CAIRO
(Il Cairo; arabo al-Qāhira)
Capitale dell'od. Repubblica egiziana, il C. è uno dei centri religiosi, politici e culturali più importanti dell'Islam. Sviluppatasi intensivamente nel corso dei secoli, la città si estende sulle due rive del Nilo, nella pianura che giunge fino ai primi contrafforti rocciosi del Jabal al-Muqaṭṭam, e ingloba anche le due isole di al-Jazīra e al-Rawḍa (Roda).Abitato fin dall'Antichità, in quanto nodo strategico per l'accesso al Basso Egitto, il sito fu occupato dai musulmani all'epoca del califfo ῾Umar, nel 641-642, ma ottenne il nome attuale soltanto nel 969, quando il califfo fatimide al-Mu῾izz vi stabilì la propria residenza, facendo costruire, accanto ai precedenti nuclei abitativi arabi, alcuni quartieri governativi che, in onore del pianeta Marte (in arabo al-Qāhir 'il conquistatore'), in ascesa al momento della fondazione, furono denominati al-Qāhira. Con il passare del tempo questi quartieri si integrarono con quelli più antichi di al-Fusṭāṭ e di Giza e con altri di più recente formazione, come Bulaq, e il toponimo (che, adattato in C., per gli europei indica la capitale egiziana, soprattutto a partire dall'epoca napoleonica) finì per designare soltanto uno dei vari distretti dell'intero agglomerato cittadino, chiamato Miṣr, appellativo questo che peraltro indicava anche al-Fusṭāṭ, già dai primi tempi della sua fondazione, e si estendeva del resto all'intero Egitto in epoca preislamica.Al-Fusṭāṭ, la prima residenza dei conquistatori arabi in Egitto, fu fondato dal generale ῾Amr ibn al-῾Aṣ nel 642, attorno a Babylun (Bābalyūn), una città fortificata di origine romanobizantina, che sembra doversi identificare con le rovine di Qaṣr al-Shām, sul luogo dove oggi ha sede il Coptic Mus. del Cairo. Il nome, di origine alquanto oscura, derivava, secondo gli storici musulmani del Medioevo, da fusṭāṭ, ovvero 'tenda' di 'Amr, posta al centro dell'accampamento approntato dagli Arabi per andare alla conquista della città di Alessandria, difesa dalla fortezza di Babylon, sito sul quale sono stati portati alla luce molti resti dell'insediamento musulmano. Butler (1884) ha proposto invece, confortato dall'evidenza di alcuni papiri bilingui, un'etimologia derivante dal greco-latino phossáton ('campo, accampamento'), che si rifaceva probabilmente a un toponimo locale, prearabo, designante l'antica cittadella. Dopo la caduta di Alessandria, 'Amr trasformò il suo campo militare, diviso in appezzamenti fra le varie tribù, nella prima capitale della provincia islamica d'Egitto, la cui conquista definitiva avrebbe tuttavia richiesto altri dieci anni.I resti di al-Fusṭāṭ si trovano molto a S dell'attuale centro cittadino, nel quartiere chiamato Maṣr al-῾Atīqa (Vecchio Cairo). Gli scavi archeologici del 1912-1920 sono stati ripresi negli anni Sessanta dall'American Research Center in Egypt e hanno permesso di individuare varie fasi di vita della città. Le primitive tende erano state sostituite da abitazioni di fango, crudo e cotto, e separate da strade strettissime. Alcune di queste costruzioni, ben leggibili dopo lo scavo, presentavano evidenti somiglianze di stile e di decorazione architettonica con le abitazioni abbasidi di Samarra (sec. 9°), riportate alla luce dagli scavi di Sarre e di Herzfeld (Herzfeld, 1912): ciò permise di datarle proprio all'epoca degli Abbasidi e dei loro governatori in Egitto, i Tulunidi (868-905). Già dal 750 la città di al-Fusṭāṭ si era sviluppata verso N, con la creazione del sobborgo di al-῾Askar; un secolo più tardi, il governatore abbaside Aḥmad ibn Ṭūlūn costruì, ancora a N e a E, il vasto quartiere di al-Qaṭā᾽i῾, la cui architettura domestica si sviluppò secondo le linee di quella di Samarra. La tipologia delle case scoperte ad al-Fusṭāṭ è caratteristica: esse si compongono, per lo più, di una corte centrale a cielo aperto, circondata su tre lati da īwān e con un corridoio sul quarto, comunicante con le stanze più interne. Al centro del cortile era spesso collocata una vasca, ai cui lati erano disposte delle aiuole. Da un serbatoio situato a una certa altezza si staccavano delle tubazioni che correvano verticalmente, inglobate nei muri, per passare poi sotto