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CALICE

di Luciano LAURENZI - Filippo ROSSI - Egidio CASPANI - - Enciclopedia Italiana (1930)
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CALICE (dal lat. calix, e questo dal gr. κάλυξ; gr. κύλιξ, ποτήριον; lat. calix, pocŭlum; fr. calice; sp. cáliz; ted. Kelch; ingl. chalice)

Luciano LAURENZI
Filippo ROSSI
Egidio CASPANI

Vaso da bere a corpo più o meno profondo, a bocca circolare, e munito di anse e di piede.

Archeologia. - Il tipo del calice appare con forme già sviluppate nella civiltà eneolitica di Grecia e di Sicilia, sì che possiamo pensare che l'invenzione risalga all'ultimo periodo dell'età neolitica. È diffuso nella civiltà italiana preromana e nella civiltà minoica, ma domina addirittura con forme bellissime, a bacino alto e profondo, di solito decorato con motivi del mondo marino stilizzato, e a piede sottile, in tutta la civiltà micenea. Non è estraneo all'uso nel periodo detto geometrico, che va dai tempi omerici all'età classica. In questa, la forma predominante del vaso da bere è quella a piede assai basso, e anche oggi si mantiene, il nome che più particolarmente gli davano i Greci di κύλιξ. Nell'età ellenistica invece il calice torna più frequente nell'uso: ma il suo corpo si allunga, mentre il piede si fa più corto. Esso mantiene peraltro le anse, mentre il calice romano le perde, giungendo così alla nota forma, ereditata più tardi dalla Chiesa cristiana. Secondo Marziale (XIV, 102, 108) i calices più pregiati provenivano da Sorrento e da Sagunto. I materiali adoperati nella fabbricazione erano disparatissimi, ma più specialmente erano usati l'argilla, l'oro e l'argento, e nell'età romana il vetro.

Arte. - Dalle origini cristiane alla fine del sec. XII furono in uso due forme di calice: l'una, ansata, sembra aver servito per i calici da comunione; l'altra, senza anse, per quelli da consacrazione. Fin dai primi tempi del cristianesimo, accanto ai calici di materia non preziosa, non furono rari quelli di oro, d'argento o con pietre preziose. Della forma a due anse l'esempio più antico è quello di un calice della Biblioteca Nazionale di Parigi, d'oro (sec. VI). La forma ansata è meno frequente dopo il sec. X e scompare quasi del tutto alla fine del sec. XII in Occidente, mentre si fissa quella che tuttora perdura, con piede circolare e ampio, fusto con nodo, coppa profonda. Tuttavia anche del calice senza anse si conoscono esempî assai antichi, specialmente siriaci, che si fanno risalire fino al sec. IV e anche prima. Col sec. XIII si diffonde nell'Europa occidentale una forma di calice assai ampio, con piede circolare largo, di diametro quasi uguale a quello della coppa, nodo alquanto schiacciato, semplice nella decorazione (calice di S. Francesco d'Assisi); nel Nord d'Europa la forma del calice è più bassa e ricca di ornamentazioni a traforo nel nodo e nello stelo. Nel Trecento in Italia invece il calice si fa più slanciato, la coppa più piccola s'inserisce in un vero e proprio calice floreale; lo stelo diviene poligonale, decorato con incisioni o con smalti, il nodo a protuberanze decorate di medaglioncini in niello o a smalto traslucido su argento; il piede a lobi diviso da spigoli in compartimenti decorati con fogliame, che recano essi pure medaglioni a smalto. In questi calici l'argento è adoperato per la coppa, dorata, e per i medaglioni, nel resto si usa il rame dorato; quasi mai vi appaiono pietre preziose di ornamento. Il Quattrocento italiano, specialmente veneto e abruzzese, guardò più alla decorazione brillante che alla grazia della forma e operò lentamente il trapasso dalle forme gotiche a quelle del Rinascimento; la Spagna e il Portogallo produssero calici di straordinaria ricchezza. Nel '500 le forme e gli ornamenti si vanno facendo sempre più convenzionali: il calice è più alto, la coppa campanulata, gli smalti diminuiscono; il piede è a foggia di fiore a sei petali o a contorno ondulato con decorazione semplice, il nodo a foggia di vaso; persistono le tradizioni gotiche. L'arte barocca e rococò adattò i suoi ornati anche ai calici, che smarrirono così il loro aspetto architettonico ma acquistarono sovente un'elegante leggerezza.

