CAFFARO
Nacque intorno al 1080-81 da Rustico signore di Caschifellone, una piccola località della Val Polcevera nella pieve di San Cipriano. Appartenne quindi ad un antica famiglia di origine vicecomitale, che in epoca feudale e comunale aveva partecipato al governo di Genova.
La prima menzione di C. risale al 20 luglio 1100, quando il suo nome compare con quello del padre in un atto in cui alcuni ecclesiastici rinunziavano ad ogni loro diritto sulla chiesa dei SS. Salvatore e Tommaso di Fassolo. In quello stesso anno, il 1ºagosto, C. si imbarcò con altri genovesi alla volta della Palestina, per portare aiuto ai primicrociati in Terrasanta. Il viaggio rappresentò una esperienza fondamentale nella vita del giovane C., soprattutto per quanto avrebbe riguardato la sua futura attività di cronista, narratore delle patrie memorie. Certamente fu presente al convegno di Laodicea, nel quale Baldovino di Edessa fu designato nuovo re di Gerusalemme; senza dubbio partecipò alle scorrerie dei Genovesi e degli altri crociati contro le località occupate dai Saraceni. Nella primavera del 1101 si trasferì con la flotta a Giaffa per raggiungere poi Gerusalemme, ove il giorno di Pasqua assistette al miracolo dei lumi nella cappella del S. Sepolcro. Successivamente seguì Guglielmo Embriaco nell'assedio e nella vittoriosa conquista di Cesarea; e da questa città partì per fare ritorno in patria insieme con il corpo di spedizione genovese nell'ottobre 1101.
L'esperienza di crociato e il soggiorno in Terrasanta, ove convergevano uomini da ogni paese d'Europa e dove cresceva di giorno in giorno il prestigio dei Genovesi, se incisero indubbiamente sulla formazione morale e civile del giovane, gli fecero anche comprendere che la partecipazione alla crociata aveva segnato l'avvio della potenza economica e marinara della Repubblica ligure: proprio da questa impresa trassero ispirazione e pratica attuazione gli annali della città. C. stesso precisa di aver cominciato a stendere le sue note quand'era ventenne.
Dopo il suo viaggio in Oriente per circa un ventennio le fonti non forniscono notizie su C., ad eccezione di una breve notizia del febbraio 1111 da cui apprendiamo che i consoli genovesi aggiudicarono alla chiesa di S. Siro fuori le mura le decime di quanto i figli di Rustico di Caschifellone avevano ereditato dal padre. èprobabile che in questo periodo di tempo C. si sia dedicato al commercio e agli studi, acquisendo una certa preparazione culturale e abbia potuto dare prova di dirittura morale in modo da imporsi all'attenzione dei governanti. Infatti nel 1121, quando non aveva ancora rivestito nessun incarico pubblico, fu posto al fianco del genovese Barisone e scelto come rappresentante degli interessi della città di fronte a Callisto II nella vertenza tra Genova e Pisa per la consacrazione dei vescovi in Corsica. C. soggiornò a Roma il tempo necessario per perorare le richieste genovesi. Raggiunse nuovamente la corte pontificia nel 1123per difendere di fronte al Collegio dei cardinali la posizione di supremazia di fatto acquisita da Genova nell'isola. Le trattative furono condotte assai abilmente dagli miviati genovesi, che riuscirono a guadagnarsi le simpatie di molti prelati e del pontefice stesso, il quale impedì ai presuli pisani la consacrazione dei vescovi in Corsica ed elevò Genova a sede arcivescovile, sollevando le proteste dell'arcivescovo di Pisa, che all'annunzio delle "inique" decisioni scagliò ai piedi del pontefice l'anello e la mitra.
Questa scena è stata piasticamente descritta da C. nei suoi Annali (ad annum 1123).Nel passo, però, il cronista non manca di sottolineare con un interessato accenno l'importanza della propria attività durante il soggiorno romano lasciando trapelare un giustificato senso di orgoglio per la felice conclusione della delicata missione.
