trět, tlět, ecc.). Le caratteristiche per cui il bulgaro si distingue dalle altre lingue slave meridionali sono le seguenti: 1. la posposizione dell'articolo p. es. nož "coltello", noz-ăt "il coltello"; voda "acqua", voda-ta "l'acqua"; selo "villaggio", selo-to "il villaggio", ecc. Quantunque la posposizione dei pronomi determinativi si trovi sporadicamente nel paleoslavo (p. es. rabot traduce il greco ὁ δοῦλος ἐκεῖνος) e specialmente nei testi che hanno un maggior colorito bulgaro (Clemente di Ochrida, Giovanni Esarca, ecc.), e ricorra anche in qualche dialetto russo, è notevole la concordanza del fenomeno della posposizione dell'articolo nelle tre lingue balcaniche: bulgara, albanese e romena (v. balcanica, regione: Lingue; V, pp. 921-22); 2. la perdita della declinazione e la sua sostituzione con costrutti preposizionali, p. es. peroto "la penna", gen. na peroto "della penna", ecc.; 3. le riduzioni *ki̯, kt′ > št e *di̯ > žd p. es. protosl. *světi̯ā "luce", svešta; *vidi̯o" viždam "io vedo". Parimenti nošt > indoeur. *noktis "notte".
Le altre particolarità addotte da taluni autori come caratteristiche del bulgaro hanno meno valore, essendo o meno nitide o territorialmente più estese; così p. es. la sostituzione dell'infinito nelle proposizioni dipendenti oggettive con da e l'indicativo, i riflessi delle vocali nasali protoslave (protosl. ï > . paleosl. â > bulg. ă, a; protosl. é > paleosl. é > bulg. e) e il cosiddetto scambio delle nasali (ï ~ é). Anche il fenomeno sintattico del rafforzamento della forma tonica dell'accusativo e dativo dei pronomi personali con la forma atona (p. es. mene me máma ne dáva "mia madre non mi dà", ecc.) ha riscontro in altre lingue balcaniche.
La divisione dialettale del bulgaro moderno è tuttora soggetta a discussioni. In generale è accettata dalla maggioranza dei linguisti una bipartizione dei dialetti bulgari in "bulgaro orientale" e "bulgaro occidentale" in base al diverso trattamento della vocale protoslava ě: 1. nel bulgaro occidentale ě si riduce sempre a e apertissima; 2. nel bulgaro orientale ě si riduce ad a, ä nelle sillabe toniche (e dinanzi a consonanti palatali), presentando una varietà, che è certamente quella più vicina all'antico bulgaro. La linea di demarcazione fra bulgaro orientale e occidentale può esser segnata, grosso modo, da una linea ideale che da Nicopoli sul Danubio va fino a Salonicco (per maggiori particolari, cfr. Miletič, Das Ostbulgarische, p. 7).
A sua volta, anche ammettendo la bipartizione, il dialetto orientale conta parecchie suddivisioni interne. Prendendo per base una caratteristica morfologica e precisamente la forma dell'articolo determinativo posposto, che al gen. sing. è -ăt in alcune regioni e -o in alcune altre, si ottiene: 1. un sub-dialetto sud-orientale (o più brevemente "dialetto -ăt") che abbraccia la zona montuosa dei Balcani, la Tracia fino al Mare Egeo; 2. un sub-dialetto nord-orientale (o più brevemente "dialetto -o"), che è parlato nella zona pianeggiante dal Mar Nero all'Iskăr. Tuttavia una linea di demarcazione netta non si può stabilire, perché in Bulgaria avvengono spesso trasposizioni di interi villaggi da una regione ad un'altra. Così p. es. nella Dobrugia (ora romena) i più antichi coloni Bulgari (i cosiddetti Grebenci) parlano un dialetto sud-orientale, molto affine a quello del Rodope che, a sua volta, si stacca dai parlari circostanti. Ma le difficoltà maggiori nella delimitazione del dominio bulgaro vengono nella sezione occidentale. In Macedonia e nella Serbia meridionale, oggi politicamente iugoslava, si parlano dialetti slavi che i linguisti bulgari e la maggioranza dei linguisti stranieri riconoscono come dialetti bulgari, ma che i linguisti iugoslavi difendono accanitamente come dialetti serbi. In generale questi dialetti, fino al confne albanese a occidente e fino a Skoplje a settentrione, hanno un carattere prevalentemente bulgaro (esistenza del determinativo posposto in funzione di articolo, dileguo della declinazione, presenza di št 〈 *ti, ékt′ e di žd 〈 *di̯, ecc), però verso il lago di Ochrida si cominciano a trovare anche delle caratteristiche serbe (p. es. k′ g′ [o addirittura ć, ß] 〈 ti̯, kt′, di̯); nei dialetti di Tetovo, Kara-dag (a nord di Skoplje), Kumanovo, Kratovo e Kriva Palanka si ha u 〈 protosl. ï come in serbo (e non a, ä, od ă). Secondo qualche linguista bulgaro anche i dialetti della Morava sarebbero bulgari, ma le caratteristiche militano piuttosto per il serbo. Anche se non intervenissero ragioni politiche e pretese di rivendicazioni territoriali a turbare la serenità scientifica nella discussione del carattere delle parlate macedoni, sarebbe sempre oltremodo difficile segnare un limite esatto fra serbo e bulgaro, giacché il passaggio fra le due lingue avviene insensibilmente attraverso una serie di varietà dialettali.
Nella storia della lingua bulgara si possono distinguere nettamente tre periodi:1. il periodo antico-bulgaro o paleoslavo, che va dal sec. IX al sec. XI; 2. il periodo medio-bulgaro, che va dal sec. XII al sec. XV e si caratterizza per la progressiva semplificazione della declinazione, per alcune evoluzioni fonetiche, sintattiche e per innovazioni lessicali; 3. il periodo neo-bulgaro, che va dal sec. XVI ai giorni nostri e che si caratterizza per la presenza di quei fenomeni che sono stati indicati più sopra come peculiari del bulgaro.
Spetta a V. Jagić (Zur Entstehungsgeschichte der kirchenslavischen Sprache, Vienna 1900; 2ª ed., Berlino 1913) il merito di aver dimostrato scientificamente in modo inconfutabile che la lingua dei più antichi monumenti letterarî slavi, che si suol chiamare paleoslavo, altro non è se non un dialetto bulgaro dei dintorni di Salonicco. In questo modo la storia della lingua bulgara viene a connettersi intimamente con quella della lingua paleoslava, o, per essere più esatti, la storia del paleoslavo non è che un capitolo della storia del bulgaro (v. paleoslavo).
Dopo i celebri documenti paleo-bulgari (paleoslavi), in caratteri glagolitici e cirillici, abbiamo moltissimi (oltre 500) monumenti del medio bulgaro, la cui classificazione presenta serie difficoltà.
Le principali fonti per la storia del neo-bulgaro nei secoli XVII e XVIII sono i cosiddetti Damaskini, raccolte di prediche e discorsi conservate in varie redazioni, due cronografie del Seicento, rispettivamente del pope Metodio Draginov e del pope Pietro, e il noto libro della leggenda di Abagar stampato nel 1651, opera del vescovo cattolico Filippo Stanislavov. Con la Istorija slavenobolgarskaja di Paisij di Chilendar comincia la letteratura bulgara propriamente detta, per cui v. il relativo capitolo.
Dal punto di vista lessicale il bulgaro presenta notevole interesse. Sapendo che i progenitori dei Bulgari erano una popolazione turca che parlava un dialetto assai affine a quello degli odierni Ciuvasci (specialmente notevole per i fenomeni fonetici z > r e s > l) e che ha lasciato molte tracce nella lingua ungherese, una delle questioni che si presentano spontanee alla mente del glottologo è quella di vedere se i Bulgari, pur essendosi completamente slavizzati, non abbiano conservato elementi altaici (protobulgari) nella loro lingua. La questione è stata trattata da ultimo dal Mladenov, God. Sof. Univ., XVII (1921), 201-287 (e in francese Rev. Ét. Sl., I, 253), secondo il quale nel bulgaro moderno si conservano solo 11 parole del protobulgaro (altaicolo) e un suffisso (-čii). Ma anche questo risultato non è sicuro, perché per alcune delle parole sopra citate si può pensare ad altra origine (per parecchie al turco osmanli).