Bibl.: E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, I, p. 850; P. Wolters, in Athen. Mittheil., XXXVIII (1915), p. 195; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923; A. V. Didron, Man. des øuvres de bronze et d'orfèvrerie du moyen-âge, Parigi 1859; E. Molinier, L'orfèvrerie religieuse et civile, Parigi 1901; W. W. Watts, Catalogue of chalices and other Communion vessels (Victoria and Albert Museum), Londra 1922; G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino s. a.

Liturgia. - Il calice è il principale vaso sacro, poiché in esso si consacra l'Eucaristia sotto le specie del vino, e in esso si può, in mancanza della pisside, conservarla sotto le specie del pane. Secondo le norme liturgiche moderne deve avere almeno la coppa d'oro; può tuttavia averla anche d'argento, di stagno o di una lega di alluminio purché tale materia venga indorata almeno nell'interno. Il fusto o stelo dev'essere munito di un nodo o pomello a mezza distanza circa tra la coppa e il piede. Le accidentalità nell'ornato sono lasciate all'arbitrio degli artisti.

I primi calici usati nella liturgia erano simili per materia e forma a quelli comuni, e solo col sec. IX s'incomincia a prescrivere l'oro o l'argento indorato, e a proibire le materie fragili o meno convenienti praticamente; il legno, proibito nel concilio di Tribur (895), sarebbe già stato vietato da papa Zeffirino (198-217). Urbano I (222-230) aveva ordinato che tutti i vasi sacri fossero d'argento (Liber Pontificalis). All'epoca di Costantino si fecero molti calici d'oro ornati con pietre preziose. Si distinsero calici ministeriali o maggiori o comunicali, che servivano per la comunione del popolo, dai calici minori usati dal celebrante (calix sanctus), e talora anche i ministeriali dalle amae o amulae od offertoriali, grandi vasi per raccogliere le oblazioni di vino dei fedeli. Ai calici del celebrante e ministeriali fu applicato anche il nome di scyphi. Con i calici ministeriali si riconnette, dall'epoca carolingia, il cannello d'oro o d'argento - ancora oggi usato nei pontificali papali - per assorbire la sacra specie: era detto fistula, cannula, calamus, siphon, arundo, pipa, pugillaris. Tra gli ornati preferiti in antico era la figura del Buon Pastore, ma vi erano anche calici con iscrizioni (calices litterati).

Per la cerimonia del latte e miele ai neobattezzati si usavano pure calici detti battesimali. Era naturale che l'uso dei calici, come dei vasi sacri in genere, fosse riservato alle persone sacre; il Liber pontificalis ne fa risalire la legge a Sisto I (c. 119-128); anche ora, chi non è almeno suddiacono non può toccarli, eccetto casi speciali. Non è lecito inoltre celebrare con un calice non consacrato dal vescovo o, almeno, da un sacerdote autorizzato. L'obbligo della consacrazione è fatto risalire da Innocenzo III (1198-1216) ai tempi apostolici.

V. tavv. LXXXI-LXXXIV.

Bibl.: H. Leclercq, voce Calice, in Dictionnaire d'archéologie chrétienne; Rohault de Fleury, La Messe, IV, Parigi 1886; Bernard, Cours de liturgie romaine, Parigi 1902; Barin, Catechismo liturgico, I, Rovigo 1921.

Vedi anche
eucaristia Sacramento centrale del cristianesimo, che da un lato commemora e, secondo la dottrina cattolica e di altre confessioni cristiane, rinnova il sacrificio di Gesù Cristo, e, dall’altro, attua la comunione dei fedeli con il Redentore e tra loro. Teologia Il nome e. proviene dai racconti neotestamentari ... liturgia Complesso dei riti e delle cerimonie propri di un culto religioso. La formazione della l. è determinata da due motivi: la necessità di fissare in forme adatte la vita e la professione della religione, che per sé non hanno forma né regola per poter essere tramandate; e il desiderio di rappresentare il ... consacrazione Atto mediante il quale una persona o una cosa passano dallo stato profano allo stato di sacro. Presso i Romani la consecratio era l’atto solenne con il quale il proprietario di una cosa (bosco, tempio ecc.) la destinava al culto degli dei, facendone una res sacra. Questa non era più suscettibile di alienazione ... oreficeria L’arte di lavorare i metalli nobili e le pietre preziose per farne gioielli, oggetti d’ornamento, d’arredamento o di culto. Tecniche di lavorazione I metalli che sono impiegati nella fabbricazione degli oggetti di o. sono oro, argento e platino. Il platino è sempre usato puro; l’oro e l’argento invece ...
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