CALICE
Bicchiere di forma particolare, usato nella liturgia per la consacrazione del vino nel corso della messa. Il termine deriva dal gr. ϰύλιξ 'coppa' (Braun, 1932, p. 20) e appare già nei racconti dell'Ultima Cena tramandati dagli evangelisti (Mt. 26, 27; Mc. 14, 23; Lc. 22, 17).Se i primi cristiani utilizzarono fin da principio per le celebrazioni eucaristiche gli stessi oggetti che usavano nella vita quotidiana, si impose ben presto l'abitudine di riservare allo scopo alcuni recipienti e quindi di fabbricarne di appositi, di preferenza in materiali preziosi. L'oro e l'argento sono i più citati nei testi, ma vi appaiono anche cristallo di rocca, avorio, legno, corno, vetro e, tra i metalli non preziosi, rame, stagno e piombo. Testi liturgici, canoni conciliari o sinodali, bolle papali comportano spesso prescrizioni concernenti i materiali autorizzati o proibiti per la fabbricazione dei calici. Così il concilio di Reims, tenuto sotto Carlo Magno, stabilì che i c. dovessero essere d'oro o d'argento o almeno, per le chiese più povere, di stagno (Rohault de Fleury, 1883, p. 96). La proibizione di usare c. di legno venne ripetuta frequentemente fino al sec. 13° e ciò prova che l'uso non era stato abbandonato. I testi dei secc. 12°-14° prescrivono generalmente l'utilizzazione dell'oro o dell'argento (Braun, 1932, pp. 40-41). Quando si usava un metallo diverso dall'oro, la coppa veniva dorata all'interno.Esistevano anche c. con funzioni particolari, tra i quali vanno ricordati i c. 'ministeriali', quelli a uso funerario e quelli 'da viaggio'. I primi erano riservati alla comunione dei fedeli, pratica che sembra sopravvivere fino al sec. 13° (Baudot, 1910, col. 1646ss.); si tratta dunque di oggetti di grandi dimensioni, che corrispondono senza dubbio a quelli descritti come calices maiores nei testi carolingi. D'altra parte, se certi c. rinvenuti nelle tombe erano stati sicuramente utilizzati in precedenza per l'eucaristia, è certo che altri furono fabbricati appositamente per l'uso funerario. Si tratta, talvolta, di oggetti di dimensioni molto piccole, come i c. d'argento del tesoro di Hildesheim (Diözesanmus. mit Domschatzkammer), alti da cm. 6 a 9, trovati in tombe di vescovi dei secc. 10°-12° (Elbern, 1977, p.13) o i due c. aurei di Treviri (Domschatz; Schatzkunst Trier, 1984, nrr. 20-21), alti rispettivamente cm. 5,3 e 4,6, rinvenuti nelle tombe degli arcivescovi della città Ruotberto (931-956) e Poppone (1016-1047). Nella maggioranza dei casi si tratta di pezzi eseguiti in metallo vile (piombo o stagno), come, tra gli altri, i quattro c. di stagno scoperti nel 1893 nella cattedrale di Châlons-sur-Marne (Lucot, 1895), o quello di piombo (Tarragona, Mus. Diocesano; Millenum, 1989, nr. 162) rinvenuto nel 1933 nella tomba dell'arcivescovo di Tarragona Bernat Olivella (m. nel 1297). Molto più rari sono i c. 'da viaggio', il cui esempio più tipico (Kremsmünster, tesoro dell'abbazia; Fritz, 1982, nr. 620) risale al 14° secolo.Nel corso dei primi secoli del Medioevo, i c. continuarono a essere segnati dall'influsso degli esemplari più antichi. Le loro forme derivano di fatto da quelle dei principali tipi di recipienti per bere conosciuti nell'Antichità: la coppa alta e stretta e il cantaro largamente svasato, munito di due anse laterali. Due c. originari della Francia merovingia esemplificano queste due forme. Il piccolo c. d'oro - rinvenuto a Gourdon (Saône-et-Loire) insieme con una patena e alcune monete bizantine (Parigi, BN, Cab. Méd.), le più recenti delle quali risalgono al tempo di Giustino I (518-527) - è infatti composto da un basso piede troncoconico e da una coppa larga e profonda, con due piccole anse a voluta (Hubert, Porcher, Volbach, 1967, p. 221, fig. 233). Il c. riferito dalla tradizione a s. Eligio (m. nel 659), orafo e ministro del re Dagoberto (629-639), già conservato a Chelles e oggi noto da antiche descrizioni e soprattutto attraverso un disegno del sec. 17°, era invece alto e quasi cilindrico e poggiava su un basso piede circolare al quale era attaccato per mezzo di un nodo sferico molto schiacciato (Hubert, Porcher, Volbach, 1967, p. 241, fig. 264; Vierck, 1974). Va notata in entrambi gli oggetti la caratteristica decorazione cloisonnée.La rinascenza artistica dell'epoca carolingia si manifestò soprattutto nella committenza di oggetti di oreficeria, dalla decorazione spesso sontuosa, tra cui un certo numero di calici. Così Carlo Magno offrì in occasione della sua incoronazione parecchi calices maiores riccamente ornati, uno dei quali biansato