Caccia
La caccia è l'attività umana di cattura o di uccisione di animali selvatici, mediante l'uso di strumenti tecnici idonei e in particolare di armi. In passato essa mirava a soddisfare bisogni fondamentali dell'uomo, come l'alimentazione e la difesa, ma venne praticata in alcune epoche anche come attività di educazione alla guerra o di spettacolo o come attività mondana. Oggi la caccia viene svolta quasi esclusivamente per scopi ricreativi o sportivi, essendo considerata prevalentemente occasione di svago e di esercizio fisico, di ristoro del corpo umano e di recupero delle sue energie psicofisiche.
Si riteneva, fino a pochi decenni or sono, che gli animali più vicini all'uomo nella scala evolutiva, gli scimpanzé, fossero vegetariani. Benché la loro dieta sia costituita prevalentemente da cibi vegetali, studi recenti hanno messo in evidenza che essi si nutrono anche della carne di altre bestie, che si procurano compiendo delle battute di caccia collettive, nelle quali catturano e uccidono soprattutto altre scimmie più piccole. Raramente raccolgono animali già morti per cibarsene, mentre possono dar inizio a una caccia anche quando sono già sazi; un importante fattore scatenante dell'attività è costituito dalla presenza nel gruppo di femmine in estro. La caccia collettiva è compiuta quasi esclusivamente dai maschi, con una partecipazione attiva delle femmine del tutto marginale, ed è comunque quasi sempre un maschio che uccide la preda, con i denti o sbattendola contro una superficie dura. Della carne viene fatto un uso che si può definire sociale e politico. Essa viene infatti divisa e si è notato che i maschi la cedono di preferenza alle femmine in estro, ottenendone in cambio l'accesso sessuale, o ad altri maschi con i quali vogliono stabilire o rinforzare un'alleanza. Se l'uccisore della preda è un individuo di basso rango nella gerarchia che caratterizza la società degli scimpanzé, la sua momentanea superiorità interferisce con le posizioni di dominanza, stabilendo una sia pur temporanea eguaglianza fra i maschi che danno e i maschi che ricevono la carne.
La caccia degli scimpanzé costituisce un'innovazione rispetto alla tendenza evolutiva delle grandi scimmie antropomorfe, tutte prevalentemente vegetariane, e presenta elementi di somiglianza con l'attività venatoria dell'uomo: la cooperazione nelle battute, la divisione della preda e la sua importanza nel sistema di relazioni sociali, il suo carattere ludico, il fatto che sia praticata quasi esclusivamente dai maschi. Questi fatti hanno dato forza all'ipotesi di R.A. Dart, ripresa e divulgata da R. Ardrey, che la caccia abbia avuto un'importanza determinante nel processo di ominazione e di produzione di cultura. Essa avrebbe impresso fin dall'inizio e per milioni di anni il suo segno sulla lenta evoluzione dei caratteri biopsichici dell'uomo, sulle forme della sua vita sociale, sulle sue capacità di produrre cultura. Questa ipotesi ha dato notevole impulso, a partire dagli anni Sessanta, allo studio antropologico delle popolazioni attuali di cacciatori-raccoglitori, considerate come il punto di arrivo dell'evoluzione dell'Uomo cacciatore e testimonianze viventi delle più antiche forme sociali dell'umanità. Le critiche non hanno però tardato a farsi sentire. Da una parte, gli archeologi, capeggiati da L.R. Binford, hanno sostenuto che non vi sarebbero prove archeologiche di un'attività sistematica di caccia fino ad almeno centomila anni fa, quando l'uomo moderno (Homo sapiens) fa la sua comparsa in Africa. I resti di animali associati a industria litica prima di questa data testimonierebbero soltanto che le prime specie di Homo (Homo habilis, Homo erectus e sapiens arcaici) prima della caccia avrebbero praticato lo scavenging, cioè l'appropriazione di carcasse di bestie uccise da altri carnivori. Dall'altra, gli antropologi hanno contestato il carattere originario delle società di cacciatori-raccoglitori moderni, che sarebbero invece il prodotto recente di mutamenti evolutivi e storici, e la validità stessa di un tipo culturale della caccia-raccolta. Il dibattito è tuttora in corso, ma l'ipotesi dell'Uomo cacciatore ha guidato e continua a guidare una gran parte delle più interessanti ricerche archeologiche e antropologiche sull'argomento.