Fra gl'influssi stranieri subiti dal bulgaro noteremo in primo luogo quello turco, che ha dato al bulgaro alcuni suffissi (p. es. -če > tur. -ča; -lj 〈 tur. -li; lek 〈 tur. -lïk, ecc.) e una quantità di parole come: aba, afion, agăl, alaj, amanet, araba, anterija, ecc. Il greco ha avuto un influsso notevolissimo sul paleoslavo, giacché le traduzioni dei testi ecclesiastici venivano fatte dal greco; ma anche nel neobulgaro, specialmente nelle zone meridionali, si riscontra un influsso neoellenico. Elementi latini, resti della romanità balcanica tramandati anche ai Bulgari, esistono, sebbene in numero scarsissimo; accanto a questi si trovano in bulgaro invece numerose voci romanze, specialmente italiane e romene. Le voci italiane giungono soprattutto per il tramite del greco-moderno e del serbo. Vi sono inoltre nel bulgaro alcune parole albanesi (p. es. vatra).
Non si deve peraltro credere che il bulgaro abbia solamente assimilato elementi stranieri senza, a sua volta, cederne. Il paleoslavo e il medio-bulgaro hanno avuto un'influenza considerevolissima sul romeno, sul neoellenico, sull'ungherese, ecc. Come lingua della chiesa (paleoslavo) e delle cancellerie (mediobulgaro) il bulgaro aveva sufficiente prestigio per imporsi; il neobulgaro si è infiltrato invece solamente nelle lingue dei popoli immediatamente finitimi (v. albania: Lingua; grecia: Lingua; romania: Lingua; ungheria: Lingua).
Lo studio del bulgaro è cominciato assai tardi. Lo slavista cèco Dobrovský non sapeva separare il bulgaro dal serbo e fu solo Bartolomeo Kopitar che comprese l'importanza del bulgaro e indusse il grande filologo serbo Vuk Karadžić a raccogliere la lingua parlata dai Bulgari in un libretto (Dodatak, Vienna 1822) che ancor oggi conserva il suo valore. Da allora la lingua bulgara fu studiata sistematicamente dagli slavisti stranieri e bulgari. La produzione filologica intorno al bulgaro e le pubblicazioni per la conoscenza dei dialetti bulgari sono a un livello per lo meno uguale di quello delle altre lingue slave.
Bibl.: St. Mladenov, Geschichte der bulgarischen Sprache, Berlino-Lipsia 1929 (cfr. C. Tagliavini, in Studi Rumeni, IV, p. 186 segg.); B. Conev, istorija na bălgarski ezik (Storia della lingua bulgara), Sofia 1919; Kalina, Studyja nad historyă jézyka bulgarskiego (Studî intorno alla storia della lingua bulgara), Cracovia 1891; Lavrov, Obzor zvukovych i formalnych osobennostei bolgarskago jazyka (Rassegna delle particolarità fonetiche e morfologiche della lingua bulgara), Mosca 1893; Oblak, Einige Kapitel aus der bulgarischen Grammatik, in Arch. f. slav. Phil., XVII; id., Prinos kâm bâlgarskata gramatika (Contributo alla grammatica bulgara), in Sbornik za nar. umot., XI, 1894. - Grammatiche pratiche: K. Cankov, Grammatik der bulgarischen Sprache, Vienna 1852; S. Weigand, Bulgarische Grammatik, 2ª ed., Lipsia 1917, e per gl'Italiani: G. Nurigian, Grammatica bulgara, Sofia 1929. - Dizionarî: Gerov, Rečnik na blăgarskyj jazyk, Filippopoli 1895-1904 (voll. 5 e un suppl.; tutto in bulgaro con la traduzione in russo); G. Weigand (bulg.-ted. e ted.-bulg., Lipsia, 2ª ed. 1924); G. Nurigian (ital.-bulg., Lipsia 1922 e bulg.-ital., Sofia 1928). - Per la delimitazione del bulgaro: Niederle, Obozrenie sovremennago slavjanstva (Rassegna del mondo slavo contemporaneo), in Enciklopedija slav. Filol., II, Pietroburgo 1909. - Per i problemi particolari: Lj. Miletič, Članat v bălgarskija i v ruskija ezik; in Sborn. za nar. umot., XVIII, 1901; K. H. Meyer, Der Untergang der Deklination im Bulgarischen, Heidelberg 1920 (ma cfr. Kulbakin, Slavia, I, pp. 127-133; Miletic, Arch. Sl. Phil., XXIX, p. 267 segg.). - Per i dialetti: M. Mazdrakova, Bibliografičen prěgled na obnarodvanitě materiali i izsledvanija po bilgarskata dialektologija (Rassegna bibliografica dei materiali pubblicati e delle ricerche di dialettologia bulgara); Lj. Miletič, Das Ostbulgarische, Vienna 1903; id., Die Rhodopemundarten der bulg. Sprache, Vienna 1912. Per i dial. della Macedonia: Oblak, Macedonische Studien, in Sitzungsber. d. Ak., Phil.-Hist. Kl., CXXXIV, Vienna 1896; Seliščev, Očerki po makedonskoj dialetologii (Saggi di dialettologia macedone), Kazan′ 1918; Mazon, Contes slaves de la Macédoine sud-occidentale, Parigi 1923; A. Belić, Dialekti istočne i južne Srbije (I dialetti della Serbia orientale e occidentale), Belgrado 1905; Mladenov, K voprosu o granice meždu bolgarskim i serbskim jazykom (Sulla questione del confine tra la lingua bulgara e serba), in Russkij filol. Vestnik, LXXII (1914). - Per i Protobulgari: N. I. Asmarin, Bolgary i Čuvaši, Kazan′ 1902; G. Németh, A honfoglaló magyarság kialakulása, Budapest 1930. Per gli elementi stranieri: Romansky, Lehnwörter lateinischen Ursprungs im Bulgarischen, in Jahresbericht d. Inst. f. rum. Sprache, XV, Lipsia 1910; Scheludko, Lateinische und rumänische Elemente im Bulgarischen, in Balkanarchiv, III; Conev, Ezikovni vraimnosti meždu Bălgari i Romăni (Rapporti linguistici tra i Bulgari e i Rumeni), Sofia 1921; Capidan, Řaporturi slavo-române, in Dacoromania, III, pp. 129-238); Mladenow, Prinos kăm izučvane na bălgarskoalbanskitě ezikovi otnošenija, Sofia 1928.
Alfabeto.
I bulgari usao l'alfabeto cirillico (v.), nella forma seguente:
Letteratura.
Le origini e la letteratura antica. - La letteratura bulgara è ad un tempo la più antica e la più giovane delle letterature slave. La più antica, se si tiene conto dei suoi primi monumenti scritti, che risalgono al tempo dell'adozione della scrittura slava (v. cirillici, caratteri e glagolitici, caratteri), che nella sua prima origine segue di poco la conversione del re Boris (865) e la slavizzazione dei protobulgari; la più giovane, se si ha riguardo all'inizio d'un vero e proprio movimento letterario continuativo, con contenuto e finalità d'arte, inizio che non cade più in là della metà del secolo scorso. I secoli che precedettero si possono in sostanza considerare, nei riguardi della letteratura, piuttosto secoli di preistoria che non di vera storia letteraria.
Durante questo lungo periodo tutta la produzione letteraria scritta che ci offre il popolo bulgaro si riassume in una serie di traduzioni e adattamenti dal greco di Sacre Scritture, testi liturgici, vite di santi; compilazioni di lettere apologetiche, prediche, sermoni, e alcune aride cronache. Tale è lo stato della letteratura in Bulgaria anche nei tempi del. massimo splendore politico dell'Impero bulgaro durante il cosiddetto "secolo d'oro" dello zar Simeone (sec. X), strenuo difensore non solo della potenza materiale e militare del suo popolo, ma anche dei suoi valori morali e spirituali.