del peso di cinquantotto libbre (Lib. Pont., II, p. 7; Elbern, 1965, pp.116-117). Se questi oggetti eccezionali sono scomparsi, si conservano invece alcuni c. dei secc. 8° e 9°, tutti del tipo a coppa alta e stretta. Il più prezioso è quello di Kremsmünster (tesoro dell'abbazia), donato dal duca di Baviera Tassilone (749-788). In linea generale la forma è analoga a quella del c. di s. Eligio, ma la coppa è meno alta e il nodo più voluminoso; questo c., alto cm. 25,5, è completamente rivestito di motivi incisi e niellati, derivanti principalmente dall'arte insulare, ma al centro della coppa si stacca una rappresentazione di Cristo in maestà tra l'alfa e l'omega (Elbern, 1965, p. 129, fig. 7). Al c. di Tassilone possono essere avvicinati alcuni esemplari meno decorati: uno di rame dorato con il nome di s. Ludgero (m. nell' 809) conservato a Essen (Schatzkammer der Propsteikirche St. Ludgerus; Fillitz, Pippal 1987, nr. 2), un altro, pure di rame dorato, proveniente da Petőháza e conservato a Sopron (Soproni Múz.), un altro d'argento con il nome del duca Ursus (Lamón, canonica della parrocchiale) rinvenuto nel sec. 19° (Elbern, 1965, pp. 129-130, figg. 8-9), e infine un c. con il nome di Grimfridus, oggi a Washington (Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), probabilmente proveniente da Saint-Martin-des-Champs a Parigi (Gaborit-Chopin, 1989, pp. 285-286, fig. 20).I testi dell'epoca carolingia elencano anche c. non metallici; l'inventario di Everardo del Friuli (867) cita un c. in avorio, che non rappresentava certamente un caso isolato, dato che anche a Utrecht (Rijksmus. Het Catharijneconvent) se ne conserva un esemplare proveniente da Deventer con coppa, alta e profonda, ornata da una ricca decorazione vegetale che permette di ricollegarla all'arte carolingia del sec. 9° (Elbern, 1965, p. 131, fig. 10). Sembra del resto che sia stato Carlo il Calvo a far eseguire la montatura in oro e pietre preziose che trasformò in c. l'antico cantaro di sardonica, la c.d. coppa dei Tolomei, già conservato all'abbazia di Saint-Denis (Parigi, BN, Cab. Méd.; Gaborit-Chopin, 1980-1981, pp. 14-16).Al di là dei confini dell'impero carolingio, l'Irlanda fu, nel corso dei secc. 8° e 9°, un centro artistico particolarmente brillante e originale, la cui testimonianza più preziosa è senz'altro costituita da un c. d'argento risalente alla prima metà del sec. 8°, scoperto nel sec. 19° ad Ardagh (Dublino, Nat. Mus. of Ireland; Ryan, 1987; Rynne, 1987). Tipologicamente la sua forma deriva, sia pure in maniera semplificata, dagli antichi cantari: le anse disegnano non già una voluta ma un breve arco di circonferenza, sviluppato da un elemento applicato alla coppa; quest'ultima è di forma quasi emisferica ed è attaccata, per mezzo di un corto stelo cilindrico, a un largo piede circolare sormontato da una sfera. La decorazione riunisce tutte le tecniche dell'oreficeria irlandese al suo apogeo: intrecci di filigrana con presenza di animali, cabochons di smalto e vetro in un reticolo geometrico, placchette d'ambra, iscrizioni incise con lunghe lettere decorative. La scoperta, avvenuta nel 1980 a Derrynaflan, di un esemplare di forma e decorazione simili, anche se più sobrie, senz'altro riconducibile al sec. 9° (Ryan, 1987), prova come il c. di Ardagh non fosse un episodio isolato.Rari sono i c. occidentali dei secc. 10° e 11° conservati. Tra questi, il c. aureo di s. Gozzelino, vescovo di Toul (m. nel 962), conservato a Nancy (Trésor de la Cathédrale; Les trésors des églises de France, 1965, nr. 832), è fornito di due anse a voluta, di un piede troncoconico e di un nodo sferico molto appiattito, che permettono di accostarlo a quello raffigurato sull'avorio di Francoforte (Liebieghaus), che rappresenta la Celebrazione della messa (sec. 9°-10°; Ornamenta Ecclesiae, 1985, nr. C2). La coppa emisferica annuncia forme diffuse nel corso dei secoli seguenti, mentre la decorazione in filigrana, gemme e smalti cloisonnés è tipica dell'oreficeria del 10° secolo. I già menzionati c. dei tesori di Treviri e di Hildesheim, nonché quello di Liemar, arcivescovo di Brema tra il 1072 e il 1101 (Der Bremer Dom, 1979, nr. 4), appartengono invece al tipo a coppa alta e stretta.Nella penisola iberica si conservano alcuni c. di questo periodo di forma e decorazione particolarmente originali. Quello del tesoro di Santo Domingo de Silos (Mus. Arqueológico y de Historia Natural; Gaborit-Chopin, 1983, pp. 307-308, fig. 272), d'argento dorato, si distingue per lo sviluppo del piede emisferico, di forma simile a quella della coppa e di altezza quasi equivalente; un fusto cilindrico e un grosso nodo sferico raccordano le due parti. La decorazione, completamente in filigrana, non è meno singolare; l'oggetto, di grandi dimensioni (cm. 30 di altezza), reca un'iscrizione che lo indica come dono dell'abate s. Domenico (m. nel 1073). Il c. offerto da donna Urraca (m. nel 1101) a San Isidro di León (Mus.