Le ambiguità dei dati archeologici per quanto riguarda l'importanza economica della caccia cessano con la comparsa dell'uomo moderno. Ma è solo con il Paleolitico Superiore, fra i 35.000 e i 10.000 anni fa, che compaiono documenti capaci di rivelare il ruolo centrale di questa attività a livello non soltanto economico, ma anche, e soprattutto, sociale e simbolico. Si tratta delle pitture rupestri, le cui immagini ci mettono dinanzi alla rappresentazione del mondo visto con gli occhi del cacciatore. Le più note sono quelle delle grotte di Altamira, nella Spagna settentrionale, e di Lascaux, nel Périgord (Francia), che risalgono a meno di 20.000 anni fa. Dobbiamo ad A. Leroi-Gourhan (1964) un'interpretazione di questi documenti particolarmente interessante, perché trova riscontro nell'ideologia delle moderne società di cacciatori-raccoglitori. Secondo lo studioso francese, l'opposizione fra mascolinità e femminilità costituisce la struttura soggiacente alle raffigurazioni. Essa si esprime in particolare in un sistema di segni che identificano la ferita dell'animale con la vulva e l'arma con il pene, indicando una probabile sessualizzazione concettuale della caccia. Alla fine del Paleolitico, il passaggio alla produzione di cibo, che avviene con singolare sincronia in Asia, Africa, Europa e America a partire dal 10° millennio a. C., tende a relegare in posizione economica sempre più marginale la caccia. Si sono forse sopravvalutate, tuttavia, la forza e l'ampiezza dell'impatto che la Rivoluzione neolitica avrebbe avuto sulle società di caccia-raccolta, specialmente in Africa e in America. Infatti, la diffusione delle nuove tecniche produttive non porta necessariamente alla loro adozione, né tantomeno alla scomparsa della vecchia economia di caccia.
Nella maggior parte dei casi, al contrario, la coltivazione e l'allevamento hanno affiancato le attività acquisitive, dando luogo a economie miste in cui il ruolo della caccia può mantenersi rilevante. In molti casi, agricoltori e pastori hanno convissuto e si sono integrati con popolazioni di cacciatori-raccoglitori in un complesso sistema di stratificazione insieme etnica, economica e sociale, nel quale questi ultimi occupano sempre la posizione più bassa e sono considerati alla stregua di una casta di paria. Infine, vi sono gruppi che, pur raggiunti più o meno tardivamente dalle nuove tecniche produttive, le hanno rifiutate (a volte dopo un periodo di accettazione), optando per il mantenimento dell'economia tradizionale e dello stile di vita che a essa è associato. Questi pochi cacciatori-raccoglitori 'puri' vivono per lo più in ambienti marginali, poco adatti alla coltivazione e alla pastorizia. La loro marginalità, tuttavia, non significa isolamento e tutti hanno rapporti più o meno stretti con popolazioni agricole e/o pastorali. Soltanto l'Australia, quasi priva di contatti con il resto del mondo, continua a ospitare, fino all'arrivo dei coloni europei, solo popolazioni che non praticano alcuna forma di coltivazione o di allevamento. Quest'ultimo gruppo di società di cacciatori-raccoglitori costituisce un campo privilegiato per lo studio della caccia, delle sue tecniche, dei condizionamenti che la sua pratica impone alla forma e ai contenuti della società e della cultura. Tale studio può contribuire anche a gettare luce sulle società preistoriche, non perché i cacciatori attuali ne siano sopravvivenze fossili, ma perché rappresentano varianti di un analogo adattamento tecnico e psichico all'ambiente, nel quale la caccia svolge un ruolo di primo piano.