il pavimento e raggiungere il fondo della vasca, che veniva così costantemente alimentata. Gli scavi condotti da Scanlon (1984) hanno messo in evidenza un sistema igienico-sanitario molto ben sviluppato che collegava le case e le strade circostanti. L'architettura domestica del sito presenta molte varianti nella disposizione delle case, che sono anche indice di differenti cronologie. Il tipo con due facciate, disposte l'una di fronte all'altra su due lati del cortile, sembra costituire il prototipo della successiva qā῾ a, la sala da ricevimento delle più ricche case del C., dall'epoca fatimide in poi. L'ingente materiale ceramico reperito fornisce un panorama completo delle produzioni dal periodo fatimide a quello mamelucco e documenta, insieme a numerosi reperti d'ogni tipo, la varietà e la ricchezza dei commerci che dovettero caratterizzare la città, attestati anche da numerosi storici e viaggiatori arabi. Anche dopo lo sviluppo tulunide e il breve periodo ikhshidita (935-969), i Fatimidi lasciarono all'antico alFusṭāṭ il primato nelle attività artigianali e nel commercio, limitandosi a trasferire a poco più di un chilometro a N della moschea di Ibn Ṭūlūn la loro colonia militare e amministrativa. Al-Qāhira, circondata da mura e isolata dalle principali zone residenziali, costituiva essenzialmente un centro governativo, con il palazzo, le caserme delle armate fatimidi e la nuova Grande moschea di al-Azhar.I traffici commerciali erano intensissimi ed è presumibile che avessero qui i loro depositi anche mercanti stranieri, come conferma una ricchissima serie di documenti, secondo i quali già nel 959 ad al-Fusṭāṭ esisteva un sūq al-Rūm, ovvero un mercato gestito da cristiani, probabilmente provenienti dall'Italia meridionale. È certo infatti che gli Amalfitani avevano sia al C. sia ad Alessandria un loro funduq in periodo fatimide, dati gli ottimi rapporti già instaurati con gli esponenti di questa dinastia in Tunisia. Più tardi, verso la metà del sec. 12°, anche i Pisani e i Genovesi, e infine i Veneziani, stabilirono propri fondaci nelle due città, che costituirono centri commerciali rivolti, ovviamente, anche verso i musulmani di altri stati e altri paesi dell'Oriente. Ad al-Fusṭāṭ giungevano infatti prodotti anatolici, siriaci, palestinesi, africani (dal litorale settentrionale, dalla Nubia, dal Sudan e dall'Etiopia), iracheni, persiani, transoxiani, cinesi, mentre partivano, diretti ai porti del Mediterraneo e dell'Oriente prossimo o estremo, splendidi tessuti, vetri incisi e dipinti, ceramiche a lustro e oggetti in metallo, come hanno dimostrato gli abbondanti reperti di scavo.La città fu distrutta quasi completamente dal grande rogo, fatto appiccare il 22 novembre 1168 dal visir fatimide Shāwar per impedire che cadesse nelle mani dei crociati di Amury, re di Gerusalemme. Abbandonato dai suoi abitanti, al-Fusṭāṭ bruciò per cinquantaquattro giorni e continuò ad ardere lentamente per mesi: solo alcune zone sfuggirono alla devastazione e altre furono ricostruite, soprattutto durante la dominazione ayyubide, sotto Saladino (1169-1193), che accentrò la difesa del C. sull'attuale cittadella, inglobando nella zona meridionale delle sue mura i resti di al-Fusṭāṭ. Anche se qualche parvenza di prosperità sopravvisse, pur fra le rovine, l'importanza che il centro aveva avuto per la storia dell'Egitto era finita per sempre.Oltre alle strutture domestiche evidenziate dagli scavi, niente altro sopravvive dell'architettura civile d'epoca antica, se si eccettua il Nilometro costruito sull'isola di al-Rawḍa nell'861, sotto la direzione del famoso matematico al-Farghānī. Costituito da una semplice colonna graduata inserita entro un pozzo dalle pareti decorate con nicchie ad arco acuto, esso è realizzato in calcare accuratamente tagliato, secondo la migliore tradizione ellenistico-egiziana, e conserva uno dei primi esempi di iscrizione monumentale araba usata in funzione decorativa.Nel 642 ῾Amr ibn al-῾Aṣ aveva eretto, all'estremità sudoccidentale della città, la sua moschea, prima struttura del genere in Egitto, in origine costituita dalla sola sala di preghiera in mattoni di fango, coperta da un tetto piatto di rami e