Prima del suo secondo viaggio a Roma, nel 1122 C. era stato chiamato per la prima volta alla carica di console del Comune e dei Placiti, carica in cui venne confermato nel 1125.Nel corso di quest'ultimo anno legò il proprio nome a un'impresa militare, in cui rivelò capacità di stratega e qualità di energico uomo d'azione. Infatti nel settembre, al comando di una squadra di sette galee, si portò nell'alto Tirreno per dare la caccia alle imbarcazioni pisane che incrociavano tra la Provenza e la Sardegna assalendo le navi da carico genovesi: raggiunse Piombino e ne espugnò la cittadella, catturando un grosso mercantile nemico e facendo prigionieri molti uomini, che portò a Genova. Anche di questo episodio C. fece una diligente esposizione negli Annali, benché la narrazione sia qui piuttosto sobria e succinta rispetto a quella di altri avvenimenti dei quali egli fu protagonista, e che vengono trattati invece assai più diffusamente. Manca invece negli Annali qualsiasi accenno alla missione svolta da C. a Barcellona presso Raimondo Berengario nel 1127, anno in cui rivestì per la terza volta la carica di console. Nel corso di questa ambasceria, che amministrò insieme con Ansaldo Crispino, riuscì a concludere il 28 novembre 1127un trattato commerciale piuttosto vantaggioso per Genova, in cui venivano stabiliti tutti i tributi che dovevano essere pagati dalle navi genovesi che approdavano nelle terre del conte.
Nel 1130, quando per la prima volta in Genova vennero separate le cariche di console del Comune da quelle di console dei Placiti - a quest'ultimo spettava l'amministrazione della giustizia nei vari rioni della città -, C. fu scelto subito come console dei Placiti per la "compagna" della Porta. Dopo il 1130 mancano sue notizie per oltre un decennio. Questa lacuna nelle notizie sulla biografia di C. viene generalmente attribuita dagli studiosi a un soggiorno da lui compiuto in Oriente, sulle orme della giovanile esperienza in Terrasanta. Tale ipotesi si basa sul fatto che, in una sua opera minore, il Liber de liberatione civitatum Orientis, C.descrive la conquista del castello di Margat, in Siria, compiuta nel 1140da Rainaldo le Mazoir, un episodio che non viene ricordato da nessuno dei numerosi cronisti delle Crociate. L'avvenimento è narrato con tanta evidenza ed efficacia che fa pensare che C. sia stato testimone oculare dell'impresa o, almeno, abbia conosciuto bene persone che avevano preso parte all'assedio di Margat. Anche le indicazioni toponomastiche relative a varie località della Siria e alle loro distanze in miglia marittime e terrestri, contenute nel Liber, sembrano deporre a favore di un viaggio in Oriente successivo alla giovanile spedizione al seguito dei crociati, a meno che non si voglia far risalire queste notizie alla ferrea memoria di C. ancora giovinetto o a informazioni indirette ricevute da mercanti. Tuttavia, le frequenti allusioni a C. che "vide", "percorse" e "conobbe" quelle località fanno pensare proprio a una esperienza diretta, perché C. nella sua opere è solito usare queste espressioni solo nei casi in cui fu fisicamente presente a quanto egli narra.
Nel 1141 C. ricompare tra i consoli del Comune, nel 1144 tra i consoli dei Placiti e, nel 1146, ancora tra quelli del Comune. Durante quest'ultimo anno guidò la spedizione genovese che sottrasse ai Saraceni l'isola di Minorca e tentò la conquista di Almeria. Tuttavia, più che l'abilità militare di C. - che fu senz'altro notevole e portò a concreti risultati - in quest'impresa rifulse ancora una volta la sua abilità politica e diplomatica. Egli infatti stipulò a Cordova un accordo con Alfonso VII di Castiglia e pose le basi di quell'alleanza genovese-castigliana che portò l'anno successivo alla conquista di Almeria e Tortosa. Negli Annali Caffaro si diffonde con molti particolari sull'impresa, introducendo discorsi diretti e soprattutto mettendo in primo piano la propria persona: dell'impresa egli fu reffettivo capo, in grado anche di imporre al Comune la scelta dell'altro genovese che fu al suo fianco.
Il soggiorno in Spagna nel 1146, la visione diretta delle località, la conoscenza degli accordi tra Genova e la Castiglia furono indispensabili a C. per condurre a termine un'altra sua breve opera storica: l'Historia captionis Almarie et Tortose, dedicata all'impresa vittoriosa del 1147-48. Egli non prese parte a questa spedizione, ma conobbe meglio di qualsiasi altro i retroscena della conquista da lui stesso preparata e, forse per questo, dedicò eccezionalmente una trattazione specifica a un'impresa alla quale non era stato presente. La sensibilità di C. verso l'impresa spagnola e il suo interesse per queste vicende ci sono testimoniate anche dal fatto che nel 1149 egli fu tra i cittadini che anticiparono al Comune i danari necessari per saldare le spese sostenute in Spagna, ottenendone in cambio la possibilità di percepire pubbliche entrate fino alla estinzione del credito. In questo modo il nome di C. si lega anche al primo esempio di quella peculiare istituzione genovese che fu la "compera".