La caccia rappresenta l'attività economica principale, se non esclusiva, soltanto in pochissime popolazioni di cacciatori-raccoglitori, che vivono in ambienti artici e subartici al di sopra del 60° parallelo nord (eschimesi; algonchini e athapasca dell'America Settentrionale). Più spesso essa si combina con la raccolta di cibi vegetali selvatici, miele, insetti e piccoli animali, che fornisce più della metà del cibo quotidiano. La raccolta interviene dunque quanto e più della caccia a determinare la struttura demografica del gruppo, le dimensioni del suo territorio, la sua mobilità. Se le variazioni a questo riguardo sono nel complesso piccole, è perché le risorse sfruttate sia con la caccia sia con la raccolta presentano caratteri analoghi di dispersione e di stagionalità che, in presenza di una tecnologia molto semplice, impongono territori assai vasti, bassa densità di popolazione, forte mobilità, frequente scissione e ricomposizione del gruppo territoriale, che gli antropologi chiamano 'banda'. Si sono, infatti, riscontrate regolarità significative nella consistenza demografica dei gruppi produttivi e riproduttivi: le bande sono in genere costituite da 25-50 individui che cooperano nelle attività economiche e che si riproducono all'interno di un gruppo più vasto di circa 500 individui. È la caccia tuttavia a determinare, qualunque sia il suo ruolo nell'economia globale, le relazioni sociali all'interno del gruppo e a improntare la visione del mondo.
Anche a questo riguardo, lo studio comparato delle società di banda ha messo in luce analogie di forma e di contenuto così forti riguardo ad alcuni tratti fondamentali, e forse universali, della cultura, quali la spartizione reciproca del cibo, la divisione sessuale del lavoro, la subordinazione della donna, l'impurità collegata agli eventi del suo ciclo riproduttivo, il rapporto privilegiato dell'uomo con la tecnologia, da far ritenere che la loro origine e le ragioni del loro permanere, al di là di qualunque evento storico e in qualunque tipo di cultura, vadano ricercate proprio all'interno del mondo della caccia. Queste considerazioni inducono a chiedersi che cosa sia la caccia e che cosa rappresenti per le popolazioni che la praticano. Possiamo definire la caccia un'attività di predazione volta all'uccisione di animali di medie e grosse dimensioni con l'impiego di armi. Dal punto di vista tecnico economico, può essere praticata con metodi diversi a seconda del tipo di selvaggina. Fondamentalmente, possiamo distinguere fra: a) la caccia compiuta da individui isolati o in piccoli gruppi di due o tre con l'uso della lancia o dell'arco e delle frecce; b) le battute di caccia collettive con l'eventuale uso di reti, recinti o altri stratagemmi per intrappolare l'animale, in seguito ucciso con le armi. Il primo tipo di caccia è attività esclusivamente maschile in tutte le sue fasi (appostamento, inseguimento, uccisione), mentre le donne possono partecipare alle cacce collettive, dove svolgono la funzione di battitrici, spingendo gli animali verso gli uomini appostati a riceverli. Compete però sempre e soltanto agli uomini il compito di uccidere l'animale intrappolato con le armi.
La cattura di animali con trappole, quali le ruote spinate, i laccioli, le fosse, armate e non, esorbita dall'attività di caccia propriamente intesa ed è infatti praticata per lo più dalle popolazioni agricole e pastorali. Né vi rientra la raccolta di piccoli animali compiuta dalle donne, facendo uso delle sole mani. I cacciatori-raccoglitori usano poco queste tecniche e soprattutto tendono a disprezzarle; esse, infatti, non comportano rischi, non mettono in diretto rapporto l'uomo e l'animale e non richiedono particolari qualità individuali. Nel tipo di caccia più apprezzato, l'uomo affronta un animale di grandi dimensioni e lo uccide con le proprie armi.