Dei rappresentanti di questa letteratura i pochi nomi che ancora si ricordano, fra quelli degli scrittori a lor tempo saliti a maggior fama, sono, oltre ai nomi di Cirillo e Metodio e del loro discepolo Clemente: il vescovo Costantino, autore fra l'altro del primo tentativo poetico vetero-bulgaro (l'Azbučna Molitva, Preghiera alfabetica, nel Poučitelno Evangelie, Vangelo moralizzato); lo zar Simeone, compilatore egli stesso di varie raccolte di contenuto religioso e vario; Giovanni l'Esarca, autore di compilazioni filosofico teologiche, traduzioni e discorsi; Černorizec Hrabăr, apologista della letteratura nazionale; il presbitero Kozma, predicatore, patriota, fustigatore dei difetti nazionali, awersario accanito, come un secolo dopo il metropolita Ilarion Măglenski, del bogomilismo; e pochi altri. Ma invano si cercherebbe un contenuto d'arte negli scritti di tutti costoro; sola, parziale eccezione si possono forse considerare gli apocrifi, i quali, rielaborando senza nome d'autore e in forma popolare argomenti di storia e leggenda prevalentemente religiosi, tratti per lo più da testi bizantini, si sollevano non di rado a un livello più alto che non la maggior parte delle altre produzioni scritte del tempo.
La potenza e l'indipendenza politica dello stato non bastano neppur nei momenti di maggiore affermazione, a creare condizioni propizie a un vero incremento culturale in generale e letterario in particolare. Ostacolano tale incremento la debole, malferma, insufficiente cultura di tutta la Penisola balcanica e lo stato ancor troppo rozzo della lingua, inadatta a superiori manifestazioni d'arte. Tutto quello che alimenta in generale la cultura bulgara in questo periodo, e naturalmente ancor più nel periodo della dominazione anche politica greca, viene da Bisanzio. Né giovò molto il forte accentramento culturale a Tărnovo durante il secondo impero bulgaro. Prevale anche in questo periodo l'interessamento, sterile però e formalistico, per le questioni religiose. Meritano rilievo la singolare figura del monaco e patriarca Eutimio, per la sua opera intorno alla correzione dei testi chiesastici e per la sua lotta contro il bogomilismo e le altre eresie, e il suo allievo Grigorij Camblak, che del maestro dettò un elogio e una biografia. Attraverso le regioni croate e serbe giunse però fino alla Bulgaria anche un testo occidentale: la leggenda troiana.
La dominazione ottomana, che durò ben cinque secoli, sopprimendo ogni possibile sviluppo civile e intellettuale nel paese, segregandone la popolazione da ogni contatto col mondo, soffocò anche ogni ulteriore possibilità di produzione letteraria. Isolate fiammelle di cultura elementare rimangono i monasteri. Il dominatore turco, privo d'una propria cultura, assume di fronte alla vita intellettuale e spirituale dei vinti un atteggiamento di apatia completa.
I canti popolari. - Peraltro, se pur mancano, durante tutti questi secoli, veri monumenti d'arte scritta, non mancano affatto, anzi abbondano (come nella vicina nazione serba) i canti popolari, che trasmessi oralmente di padre in figlio, trasformandosi e arricchendosi qua e là di nuovi elementi attraverso i tempi e i luoghi diversi, costituiscono nel loro insieme una ricca e varia produzione, nella quale, malgrado la primitiva semplicità della forma, forse per il fascino stesso che nella loro spontaneità e schiettezza è racchiuso, l'arte nazionale trova una delle sue più belle e caratteristiche manifestazioni. È questa anzi la sola ricchezza della letteratura bulgara anteriore alla rinascita. I canti popolari rappresentano fino a quell'epoca il patrimonio artistico della letteratura bulgara, e quando, molto più tardi, avrà inizio la letteratura scritta, questi canti ispireranno i primi poeti bulgari del risorgimento.
Nella vita triste e uniforme dei secoli di servitù, solo spiraglio di luce rimane per il popolo il ricordo confuso dei tempi di libertà, sopravvissuto attraverso leggende ed episodî, che solo la forma poetica conserva nella memoria e che il popolo ripete nei suoi canti. Il canto accompagna sempre il Bulgaro: nelle cerimonie nuziali, nei banchetti, nella caratteristica danza nazionale (horò), durante il lavoro dei campi, al pascolo del gregge, nei lunghi viaggi delle carovane, spesso su semplicissimi motivi musicali intonati da rozzi strumenti campestri (gàjda, kavàl, cafàra). La forma dei canti popolari bulgari è molto semplice, ma più varia che presso i Serbi: strofe di vario numero di versi, di diversissimo numero di sillabe (da 4 a 14), divisi in due parti ritmiche. Di solito è usato il decasillabo nei canti eroici, l'ottonario negli altri. Mancano per lo più rime e ritmi speciali. Ciononostante il ritmo semplice s'adatta ad esprimere ogni sentimento. Caratteristica comune ai canti bulgari è l'obiettività del contenuto. Al popolo è ignoto il subiettivismo individuale della poesia riflessa: esso sente e comprende solo ciò che riguarda tutti. Il contenuto è vario e sulla base di esso sono state tentate varie classificazioni. Possiamo, pur senza rifiutare le altre, attenerci a quella proposta da Penčo Slavejkov: canti religiosi (nei quali, malgrado lo spirito cristiano, trapela pur sempre l'anima pagana del popolo), canti mitici e leggendarî (tratti sovente da leggende dell'antica Grecia, più o meno deformate, con intervento di esseri superiori: samodive, vile, îude, ecc.), canti eroici (aggirantisi per lo più, come quelli serbi, intorno alla leggendaria figura di Re Marco, al quale vengono attribuite le più strane e inverosimili gesta), canti hajduški (celebranti le imprese dei hajduti), canti della vita quotidiana (fra i quali rientrano anche i canti familiari, con prevalenza di sentimenti materni e paterni, e i canti amorosi, nei quali è caratteristica costante la purezza dei sentimenti espressi), canti fanciulleschi e umoristici (i meno numerosi e i meno importanti). I canti di cerimonie (per nozze, feste natalizie, ecc.) possono costituire una sottospecie dei canti religiosi.
Disgraziatamente la trasmissione orale dei canti popolari ne ha fatalmente impedito in gran parte la conservazione attraverso i secoli. Le prime raccolte che se ne son fatte risalgono appena alla prima metà del secolo scorso. Tuttavia il materiale che tali raccolte ci offrono è già di per sé così copioso e vario e caratteristico che basta a documentarne l'importanza e il valore artistico e a stabilire il posto che loro spetta nella storia della letteratura nazionale. L'interesse pubblico per la raccolta e la pubblicazione dei canti popolari comincia verso la metà del secolo scorso. Dalla pubblicazione della raccolta di Ivan Bogoev (Bogorov), Bălgarski narodni pěsni (Canti popolari bulgari, Budapest 1842), le raccolte di canti si fanno sempre più numerose e importanti. Se ne contano oggi più di venti (Rakovski, Verkovič, i fratelli Miladinovi, L. Karavelov, Čolakov, prima della liberazione; At. Iliev, Šapkarov, Petko Slavejkov, Penčo Slavejkov, Jankova, Vărbanski, ecc., dopo la liberazione). Le più importanti sono quelle dei fratelli Miladinovi (Sbornik ot bălgarski narodni pěsni, Zagabria 1859) e, fra le recenti, quelle contenute nei ricchi volumi dello Sbornik za narodni umotvorenija, nauka i knižnina (Raccolta di folklore, scienze e lettere) edito, nel corso di varî decennî, a partire dal 1889, dal Ministero della pubblica istruzione dapprima, poi dal Bălgarsko Knižovno Družestvo (Società letteraria bulgara) di Sofia. Una buona e razionale scelta di canti, leggende, proverbî, ecc. si trova anche nel secondo volume della Istorija na bălgarskata literatura v priměri i bibljografija (Storia della letteratura bulgara con esempî e bibliografia), diretta da B. Angelov (Sofia 1922).