-Bibl. de la Real Colegiata de San Isidro; Gaborit-Chopin, 1983, pp. 306-307, fig. 271) è di forma simile ma più tozzo; coppa e piede sono intagliati in onice e incastonati in una montatura d'oro, ornata di filigrana, gemme e smalti cloisonnés, con tecniche che ricordano quelle utilizzate nel c. di s. Gozzelino e in numerose opere occidentali dei secc. 10° e 11°, ma che presentano in questo caso particolarità rare, come le numerose archeggiature che ritmano la filigrana. Di datazione meno sicura, e senza dubbio alquanto posteriore, il c. della cattedrale di Braga (Tesouro da Sé Primaz) si distingue per la forma del tutto particolare del piede, costituito da un disco piatto sormontato da un alto fusto cilindrico traforato da aperture a 'buco di serratura', nel quale il nodo non è suggerito che da un leggero rigonfiamento a mezza altezza (Braun, 1932, p. 10, fig. 31).Per quanto riguarda il periodo romanico, grande interesse riveste il trattato del monaco Teofilo (De diversis artibus, III) dove si descrive la fabbricazione di un c. piccolo, di un c. grande d'argento con anse, decorato a niello, e anche di un c. d'oro.I c. del sec. 12° sono pervenuti in numero maggiore rispetto a quelli dei secoli precedenti; in essi si manifestano l'inventiva e la varietà peculiari dell'età romanica, ma il loro aspetto testimonia altresì una certa uniformità tipologica, non meno caratteristica del periodo. Per la maggior parte i c. presentano, in effetti, una coppa pressoché emisferica, poggiante direttamente su un nodo sferico, più o meno schiacciato, e un piede di altezza leggermente inferiore a quella della coppa che assume, nella maggioranza dei casi, la forma di un tronco di cono concavo. Questi c. sono talvolta dotati anche di due anse a voluta, ma tale particolarità non determina alcuna variazione tipologica: per es., il c. acquistato dall'abate Suger (1122-1151) per l'abbazia di Saint-Denis (Washington, Nat. Gall. of Art; Gaborit-Chopin, 1989) e dotato di due larghe anse è di forma simile a quello di Trzemesno (Gniezno, tesoro della cattedrale; Lasko, 1972, p. 228), che non presenta invece anse. Il c. dell'abate Suger unisce inoltre, al pari di quello di Carlo il Calvo, una coppa di sardonica, probabilmente di origine bizantina, con una montatura caratterizzata da una decorazione in filigrana, a due fili accostati con volute corte e regolari, tipica delle opere d'oreficeria eseguite per Saint-Denis in quest'epoca. L'influsso dei c. bizantini dei secc. 10° e 11° ricoprì indubbiamente un ruolo preponderante nell'adozione di queste forme (Wixom, 1986, pp. 295-296). Resta pertanto un'eccezione il c. della chiesa di St. Peter a Salisburgo, la cui coppa sagomata e ampiamente aperta, munita di due piccole anse serpentiformi, ricorda ancora abbastanza fedelmente i cantari antichi (Fillitz, Pippal, 1987, nr. 43).Le decorazioni degli altri c. del sec. 12° conservati sono di grande varietà: figure di apostoli lavorate a sbalzo sulla coppa del c. di Salisburgo; decorazione a niello con scene dell'Antico e del Nuovo Testamento nei c. provenienti da Wilten (Vienna, Kunsthistorisches Mus.) e da Trzemesno (Gniezno, tesoro della cattedrale), tutti e due eseguiti probabilmente in Bassa Sassonia, verso il 1160-1170 (Lasko, 1972, pp. 206-207, fig. 228; Skubiszewski, 1982). Il c. della cattedrale di Coimbra (Mus. Nac. de Machado de Castro), datato 1190, unisce decorazione in filigrana e figure a sbalzo: apostoli inseriti sotto archeggiature sulla coppa e simboli di evangelisti circondati da racemi sul piede (Aux confins du Moyen Age, 1992, nr. 43).I c. del Duecento, caratterizzati da forme di transizione dall'arte romanica a quella gotica, sono molto più numerosi e, per certi aspetti, si avvicinano alle opere del secolo precedente: piede circolare che si sviluppa in tronco di cono e nodo a forma di sfera schiacciata, spesso però decorata a baccellature. L'innovazione principale riguarda le proporzioni della coppa, che risulta molto meno alta: se alcuni c. dei primi decenni del sec. 13° comportano ancora una coppa emisferica - per es. quello di Bertinus, del 1222 (New York, Metropolitan Mus. of Art; The