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La Bulgaria, già Repubblica Popolare Bulgara ai tempi della Guerra fredda, è stata l’ultima, tra i paesi europei facenti parte del blocco socialista, a manifestare segni di cedimento del regime. A seguito delle prime manifestazioni di piazza nel novembre 1989 e delle prime elezioni multipartitiche (1990), la Bulgaria ha tuttavia avviato un deciso processo di apertura democratica e di transizione dall’economia di stampo socialista a quella di libero mercato. Parallelamente il paese ha perseguito una politica estera moderatamente filo-occidentale che, pur salvaguardando gli amichevoli rapporti con la Russia, l’ha portato ad aderire all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel 1996, alla Nato nel 2004 e all’Unione Europea (Eu) nel 2007.
Nell’epoca post-sovietica anche i rapporti con gli Stati Uniti si sono evoluti positivamente, come dimostra il trattato bilaterale sugli investimenti del 1994 e alcuni recenti accordi di cooperazione in materia di difesa e sicurezza. La relazione con la Russia, migliorata rispetto alla fine degli anni Novanta, è incentrata su questioni relative all’energia: la Bulgaria è infatti dipendente dalle importazioni di gas russo, e i due paesi collaborano all’ipotesi di costruzione e gestione della parte bulgara del gasdotto South Stream – deputato al trasporto del gas russo verso l’Europa centrale, attraverso il Mar Nero e la Bulgaria. Al contempo, tuttavia, il governo di Sofia sta perseguendo una strategia di diversificazione energetica volta ad alleviare i suoi problemi di dipendenza.
Il processo di democratizzazione e quello di liberalizzazione economica sono proceduti di pari passo e sono stati sostenuti dal cammino bulgaro verso l’integrazione nell’Unione Europea. A seguito della domanda di adesione, presentata dalla Bulgaria nel 1995, Bruxelles ha svolto un ruolo determinante nel promuovere e accelerare le riforme economiche. Anche dopo l’adesione, la Commissione europea ha continuato a monitorare alcuni settori critici, ad esempio sospendendo, nel 2008, l’erogazione di aiuti comunitari in ragione dell’inadeguatezza delle misure adottate per combattere la corruzione e il crimine organizzato. Inoltre il paese non è ancora parte della Convenzione di Schengen sulla libera circolazione delle persone.
Con l’inizio del nuovo secolo la Bulgaria ha concentrato la propria attività diplomatica sullo sviluppo di buoni rapporti di vicinato. Se da una parte la Grecia, avversario storico, ha fermamente sostenuto l’ingresso di Sofia nell’Eu, dall’altra le relazioni con la Macedonia restano controverse. Riconosciuta dal governo bulgaro nel 1992, la Macedonia ha concluso importanti accordi commerciali con Sofia, ma le questioni legate alla tutela dei diritti della minoranza macedone rimangono motivo di tensione. Ugualmente complessi sono i rapporti con la Turchia: dopo il raffreddamento degli anni Ottanta, dovuto al rimpatrio forzato di centinaia di migliaia di Turchi stabilitisi in Bulgaria, oggi i due paesi hanno relazioni più distese, come dimostrato dalla recente conclusione di un accordo di libero scambio. La Bulgaria è inoltre parte dell’Organizzazione per la cooperazione economica del Mar Nero (Bsec), insieme agli altri paesi rivieraschi, alle repubbliche caucasiche di Armenia e Azerbaigian, alla Moldavia, alla Serbia e all’Albania.
Il paese è una repubblica parlamentare. Il parlamento unicamerale, eletto ogni quattro anni, sceglie il primo ministro, che attualmente è Boiko Borisov del partito di centro-destra Cittadini per lo sviluppo europeo. Il presidente, che ha poteri molto limitati, è Georgi Parvanov, ex leader del Partito socialista bulgaro, eletto per la seconda volta nel 2006.
La popolazione della Bulgaria ha registrato una diminuzione rispetto all’epoca socialista: mentre negli anni Ottanta vi erano quasi nove milioni di cittadini, nel 2009 essi erano scesi a circa sette milioni e mezzo e si stima che entro il 2020 la popolazione potrebbe raggiungere i sette milioni. Tale fenomeno è dovuto soprattutto all’emigrazione: tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta molti Turchi sono stati costretti a lasciare il paese e dall’inizio della transizione post-comunista la migrazione netta è sempre stata negativa (dal picco di 70.000 emigrati tra il 1990 e il 1995 ai 10.000 tra il 2005 e il 2010).