Sempre nel 1149 venne eletto per la sesta e ultima volta, console del Comune, senza però essere protagonista di qualche fatto saliente. Dopo il consolato, si mantenne per un certo periodo lontano dalla vita pubblica: possiamo ancora ricordare il suo intervento nel 1147 come rappresentante del Comune alla vendita che, nell'aprile, i figli di Cona di Vezzano fecero di ogni loro possesso nel territorio di Sestri Levante. Forse proprio in questi anni, lontano dalla politica attiva, egli andava rivivendo a ritroso la propria attività pubblica inserendola nel più ampio quadro della vita del Comune genovese. Riprendeva le primitive notizie da lui redatte al momento delle varie esperienze di uomo di governo, come appunti personali o brevi relazioni da presentare alla Repubblica; andava contemporaneamente ampliandole con i principali fatti ed i più importanti mutamenti avvenuti nel Comune genovese e dava così vita a quel primo nucleo di patrie memorie scritte o dettate per gusto personale, che attrassero nel 1152 l'attenzione dei governanti genovesi. Nel 1152 infatti C. presentò i propri Annali in pieno Consiglio e ne lesse alcuni passi ai consoli, i quali, comprendendone l'utilità, ordinarono al pubblico scrivano Guglielmo de Colomba di trascriverli e di inserirli tra i documenti ufficiali del Comune. Con questa decisione nasce in Genova la prima opera storica del Medioevo scritta da un laico, di contenuto civile, autenticata e resa ufficiale dall'intervento degli organi di governo di una città. C. fu quindi investito della funzione di pubblico raccoglitore delle patrie memorie e forse invitato a continuare la sua opera oltre il 1152. Ma non pare ch'egli sia stato molto sollecito nel continuare gli Annali.
Forse la difficile situazione politica ed economica della Repubblica a metà del secolo, quando non si trovavano in Genova cittadini onesti disposti ad accettare il consolato per i gravi oneri finanziari che comportava, distolse C. dall'attività di cronista, lo riportò nell'agone politico e lo spinse ad assumere, nel 1154, Più che settantenne, l'incarico di ambasciatore presso Federico Barbarossa. Di questa sua prima missione presso l'imperatore possediamo scarse notizie negli Annali, dove vengono ricordate le manifestazioni di simpatia e le generiche espressioni di circostanza usate dal Barbarossa nei confronti dei rappresentanti genovesi. Se dobbiamo credere a Ottone di Frisinga, i Genovesi presentarono all'imperatore alcuni rari esemplari di animali, quali leoni, struzzi, pappagalli, che provenivano dalle scorrerie da essi effettuate contro i Saraceni in Spagna.
Più impegnativa fu senz'altro la seconda ambasceria presso lo stesso Federico, nel 1158, al castello del Bosco, come lascia capire la presenza contemporanea di otto autorevoli cittadini genovesi capeggiati da Caffaro.
Questa volta vi fu un vero e proprio scontro di posizione, nascosto da un'abile schermaglia diplomatica, causato dal rifiuto genovese di pagare i tributi e dall'audace atteggiamento assunto dai cittadini della Repubblica, che avevano innalzato una nuova cinta muraria contro un eventuale attacco da parte dell'esercito imperiale. Dagli inviati genovesi Federico non riuscì a ottenere che un generico giuramento di fedeltà e un dono di 1.200marchi d'argento, mentre si vide costretto a riconoscere tutti i precedenti privilegi imperiali di cui godeva la città.
La missione presso il Barbarossa è l'ultimo atto della vita pubblica di Caffaro. Sappiamo ancora dalle fonti che egli, come discendente di Rustico di Caschifellone, partecipava alla riscossione delle decime di alcune pievi e allo sfruttamento di due mulini in Polcevera, mentre in un arbitrato del 1158viene riconosciuto come proprietario di beni nel poggio di Pontedecimo. Possedeva pure terreni e case in prossimità di Genova, acquistate nel 1160 da Simone Doria.