foglie, sostenuto da colonne di tronchi di palma. L'edificio, che subì nel corso dei secoli profonde trasformazioni, pare che misurasse in origine m. 2917 ca. e che fosse circondato da uno spazio aperto, con un passaggio largo m. 4 sul lato orientale e forse più ampio sugli altri lati; aveva inoltre sei ingressi, due su ogni lato, a eccezione di quello della qibla.La Grande moschea di Ibn Ṭūlūn, abbastanza ben conservata, è anch'essa una preziosa testimonianza di architettura religiosa; costruita tra l'876 e l'879, in mattoni rossi rivestiti di stucco secondo la tecnica mesopotamica, è del tipo a corte, con portici sui quattro lati, al centro di una ziyāda che la isola dalla zona circostante, come negli esempi iracheni di Samarra. Tuttavia, contrariamente a questi, le navate della sala di preghiera sono parallele al muro della qibla e sono scandite da grossi pilastri rettangolari, con colonnine agli angoli, che sorreggono archi dal profilo leggermente appuntito. Poiché i pilastri sono disposti con il lato più largo parallelo alla qibla, la visione del miḥrāb risulta quasi del tutto ostruita, per cui alcuni dei pilastri più vicini al ṣaḥn recano nicchie supplementari. La decorazione dell'interno, eseguita con stucco modellato, è abbastanza sobria e rivela notevoli somiglianze con i modelli della capitale abbaside, così come il minareto in pietra, in origine spiraliforme, posto in asse alla moschea.All'epoca della conquista fatimide, al-Qāhira venne cinta da mura di terra che, per il progressivo deviare del corso del Nilo verso O e il conseguente spostamento della popolazione verso i quartieri residenziali a N, si dovettero allargare a più riprese. Negli anni tra il 1087 e il 1091 si provvide a dotarle di un nuovo rivestimento in pietra da taglio, per volere del gran visir d'origine armena Badr al-Jamālī al-Juyūshī, cui si devono anche le tre bellissime porte di struttura classica, Bāb al-Naṣr, Bāb al-Futūḥ (1087) e Bāb al-Zuwayla (1092). Esse recano incisi marchi di lapicidi greci e, secondo Maqrīzī (al-Khiṭāṭ, I), furono costruite da tre architetti cristiani provenienti da Edessa. L'uso della pietra tagliata, con rocchi di colonne disposti in orizzontale, l'impiego di torrioni, quadrati nella prima porta e terminanti in un semicilindro nelle altre due, oltre all'uso decorativo di nicchie o di semplici modanature, di archi a tutto sesto per i portali e di volte a crociera per le coperture, sono d'altronde tutti esempi più che evidenti dell'evoluta scuola architettonica della Siria settentrionale, in cui anche la sobria decorazione è intesa a evidenziare la funzionalità delle strutture. Appartengono alla zona orientale delle fortificazioni di al-Juyūshī i resti del Bāb al-Barqiyya, anch'esso del 1087.Del palazzo fatimide del sec. 10°, centro politico, religioso e amministrativo di al-Qāhira, non rimaneva nulla già nel sec. 15°, quando Maqrīzī (al-Khiṭāṭ, I) tentò di ricostruirne letterariamente l'aspetto, certamente sulla base della conoscenza del palazzo di Baghdad. Nel 1047 il viaggiatore persiano Nāṣir-i Khusraw (Sefer Nameh), che aveva descritto le case di al-Fusṭāṭ come edifici dai sette ai quattordici piani, allineati su strade larghe appena due metri, racconta che esso consisteva in dieci residenze unite da passaggi sotterranei, con padiglioni e qā῾a, allungate con due īwān assiali e una parte centrale ribassata quadrangolare, chiamata durqā῾a, oltre che con delle dipendenze. Maqrīzī parla anche delle stalle, delle cucine con le relative dispense, del guardaroba, dell'arsenale e persino di una zona riservata alla preparazione dei fiori per occasioni speciali; egli fornisce anche una lista particolareggiata dei tesori dei Fatimidi, andati ormai completamente dispersi. Secondo la sua descrizione la biblioteca califfale comprendeva centomila volumi, che erano sistemati in armadi di legno entro una delle sale del vecchio ospedale: fra questi vi erano testi di legge, religione, grammatica, storia, alchimia e astronomia, oltre a un'importantissima collezione di corani eseguiti da valenti calligrafi.Il monumento religioso più antico dell'epoca fatimide è la Grande moschea di al-Azhar, situata a S del palazzo e datata 