Da questa duplice serie di manifestazioni letterarie (gli scritti religiosi e i canti popolari) che formano il contenuto di tutto il periodo che abbiamo voluto chiamare di preistoria della letteratura bulgara, avrebbe dovuto germogliare e svilupparsi, in condizioni normali di vita e di cultura, la letteratura riflessa e scritta. Ma gli scritti religiosi, per la stessa aridità del loro contenuto, non potevano fornir modelli di sorta a creazioni artistiche; i canti popolari invece dovevano attendere, per trovare interpreti efficaci, che l'arcaica lingua consacrata nei documenti scritti del tempo cedesse il posto alla lingua del popolo. E ciò, per le particolari condizioni dell'intera nazione, non poté verificarsi che molto tardi. In quasi tutto il periodo della servitù restano dunque queste le sole manifestazioni letterarie della Bulgaria.
Se, peraltro, relativamente facile fu ai Bulgari, per le considerazioni esposte, salvare dalla sovrapposizione turca il proprio idioma e conseguentemente la propria coscienza nazionale, ben più grave fu il pericolo che li minacciò da parte di Bisanzio, la cui cultura antica e il cui primato religioso sulle popolazioni sottomesse all'impero ottomano esercitarono, favoriti anche dal disinteresse dei Turchi in materia di cultura e di religione, una costante e intensa azione snazionalizzatrice. La lingua nazionale, sprezzata, negletta o dimenticata dalle classi colte e nelle sfere ufficiali, si mantenne viva nella massa del popolo rozzo, rimasto lontano dalle influenze straniere, e costituì nei lunghi secoli della servitù l'unico legame superstite della nazionalità comune fra i Bulgari. Per questo, gli albori della nuova letteratura bulgara coincidono col ridestarsi della coscienza nazionale. Son come due fenomeni perfettamente interdipendenti: la letteratura nascente ha contenuto e finalità patriottiche; il risveglio del sentimento nazionale spinge al culto maggiore della propria lingua e alla creazione, o a tentativi di creazione, di opere letterarie. La nuova letteratura bulgara ha così prima di tutto e soprattutto un alto valore patriottico.
I primi bagliori della rinascita. - I primi focolari della rinascita furono in Bulgaria i monasteri: specialmente quelli di Hilendar e di Zograf sul monte Athos e quello di Rila. Da uno di questi monasteri, e precisamente da quello di Hilendar, partì nella seconda metà del sec. XVIII il primo squillo di riscossa: la Istorija slavenobolgarskaja za bălgarskija narod, bălgarski carěi sveci (Storia slavobulgara pel popolo bulgaro, pei re e pei santi bulgari), scritta nel 1762 dal padre Paisij, che rievocò per la prima volta, in forma elevata e pervasa da alto spirito patriottico, le imprese degli avi per ricordare ai Bulgari d'essere bulgari, per esortarli ad esserne fieri, per ammonirli a rendersene degni. I frutti benefici di questo libro, se pur a lontana scadenza, furono il risveglio delle coscienze, il richiamo alla realtà, la preparazione dell'avvenire.
Il movimento letterario procede infatti di pari passo col ridestarsi delle coscienze. Dopo la Storia del padre Paisij, mentre questa circola ancora manoscritta fra i Bulgari, altri libri assai più modesti, parlano, come quella, alla coscienza nazionale del popolo: sono alcune traduzioni d'un discepolo dello stesso Paisij, il vescovo Sofronij Vračanski, e un suo Kirjakodromion, scritto durante l'esilio in Romania e pubblicato nel 1806. È questo il primo libro bulgaro dato alle stampe. Altri libri vengono stampati nei primi decennî dello stesso sec. XIX: modeste opere di cultura generale e traduzioni. Particolare importanza ebbero l'Abbecedario di Pietro Beron (1824), che fu il primo libro d'istruzione elementare per la giovane generazione bulgara, la grammatica bulgara del padre Neofit Rilski, e il manuale di cognizioni generali del padre Neofit Hilendarski. Il padre Neofit Bosveli propugnava intanto calorosamente, nelle sue prediche, l'indipendenza della chiesa, attirandosi persecuzioni di Greci e di Turchi. Nel 1835 Vasil E. Aprilov fondava nella nativa Gabrovo, insieme con Palauzov e con varî altri, la prima scuola bulgara e scriveva egli stesso di grammatica e di varî argomenti. A quest'epoca pure risale l'istituzione delle prime tipografie, la prima delle quali fu fondata nel 1835 a Samokov (fino allora i libri bulgari s'erano stampati all'estero).
L'epoca della liberazione. - Come produzione continuativa di opere d'arte, la letteratura non ha vero inizio che verso la metà del sec. XIX. La poesia popolare serve da modello alla maggior parte dei primi poeti, cui d'altro lato la letteratura russa, più facilmente d'ogni altra accessibile ai Bulgari per la grande affinità delle due lingue, fornisce elementi di creazione, esempî, indirizzi, metodi. Sono questi i due soli modelli fondamentali su cui si plasma la nascente letteratura. Dai primi, dai canti popolari, essa prende modelli di forma e di contenuto, in quanto che i poeti rielaborano, dando loro più alta e perfetta forma d'arte, gli stessi canti popolari. Dalla seconda invece, dalla letteratura russa, non prende per lo più che modelli di forma e insegnamenti di metodo, in quanto che i poeti e gli scrittori si servono sì dell'esempio degli scrittori russi, e traggono dalla loro arte linee direttive per la propria creazione (specialmente il realismo russo fa larga scuola fra i Bulgari), ma attingono quasi esclusivamente dalla vita, dalla storia, dai costumi, dall'anima della nazione bulgara i temi dei loro scritti. In sostanza, la letteratura bulgara sorge solo in parte imitando; e quel che imita totalmente è per lo più solo ciò che è già nazionale: il canto popolare. Vere influenze di altre letterature straniere, oltre alla russa, non si notano sul principio, perché la stessa conoscenza di esse è ancora limitatissima. Influenze tedesche e francesi si manifesteranno qua e là più tardi, dopo la conquista dell'indipendenza politica, ma saranno sempre assai limitate ed eccezionali di fronte a quelle prevalenti della letteratura russa.
Fino alla liberazione la letteratura è quasi esclusivamente patriottica. Fine supremo degli scrittori è spingere il popolo alla riscossa. Essi descrivono i mali della servitù, rievocano il passato glorioso, rincuorano i timidi, sferzano gl'ignavi, imprecano agli usurpatori, esaltano la patria. Lo stesso . realismo che i prosatori apprendono dai russi è messo al servigio dell'ideale patriottico.
I primi nomi autorevoli che incontriamo in questo periodo di risveglio nazionale e letterario sono: Georgi Rakovski (1821-1867), poeta, giornalista, storico e agitatore rivoluzionario; il poeta Dobri Čintulov (1822-1882); il padre della novellistica bulgara, Ljuben Karavelov (1837-1879); Petko R. Slavejkov (1827-1895), il primo vero poeta-artista della Bulgaria, autore di bei canti modellati su quelli popolari e di canti patriottici; e Hristo Botev (1848-1876), autore di poche ardenti liriche patriottiche, morto giovanissimo, alla testa d'un manipolo d'eroi, in un disperato tentativo rivoluzionario contro i Turchi, alla vigilia della liberazione. Accanto a questi, benché minore sia la loro importanza, meritano di essere menzionati fra i primi rappresentanti della nuova letteratura bulgara, Vasil Drumev, autore del primo romanzo bulgaro Neštastna familija (Una famiglia disgraziata) e del primo lavoro drammatico, Šiškov, Žinzifov, e pochi altri.