Particolarmente significativo è il caso dei nemadi, popolazione di cacciatori-raccoglitori sparsa in maniera discontinua lungo tutto il confine meridionale del Sahara e oltre. I nemadi, fra i quali il confronto diretto fra l'uomo e l'animale assume il carattere di una vera e propria lotta corpo a corpo piuttosto che di un atto di predazione, praticano una forma di caccia assai particolare: dopo aver immobilizzato con l'aiuto del cane un grosso maschio di antilope Addax, il cacciatore afferra l'animale per la testa, lo spinge a forza verso terra e ne conficca le lunghe corna nella sabbia così profondamente che la bestia rimane come inchiodata al suolo. A questo punto il cacciatore la uccide con il suo coltello, tagliandole la gola. Il caso dei nemadi mette in luce l'aspetto antagonistico di una relazione fra l'uomo e l'animale che è però sempre ambigua e presenta elementi di simpatia e quasi di complicità: affinché il cacciatore abbia successo, la preda deve consentire alla propria uccisione. Così, i boscimani/xam (Sudafrica), prima di partire per la caccia, cercano di entrare in sintonia spirituale con l'animale. Il corpo del cacciatore viene allora scosso dalla 'sensazione dell'antilope': essa si manifesta con piccoli colpi in tutte le sue parti, che vengono percepite come corrispondenti a quelle del corpo dell'animale. Questa sensazione si protrae durante la battuta, rinforzando il legame di simpatia fra il cacciatore e la sua preda.La caccia alla grossa selvaggina conferisce prestigio al cacciatore, la sua preparazione è circondata da rituali volti a garantirne il buon esito e il suo successo è celebrato con feste.
I pigmei mbuti (foresta dell'Ituri, nel Congo nordorientale), per es., pur praticando parecchi tipi di caccia sia collettiva (con o senza reti) sia individuale (con arco e frecce avvelenate, con la lancia), danno particolare importanza sociale e culturale alla caccia con la lancia, che impegna uno o più individui in un confronto diretto con un animale di grossa taglia e potenzialmente pericoloso, come l'elefante o il bufalo. La notte prima della battuta, gli uomini si radunano per cantare, danzare e compiere rituali connessi con questo tipo di caccia. La notte successiva, se la battuta ha avuto successo, hanno luogo festeggiamenti, che possono durare anche più giorni e dei quali è protagonista il cacciatore che ha inferto il corpo mortale all'animale. Egli guida i canti di caccia e racconta i particolari della sua impresa, esaltandone i rischi. I suoi compagni lo considerano un eroe. Se poi la sua preda è l'elefante, gli sarà attribuito il titolo di tûma e la sua fama varcherà i confini della banda.
Gli esempi che abbiamo riportato mostrano come la caccia sia qualcosa di più che un semplice mezzo per procurarsi il cibo. Essa è anche un'attività a forte contenuto emotivo in cui il maschio afferma come valori culturali le qualità biologiche virili di forza, di coraggio fisico e di astuzia. L'atto dell'uccisione cruenta ne rappresenta il momento cruciale ed è sempre compiuto dai maschi. Anche se la donna, come abbiamo visto, può partecipare alle battute di caccia, compete però sempre e solo all'uomo il compito di uccidere l'animale con le armi, la cui fabbricazione e il cui uso gli sono strettamente riservati. Esistono espliciti divieti che circondano questo privilegio maschile e impediscono alle donne anche soltanto di toccare le armi degli uomini. Essi possono riguardare le donne in quanto tali o, più spesso, soltanto le donne mestruate e incinte. L'infrazione del divieto, anche involontaria, si ritiene che abbia conseguenze negative, più che sulla donna, sul cacciatore, privando di efficacia le sue armi o rendendo le sue gambe inette alla corsa.