Year 1200, 1970, nr. 127) -, la maggior parte presenta invece una coppa a profilo ribassato.Questo tipo di coppa, lo stelo cilindrico, il nodo baccellato e il piede circolare contraddistinguono i c. che si trovano rappresentati in disegni o sculture, come per es. nel taccuino di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093, c. 4v; Hahnloser, 1935, tav. 8). Ma anche numerosi c. conservati corrispondono allo stesso modello: per es. quelli trovati nelle tombe del vescovo di Troyes, Hervée (m. nel 1223; Troyes, Trésor de la Cathédrale; Les trésors des églises de France, 1965, nr. 175), del vescovo d'Angers, Michel de Villoiseau (m. nel 1261; Angers, tesoro della cattedrale; Farcy, 1905) e di quello di Lincoln, Richard de Gravesend (m. nel 1279; Lincoln, cattedrale; Age of Chivalry, 1987, nr. 111); la stessa tipologia è frequente anche nei paesi germanici, come testimoniano gli esemplari trovati nelle tombe dell'arcivescovo di Magonza, Sigfrido III di Eppstein (m. nel 1230; Magonza, tesoro del duomo; Gündel, 1962, p. 17), di quello di Treviri Enrico di Finstingen (m. nel 1286; Treviri, Domschatz; Schatzkunst Trier, 1984, nr. 80) e in una tomba della cattedrale di Brema (Der Bremer Dom, 1979, nr. 14). Questi esemplari sono tutti molto sobri. Altri, pur presentando le stesse caratteristiche, sono invece rivestiti di una decorazione che rielabora le tecniche e lo stile propri del 13° secolo. Così, il c. rinvenuto sul sito dell'abbazia inglese di Rusper (Londra, British Mus.) è completamente rivestito di smalto champlevé su rame, il che permette di datarlo al 1200 ca. (English Romanesque Art, 1984, nr. 293; Gauthier, François, 1987, nr. 281); quello di Namur (Maison des Soeurs de Notre-Dame, tesoro), firmato dall'orafo Hugo d'Oignies, attivo tra il 1230 e il 1240, unisce nielli e filigrane (Courtoy, 1952); lo 'stile 1200', diffuso nella prima metà del sec. 13°, si sviluppa nella decorazione a sbalzo di molti esemplari, tra i quali il più ricco è quello conservato presso la chiesa di Porvoo, in Finlandia, probabilmente eseguito in Vestfalia verso il 1230-1240 (Die Zeit der Staufer, 1977-1979, I, nr. 587). La decorazione in filigrana è ancora frequente: essa si limita, talvolta, al nodo, fatto di una sfera di filigrana 'a giorno', come nei c. della chiesa dei St. Aposteln di Colonia e di Basilea (Historisches Mus.; Die Zeit der Staufer, 1977-1979, I, nrr. 561, 595), e solo più raramente ricopre tutto l'oggetto (c. di Bergen, St. Marien; Die Zeit der Staufer, 1977-1979, I, nr. 588). A eccezione di quello proveniente da Rusper, tutti gli esemplari citati sono d'argento. Questi c., precisamente datati, permettono di rivedere, per confronto, la cronologia di altri, qualche volta troppo anticipati, come il c. d'oro usato per la consacrazione dei re di Francia (Reims, Palais du Tau Trésor de la Cathédrale; Regalia, 1987, pp. 34-38), recentemente riportato all'inizio del sec. 13°, oppure il c. detto di s. Gerardo, già conservato nell'abbazia di Saint-Mansuy vicino a Toul e noto attraverso un disegno, che Rohault de Fleury (1883, p. 109, tav. CCXCVII, fig. 1) aveva datato al sec. 10°, ma che non può essere anteriore agli ultimi anni del 12° o all'inizio del 13° secolo.Una svolta decisiva nella storia dei c. si situa negli ultimi decenni del sec. 13°, quando in Italia fece la sua comparsa un tipo nuovissimo di c., caratterizzato principalmente dalla forma della coppa, aperta a corolla, dal disegno del piede, non più circolare ma polilobato, dalla presenza di bugne sul nodo e dal fusto a sezione poligonale. Il primo esempio del genere datato con certezza è il c. conservato ad Assisi (Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco) - firmato da Guccio di Mannaia e donato da papa Niccolò IV (1288-1292) -, che è anche la prima opera nota che utilizzi lo smalto traslucido su fondo a bassorilievo. Se però, come ha suggerito Hueck (1982), il c. di Pistoia (Mus. Diocesano), conosciuto come c. di s. Atto, è da identificarsi con quello eseguito da Pace di Valentino tra il 1269 e il 1272 per l'Opera del Duomo di quella città, bisognerebbe anticipare di una ventina d'anni l'apparizione di questo nuovo tipo.Il c. di Assisi è eccezionale per la ricchezza decorativa, ma molti altri esempi attestano che le nuove forme furono immediatamente adottate dagli orafi senesi e quindi dai loro emuli toscani: ne sono esempio quelli firmati da Duccio di Donato, citato a Siena tra il 1291 e il 1310 (Gualdo Tadino, Ist. Bambin Gesù; Cioni Liserani, in corso di stampa), o da Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi, ricordati a Siena tra il 1322 e il 1328 (Londra, British Mus.; L'art gothique siennois, 1983, nr. 46); quello di Roma (Tesoro di S. Pietro), eseguito tra il 1334 e il 1342 (Leone de Castris, 1980, fig. 36), e quello donato dal penitenziere papale Pietro di Sassoferrato - probabilmente nel 1341-1342 - alla chiesa di S. Francesco a Sassoferrato (New York, Metropolitan Mus. of Art; Boehm, Wixom, 1988); gli esemplari fiorentini firmati da Andrea Arditi, noto tra il 1324 e il 1338 (Mosca, Cremlino, Oružejnaja palata; Taburet-Delahaye, in corso di stampa), o da Giovanni di ser Giacomo (verso il 1350-1360; Messina, cattedrale; Accascina, 1974, p. 127). Nella forma degli elementi principali, questi c. rappresentano una versione semplificata di quello di Assisi, ornati anch'essi di smalti traslucidi: sul piede e sul nodo compaiono placchette quadrilobate, che raffigurano, sul piede, Cristo in croce, affiancato dalla Vergine, da s. Giovanni e da altri santi a mezzo busto, simili a quelli che compaiono sul nodo; il fusto presenta invece placchette rettangolari, per lo più decorate con uccelli in volo.La maggior parte dei c. toscani della seconda metà del sec. 14° segue la stessa tipologia, non apportandovi che leggere varianti nell'ornamentazione: così per es. quello firmato dall'orafo senese Andrea di Petruccio Campagnini (citato nel 1372 e nel 1373), conservato ad Ávila (Mus. de la Catedral), o quello di Bartolomeo di Tommè, detto Pizino (citato tra il 1376 e il 1404), oggi a Lione (Mus. des Beaux-Arts; Taburet-Delahaye, 1982-1986).I c. realizzati negli altri centri italiani nel corso del Trecento si ispirano in linea di massima, talvolta molto fedelmente, agli esempi toscani, ma qualcuno se ne allontana in maniera notevole. A Venezia (Tesoro di S. Marco), per es., si conserva un c. con piede polilobato e ornato di smalti traslucidi che sostiene direttamente un'ampia coppa biansata, ricavata da un unico blocco di serpentino, probabilmente opera bizantina del sec. 12°; questo pezzo è citato nell'inventario redatto nel 1325 (Le trésor de Saint-Marc de Venise, 1982, nr. 41). Il c. di Cambridge (Fitzwilliam Mus.), eseguito certamente verso il 1320-1340 in una bottega vicina a quella che realizzò il piede del precedente, presenta un piede ornato di medaglioni smaltati e di fogliami a sbalzo a bassorilievo; la forma esagonale, il nodo baccellato e il fusto cilindrico decorato a filigrana si ispirano ai modelli del secolo precedente (Le trésor de Saint-Marc de Venise, 1982, nr. 42, fig. i).A N delle Alpi le innovazioni italiane penetrarono in modo ineguale. In tutta l'Europa settentrionale sono attestati numerosi c. con piede circolare, nodo baccellato e stelo cilindrico - tutti elementi caratteristici del sec. 13° -, che presentano una coppa svasata a corolla tipica del sec. 14°: ne costituiscono esempi il c. dell'arcivescovo di York, William de Melton (m. nel 1340; York, cattedrale; Age of Chivalry, 1987, nr. 112), o quello di Henrik Nuddepenincg (Parigi, Mus. de Cluny; Taburet-Delahaye, 1989, nr. 15). La coppa a corolla, lo stelo sottile a sezione poligonale e il nodo a borchie si imposero progressivamente nelle diverse regioni dell'Occidente, mentre la decorazione si concentrò sul piede e sul nodo e si affermò definitivamente l'impiego degli smalti traslucidi. Le numerose varianti introdotte nel disegno di questi elementi come anche nelle decorazioni spiegano la grande varietà della produzione di c. di epoca gotica. Il c. proveniente da Siviglia, con lo stemma dei conti di Lara (Parigi, Louvre; Gauthier, 1972), si distingue per il rivestimento a smalto della coppa, l'altezza eccezionale dello stelo e la forma frastagliata del piede, ornato di grandi placche di smalti traslucidi, che raffigurano per la maggior parte scene della Passione di Cristo. Quello con il punzone di Parigi (Wipperfürth, parrocchiale; Les fastes du Gothique, 1981, nr. 188), firmato da Jean de Touyl, citato tra il 1328 e il 1350, presenta un piede polilobato dal contorno festonato e rivestito di smalti traslucidi, mentre il nodo è a baccellature e fornito di borchiette a losanga. Il c. datato 1387, già nella cattedrale di Montpellier, noto per un disegno conservato tra le carte di Bernard de Montfaucon (Rohault de Fleury, 1883, p. 143), aveva un nodo liscio ornato con raffigurazioni di farfalle e un piede esagonale con i lati concavi, decorato soltanto da tre placchette smaltate.I paesi germanici sono, con l'Italia, le regioni che hanno conservato il maggior numero