La letteratura dopo la liberazione. Vazov e Penčo Slavejkov. -
La letteratura nazionale, le cui basi erano ormai gettate dai precursori della vigilia, fu forse tra le manifestazioni dello spirito bulgaro, dopo la riconquistata indipendenza, quella che ricevette l'impulso maggiore. Spezzate finalmente le secolari catene politiche, aperti gli occhi alla nuova luce della vita civile, migliorate le condizioni stesse della lingua, grazie alla sapiente elaborazione artistica dei primi poeti, si forma rapidamente un'intera falange di scrittori che si cimentano in nobile gara per dotare nel più breve tempo la letteratura patria d'un patrimonio artistico tale da assegnarle un legittimo posto fra le letterature europee.
La figura più grande che emerge fra gli scrittori della risorta nazione bulgara è certamente quella di Ivan Vazov (1850-1921), l'ultimo poeta della servitù, il primo dell'indipendenza nazionale, la cui opera ricca e feconda abbraccia ogni campo della letteratura: novella, romanzo, lirica, epica drammatica. La sua opera ha un'importanza di primissimo ordine non solo in virtù della sua vasta mole e della molteplicità dei generi in cui si manifesta, ma anche e soprattutto per il suo valore artistico. Riprendendo l'esempio di Petko Slavejkov, anche Vazov continua a purificare, perfezionare e arricchire la lingua. Il contenuto delle sue opere è ancora prevalentemente patriottico; ma traspare sovente nei suoi scritti, di là dallo stesso fine patriottico, un senso vago di placida, serena e semplice bontà, che aggiunge un particolare valore morale ai suoi scritti.
Accanto a lui fiorisce, nel fervore generale di creazione che caratterizza la letteratura bulgara dopo la riconquistata indipendenza, un'altra grande figura di poeta, la cui opera, se pur meno feconda e meno varia (anche a causa della minor durata della sua vita), non rimane, per importanza di creazione, di pensiero e d'arte, seconda a quella di Vazov: Penčo Slavejkov, il figlio di Petko, nato nel 1866, alla vigilia della liberazione, erede dell'ingegno poetico di suo padre, ma riuscito, grazie alle migliori condizioni politiche e sociali in cui visse, a formarsi presto una più vasta e completa cultura europea. Penčo scrisse una serie di ottimi poemi e poesie d'intonazione epica e lirica (ma prevalentemente lirica anche nei canti epici), nei quali, accanto all'elemento nazionale sempre predominante, si notano per la prima volta considerevoli influenze occidentali, soprattutto tedesche, ma anche italiane, polacche, e finalmente - primo esempio del genere nella letteratura bulgara - reminiscenze classiche. Nel suo sforzo per l'affinamento e la purificazione della lingua, egli riesce forse talvolta un po' ricercato e difficile, ma il suo stile è elevato e colorito come quello di nessun altro scrittore bulgaro dei suoi tempi; armoniosa e bella è la forma, che rifugge volutamente da figure retoriche, immagini e comparazioni audaci, metafore, iperboli, nell'intento di rendere sempre più intimi e chiari i rapporti fra il pensiero e la lingua.
La letteratura di ieri. - Con Vazov e Penčo Slavetkov, che hanno ormai acquistato diritto di cittadinanza europea, la letteratura bulgara si trova dunque già in pieno sviluppo. Lunga è peraltro, se pur nessuno si solleva alla loro altezza, la schiera degli altri scrittori bulgari loro contemporanei e loro successori, tra i quali più d'uno emerge per originalità e valore artistico.
Aleko Konstantinov (1863-1897) dona alla letteratura nazionale il primo esempio di romanzo satirico nel suo Bai Ganiu, che mette gustosamente in ridicolo, attraverso la narrazione delle fantastiche vicende d'una specie di Tartarin bulgaro, l'ingenuità, l'ignoranza e la dabbenaggine di certi tipi popolari, piuttosto comuni. Originalissima è l'arte di Petko Todorov (1879-1916), autore di alcuni racconti, bozzetti e lavori drammatici, il quale, in una prosa del tutto nuova e inconsueta, presenta, nei suoi Idillî, una serie di scene fantastiche, allegorie, visioni, leggende popolari, studî d'arte. Anche la poesia satirica trova un degno rappresentante in Stojan Mihailovski (1856-1927), la cui arte, pur movendo da principio, quando la patria era ancora asservita, dall'ideale del riscatto nazionale, venne gradualmente sviluppandosi sotto l'influenza particolare di Aristofane, della satira francese e delle favole di Krylov.
Numerosi sono i lirici. Fra i più noti, dopo i maggiori già ricordati, il nome di Konstantin Veličlgov (1856-1907), autore di poesie malinconiche e di liriche sentimentali (alcune sull'Italia), è particolarmente legato a una sua mediocre versione poetica dell'Inferno dantesco e a una serie di Pisma ot Rim (Lettere da Roma) in prosa. Dimco Debelianov (1887-1916), poeta dall'animo sensibile e dolorante, maturato alla scuola dei contemporanei russi e francesi, morto nella guerra mondiale, ha lasciato liriche ed elegie vibranti di sentimento e di cupo sconforto. Sovra ogni altro s'eleva, dopo Vazov e Penjo Slavejkov, per giudizio unanime della critica bulgara, lo sventurato poeta Pĕju K. Javorov (1877-1914), anima travagliata di sognatore e idealista, tormentato dalla realtà della vita in contrasto con gl'indefiniti bisogni dello spirito irrequieto, perseguitato da un avverso destino, che lo spinse a una tragica morte prematura.
La critica letteraria ha finalmente avuto anch'essa rappresentanti autorevoli, fra i quali eccellono singolarmente i nomi di K. Krăstev e B. Penev. Nell'opera di questi scrittori, e di numerosi altri minori, trovano espressione i varî generi letterarî fino ad oggi affermatisi in Bulgaria.
La letteratura d'oggi. - Tutti questi scrittori appartengono già alla storia. Ma non meno numerosi appaiono i rappresentanti delle lettere bulgare anche nelle due generazioni dei viventi: la vecchia e la nuova, nella cui arte si nota, di pari passo col progredire dei rapporti di cultura fra Bulgaria ed Europa occidentale, una crescente influenza occidentale.
Emergono sugli altri i nomi di Elin-Pelin (pseudonimo di Dimităr Ivanov) e di Jordan Jovkov nel campo della novellistica, il primo affermatosi ormai da molti anni come eccellente descrittore della vita campagnola nazionale, il secondo rivelatosi già prima della guerra mondiale attraverso una serie di ottime novelle che attingono alla vita e ai costumi bulgari; di Dobri Nemirov, che ha scritto e scrive romanzi su uno sfondo in parte analogo a quello dei due precedenti scrittori; di Georgi Stomatov, autore di buone novelle, tratte prevalentemente dalla vita bulgara di città.
Nel campo lirico i poeti Nikolai Liliev, Teodor Trajanov, Ljudmil Stojanov, Emanuil P. Dimitrov, sono fra i migliori rappresentanti del simbolismo bulgaro, sviluppatosi sotto influenze francesi e tedesche, mentre Kiril Hristov affronta (in parte anche sotto infiuenze italiane) temi erotici, nuovi per le lettere bulgare. Un posto a sé si può assegnare al fecondissimo Nikola Rajnov, poeta anche nella sua prosa, anzi specialmente in questa, che si distingue per un suo ritmo tutto speciale, per l'accurata forbitezza della forma, per la straordinaria ricchezza di similitudini e metafore, ove trova particolare espressione il profondo misticismo dell'autore. Discreti racconti dal vero si trovano nelle copiose raccolte di T. G. Vlajkov di Anton Strašimirov, noti già da molti anni. Buone in complesso, soprattutto per la fluida armonia del verso, sono le liriche di Nikola V. Rakitin, I. Stubel, Dora Gabe, Mara Bělčeva e specialmente Bagriana (pseudonimo di Elisabetta Bĕlčeva), nella cui recentissima raccolta: Věčnata i svjatata (L'eterna e la santa) vibrano note di alto lirismo e profondo sentimento. Anche il moderno espressionismo ha trovato qualche seguace: il più noto di questi è Čavdar Mutafov. Stojan Čilingirov, fecondissimo poligrafo, Ivan Kirilov, Damjan Kalfov, e soprattutto Georgi Rajčev, appartengono ancora prevalentemente alla vecchia schiera dei novellieri e narratori, nella quale, accanto a Dimităr Šišmanov, vengono gradualmente acquistando notorietà, fra i rappresentanti della nuova generazione, Angel Karaliičev, Vladimir Poljanov, e numerosi altri, sulla cui opera, come su quella d'una lunga schiera di giovani poeti (Atanas Dalčev, Dimităr Pantaleev, ecc.) è ancora prematuro qualsiasi giudizio. Nel campo drammatico, rimasto, ad onta degli sforzi tenaci e continui di tanti scrittori, il più arretrato, s'è recentemente registrato sulle scene qualche notevole successo, specialmente nel dramma Majstori (Mastri) di Račo Stojanov e nella commedia Golemanov di St. Kostov. Ma si tratta ancora di tentativi.
