CACHERANO D'OSASCO, Gian Francesco, conte di Rocca d'Arazzo
Nacque tra il 1510 e il 1520, quarto figlio di Giovanni e di Margherita Provana di Leyni, fratello di Ottaviano, che fu gran cancelliere di Savoia.
Dei numerosi rami dei Cacherano, quello di Osasco è forse il più celebre e raggiunge nel sec. XVI il suo massimo splendore. La fedeltà costante verso i Savoia, anche e soprattutto negli anni di cattiva fortuna, permette ai Cacherano di Osasco di acquistare una posizione di preminenza nel quadro storico-politico dell'epoca. Giovanni, il 19 maggio 1531, è uno dei testimoni all'atto di immissione della duchessa di Savoia, Beatrice di Portogallo, nel possesso del contado di Asti donatole dal cognato Carlo V. Governatore di Cuneo, diresse la difesa della città contro l'assalto francese del 1536.
Addottoratosi in diritto a Torino il 5 febbr. 1535, l'11 febbraio il C. entrò a far parte, quale consigliere, del Consiglio residente. Nel 1536, asserragliato in Bricherasio insieme con i suoi fratelli, sostenne gli assalti dei Francesi di Cesare Fregoso Malatesta. Come ricorda un diploma di Emanuele Filiberto del 4 dic. 1566, il C. e i fratelli caddero prigionieri dopo ventidue giorni di lotta e dovettero pagare un altissimo riscatto: 4.000 scudi d'oro, oltre a subire l'incendio e la distruzione del castello di Bricherasio. In questa occasione venne bruciato completamente l'archivio familiare.
Nel 1538 il C. appare già attivo curatore degli interessi dei Savoia. Da Cuneo, roccaforte sabauda, di cui è eletto vicario nell'aprile 1539 (l'incarico ufficiale di governatore appartiene, probabilmente, ancora al padre, impegnato in altri negozi) intrattiene con Carlo III una fitta corrispondenza, in cui si rispecchiano la confusione e la violenza dei tempi, la prepotenza dei Francesi, le intemperanze dei vari signori infedeli alla causa sabauda, l'estremo disordine finanziario del Ducato.
Il C., informatore preciso e tempestivo, non di rado propone soluzioni che appaiono ricche di diplomazia, fondate su sagaci accorgimenti e, in qualche caso, sul ricorso all'uso di spregiudicate astuzie. Ma non si ritrae mai dinanzi al pericolo e si dichiara sempre pronto a impugnare le armi. Tutte le sue lettere, da quelle giovanili dirette a Carlo III a quelle della maturità, indirizzate a Emanuele Filiberto, sono vibranti di una sincera passione per la causa sabauda, di una profonda devozione per i duchi, che egli costantemente esorta all'azione, parendogli il Piemonte simile a Israele, anch'esso in attesa della sua redemptio. Oggetto di preoccupate relazioni sono, di volta in volta, vicende disparate: finanziarie, militari, giudiziarie. Qualche volta il C. non esita a entrare in un discorso più confidenziale con il duca, proponendogli una nuova alleanza matrimoniale o rimproverandolo di non pensare a garantire una discendenza al casato. Afferma più volte di avere abbandonato ogni suo avere nelle mani rapaci dei Francesi e di ritrovarsi senza alcun bene di fortuna (nel 1553 scrive di essere "con la vita ignuda" e aggiunge: "vivo con il denaro de Mebreo a giornata pascendo"): caso singolare se confrontato con il generale atteggiamento remissivo dei nobili piemontesi nei confronti della Francia (il Gian Francesco Cacherano che, in Bricherasio, giura fedeltà e ottiene investitura da Francesco I di Francia è un omonimo). Nella sua corrispondenza è frequente l'accenno al padre e ad un fratello, probabilmente Ottaviano, con cui appare in stretti rapporti nel perseguimgnto dei comuni interessi e nell'espletamento di comuni uffici al servizio dei signori.