Il peso degli anni gravava ormai sul vecchio C., il quale non solo aveva abbandonato la vita pubblica, ma tralasciava anche di attendere alla sua fatica di annalista ufficiale e di dettare le sue memorie, così che, lui vivo, l'inserimento degli Annali nel codice autentico del Comune non andò oltre le vicende del 1154. Infatti, a partire dal 1155, al nome di C. viene affiancata l'espressione "di buona memoria", sostituita in seguito da altre analoghe riservate alle persone defunte. Accanto a C., ormai in età avanzata, c'era quindi un collaboratore, come conferma il fatto che l'ultima parte degli Annali, dal 1152 al 1163, rivela un mutamento di stile, una varietà di tono, un mutamento nell'impianto stesso del racconto che non possono attribuirsi esclusivamente alla maturità raggiunta dal cronista. Bisogna quindi pensare, come è stato prospettato dall'Arnaldi, che "tra il vecchio C. intento a comporre gli annali, e gli annali stessi quali ci appaiono nel codice autentico, non dovette esservi solo il diaframma rappresentato dal pubblico scrivano, ma anche la mediazione di chi, sia scrivendo direttamente sotto dettatura di C., sia lavorando su di un abbozzo scritto, o dettato in precedenza da lui, ebbe cura di atteggiare il testo delle singole notizie nella forma più appropriata, inquadrando il racconto dei fatti in una cornice che attribuiva alla testimonianza dell'annalista i caratteri della pubblicità e dell'autenticità". Questo collaboratore è ormai generalmente identificato con il giovane notaio Macrobio, che è raffigurato accanto al vecchio C. nella miniatura iniziale del codice autentico degli Annali.Tuttavia anche la presenza di un collaboratore nella stesura definitiva degli Annali non sminuisce i meriti del primo cronista laico del mondo medievale, autore di un'opera di argomento civile che non risale alla creazione del mondo, ma descrive con efficacia letteraria e obiettività storica le vicende della propria città, vissute da un uomo aperto verso iniziative audaci, animato da una religiosità per nulla fatalistica.
La morte colse C. nel 1166 in un momento in cui il Comune genovese era travagliato dalle prime lotte intestine e attraversava una profonda crisi politica, tale da indurre l'anziano uomo di stato, profondamento amareggiato dalla situazione, ad arrestare al 1163 gli Annali, per passare sotto silenzio un periodo travagliato della storia genovese.
Fonti e Bibl.:Gli Annali del C. si conservano manoscritti a Parigi, Bibl. Nat., ms. 10136; Ibid., Bibl. du Minist. des Aff. Etrang., Fonds Génois n. 2; Londra, British Museum, Addit. ms.12031. L'indicazione completa delle edizioni, e della letteratura critica, sta in Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi…, II, Romae 1967, pp. 291 s., sub voce Annales Ianuenses.Si veda inoltre: G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, Genova 1824, I, p. 113; L. T. Belgrano, Il registro della curia arcivescovile di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, II, 1-2 (1862-71), passim; Annali genovesi di C. e de' suoi continuatori, a cura di L. T. Belgrano, I, Roma 1890, in Fonti per la storia d'Italia, XI, pp.LXIX-XCIX; C. Imperiale di Sant'Angelo, C. e i suoi tempi, Torino 1891; U.Balzani, Le cronache italiane nel Medio Evo, Milano 1909, pp. 299-300; A. Beltrami, Gli scrittori latini della Liguria medievale, in IlComune di Genova, III(1923), pp. 651-653; A. Giusti, Lingua e letteratura latina in Liguria, in Storia di Genova, II, Milano 1941, pp. 329-346; V.Vitale, Le fonti della storia medievale genovese. ibid., pp. 314-334; N. Calvini, Sulnotaio Macrobio scriba di C., in Boll. ligustico, IV(1952), p. 49; C. Dapelo, C., in Genova. Rivista del Comune, 1962, n. 2, pp. 8-13; G. Arnaldi, Uno sguardo agli Annali genovesi, in Studi sui cronisti della Marca trevigiana nell'età di Ezzelino da Romano, Roma 1963, pp. 225-245; V. Polonio, Le maggiori fonti storiche del Medioevo ligure, in Studi Genuensi, V(1964-65), pp. 17-21; O. Capitani, Motivie momenti di storiografia medievale italiana, in Nuove questioni di storia medievale, Milano 1969, p. 783; G. Arnaldi, A. Dandolo doge-cronista, in La storiografia veneziana fino al sec. XVI, Firenze 1970, p. 146; G. Martini, Lo spirito cittadino e le origini della storiogr. comunale lombarda, in Nuova riv. stor., LIV (1970), pp. 21-22; Encicl. Ital., VIII, p.257.