Sviluppatasi nel corso di pochi decennî, la letteratura bulgara ha già nel suo insieme un patrimonio artistico tutt'altro che trascurabile. L'intensità della produzione dall'epoca della liberazione ad oggi compensa in parte il tardivo inizio. I generi letterarî sono stati tutti più o meno trattati, ma non tutti con uguale intensità né con uguale fortuna. Le affermazioni maggiori e più numerose si riscontrano nel campo poetico e nella novella. Pochi sono fino ad oggi i buoni romanzi. Mediocri o falliti addirittura i tentativi drammatici. Come caratteristica generale prevale la nota realistica nei prosatori, la nota lirica sentimentale nei poeti. Il contenuto è di solito prettamente nazionale e, fino alla liberazione, quasi esclusivamente patriottico. Influenze predominanti sugli scrittori esercitano, come s'è detto, da una parte le lettere russe, a tutti ben note, dall'altra i canti popolari, trasmessi di generazione in generazione. Solo in un secondo tempo e in assai minor misura si rileva, accanto al russo sempre prevalente, qualche benefico influsso occidentale, specialmente francese e tedesco. Su queste basi creano gli scrittori d'oggi, in fervida gara, quasi animati dal desiderio di riconquistare alle lettere patrie i lunghi secoli perduti nella servitù, la letteratura bulgara del domani.
Bibl.: Italiana: E. Damiani, Poeti bulgari, Roma 1925; B. Angelov-A. P. Stoilov, Note di letteratura bulgara, Roma 1925; E. Damiani, Le origini della letteratura e del riscatto nazionale in Bulgaria, Roma 1928; E. Lo Gatto, Spirito e forme della poesia bulgara, Roma 1928; E. Damiani, Echi d'Italia nella letteratura bulgara, Roma 1929.
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In altre lingue: K. Radčenko, Religioznoe i literaturnoe dvizenie v Bolgarii v epochu pered tureckym zavoevaniem (Il movimento religioso e letterario in Bulgaria prima dell'occupazione turca), Kiev 1898; M. Murko, Geschichte der älteren südslawischen Literaturen, Lipsia 1900; J. Karásek, Slavische Literaturgeschichte, Berlino e Lipsia 1908; D. Chichmanov, Le mouvement littéraire en Bulgarie, Sofia 1925; G. A. Dzivgov, Poètes bulgares, Sofia 1927; K. Galaboff, Die neuere bulgarische Literatur, in Deutsche Rundschau, 1928.
Arte.
Per comprendere l'origine dell'arte bulgara non bisogna dimenticare che i Bulgari dello zar Isperih che nel 679 fondarono lo stato bulgaro nella penisola balcanica, venivano dall'interno dell'Asia e perciò erano apportatori di tradizioni artistiche orientali, o, più esattamente, iraniche. Ma nella loro nuova patria essi trovarono un'arte più antica, la quale, mentre da una parte rappresentava il seguito dell'arte antica tardiva, dall'altra recava l'impronta dell'arte cristiana d'Oriente. Dalla fusione di questi elementi nacque la più antica arte bulgara. Difatti i monumenti di essa anteriori alla conversione ufficiale dei Bulgari al cristianesimo, avvenuta nell'865, hanno un carattere fortemente orientale e sassanide. Gli antichi palazzi bulgari del principio del sec. IX scoperti tra le rovine dell'antica capitale bulgara di Pliska presso il villaggio di Aboba (Bulgaria del NE.), ricordano nelle piante e nel modo di costruzione non tanto i palazzi bizantini quanto i palazzi sassanidi di Hatra, Fīrūzābād e Sarvistān. Il Cavaliere a caccia scolpito sulle pareti di roccia presso Madara (Bulgaria del NE.), pure del sec. IX, ha forte somiglianza con i rilievi rupestri di Naqsh-i Rustem e di Tāq-i Bostān. Anche il famoso tesoro d'oro di Nagy-Szent-Miklos (Ungheria del S.), attualmente al museo di Vienna, è oggi attribuito dai dotti di maggior fama agli antichi Bulgari; ma è composto di oggetti di svariatissima provenienza.
Dopo l'introduzione ufficiale del cristianesimo in Bulgaria l'influsso bizantino si fece sentire più fortemente nell'arte in generale, e in particolare nell'arte religiosa. I monumenti dell'epoca dello zar Simeone (893-927), scoperti fino ad oggi nella seconda capitale bulgara, Preslav, presentano un carattere più spiccatamente bizantino; tuttavia, anche in quest'epoca, l'ornamentazione e la tecnica delle opere d'arte bulgare rivelano le più antiche tradizioni orientali. Nell'architettura religiosa quest'epoca si distingue per il predominio delle grandi costruzioni basilicali (Aboba, Preslav, Mesemvrija, Prespa, Ochrida). L'interno delle chiese era decorato in parte con mosaici, in parte con piastrelle di terracotta invetriate (un gran numero delle quali fu trovato nelle rovine di certe chiese del sec. IX e del X a Preslav e a Patleina) recanti disegni in colore di motivi geometrici e vegetali o di figure umane. Molte piastrelle unite in guisa di grosso mosaico formavano le figure più grandi, come nell'antica arte assira.
All'epoca del secondo regno bulgaro (1186-1393) l'influsso bizantino si rafforzò ancora. Spariscono le tradizioni orientali del primo regno bulgaro, e le grandi costruzioni basilicali dell'architettura religiosa sono sostituite da chiese molto più piccole, principalmente di due tipi: la chiesa a una sola nave in vòlta, con o senza cupola; e la chiesa cruciforme a cupola derivata da Bisanzio. Singolare tipo di costruzione è la chiesa a due piani, caratteristica dell'architettura medievale religiosa bulgara (l'antica chiesa del monastero di Bačkovo, la chiesa di Ivan Asen presso Stanimaka, la chiesa di Bojana presso Sofia). Il piano inferiore, al quale si accede dal lato di ovest, serve soltanto da sepolcro, mentre la chiesa propriamente detta occupa il piano superiore e vi si accede da una scala esterna posta sul lato sud dell'edificio.
Nei secoli XIII e XIV la pittura murale religiosa raggiunge in Bulgaria un grandissimo sviluppo. Ne rimangono numerosi monumenti, dei quali i più importanti sono gli affreschi della chiesa di Bojana del 1259, notevoli per alto pregio artistico. Questi affreschi, eseguiti su modelli di Costantinopoli, possono darci una idea degli scomparsi originali bizantini del sec. XIII. La pittura religiosa bulgara di quest'epoca permette già di constatare l'influsso della prima Rinascenza italiana, influsso che si ritrova specialmente negli affreschi del '500 del monastero di Poganovo. Tuttavia la conquista dei Turchi, avvenuta nel 1393, e l'isolamento dellȧ Bulgaria dall'Europa occidentale ȧrrestarono prematuramente questi influssi, in modo che dal sec. XV in poi l'arte bulgara non si poté sviluppare parallelamente a quella dell'Europa occidentale.