I tabu sulle armi introducono nella divisione tecnica del lavoro fra i sessi, che attribuisce la caccia agli uomini e la raccolta alle donne, un elemento ulteriore, interno alla caccia, che è privo di giustificazioni economiche. La sua spiegazione va ricercata piuttosto in un'identificazione simbolica fra gli organi sessuali maschili e le armi. In un linguaggio diverso, i divieti codificano lo stesso messaggio di cui l'iconografia dei cacciatori preistorici ci fornisce numerosi esempi, oltre che nella forma astratta dei segni analizzati da Leroi-Gourhan, nelle esplicite raffigurazioni dei genitali maschili in forma di armi (si vedano, per es., le incisioni camune). Questa sessualizzazione della caccia definisce il ruolo sociale e culturale dell'uomo come cacciatore e 'datore di morte', attraverso la mediazione simbolica delle armi. Il suo ingresso nella vita adulta è infatti segnato, invece che dal raggiungimento della maturità fisica, dall'acquisizione della capacità di cacciare, e il suo ruolo biologico nella riproduzione è tenuto in ombra o esplicitamente negato. È l'uccisione della prima preda di grosse dimensioni che trasforma un ragazzo in un membro adulto della società e lo rende idoneo al matrimonio. Questo evento è sottolineato da un rito, spesso molto semplice, a volte di grande complessità. Fra i pigmei efe (foresta dell'Ituri, nel Congo nordorientale), per es., quando un ragazzo ha ucciso la sua prima selvaggina, di cui possono cibarsi soltanto le persone anziane, si svolge una piccola cerimonia. Il padre del giovane pesca il cuore dell'animale dalla pentola dove è stato messo a cuocere, lo pone nella mano del figlio, insieme all'arco che questi ha usato nella caccia, chiudendogliela e stringendogliela con il proprio pugno, fino a fargli male. Il ragazzo deve sopportare il dolore in silenzio, se vuole diventare un cacciatore fortunato.
Al ruolo di cacciatore e 'datore di morte' del maschio, che le armi sottraggono alla natura, si contrappone il ruolo puramente naturale di riproduttrice e 'datrice di vita' della donna. È infatti il raggiungimento della sua maturità sessuale con il menarca a essere celebrato ritualmente. Anche i riti femminili, tuttavia, rimandano alla caccia. Alla donna mestruata sono infatti imposti dei tabu, fra i quali è universale, oltre a quello sulle armi che abbiamo già visto, il divieto di mangiare la carne degli animali cacciati. Ciò che sembra accomunare la donna e l'animale è il sangue. La credenza ampiamente diffusa, non solo fra i cacciatori, che il sangue mestruale sia la materia con cui viene costruito il bambino nel grembo della madre, induce a considerarne la perdita come un segno negativo e ad accostare la ferita dell'animale alla vulva della donna, il sangue che sgorga dalla ferita al suo flusso mestruale. I tabu segnalano questa situazione che possiamo definire di pericolo, e riversano sulla donna mestruata l'impurità associata con la morte. Gli usi matrimoniali confermano questa definizione dei ruoli sessuali. Un uomo può sposarsi soltanto dopo che ha dimostrato di essere un buon cacciatore. Per ottenere una donna in moglie e diventare padre dei figli che essa genererà, deve però prestare il cosiddetto servizio per la sposa. Questo costume, presente nella maggior parte delle società di cacciatori-raccoglitori, prevede che un uomo vada a caccia per i futuri suoceri finché la moglie abbia partorito almeno un figlio. L'abilità di cacciatore che ha fatto del ragazzo un uomo, costituisce la controparte delle capacità riproduttive della donna e il servizio per la sposa gli consente di appropriarsi dei suoi figli in cambio degli animali uccisi, stabilendo un'equivalenza fra il prodotto dell'attività maschile di caccia e il prodotto dell'attività femminile di riproduzione, fra la carne e il figlio.
L'alto valore simbolico e sociale attribuito al prodotto della caccia si mostra, oltre che nelle osservanze rituali di cui abbiamo parlato, nella divisione alla quale è sottoposto. La spartizione della preda ha certamente motivi economici, in mancanza di mezzi di conservazione che ne consentano un uso differito, e garantisce a ciascun membro della banda una razione di un alimento ad alto valore nutritivo. Tuttavia, il fatto che essa sia regolata da norme, spesso assai rigide, che stabiliscono un ordine nell'attribuzione delle parti dell'animale, mette in evidenza come la sua funzione non sia puramente economica. L'animale cacciato è considerato proprietà collettiva del gruppo, che ne investe un individuo ai fini della sua spartizione. Questi può essere il cacciatore che l'ha ucciso o l'individuo al quale appartiene l'arma adoperata nell'uccisione, che a volte differisce dal cacciatore. Fra i boscimani, per es., un uomo può cacciare con la freccia del suocero, che è dunque il 'proprietario' dell'animale. All'uccisore e al proprietario dell'arma sono in genere riservate alcune delle parti speciali dell'animale, più spesso la testa. È sempre un maschio a effettuare la spartizione fra un gruppo di maschi. La donna è esclusa anche se ha partecipato alla battuta di caccia. Essa si limiterà a consumare parte della carne che sarà toccata al marito. Fra gli eschimesi la donna rimasta vedova è tagliata fuori dal consumo della carne.