di c. del 14° secolo. Un gruppo di c. originari della Renania presenta un piede poligonale dai lati incurvati e un nodo ornato di borchiette a losanga (per es. quello conservato nella chiesa di Sankt Wendel, del 1369; Fritz, 1982, nr. 127). In qualche caso fanno la loro comparsa sul nodo e sul fusto elementi di ispirazione architettonica quali file di finestrelle e archeggiature gotiche, come nel c. della Magdalenenkirche di Spira (Fritz, 1982, nr. 220). Alcuni esemplari presentano una decorazione particolarmente originale: così il c. di Osnabrück (Domschatzkammer und Diözesanmus.), che porta il nome del vicarius Keleman, ricordato tra il 1328 e il 1341, si distingue per l'altezza eccezionale del suo fusto, ma anche per la ricca decorazione di figure e scene in rilievo sistemate sotto le archeggiature gotiche (Fritz, 1982, nr. 107); sui c. di Klosterneuburg (Stiftsmus.) e della chiesa di Östra Ryd, eseguiti molto probabilmente a Vienna, rispettivamente nel 1347 e nel 1345, gli smalti traslucidi del piede e le borchiette 'a giorno' del nodo sono circondati di numerosi cabochons montati su basi piramidali (Fritz, 1982, nrr. 244, 247).Le forme più comuni del sec. 14° si incontrano ancora frequentemente nel 15°, qualche volta in data anche piuttosto avanzata; così i c. datati 1465 e 1476 conservati nelle chiese di Bocholt e di Kyllburg (Fritz, 1982, nr. 477; Schatzkunst Trier, 1984, nr. 131) presentano ancora una coppa svasata a corolla. Questa forma venne però abbandonata progressivamente a partire dall'inizio del sec. 15° a favore di una forma più chiusa e più profonda, 'a tulipano'. Qualche esempio datato bene può testimoniare tale trasformazione: il c., datato 1411, offerto dal re di Francia Carlo VI al monastero di S. Caterina sul monte Sinai, è provvisto di fatto di una coppa solo leggermente svasata ma ancora poco sviluppata in altezza (Ikonomaki Papadopulos, 1990), mentre gli esemplari italiani, come quello, datato 1420, firmato dall'orafo senese Tommè di Vannino, conservato a Montefollonico (pieve di S. Leonardo), o quello di Venezia (Tesoro di S. Marco), eseguito più o meno verso la stessa data dalla bottega dei Da Sesto, si distinguono per una coppa alta, stretta e più profonda (Machetti, 1929, tav. 44; Il tesoro di San Marco, 1971, nr. 173).In questo periodo la decorazione segue due linee di sviluppo: in alcuni casi vengono adottate le elaboratissime forme del Tardo Gotico, come per es. nel citato c. del Tesoro di S. Marco o in altri originari di paesi germanici, come quello di Esztergom (Keresztény Múz.), posteriore al 1437 (Fritz, 1982, nr. 565); altrove si preferisce l'abbandono degli elementi decorativi gotici per volgersi a forme più sobrie, come testimoniano il c. di Vienna (Schatzkammer) e quello della Lorenzkirche di Norimberga, eseguito verso la metà del sec. 15° (Fritz, 1982, nr. 584), nei quali solo il nodo conserva ancora qualche motivo caratteristico del Gotico flamboyant.
Bibl.:
Fonti. - Teofilo, De diversis artibus, a cura di C.R. Dodwell, London e altrove 1961.
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Un'importante documentazione sui c. (potéria) protobizantini è fornita dai tesori di suppellettili liturgiche d'argento rinvenuti in Siria all'inizio di questo secolo (Ḥamā, Antiochia, Riha e Stuma) e negli anni Cinquanta (Phela, Beth Misona), oggi suddivisi tra collezioni e musei europei e americani (v. Argento).Molti di questi oggetti, senz'altro di manifattura locale (Cruikshank Dodd, 1961, nrr. 8, 13, 18, 35), oltre a essere siglati da marchi di controllo che ne circoscrivono la datazione a un periodo compreso tra il regno di Giustiniano I (527-565) e quello di Foca (602-610), recano iscrizioni votive con i nomi dei pii donatori, nonché delle chiese - per es. Ss. Sergio e Bacco del villaggio di Kaper Koraon - alle quali erano destinati (Mundell Mango, 1986; 1988; Effenberger, 1992).I quattordici c. appartenenti a questi tesori presentano la medesima forma: una coppa emisferica, più o meno bulbosa, su piede svasato di varia altezza e con nodo; solo un esemplare (Boston, Mus. of Fine Arts; Mundell Mango, 1986, nr. 73), di manifattura siriaca, è provvisto di manici orizzontali con anelli, simile in questo agli skýphoi classici; a questi rinvia anche un c. d'argento di Washington (Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.; Ross, 1962, nr. 5; Demandt, 1986) della medesima manifattura, dedicato dai coniugi Anthousa e Ardaburio, quest'ultimo probabilmente magister militum per Orientem sino al 464 e responsabile del