Nel campo della miniatura, nei secoli XIII e XIV si possono constatare due diverse tendenze: la prima, che si potrebbe chiamare popolare, e che si distingue per un ingenuo realismo, è rappresentata principalmente dal vangelo di Pop Dobreiko appartenente al sec. XIII (Biblioteca nazionale di Sofia); la seconda, seguita negli ambienti ufficiali, si attiene con maggiore fedeltà ai modelli bizantini; i principali esempî di questa si possono vedere nella traduzione bulgara della cronaca di Manasse del 1345 (Biblioteca Vaticana), nel vangelo dello zar Ivan Alexander del 1356 (British Museum) e nel salterio bulgaro di Mosca del secolo XIV.
Durante la dominazione turca (1393-1877) le condizioni furono estremamente sfavorevoli allo sviluppo dell'arte bulgara, e lo si può vedere specialmente nel campo architettonico. I Bulgari non avevano facoltà di costruire edifici pubblici considerevoli che avrebbero potuto concorrere a elaborare uno stile monumentale più importante Grandi restrizioni colpivano anche l'architettura religiosa. Tutta l'arte bulgara di quel periodo si contentava delle antiche tradizioni, e si trovava completamente sotto l'influenza dell'arte monastica del Monte Athos, così esaurendosi in forme convenzionali d'uno sterile arcaismo. L'influenza turca non si trova che nelle arti industriali.
Un certo rinnovamento nelle arti si manifestò soltanto dopo la pace di Adrianopoli nel 1829, che riconobbe ufficialmente la libertà confessionale delle popolazioni cristiane dell'impero ottomano. Dovunque lo permisero le condizioni e le risorse pecuniarie delle comunità religiose, le vecchie chiesuole furono sostituite da grandi costruzioni monumentali imponenti all'esterno e sontuosamente decorate all'interno. Inoltre i nuovi edifici abbandonarono la tradizione medievale rappresentata dalla chiesa cruciforme a cupola, e tornarono all'antico tipo di basilica a triplice nave, con o senza cupola. I più importanti monumenti di quest'epoca sono gli edifici del monastero del Rila, costruiti fra il 1834 e il 1837 sotto la direzione di maestro Pavel, un bulgaro del villaggio di Krimine presso Castoria (Macedonia del sud).
La rinascenza nazionale bulgara del sec. XIX produsse un grande sviluppo nella pittura religiosa. In molti luoghi si formavano scuole di pittura locali, le più importanti delle quali furono quelle di Samokov, Razlog e Kruševo. Quella di Samokov fu la più feconda, e i suoi lavori si diffusero per tutta la penisola balcanica. Oltre che a Samokov e al monastero di Rila, i maestri di questa scuola lavorarono anche in alcuni monasteri del Monte Athos, al monastero di Bačkovo, a Plevna, Filippopoli, Tatar-Pazardžik, Skoplje, Veles, Kratovo, Kočane, nei dintorni di Salonicco e in molte altre località dell'attuale Bulgaria e della Macedonia. Si considera fondatore della scuola di Samokov Hristo Dimitrov del villaggio di Dospej presso Samokov. Questi, dopo aver cominciato a studiare pittura al Monte Athos, si recò nel 1770 a Vienna, di dove ritornò dopo poco a Samokov, e qui insegnò la sua arte ai suoi due figli Zahari Hristov e Dimitri Hristov. Da allora la pittura religiosa divenne una tradizione della famiglia, che la praticò per parecchie diecine d'anni.
Il rappresentante principale della scuola di Samokov è Stanislao Dospevski, figlio di Dimitri Hristov e nipote del fondatore Hristo Dimitrov. Desiderando perfezionarsi nell'arte della pittura, Stanislao Dospevski si recò in Russia dove visse a lungo, specialmente a Odessa e a Kiev. Nel 1857 si licenziò dall'Accademia di belle arti di Pietroburgo, dove si meritò una medaglia d'argento, e tornò quindi in Bulgaria. Qui sviluppò un'attività fecondissima, e si distinse non soltanto come pittore di icone (immagini di santi dipinte su legno), ma anche come ritrattista e paesista. Accusato di attività rivoluzionaria, fu arrestato dai Turchi nel 1876 e avvelenato l'anno seguente nelle prigioni di Costantinopoli.
Prima dell'indipendenza bulgara, avvenuta nel 1878, pochissimi pittori facevano i loro studî all'estero: essi si formavano per la maggior parte nelle scuole locali, dove regnavano ancora le tradizioni bizantine medievali. Ma subito dopo il 1878 queste condizioni furono radicalmente mutate dal fatto che una falange di pittori stranieri, e specialmente cèchi e polacchi, portò con sé in Bulgaria l'arte dell'Europa occidentale, mentre artisti bulgari (pittori, architetti e scultori) si recarono all'estero, soprattutto in Italia, in Germania e in Francia, per frequentarvi le accademie di belle arti. Così l'arte bulgara diventò più moderna, e gli artisti bulgari cominciarono a figurare nelle grandi esposizioni internazionali (Monaco, Roma, Venezia, Praga, ecc.).
La scuola di pittura fondata a Sofia nel 1896 e che più tardi, nel 1921, fu trasformata in accademia di belle arti, contribuì largamente allo sviluppo dell'arte bulgara. Da essa sono usciti numerosi pittori di talento, che poi si sono perfezionati all'estero, rimanendovi alcuni (il pittore Boris Georgiev e lo scultore Andrea Nikolov si sono, per esempio, fermati a Roma; il ritrattista Nicola Mihajlov a Berlino, ecc.) e acquistandovi larga fama.
Il monumento principale dell'architettura contemporanea in Bulgaria è la cattedrale Alessandro Nevski a Sofia, costruita su progetto dell'architetto russo A. Pomerancev, e riccamente decorata con pitture e mosaici eseguiti da artisti russi e bulgari.
Oggi i pittori bulgari più in vista sono: Ivan Angelov e Anton Mitov, 'che riproducono a preferenza scene della vita popolare; Nicola Petrov (il rappresentante principale del neoimpressionismo in Bulgaria), Costantin Štărkelov, eccellente acquerellista, Atanas Mihov, Boris Denev, Nicola Tanev, Ceno Todorov e Alessandro Mutafov, con i loro paesaggi; Nicola Mihajlov, Stefan Ivanov e Boris Mitov (figlio di Antonio Mitov), con i loro ritratti; Nicola Marinov, con i suoi acquerelli d'una delicatezza rara; Haralampi Tačev, Stefano Badžov e Nicola Ražnov, con le loro composizioni decorative; Alessandro Božinov e Alessandro Dobrinov, con le loro spiritose caricature; Peter Morozov e Vasil Zahariev, con le loro incisioni.
Opere notevoli sono quelle di Dimitri Gjudženov (quadri storici) e Nicola Kožuharov (grandi composizioni di soggetti tratti soprattutto da leggende popolari). L'espressionismo in Bulgaria è rappresentato dalle opere di Vladimir Dimitrov (il "Maestro"), Sirak-Skitnik (pseudonimo di Petar Todorov) e Ivan Milev. Un posto speciale fra i pittori bulgari merita Boris Georgiev, che già abbiamo nominato, le cui opere si fanno notare per la linea estremamente espressiva e lo stile monumentale: egli vi esprime concetti moderni, pur seguendo sotto varî rapporti i maestri fiorentini del sec. XV. Tra i pittori più giovani i più capaci sono Stefano Stoilov, Dečo Uzunov, Atanas Tasev, Vasil Stojanov e Bojan Petrov. Nella scultura è da nominare, vicino ad Andrea Nikolov, citato sopra, Ivan Lazarov, che meglio riuscì nelle sue opere originali a dare espressione ad alcuni tratti caratteristici dell'anima bulgara.