In Bulgaria vi sono tre principali gruppi etnici: i Bulgari rappresentano l’83% della popolazione, i Turchi il 9%, i Rom il 3%. È presente inoltre una minoranza macedone che tuttavia non è considerata a livello ufficiale.
Il programma del Movimento è rimasto sempre nell’alveo della moderazione, ignorando le richieste del fronte separatista e concentrandosi sulle richieste di più ampi diritti culturali, religiosi ed economici per la minoranza turca. Il partito ha subìto recenti critiche perché, a fronte di un aumento dei consensi elettorali, non sarebbe ancora riuscito ad abbattere il sistema di discriminazioni quotidiane nei confronti dei cittadini di origine turca.
Ai gruppi etnici corrispondono lingue e religioni differenti. Gli ortodossi rappresentano l’84% della popolazione, i musulmani il 13%, i cattolici il 2% e vi sono minoranze protestanti ed ebraiche. Il legame tra etnie e religioni non è però lineare nella misura in cui i Rom sono sia cristiani che musulmani, e anche una minoranza di Bulgari è musulmana.
Nonostante la libertà di religione sia tutelata dalla Costituzione, le minoranze etniche e religiose sono discriminate. La discriminazione colpisce in particolar modo i Rom, poco rappresentati nella politica (solo un candidato rom è risultato eletto nel 2009) e tra le maggiori vittime del traffico di persone dalla Bulgaria.
Il settore dell’istruzione in Bulgaria ha risentito della riduzione dei fondi disponibili nell’epoca post-sovietica, con un conseguente lieve peggioramento della sua qualità (nel 2008 la spesa per l’istruzione raggiungeva il 4% del pil). Tuttavia l’accesso all’istruzione è in crescita: il numero di laureati sta aumentando (54.910 nel 2008 rispetto ai 46.038 del 2005) e più della metà dei laureati sono donne (33.721). Viceversa, il numero di bambini non iscritti alla scuola primaria sta diminuendo (dai 16.598 del 2005 ai 6767 del 2008).
Pur essendo la libertà di espressione un diritto sancito dalla Costituzione e generalmente rispettato, un aspetto critico concerne l’indipendenza dei media bulgari, parzialmente compromessa da pressioni politiche ed economiche. Nel 2007, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ha inoltre espresso la propria preoccupazione per le intimidazioni ai danni di giornalisti da parte di parlamentari del Partito Ataka. Le donne sono sottorappresentate in politica, e alle elezioni del 2009 hanno guadagnato il 21% dei seggi in parlamento.
Corruzione e crimine organizzato sono ancora molto diffusi. Nella classifica di Transparency International sulla corruzione percepita la Bulgaria è il penultimo paese dell’Eu, seguito solo alla Grecia. Importante è il ruolo dell’Unione Europea nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato.
Il rapporto della Commissione europea del 2008 sui progressi nell’ambito del meccanismo di cooperazione e verifica affermava che le misure sino ad allora adottate (tra le quali il congelamento dei fondi dell’Eu verso la Bulgaria) risultavano insufficienti. Più recentemente, il rapporto del 2010 riconosce che l’attuale governo sta avviando riforme importanti per migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e che vi sono sviluppi di rilievo nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato, come mostra l’incriminazione di ministri, ex ministri e funzionari pubblici per corruzione grave. Allo stesso tempo, la Commissione sottolinea la necessità di continuare a formare il corpo di polizia e i giudici sulle indagini di casi complessi e di migliorare la tutela contro frodi e conflitti di interesse negli appalti pubblici, così come la disciplina relativa alle confische.
Con un reddito medio pro capite equivalente a meno di un terzo rispetto a quello irlandese, la Bulgaria è oggi il paese più povero dell’Eu (circa 13.000 dollari all’anno). Le dimensioni comparate della sua economia sono modeste: il pil annuo ha toccato i 47 miliardi di dollari nel 2009, a fronte dei 160 miliardi registrati dall’economia romena, degli 88 sloveni e dei 68 croati.