970-972. Concepita con una corte assai più larga che profonda, circondata da portici sui lati brevi, e con la sala di preghiera formata da cinque navate parallele al muro qiblī, tagliate da un transetto in corrispondenza del miḥrāb, non era stata in origine destinata all'insegnamento, ma già un anno dopo il suo completamento divenne il centro di propagazione della shī῾a. Sebbene resti assai poco dell'edificio originale, la moschea doveva avere colonne di pietra disposte in coppia lungo la navata centrale, la quale, secondo la tradizione magrebina, aveva due cupole, una all'ingresso e una davanti al miḥrāb, come nella Grande moschea di Kairouan. Probabilmente a causa del cambio di funzioni cui si è accennato, più che per l'aumento di popolazione di al-Qāhira, nel 990-991 al-῾Azīz progettò un'altra Grande moschea, che fu terminata da al-Ḥākim intorno al 1012. Secondo Creswell (1952-1960, I, pp. 65-106), che ne identificò una parte datandola al 1021-1036, la moschea doveva avere, in comune con la tipologia tulunide, una ziyāda almeno su uno dei lati, oltre a una corte porticata tutt'intorno, e tre ingressi monumentali, di cui quello settentrionale venne poi inglobato nelle mura di Badr al-Jamālī. La sala di preghiera, con navate parallele alla qibla, terminanti alle estremità con due cupolette, era tagliata al centro da un transetto, cupolato in corrispondenza del miḥrāb. Agli angoli nord-ovest e sud-est si innalzavano due poderosi minareti che inquadravano, per la prima volta in Egitto, una facciata monumentale, il cui portale era in aggetto, come nella Grande moschea di Mahdiyya, città d'origine della dinastia fatimide. Gravemente danneggiata dal terremoto del 1303, la moschea fu immediatamente restaurata da Baybars II al-Jāshankīr, che riparò anche i due minareti, aggiungendo delle strutture piramidali e una terminazione a mabkhara (turibolo) su ciascuno di essi. Le altre due moschee fatimidi del C., al-Aqmar (1125) e al-Ṣāliḥ Ṭalā᾽i῾ (1160), presentano alcune varianti nella pianta, che è molto semplificata: la corte di entrambe è circondata da portici a una sola galleria e la sala di preghiera ha tre navate parallele, di cui quella qiblī è più larga delle altre. Le facciate, in pietra da taglio finemente incisa con motivi geometrici, a conchiglia o a muqarnas, sono particolarmente notevoli. Quella di al-Aqmar, leggermente in aggetto, è perfettamente allineata con la strada, a differenza dell'interno, che rispetta, almeno orientativamente, la direzione della Mecca: è questo il primo esempio di una pratica che divenne in seguito comune al Cairo. La moschea del visir al-Ṣāliḥ Ṭalā᾽i῾ ha un ingresso fiancheggiato da un portico in antis, una sorta di nartece. All'interno conserva ancora una ricca decorazione di stucco, restaurata nel 1300-1302 dall'emiro Bektimur al-Chukandar. Pare che la moschea fosse destinata a custodire la testa di Ḥusayn, che in origine cioè fosse stata concepita come un santuario, anche se poi non assolse a questa funzione.Risalgono all'epoca fatimide alcuni mausolei conservati nel grande cimitero meridionale del C. (Qarafat al-Kubra), principale luogo d'inumazione dei musulmani dai tempi di ῾Amr, utilizzato pienamente durante tutto il periodo dei califfi e in seguito, sporadicamente, da Ayyubidi e Mamelucchi. Il mashhad (santuario) di Yaḥyā al-Shabihī è del 1151 ca.; altri sono stati restaurati o ricostruiti tra il 16° e il 18° secolo. Fra i più importanti vanno ricordati quelli di Sayyida Nafīsa, di Sayyida Ruqayya e di Sayyida ῾Atīqa. Più interessante è il mausoleo di Badr al-Jamālī (1085), completamente isolato sulle alture del Muqaṭṭam, corredato anche di una moschea funeraria. Mentre nei raccordi delle cupole dei primi mausolei si può notare il progressivo sviluppo della soluzione angolare a stalattite, nel fregio della cornice del primo piano del minareto di al-Juyūshī la decorazione a muqarnas fa la sua prima compiuta apparizione.Nella decorazione architettonica venne talvolta impiegato lo stucco, come attestano alcuni frammenti, floreali e geometrici, provenienti dalla moschea di al-Azhar, ma soprattutto un bellissimo miḥrāb della moschea di al-Juyūshī e un altro del mausoleo di