Bibl.: B. Filow, L'ancien art bulgare, Berna 1919; id., L'ancien art bulgare, nella serie Art et esthétique, Parigi 1922; id., L'art antique en Bulgarie, Sofia 1925; A. Protitch, Fine arts in Bulgaria, in Bulgaria of today, Londra 1907; id., Bălgarsko săvremeno izkustvo (Arte contemporanea bulgara), in Guide du Musée National à Sofia (in bulgaro), Sofia 1923, pp. 285-375; V. Šuman, Bulharské umění, Praga 1926; G. Feher, Madarskijat konniki. Pogrebalni obicaj na Prabălgaritě (I cavalieri di Madara. Usi sepolcrali dei Protobulgari), in Izv. nar. etnogr. muz. (Rendiconti del Museo naz. etnogr.), VI, i-iv, p. 87 segg.; altri articoli scritti in bulgaro con riassunti in francese o in tedesco pubblicati in Bulletin de la Soc. archéol. bulg., I-VII (1910-20) e in Bull. de l'Inst. archéol. bulgare (1921 segg.).
Arte popolare. - Si devono ricercare le origini dell'arte popolare bulgara presso gli antichi Slavi Protobulgari. A poco a poco quest'arte nel suo sviluppo subisce l'influsso di elementi stranieri: residui della cultura romana ed ellenica, influenze del cristianesimn bizantino e orientali, più tardi ancora echi dell'Occidente con i suoi stili: rinascimento, barocco, rococò. Può tuttavia, anche imbevendosi di elementi stranieri, l'arte popolare bulgara, ricca di forme, di colore e di ornamentazione, seguì una via propria e originale.
Presso i Bulgari, come presso tutti i popoli, l'arte popolare si manifesta soprattutto negli oggetti di uso quotidiano. Nell'arte popolare bulgara hanno importanza considerevole i costumi, gli abbigliamenti nazionali e le varie stoffe. L'arte tessile è riservata esclusivamente alla donna bulgara. Il costume nazionale bulgaro è il costume adatto ai lavori dei campi; esso è fatto d'un grosso tessuto di canapa o di lana, ornato con ricami multicolori. Si ricamano soprattutto le camicie femminili, ma anche quelle maschili: più spesso con seta e lana multicolori, più raramente col cotone, contando i fili della tela. I disegni dei ricami sono generalmente geometrici o tratti dal mondo vegetale; figure umane o animali non si incontrano che raramente. Gli ornamenti puramente geometrici sono molto in voga nella Bulgaria del sud-est e nella Macedonia, e rappresentano una grande varietà di motivi, dalla più semplice linea alle combinazioni più complicate di linee e di superficie. I motivi vegetali, fortemente stilizzati, appariscono soli o in combinazione con figure geometriche, e nella maggior parte rappresentano fiori senza stelo e senza foglie. L'ornamentazione bulgara è decorativa piuttosto che naturalistica, cioè è più vicina a quella dell'Oriente che a quella dell'Occidente. Essa porta i segni d'un antico simbolismo, il cui senso è oggi spesso dimenticato. ll ricamo nazionale bulgaro si distingue per la ricchezza delle sue tinte. Il colore fondamentale è il rosso in tutte le sue sfumature, cominciando dal rosa tenero fino al rosso cupo, che molto spesso diviene bruno carico, ed anche nero, sotto l'influenza del lilla porpora di Bisanzio del sec. IX. Combinazioni ammirabili di rosso, giallo, verde e turchino si compongono in squisite armonie. Anche gli altri prodotti dell'industria tessile domestica - tappeti, coperte, cuscini, sacchi, bisacce e quant'altro forma con essi la parte principale e inseparabile dell'arredamento di una casa bulgara -, non sono meno preziosi per il colorito originale e per la ricca ornamentazione.
Una parte considerevole nell'arte popolare bulgara hanno anche gli ornamenti di metallo, che le giovinette e le donne portano per mostrare la loro ricchezza e l'elevatezza dei loro natali o anche per preservarsi dal malocchio. Per lo più codesti ornamenti sono di argento misto con rame, raramente di oro o dorati. Dal punto di vista della tecnica sono di metallo lavorato, fuso, o a filigrana. I gioielli, costituiti da numerosi elementi mobili che tintinnano, hanno una grande rassomiglianza con quelli orientali. La loro decorazione è ricchissima; di preferenza è tolta dal mondo vegetale, ma qualche volta ha anche carattere religioso e simbolico con immagini di santi, di dragoni e di altri animali. Le donne sogliono adornare specialmente il capo con grande varietà di acconciature: placchette di argento rotonde e decorate, fermagli pei capelli, diademi, piccoli pendenti, orecchini, collane con smalti, pietre vere o false. Prediligono anche ornanenti per le braccia, quali anelli e bracciali diversamente foggiati. La cintura delle donne è di metallo, o di stoffa, e nell'uno e nell'altro caso porta fibbie, placche d'argento o d'altro metallo di ricca ornamentazione simbolica. Alcune acconciature, per esempio i diademi, che erano state un tempo segno di dignità reale e di nobiltà, alla caduta dell'impero bulgaro sotto il dominio turco entrarono a poco a poco nell'uso popolare, tradotte, naturalmente, in forme più grossolane e in materia più vile.
La preparazione di oggetti per uso domestico ed ecclesiastico rientra in questa industria della. lavorazione dei metalli, di cui costituì un ramo sviluppatissimo, come appare dagli antichi crocifissi, dai ciborî, dalle coperture di evangeliarî, notevoli per la finezza e ricchezza del lavoro. Si incontrano più spesso utensili domestici di rame: piatti, bacini, padelle, brocche, tutti riccamente decorati. Molto in voga presso i Bulgari è il pavurče, specie di fiala per l'acquavite, fatta di piombo con ricchi ornamenti simbolici o con l'immagine di San Giorgio.
Nei villaggi, il popolo si serve sempre di utensili di argilla, comperati dai vasai del luogo, che ripetono antiche forme. Gli oggetti in ceramica smaltata hanno di preferenza un'ornamentazione molto primitiva a punti o a spirale, e più raramente ornati vegetali.
Nelle case di montagna sono conservate antiche casse murate o lignee. che risalgono a un secolo o due, manifestazioni di un'arte costruttiva assai sviluppata e di fine gusto. Le porte, gli armadî a muro e i soffitti sono per lo più ornati di legno lavorato. L'arte popolare del legno ha infatti grande diffusione in Bulgaria ed è strettamente legata all'architettura e alla chiesa. La sua fioritura più bella data dalla fine del sec. XVII e dal principio del XVIII, quando, con diverse tendenze, le città di Samokov, Trevna, Drenova, Skoplje, Debra e altre furono celebri per i loro artefici del legno e per i loro maestri costruttori. Non soltanto sono di legno molti ornamenti delle abitazioni, ma anche ogni specie d'oggetto domestico: le conocchie, i telai, i filatoi, i cofani, fra i quali non è difficile trovare esemplari armoniosissimi dal punto di vista della forma e della decorazione. Ma l'arte del legno ha trovato larga applicazione soprattutto nelle chiese, in cui le iconostasi e i pulpiti sono quasi sempre interamente di legno, scolpito per lo più con ornati vegetali e solo eccezionalmente con scene bibliche.
Dopo la liberazione della Bulgaria, l'influsso della cultura occidentale si fece maggiormente sentire e l'arte nazionale bulgara cominciò subito a decadere. Questa evoluzione si avverte nella graduale scomparsa del costume nazionale e dei ricami, cominciata nelle pianure più aperte alle influenze europee e accentuata durante le ultime guerre. Ai nostri giorni l'arte popolare è più apprezzata dalla classe intellettuale che dalle masse popolari. (V. tavv. a colori).
Bibl.: L. Niederle, Život starých Slovanu (La vita degli antichi Slavi) Praga 1924; N. P. Kondakov, La Macédonie. Voyage archéologique, 1909; St. L. Kostov, Bălgarsko narodno hudožestvo (L'arte popolare bulgara), in Sbornik na prof. I. Šišmanov po slučaj 30ª mu naučna deinost′ (Miscellanea in onore del prof. I. Š.). Sofia 1922; St. L. Kostov, Les broderies nationales bulgares, Sofia 1928; E. Pétéva, Parures populaires bulgares, in Bull. du Musée national d'ethnographie à Sofia, VI (1926), pp. 59-80; VII (1927), pp. 69-106.