La divisione della preda può seguire linee di parentela, riaffermando la rete dei rapporti di consanguineità e di affinità esistenti nella banda, o può creare un sistema di relazioni più o meno indipendente, che si affianca o solo in parte si sovrappone a quello di parentela. Nel primo caso, sono in genere le relazioni di affinità a essere privilegiate, ribadendo ulteriormente la connessione fra l'attività di caccia e quella sessuale-riproduttiva. Linee di parentela segue la divisione dell'animale fra i boscimani !kung di Nyae Nyae (Namibia). Dopo una prima spartizione fra gli individui che hanno partecipato alla caccia e il proprietario della freccia che ha ucciso l'animale, ciascuno procederà a un'ulteriore distribuzione della propria quota di carne ai parenti. La parte migliore e più abbondante spetta ai genitori della moglie, e solo dopo aver assolto quest'obbligo si potrà pensare ai propri genitori, alla moglie e ai figli; da ciò che si trattiene per sé, si toglieranno ancora delle porzioni per i propri fratelli, per i fratelli della moglie ed eventualmente per altri parenti e amici. Di nuovo, ciascuno di coloro che hanno ricevuto una razione di carne la redistribuirà a sua volta secondo lo stesso schema, finché ogni membro della banda avrà ricevuto una porzione di questo cibo pregiato (Arioti 1980).
Fra i gunwinggu della Terra di Arnhem (Australia settentrionale), oltre ai parenti sono privilegiati, nella spartizione di grosse prede, quali i canguri e i wallaby, gli anziani, in ossequio alla gerontocrazia tipica degli aborigeni. A dividere la preda è colui che le ha inferto la ferita più grave. Dell'animale vegono fatte otto parti: la testa spetta sempre al cacciatore; i due quarti anteriori sono divisi fra tutti gli uomini che hanno preso parte alla battuta; la groppa e la coda, che possono essere ulteriormente suddivise in tre parti, vanno ai fratelli della moglie, che sono anche figli dello zio materno, dato il matrimonio preferenziale con la cugina incrociata matrilaterale; infine, i due quarti posteriori e le interiora sono attribuiti agli anziani (Altman-Peterson 1988). Rapporti specifici tra maschi, che comportano precisi diritti e doveri, al di là dei rapporti di parentela, vengono creati e mantenuti dalla spartizione della foca anellata, detta piqatigiit, fra gli eschimesi centrali. Le varie parti dell'animale vengono usate per vincolare, attraverso lo scambio reciproco, coppie di maschi. Questi vengono a trovarsi in una relazione permanente di 'compagni di cuore', 'compagni di fegato', 'compagni di costole', e via dicendo, che è attivata ogni volta che una foca anellata è uccisa e si procede alla sua distribuzione (Arioti 1980).In termini più generali, possiamo dire che sul corpo dell'animale i cacciatori disegnano la struttura della società, utilizzando le sue parti per creare, esprimere e rinsaldare i legami sociali, privilegiando sempre quelli fra maschi adulti, spesso di parentela, più di rado fra generazioni. La sua spartizione fra maschi ne evidenzia e ne rafforza la solidarietà e la fondamentale uguglianza. L'esclusione delle donne dalla comunione creata fra gli uomini ne segnala in negativo la marginalità e subordinazione che abbiamo visto espresse nei tabu sulle armi e sulla carne. L'attenzione riservata agli anziani ne sottolinea la posizione di autorità nel gruppo.