Sayyida Ruqayya. Quest'ultimo è a forma di conchiglia scanalata, con un bordo a triplice festone, incorniciato da un arco carenato, simile all'ingresso principale della moschea di al-Aqmar.Dal C. tulunide e fatimide proviene una serie di elementi lignei usati in funzione architettonica, di qualità assai raffinata. La moschea di Ibn Ṭūlūn conserva una maqṣūra lignea sopraelevata, mentre nel Mus. of Islamic Art della città è una trabeazione lavorata con il motivo delle due colombe affrontate, intagliate in morbide forme oblique, secondo l'astratto stile 'smussato' di Samarra. Bellissimi sono i miḥrāb lignei dei santuari di Sayyida Nafīsa (1100 ca.) e di Sayyida Ruqayya (1154-1160), decorati con elementi geometrici e iscrizioni corsive e cufiche, nonché quello della moschea di al-Azhar, datato 1125-1126. Alcune porte provenienti da chiese copte rivelano un'ascendenza fatimide, anche se furono eseguite su commissione cristiana dagli abili ed estrosi artigiani copti.Per ciò che riguarda il breve regno ayyubide, rimangono solo scarse testimonianze di carattere architettonico, fra cui le mura della cittadella che Saladino aveva progettato sulla collina di Muqaṭṭam, per servire come fortezza e insieme come residenza dei sovrani e delle loro guarnigioni. Saladino non fece in tempo ad abitarvi, ma dall'epoca di un suo successore al-Malik al-Kāmil (1218-1238) e fino al sec. 19° la cittadella fu sempre la sede dei sovrani d'Egitto. Situata fra alQāhira e al-Fusṭāṭ, essa costituiva il punto di congiunzione fra le zone settentrionale e meridionale delle mura; di questo impianto resta il gigantesco complesso di bastioni e di mura, largamente rimaneggiato, la cui parte meridionale venne costruita dai Mamelucchi. Altri resti del periodo ayyubide possono essere rintracciati in alcune parti della madrasa e della tomba di al-Ṣāliḥ Najm al-Dīn, costruite fra il 1243 e il 1250, secondo le forme già elaborate dai Fatimidi e con l'aiuto di scalpellini siriaci: in particolare nel portale della madrasa, simile a quello della vicina moschea di al-Aqmar, e nella cupola del mausoleo, analoga a quella del mausoleo dell'imām al-Shāfi῾ī. Il minareto in mattoni della madrasa, con terminazione a mabkhara, è l'unico esempio ayyubide di questo tipo che sia giunto intatto. Nel cimitero di Sayyida Nafīsa si conserva il mausoleo di Shajarat al-Durr - collegato a una madrasa - che risulta interessante per la forma della cupola, dal profilo 'a chiglia', per la decorazione dell'ingresso principale, con nicchie di tipo fatimide, e per il bel miḥrāb ornato da bordi a stalattiti e, all'interno della nicchia, da un mosaico a tessere vitree con motivi a foglia, che includono frammenti di madreperla, forse un'allusione al nome della sovrana, che significa 'albero perlaceo'.Gli edifici legati alla committenza dei sovrani mamelucchi sono assai più numerosi. Questi sultani, in parte di origine turca (il ramo dei Bahriti, 1250-1382), in parte di origine circassa (quello dei Burgjiti, 1382-1517), promossero un'architettura elegante e di buon livello, in linea con quella precedente, dalla quale si distingue solo per l'immissione di elementi orientali, siriaci e iracheni. Essa si avvale di ottimo materiale da costruzione, per lo più calcare o pietra da taglio, lavorato con grande abilità tecnica, qualità particolarmente apprezzabile nella decorazione esterna e interna degli edifici, concentrati quasi totalmente al Cairo.La tipologia più comune della moschea, esemplata da quella di Baybars I (1266-1269), presenta un cortile aperto - circondato su quattro lati da riwāq, che su quello della qibla sono in numero maggiore (la sala di preghiera è scandita in sei navate) - e una cupola in corrispondenza del miḥrāb. Questa grande cupola, scomparsa come tutto l'interno, a eccezione dei pilastri che ne hanno permesso una ricostruzione, era in legno di Giaffa, così come la maqṣūra. I tre portali aggettanti, come nella moschea di al-Ḥākīm, decorati all'esterno con pannelli ad arco, losanghe e medaglioni intagliati, mostrano evidenti somiglianze con quelli della moschea di al-Aqmar e denunciano anche influenze cristiano-siriache. Accanto al portale principale doveva ergersi