Negli anni Novanta, nella fase di riconversione dall’economia socialista a quella di mercato, il paese è stato travagliato da ricorrenti crisi economiche. Tra il 2003 e il 2008 l’economia bulgara ha invece conosciuto una forte ripresa, crescendo ad un tasso medio superiore al 5,5% annuo, salvo poi conoscere una battuta d’arresto nel 2009, durante la crisi economica mondiale. Anche le finanze pubbliche sono state riassestate nell’ultimo decennio, e una serie di surplus fiscali ha ridotto il debito del paese dal 70% del pil nel 2000 al 14,1% nel 2008.
La composizione dell’economia è lentamente mutata, passando da una netta preminenza dell’industria sovietica nel 1989 all’attuale prevalenza del settore dei servizi (64%). La riconversione ha tuttavia generato un elevato tasso di disoccupazione, problematica che ha afflitto il paese per un quindicennio e che tuttavia si è recentemente dimezzata.
La Bulgaria ha fatto segnare deficit costanti di bilancia commerciale, soprattutto in ragione del fatto che il suo sistema economico dipende in buona misura dall’importazione di risorse energetiche. Non è un caso se le esportazioni bulgare sono dirette principalmente verso i paesi dell’Eu e sono costituite da prodotti finiti o semilavorati, mentre le importazioni provengono soprattutto dalla Russia e si compongono di gas (la totalità del gas consumato dal paese è russo) e petrolio. Nonostante la necessità di importare energia, la Bulgaria resta comunque dipendente dall’estero solo per il 39% dei suoi consumi energetici interni. Ciò accade perché il paese, oltre a produrre internamente il carbone che consuma, dispone di una centrale nucleare che soddisfa il 21% delle sue necessità energetiche.
D’altra parte, tra le condizioni poste dall’Eu all’ingresso della Bulgaria vi era la richiesta di chiusura, per ragioni di sicurezza, di due dei quattro reattori della centrale di Kozloduy, sul Danubio. La generazione di elettricità della centrale è così diminuita, dal 2006, dal 45% al 35% circa rispetto al totale della produzione elettrica nazionale. Un’alternativa alla dipendenza energetica dai combustibili fossili sembra però essere stata individuata: entro il 2014 dovrebbe entrare in funzione una nuova centrale nucleare a Belene con 1 GW di potenza prevista, che potrebbe colmare in buona parte il gap di produzione apertosi dal 2007.
Infine, la Bulgaria nutre speranze di diventare anche stato di transito per i maggiori progetti di infrastrutture di trasporto del gas in discussione nella regione. Sia il principale progetto infrastrutturale sostenuto dalla Federazione Russa (South Stream), che quello sostenuto dall’Unione Europea (Nabucco), miranti a predisporre rotte di approvvigionamento alternativo per i paesi dell’Europa centro-occidentale, prevedono il transito attraverso il territorio bulgaro. La peculiare posizione geografica della Bulgaria rende peraltro il paese snodo centrale anche dei corridoi di trasporto paneuropei.
La spesa militare bulgara dell’ultimo decennio è stata relativamente elevata rispetto ai propri vicini europei (intorno al 2,5% del pil annuo), sebbene negli ultimi anni sia andata riducendosi. Nonostante la non esigua spesa per la difesa, le forze militari sono sovradimensionate e soffrono di una cronica mancanza di fondi. I bassi stipendi e le cattive condizioni delle strutture militari costituiscono limiti alla capacità di reclutamento dell’esercito, dopo che nel 2007 è stato posto fine alla leva obbligatoria. Per questa ragione le Forze armate bulgare, che nel 2007 consistevano di circa 40.000 soldati attivi, si sono ridotte rapidamente, tanto che nel 2009 contava già meno di 35.000 effettivi.
Il bilancio del ministero della difesa è stato sottoposto a forti pressioni anche a causa della scelta della Bulgaria di dimostrare la sua fedeltà politica agli Stati Uniti con il dispiegamento militare in diverse missioni all’estero. Lo schieramento di un contingente di 400 unità in Iraq e di circa 500 in Afghanistan ha avuto luogo già nel 2003: prima, dunque, dell’ingresso ufficiale di Sofia nell’Alleanza atlantica, verificatosi nel 2004.
La decisione, impopolare, di partecipare anche alla missione in Iraq è stata rivista già nel dicembre 2005, quando il governo scelse di ritirare le proprie truppe. A fare da contraltare a questa decisione, Washington e Sofia avevano tuttavia appena siglato un accordo di cooperazione in materia di difesa, che concede all’esercito degli Stati Uniti l’accesso e l’utilizzo congiunto di gran parte delle basi militari nel paese.