trasporto delle reliquie di s. Simeone Stilita ad Antiochia.La maggioranza dei c. in questione è di lamina d'argento stampata in due parti (coppa e piede) poi saldate; solo cinque sono lavorati a sbalzo con medaglioni recanti i busti di Cristo, della Vergine e dei ss. Pietro e Paolo (Cleveland, Mus. of Art; Mundell Mango, 1986, nrr. 57-59) o con figure stanti di apostoli e di angeli (Berna, Abegg-Stiftung; Mundell Mango, 1986, nr. 61), anche all'interno di archeggiature con colonnine tortili e capitelli corinzi (Baltimora, Walters Art Gall.; Mundell Mango, 1986, nr. 3), iconograficamente e stilisticamente simili a quelle sbalzate su altri oggetti provenienti dai medesimi tesori. Il già citato c. di Boston è invece decorato con un chrismón dorato, mentre tutti gli altri recano solo un'iscrizione incisa, puntinata o niellata sull'orlo della coppa e anche sul piede, come nel c. di New York (Metropolitan Mus. of Art; Mundell Mango, 1986, nr. 41). Se si eccettua quest'ultimo esemplare, la cui coppa è internamente dorata, quella degli altri appare invece scabra, il che farebbe ipotizzare l'inserimento di una coppa di vetro.Anche il celebrato c. d'Antiochia (New York, Metropolitan Mus. of Art; Mundell Mango, 1986, nr. 40) - peraltro recentemente considerato una lampada - doveva contenere una coppa vitrea (in seguito sostituita con una d'argento) che esaltava la trasparenza della raffinata decorazione a giorno con tralci vitinei nei quali trovano posto le figure di Cristo e degli apostoli, secondo una composizione ispirata all'antico tema iconografico del filosofo che istruisce i suoi discepoli e siglata anche da elementi simbolici (l'aquila, l'agnello e il cesto del pane) allusivi all'incarnazione, al sacrificio e alla risurrezione di Cristo.Altri c. contemporanei ma di diversa manifattura sono caratterizzati da una forma analoga a quella degli esemplari siriaci, come attestano i c. d'argento del tesoro di Sion in Licia (Fıratlı, 1969, fig. 14), l'esemplare di bronzo dorato di Istanbul (Arkeoloji Müz.; Atasoy, Parman, 1983, nr. C 50), proveniente da Bolu in Bitinia, sulla cui coppa sono incisi i busti dei quattro evangelisti, e i c. d'oro del tesoro di Vrap in Albania (sec. 7°); questi ultimi si distinguono tuttavia per una inusuale ornamentazione: quattro týchai, identificate con le personificazioni delle province ecclesiastiche di Roma, Alessandria, Costantinopoli e Cipro (New York, Metropolitan Mus. of Art; Shelton, 1979, nr. 154); semplici pelte (due c. oggi dispersi; Werner, 1986); un fregio di girali abitati da animali di diversa specie (Istanbul, Arkeoloij Müz.; Werner, 1986, tavv. 1-3).Del tutto inedita è invece la forma del liscio c. d'argento del tesoro di Lampsaco nell'Ellesponto, caratterizzato da un'alta coppa cilindrica su basso piede (Londra, British Mus.; Dalton, 1901, tav. XXII) e datato al regno di Eraclio (610-641) in considerazione del fatto che a esso era abbinata una patena siglata dai bolli di controllo di questo imperatore (Cruikshank Dodd, 1961, nr. 53).Vanno infine ricordati due c. di vetro di manifattura palestinese (sec. 6°), uno dei quali, rinvenuto a Gerasa, è oggi ad ῾Ammān (Jordan Archaeological Mus.; Elbern, 1962), l'altro a Washington (Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.; Ross, 1962, nr. 95; Vikan, 1979, nr. 545). Essi recano una decorazione intagliata e incisa con un tema figurato incentrato sulla venerazione e sull'esaltazione della croce del Golgota gerosolimitano.Ancora più straordinaria è la documentazione dei c. mediobizantini offerta dalla collezione del Tesoro di S. Marco a Venezia, che comprende ben ventotto esemplari, databili tra la seconda metà del sec. 10° e il 12°, tutti di manifattura costantinopolitana (Grabar, 1971). Questi c., che nonostante la diversità delle tecniche e dei materiali impiegati presentano una notevole omogeneità estetica, testimoniano l'eccezionale maestria degli artefici bizantini, che idearono raffinate montature d'argento dorato, con ornamenti policromi e con placchette smaltate per una serie di coppe di pietre dure, di marmi colorati o di vetro. Si tratta di oggetti lussuosi di alta qualità, legati alla committenza dell'imperatore, come i due c. di Romano (concordemente identificato con Romano II, 959-963; Grabar, 1971, nrr. 41-42; Alcouffe, Frazer, 1986, nrr. 10-11), o di eminenti personaggi della corte macedone (Basilio proedro, il patriarca Teofilatto, il patrizio e logoteta Sisinnio), destinati alle chiese della capitale. Il c. dei Patriarchi venne probabilmente donato dal