un minareto, dal fusto rettangolare, decorato con pannelli ad arco carenato. Secondo Creswell (1952-1960, II, p.157), in questa moschea fu impiegato per la prima volta l'ablaq, cioè la muratura a fasce alternate chiare e scure, che sarebbe divenuta in seguito una caratteristica dell'architettura cairota. All'interno, le decorazioni erano costituite da pannelli di stucco e bande lavorate con intricati arabeschi. Moschee analoghe sono quella di Muḥammad al-Nāṣir ibn Qalā᾽ūn, posta nella cittadella (1318), e quella dell'emiro Alṭūnbughā al-Mārīdānī (1340); quest'ultima appare notevole soprattutto per la varietà della decorazione, eseguita in legno lavorato al tornio, stucco e pietra incisi, incrostazioni di marmo e mattonelle smaltate nelle numerose finestre a griglia, opera forse di artigiani ilkhanidi.Una seconda tipologia di moschea, piuttosto rara, presenta la corte con quattro īwān, d'ispirazione iranica, già sperimentata nelle case fatimidi di al-Qāhira. Questo schema avrebbe caratterizzato in seguito i grandi complessi composti da madrasa-mausoleo e māristān (ospedale) o khānaqāh (monastero), che rappresentano la fase più matura dell'architettura mamelucca. Strenui difensori dell'ortodossia sunnita contro Mongoli, Franchi e Armeni cristiani, i Mamelucchi fin dal 1261 avevano ricostituito al C. il dissolto califfato abbaside, assicurandosi il controllo della Mecca e di Medina ed estendendo il proprio dominio a E fino all'Anatolia, a S fino alla Nubia e a O fino alla Libia. Per tale ragione vollero affermare l'accresciuta potenza della dinastia con opere di utilità pubblica, edifici di culto e università teologiche, erette in forme che volutamente si rifacevano agli esempi dei potentati islamici del passato. Si spiegano così le facciate d'ispirazione fatimide, i numerosi particolari decorativi di gusto cordovano, le cupole in legno, come la Cupola della Roccia di Gerusalemme, il maggior monumento della Palestina islamica. Fra gli esempi più cospicui di questo genere di monumenti va ricordato lo splendido complesso di Sulṭān Qalā᾽ūn, padre di al-Nāṣir, che in origine comprendeva una madrasa, un bellissimo mausoleo e un ospedale, ora totalmente distrutto. Innovativa per l'epoca (1284-1285), la facciata del complesso è scandita da numerose alte nicchie, che le conferiscono un grande slancio verticale. Esse sono aperte da tre file di finestre, rettangolari in basso, piccole e ad arco acuto al centro, bifore con archi a tutto sesto nella parte superiore; queste ultime sono sormontate da un'ulteriore apertura circolare. All'interno, la profusione degli ornati, peraltro raffinati, rischia di opprimere la serenità degli spazi.Un altro complesso di grande bellezza è quello costituito dalla madrasa e dal mausoleo di Sulṭān Ḥasan, costruiti tra il 1356 e il 1361 e considerati come il monumento più notevole dell'architettura mamelucca, quasi certamente opera di un architetto siriano. La madrasa, concepita per i quattro riti ortodossi della legge islamica, a causa delle sue ambiziose proporzioni non fu mai completata, ma venne usata anche come moschea congregazionale. L'edificio, a pianta cruciforme con quattro grandi īwān voltati ad arco acuto, in origine era coperto da una cupola, che venne abbattuta in epoca ottomana per prevenirne il crollo, essendo stata indebolita in seguito ad azioni di guerra. La moschea avrebbe dovuto avere quattro minareti, due sul portale, come nelle moschee anatoliche, e due ai lati del mausoleo, il quale è costituito da un'enorme stanza cupolata, in continuazione dell'īwān principale. Dei minareti sulla facciata ne venne eretto uno solo e, poiché esso crollò, pochi anni dopo il suo completamento, il secondo minareto non fu più costruito. Alcuni secoli più tardi (1659) crollò anche il minareto sudorientale della stanza funeraria, visto ancora integro da Della Valle nel 1616, che fu però subito ricostruito, sebbene in proporzioni minori. Il minareto sul lato opposto è originale e risulta il più alto del C. (m. 84): ha il fusto ottagonale, interrotto da due balconcini sorretti da stalattiti e un piccolo padiglione finale su otto colonne, con una cupoletta a bulbo (kulla). La cupola del