Emanuele Filiberto si dimostrò riconoscente al C., a carico del quale non mancarono insinuazioni calunniose dettate dall'invidia e dalla gelosia di cortigiani, che il C. dovette energicamente respingere. Non gli fu facile, ad esempio, ottenere la carica di presidente del contado di Asti, che il C. voleva soprattutto per il suo attaccamento a questa città e, ottenutala, incontrò non poche resistenze nell'esercitarla, ad opera di Cassiano Dal Pozzo che, come presidente del Senato, non voleva riconoscere limite alcuno alla propria competenza. Nel 1546 il C. fu nominato senatore, cioè membro di quel Consiglio cismontano ducale che, più volte trasferitosi, risiedeva in Vercelli dal 1543. Nel 1550 fu credendario di Asti, come risulta da un atto consolare del 6 dicembre di quell'anno. Nel 1551 era gran tesoriere ad Asti e nell'agosto dello stesso anno era vicario di Vercelli. Il 1º dic. 1553 ottenne l'incarico più desiderato, cioè quello di capo e presidente nel Supremo tribunale dei senatori e giudici delle ultime appellazioni del contado di Asti e marchesato di Ceva, e lo conservò sino alla fine della sua vita.
Questa magistratura era stata istituita ex novo in seno al Senato di Piemonte, per soddisfare almeno in parte le richieste di Asti privata del suo Senato. Il C. fu il primo a ricoprirla, dopo averla caldeggiata con uno slancio che, se da un lato poteva derivare dall'ambizione personale, nasceva nondimeno da sincera preoccupazione per gli interessi della città. Non è certo che gli venisse affidato il governo di Cuneo e Ceva. Indubbiamente, le sue mansioni furono a un tempo giurisdizionali e politiche e per il loro svolgimento lo costrinsero più volte a viaggi e soggiorni all'estero.
Per gran parte del 1556 il C. fu a Bruxelles. Qui, il 4 dicembre, ottenne un alto riconoscimento venendo chiamato a far parte del Consiglio segreto di Emanuele Filiberto. Nel diploma di nomina si fa riferimento esplicito a precedenti incarichi diplomatici del C. svolti con buon esito. Nel 1543, ad esempio, era stato inviato alla corte pontificia per perorare il condono di una prestazione e consimile incarico aveva svolto l'anno seguente. Nel 1558 fu impiegato nella sua più importante missione diplomatica: quella che terminò con il trattato di Cateau Cambrésis. Assieme al gran cancelliere di Savoia conte Langosco di Stroppiana fu infatti inviato a metà ottobre del 1558 all'abbazia di Cercamp, dove prese parte ai negoziati che qui ebbero inizio, difendendo gli interessi del suo signore con una dedizione totale e uno slancio appassionato. Tornò in Piemonte e venne probabilmente scelto tra i cento gentiluomini del corteo che accompagnò Emanuele Filiberto a Parigi, dove il matrimonio del duca sabaudo con Margherita di Valois suggellò la pace con la Francia. Più tardi, tornato il principe in possesso degli Stati aviti, il C. veniva impiegato in delicati affari di politica interna. L'11 ag. 1560 fu mandato ad Asti insieme a Roberto Della Rovere a trattare una maggiore contribuzione sul tasso del sale, "trovandosi in molta angustia di finanze lo stato". Nel 15 63 ridusse all'obbedienza i luoghi di Agnello, Mombasiglio, Pulicetto e Parolo, feudi di Alfonso Del Carretto che si era ribellato al duca, e costrinse lo stesso a rimettersi sotto l'obbedienza sabauda.
Si è accennato all'affezione del C. per la città di Asti, giustificata dal fatto che la famiglia aveva i propri beni in territorio astigiano. In una lettera del 7 febbr. 1554 egli non esita a dichiarare a Emanuele Filiberto che gli porta obbedienza come conte di Asti e non come duca di Savoia, affermazione coerente con,la concezione feudale del secolo. Si conservano parecchie investiture, del 1550, 1556, 1561, con cui il C., quasi sempre assieme al fratello Ottaviano, ottiene il riconoscimento dei suoi diritti feudali su Osasco, che dava il nome al suo casato, su Rocca d'Arazzo, Bricherasio e Coazzolo. Il 15 marzo 1577 fu reinvestito del feudo di Rocca d'Arazzo dall'imperatore Rodolfo II. Con il diploma si concesse ai Cacherano d'Osasco, nella persona del "seniore pro tempore" della famiglia, il vicariato perpetuo del Sacro Romano Impero, con il privilegio di battere moneta in Rocca d'Arazzo.