patriarca Teofilatto, figlio di Romano I Lecapeno (920-944), all'oratorio dedicato, nel sec. 10°, a s. Teofilatto di Nicomedia nell'ambito del Grande palazzo imperiale di Costantinopoli (Grabar, 1971, nr. 40; Alcouffe, Frazer, 1986, nr. 16).La decorazione figurata di questi c. è strettamente connessa alla loro funzione: infatti la distribuzione gerarchica dei personaggi rappresentati, da Cristo alla Vergine, agli arcangeli, al Battista, dagli apostoli ai santi martiri, vescovi, diaconi e monaci, evoca puntualmente la liturgia bizantina. Il tema della glorificazione della Vergine, proposto per es. dai due c. dell'imperatore Romano, riflette peraltro un tema iconografico frequente nell'arte monumentale, così come non può essere escluso un richiamo ai sontuosi epistili d'oro e d'argento, anche con figurazioni smaltate, pietre preziose e perle delle fondazioni di Basilio I (867-886). Altri c. recano invece più semplicemente sull'orlo l'introduzione della preghiera eucaristica pronunciata al momento della consacrazione del vino (Grabar, 1971, nrr. 45, 47, 51, 56, 59, 61).Ogni c. del Tesoro di S. Marco è nel suo genere un capolavoro di perfezione tecnica e di raffinata eleganza formale, apprezzabile sia nell'ampia gamma cromatica degli smalti con fini cloisons d'oro che definiscono nei particolari i profili delle figurazioni, sia nelle incorniciature a granuli o a file di perle, sia nella sapiente distribuzione dei cabochons, sia infine nella lavorazione stessa delle coppe, ricavate da blocchi di agata, di diaspro o di sardonica. Eccettuate le due coppe antiche di sardonica dei c. dell'imperatore Romano, le altre, di forma per lo più emisferica, siano esse di pietra dura, di marmo o di vetro, furono lavorate a Costantinopoli fra il sec. 9° e l'11° e testimoniano una significativa ripresa delle tradizioni della glittica classica.Accanto ai c. decorati con placchette o medaglioni figurati, senz'altro i più sontuosi della collezione, ve ne sono altri che s'impongono per una più sobria, ma non meno elegante, decorazione, limitata a un'iscrizione eucaristica sul bordo intercalata da cabochons, ovvero, come nel caso del c. di calcedonio di Sisinnio (Grabar, 1971, nr. 57; Alcouffe, Frazer, 1986, nr. 23), con una leggera montatura d'argento dorato con sottili anse a voluta concluse da palmette stilizzate.Va inoltre ricordato il c.-reliquiario con patena di s. Giovanni Battista, il quale, come attesta un'iscrizione, venne dedicato da Basilio proedro (Grabar, 1971, nr. 66), famoso generale e potente cortigiano (940-986), al cui nome è legata la committenza di una serie di reliquiari, tra i quali la superba stauroteca di Limburg an der Lahn (Staurothek Domschatz und Diözesanmus.), oltre, appunto, al c.-reliquiario veneziano, che s'impone per la sua austera eleganza formale.Altro c. particolarmente interessante è quello datato al sec. 12° e ricavato da un blocco di serpentino con manici in forma di ghepardi alati, il cui corpo, sferico alla base, è modulato in alto da elementi convessi e ad angolo decorati con figure nimbate a bassorilievo (Grabar, 1971, nr. 61; Alcouffe, Frazer, 1986, nr. 41). La forma inconsueta venne replicata in due c. d'argento di manifattura russa del sec. 12° conservati nella chiesa di Santa Sofia a Novgorod, che presentano appunto gli stessi otto elementi aggettanti con figurazioni a sbalzo, mentre i manici sono decorati da racemi (Grabar, 1971, tav. LXXXVII). Anche un altro c. d'argento dorato di manifattura russa del sec. 12°, che reca incisi sei medaglioni figurati, donato alla chiesa della Trasfigurazione di Perieslav-Zaleski dal principe Dolgoruki, ora a Mosca (Cremlino, Oružejnaja palata; Trésors, 1979, nr. 17), s'ispira palesemente a modelli bizantini.Ai primi anni del sec. 13° può essere circoscritta la datazione dei due c. d'argento dorato (di uno resta solo il piede) rinvenuti nella basilica della Santa Croce a Resafa in Siria, donati da nobili feudatari latini, nei quali furono eccezionalmente coniugati forme e decori di tradizione bizantina, siriaca e occidentale (Ulbert, 1990). Inflessioni stilistiche gotiche caratterizzano infine l'elegante c. di diaspro con montatura d'argento dorato del monastero Vatopedi al monte Athos, siglato dal monogramma del despota Manuele Cantacuzeno (Bank, 1970; Durand, 1992, fig. 4), simile forse a quei c. di pietra dura con montature d'argento dorato menzionati nell'inventario del 1396 della Santa Sofia costantinopolitana (Acta et diplomata, 1862, p. 566).
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