mausoleo, crollata nel 1661, era probabilmente in origine a bulbo e di legno coperto di piombo, come quella del mausoleo dell'imām al-Shāfi῾ī: quella attuale è moderna e costituisce un'errata interpretazione dell'originale, il cui disegno era di certo simile a quello della cupola della moschea di Sarghitmish, costruita solo alcuni anni prima. Di solenne bellezza è l'imponente portale della madrasa, caratterizzato dalla consueta nicchia ad arco acuto ornata di muqarnas e coronata da una semicupola scanalata, rielaborazione di un modello siriaco influenzato da precedenti persiani. All'interno, la decorazione si limita a una semplice fascia epigrafica all'imposta delle volte, con i versetti della sura della Vittoria (Corano XLVIII), e a un bellissimo pavimento di marmo intarsiato a schemi geometrici, influenzato dal Romanico italiano e dal repertorio bizantino. Su di esso si innalza un padiglione cupolato, sorretto da otto colonne, che copre il bacino delle abluzioni rituali.Assai poco è rimasto del gran numero di ospedali, fontane, bagni pubblici, caravanserragli e case private costruiti dai sultani mamelucchi. Le case, a quanto si può giudicare dagli esempi superstiti, erano formate da un labirinto di stanze disposte su vari piani intorno a una corte centrale aperta e avevano nella qā῾ a l'ambiente principale. La qā῾a, sala quadrata alta più di un piano, rischiarata da un lucernario e ornata da una fontana, era connessa con una loggia (maq῾ad) che si affacciava sulla corte e ne riceveva la frescura; sui lati opposti si aprivano due īwān, leggermente sopraelevati rispetto al pavimento centrale. Stanze da bagno private, cisterne, magazzini e stalle completavano la dotazione degli edifici domestici, i cui ambienti erano provvisti di grate lignee (mashrabiyya), che assicuravano l'intimità e nello stesso tempo permettevano l'ingresso della luce e dell'aria.Nella decorazione architettonica degli edifici mamelucchi in qualche caso si fece uso del mosaico di pasta vitrea, talvolta combinato con la madreperla, come nel caso del miḥrāb della tomba di Shajarat al-Durr e in quelli delle madrase di alManṣūr Qalā᾽ūn e di Aqbughā (1340), annesse alla moschea di al-Azhar. Il mosaico di marmo fu impiegato sulle pareti e i pavimenti sia nel C. bahrita sia in quello burjita: esempi del primo periodo sono quelli della corte della madrasa di Sulṭān Ḥasan e di Sulṭān Barqūq; del secondo, il miḥrāb del complesso di al-Ashraf Barsbay, nel cimitero settentrionale, e il portale, le finestre e il pavimento della moschea di Qijmas al-Isḥāqī. Tali mosaici rivelano sempre un'altissima qualità artistica e un fine gusto decorativo, sia che i marmi formino grandi disegni geometrici sia che presentino l'inserimento di grossi dischi di porfido o di altro marmo, ricavati dal sezionamento di antiche colonne.Lo stucco conobbe in epoca mamelucca uno sviluppo limitato: alcuni begli esempi si trovano nel complesso di alNāṣir Muḥammad, con motivi di tipo ilkhanide nel muro qiblī e di tipo magrebino nel minareto, nonché all'interno e all'esterno della moschea di Sunqur Sa῾dī e nella moschea di Amīr Alṭūnbughā al-Mārīdānī.
Parallelamente a quella islamica, si sviluppò al C. l'arte copta - in gran parte, ma non solo, espressione della comunità cristiana d'Egitto - i cui limiti cronologici vengono comunemente fissati tra 3° e 11°-12° secolo.Nella Città Vecchia del C., intorno alla fortezza di Babylon, è raggruppato un gran numero di chiese copte, distrutte e riedificate più volte, spesso con l'impiego di materiali di spoglio. Sebbene differiscano tra loro per proporzioni e per particolari architettonici, esse sono tutte caratterizzate da esterni di estrema semplicità, privi di qualsiasi ornato, e da interni dall'impianto basilicale, con un nartece, un corpo principale suddiviso in tre navate e una zona presbiteriale triabsidata. Le navate, coperte a botte o con capriate lignee, sono scandite da una fila di colonne sorreggenti archi, ai quali si sovrappone talvolta un secondo ordine di colonne e archi a sostegno del tetto. Le colonne, recuperate da edifici di epoca greca e romana, presentano spesso i fusti dipinti con figure di santi, mentre le pareti sono decorate