Se i popoli cacciatori sono oggi un'esigua minoranza, destinata probabilmente a sparire nel giro di pochi anni, la caccia continua tuttavia a rappresentare una componente importante nell'economia di molte società agricole e pastorali. Soprattutto nelle società orticole dell'America sia Settentrionale sia Meridionale, dove gli animali domestici sono assenti, la caccia è attività anche più importante della coltivazione e influenza la struttura delle relazioni sociali e l'ideologia. Purtroppo, mancano studi comparativi sulla caccia in questo tipo di culture, sicché qualsiasi generalizzazione è difficile. Si può, tuttavia, affermare che anche in tale caso la caccia è attività che definisce il ruolo socialmente dominante del maschio, contrapponendolo a quello della femmina. Questa connessione con i ruoli sessuali continua a essere espressa dall'esistenza di tabu sulla carne e sulle armi per le donne mestruate o incinte. Tuttavia, vi sono certamente elementi nuovi e diversi, di cui il più importante, oltre all'attività agricola, sembra essere l'inclusione dell'uomo fra le prede. Fa qui la sua comparsa, infatti, la guerra, quasi inesistente fra i cacciatori-raccoglitori, e vi assume le forme di una vera e propria caccia all'uomo. Il ruolo maschile viene allora più strettamente collegato con tale attività, piuttosto che con la caccia in generale, e dai suoi esiti dipende la fertilità della terra e, insieme, della donna. Questo potrebbe in parte spiegare perché le donne accompagnino così spesso i mariti nella caccia e, almeno in un caso documentato, quello dei matses, pratichino regolarmente questa attività uccidendo la preda con il coltello e mai con l'arco, il cui uso è riservato agli uomini.
Una relativa perdita di prestigio dell'animale, rispetto alla nuova preda umana, potrebbe anche spiegare perché la spartizione della carne, oltre a rimanere prerogativa maschile, possa essere effettuata da una donna fra un gruppo di donne. Fra gli sharanaua del Perù è la prima moglie del proprietario di una casa a dividere fra le donne della propria parentela la carne procurata dal marito, dal genero o dal figlio.Pure in Africa non sono poche le società agricole e pastorali in cui la caccia continua ad avere importanza economica, sociale e culturale. Anche qui non si dispone di studi comparativi, ma solo di informazioni, di qualità assai diversa. Fra le più interessanti analisi degli aspetti simbolici e rituali della caccia in una società africana di coltivatori alla zappa è certamente quella di V. Turner sugli ndembu, una popolazione di lingua bantu dello Zambia nordoccidentale. Alla caccia gli ndembu attribuiscono un grande valore come occupazione virile e, come nelle società di cacciatori-raccoglitori, associano l'atto dell'uccisione all'uomo, contrapponendolo a quello femminile della procreazione. L'apprendimento delle tecniche di caccia costituisce infatti, insieme all'istruzione sessuale, una parte notevole dei rituali di iniziazione maschile, ed esistono culti particolari collegati con la caccia, ai quali possono partecipare soltanto i maschi iniziati. L'analisi dei simboli implicati nei riti, e in particolare dei valori simbolici attribuiti dal linguaggio rituale ai colori, fra cui domina il rosso del sangue, rivela il permanere di significati e di associazioni che affondano le loro radici nel lontano passato dell'uomo cacciatore (Turner 1967).È solo con l'agropastoralismo e l'evoluzione della civiltà urbana che la caccia come attività economica praticamente scompare. Perduta o drasticamente diminuita la sua importanza economica, tuttavia, essa continua a essere praticata come attività ludica o rituale e a mantenere un valore simbolico forte in tutte le società umane, incluse quelle occidentali moderne. Nella vastissima letteratura storica sulla caccia nel mondo occidentale, merita di essere segnalato, per l'importanza che vi assume la prospettiva antropologica, il lavoro di P. Vidal-Naquet (1976) sulle origini dell'efebia greca. Pochi sono invece i lavori etnografici sulla caccia nelle società occidentali, la maggior parte dei quali si concentra sulla caccia al cinghiale, la più ritualizzata e la più ricca di valenze simboliche (Padiglione 1989).
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