Il C. è ricordato come autore di tre libri sul duello, rimasti inediti. Sposò Adriana dei conti Lignana. Ebbe solo un figlio naturale, Carlo, da cui provenne una famiglia vivente ad Osasco e detta Osasco. Morì nel 1577, probabilmente nella seconda metà di marzo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezione I, Lettere Particolari, mazzo 12 Ors-Osa, 1538 in 1540, 2 ott., 4 ott. e 20 dic. 1538; 3 febbr., 26 marzo, 30 marzo, sabato santo, 6 maggio, 19 sett., 15 ott., 29 nov. e 5 dic. 1539; 14 genn. 1540; 1552 in 1556, 7 nov. 1552; 7 febbr., 4 giugno, 24 giugno, 7 sett., 9 ott. e 11 dic. 1553; 7 febbr., 16 febbr., 3 marzo e 14 giugno 1554; 31 dic. 1556; mazzo 13 Osa-Oze, 1541 in 1551, 4 luglio 1541; 3 maggio 1544; 27 dic. 1550; 2 febbr., 22 febbr. e 19 marzo 1551; Ibid., Lettere Ministri, Francia, mazzo 1º, 18 ag., 31 ag. e 15 nov. 1558; Ibid., Protocolli camerali, n. 160, ff. 22-23; Ibid., Protocolli di corte, n. 183, f. 154; n. 217, f. 44; n. 219, f. 118; Ibid., Materie politiche. Negoziazioni con Vienna, mazzo 35; Torino, Bibl. Reale: A. Manno, Il patriziato subalpino, III (dattiloscritt.), ad vocem Cacherano, p. 48; G. Tonso, De vita Emmanuelis Philiberti, Augustae Taurinorum 1596, p. 149; F. Voersio, Storia di Cherasco, Monteregali 1618, p. 307; O. Cacherano d'Osasco, Decisiones sacri Senatus Pedemontani, Taurini 1619, retrofrontespizio; F. A. Della Chiesa, Corona reale di Savoia, Torino 1777, p. 153; A. Rossotto, Syllabus scriptorum Pedemontii, Monteregali 1667, p. 205; S. Guichenon, Histoire généalogique de la royale maison de Savoie, Turin 1778, pp. 676 s.; O. De Rossi, Scrittori piemontesi savoiardi nizzardi, Torino 1790, p. 39; [G. Galli della Loggia], Cariche del Piemonte, I, Torino 1798, pp. 456-60; F. A. Duboin, Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti, manifesti della Real Casa di Savoia, III, Torino 1826, pp. 221-26 nota; G. M. De Rolandis, Notizie sugli scrittori astigiani, Asti 1839, p. 55; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, I, Torino 1841, pp. 691-95; L. Tettoni-F. Saladini, Teatro araldico, VIII, Lodi 1847, ad v.Cacherani; E. Ricotti, Storia della monarchia piem., II, Firenze 1861, pp. 89, 100, 145; C.Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1882, pp. 272, 307; G. Claretta, La successione di Emanuele Filiberto al trono sabaudo, Torino 1884, pp. 17, 213, 227; L. C. Bollea, Storia di Bricherasio, Torino 1928, pp. 428 s.; A. Segre, Emanuele Filiberto (1528-1559), Torino 1928, p. 92; P. Egidi, Emanuele Filiberto (1559-1580), Torino 1928, p. 31; G. Manno, Degli ordinamenti giudiziari del duca di Savoia Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 16 s., 20 s., 24, 44 s., 50, 53, 58, 62, 73 s.