da una serie di icone con scene vetero e neotestamentarie. In origine le navate erano separate dalla zona absidale, che costituiva il vero e proprio santuario, per mezzo di un basso parapetto e di una tenda; in un secondo momento entrò in uso l'iconostasi lignea, riccamente decorata con frammenti d'avorio e di legni pregiati, disposti a formare disegni geometrici assai elaborati. Una delle chiese più antiche, risalente al sec. 5°, è quella di S. Sergio (Abu Sarga), costruita, secondo la tradizione, su di una grotta nella quale aveva trovato rifugio la Sacra famiglia durante la sua fuga in Egitto. Dedicata in origine ai ss. Sergio e Bacco, la chiesa fu più volte restaurata e nel sec. 11° anche parzialmente ricostruita. L'iconostasi lignea, preziosamente intarsiata d'avorio e d'ebano, risale forse al sec. 12° ed è sormontata da una serie di icone che raffigurano la Vergine e i dodici apostoli.La vicina chiesa di S. Barbara (Sitt-Barbara), fondata nel sec. 4° e dedicata in origine ai ss. Ciro e Giovanni, subì varie distruzioni e ricostruzioni, culminate nel rifacimento dell'11° secolo. In seguito, poiché i resti dei santi erano stati traslati ad Alessandria, venne aggiunto un piccolo santuario destinato a contenere le reliquie di s. Barbara. La chiesa attuale è una delle più belle e grandi d'Egitto; accanto al santuario triabsidato si conserva la piccola cappella originaria, di forma quadrata, articolata in una navata, un transetto, due absidi provviste di altari e un battistero.Un'altra chiesa da menzionare è quella di Nostra Signora 'la Sospesa' (al-Sayyida al-Mu῾allaqa), così denominata perché poggia in parte sul passaggio che attraverso i bastioni conduce alla fortezza di Babylon. Dopo la ricostruzione del sec. 11°, la chiesa divenne sede del patriarcato copto, centro di studi teologici, astronomici e giuridici. Nella navata centrale, divisa da quelle laterali da due ordini sovrapposti di colonne, altre tre colonne sostengono altrettanti ampi archi acuti, accanto ai quali è collocato un bell'ambone marmoreo dell'11° secolo.La chiesa di S. Giorgio (Mari Girgis), fondata nel sec. 4°, fu ricostruita più volte, l'ultima delle quali nel 19° secolo. Conserva tuttavia una piccola stanza del sec. 14°, detta sala degli Sponsali, con resti di decorazione a intarsi di grande bellezza. Accanto alla chiesa sorge il convento di S. Giorgio, alcune parti del quale risalgono al 10° secolo.Fuori delle mura della Città Vecchia sorge il convento di S. Mercurio, che comprende tre chiese dedicate rispettivamente al santo, alla Vergine e alla beata Damiana. Dair Mari Mina, il convento dedicato a s. Menna, comprende una chiesa con le navate scandite da pilastri di mattoni e le pareti ornate da numerose pitture, tra cui particolarmente notevole è la figura del Pantocratore nel catino absidale.
Tutte le arti decorative del periodo copto del C. sono rappresentate nel Coptic Mus., che ne possiede la collezione più ricca al mondo. Fondato nel 1910, il museo fu ampliato nel 1947 con l'aggiunta di una nuova ala, nella quale vennero sistemati anche i pezzi copti già conservati nel museo archeologico. I reperti vanno dal sec. 4° al pieno periodo islamico: particolarmente interessanti sono i rilievi a soggetto mitologico provenienti da Ahnas (sec. 4°-5°), i rilievi e le pitture provenienti da Bāwīt, nonché la decorazione architettonica e le pitture murali dal monastero di Saqqara (sec. 5°). Cospicue sono le collezioni di tessuti, avori e oggetti in metallo e legno lavorato, materiali che ricoprirono un ruolo assai importante nello sviluppo dell'arte copta.Altrettanto importante è il Mus. of Islamic Art, le cui collezioni comprendono alcuni fra gli esemplari più significativi dell'arte islamica: vi si trovano infatti legni, avori, metalli, ceramiche, armi, tessuti, manoscritti, lampade da moschea, lapidi; vi si conserva anche una rilevante raccolta di arte persiana. Di particolare interesse è la sezione fatimide, ricca di marmi e pietre incise, scolpite e dipinte, ma soprattutto di pannelli di legno recuperati dagli scavi del palazzo fatimide posto sul sito attuale dei monumenti di Qalā᾽ūn.
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