RICCI, Camillo
RICCI, Camillo. – Figlio di Angelo e di Altabella «de Riccis», della parrocchia di S. Vitale, nacque a Ferrara nel 1590 e fu battezzato nella basilica di S. Maria in Vado il 15 aprile di quell’anno (Ferrara, Archivio parrocchiale di S. Maria in Vado, registro 15, c. 32).
È considerato l’allievo più celebre di Ippolito Scarsella, detto lo Scarsellino, e insieme a Ludovico Lana l’unico per il quale sia possibile ricostruire un corpus di opere. Tuttavia nell’Annunciazione della chiesa di S. Agata a Filo di Argenta (Ferrara), firmata e datata 1606 ed eseguita quindi all’età di sedici anni, non si individuano ancora gli spunti tratti dal repertorio del caposcuola ferrarese, ma piuttosto rimandi al tardo manierismo ferrarese di Domenico Mona, che fu forse il suo primo maestro (Mezzetti, 1970).
Dotato di una «personalità affettuosa e discreta, candidamente provinciale e schietta» (Mostra..., 1964), dopo le circostanziate note biografiche dedicategli da Girolamo Baruffaldi (1697-1730, 1846) e da Cesare Cittadella (1783), in epoca moderna il giudizio di Eugenio Riccomini (1969), che lo riconduceva nel mondo «abbuiato e genuflesso» dei pittori Giacomo Bambini, Cesare Cromer e Francesco Naselli, è stato messo in discussione da Amalia Mezzetti (1970), la quale ha tentato una prima riorganizzazione cronologica del suo percorso.
Baruffaldi ricordava un «libricciuolo» dello Scarsellino, oggi irrintracciabile, con le «domestiche sue faccende, sì del dare come dell’avere, di provisioni di casa, di viaggi, di spese e guadagni», nel quale compariva il nome di Ricci con notizie «sugli avanzamenti e la compagnia fatta ad Ippolito maestro nelle operazioni più grandi, e più laboriose» (1697-1730, 1846, pp. 108 s.). Non sappiamo quando Camillo sia entrato a bottega dallo Scarsellino, accanto al quale svolse una ricca produzione di tele per le chiese di Ferrara e del contado. Una delle prime opere eseguite nell’orbita del caposcuola ferrarese è la Madonna di Reggio con i ritratti dei committenti Antonio e Virginia Ariosti per l’altare Ariosti nella chiesa di S. Andrea (oggi Ferrara, Pinacoteca nazionale; Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, classe I 427, Brisighella, 1704-1735 circa, c. 296; Brisighella, 1991, pp. 472, 477, n. 8-10; Scalabrini, 1773, p. 303; scheda di G. Viroli, in La Pinacoteca, 1992, pp. 220 s., nn. 255-257). Alla notizia di Antonio Frizzi che datava la fondazione della cappella nel 1611 è stato possibile aggiungere, in base a un documento d’archivio, che questa venne certamente ultimata entro il 1616, anno nel quale Antonio Ariosti lasciava denaro e affitti con l’obbligo di cantare al suo altare, in occasione delle feste, le litanie della Vergine (Frizzi, 1787, p. 127; Ferrara, Archivio storico diocesano, Fondo Sant’Andrea, vol. 21, Codicilli, rogito notaio Francesco Peregrina; Ghelfi, 2011, pp. 122 s.).
Il giovane Camillo dovette avvalersi dell’assistenza del maestro nella realizzazione delle teste di Maria e Gesù (Riccomini, 1969, p. 33, n. 37). La presenza di due mani trova conferma nell’alternanza di brani più sorvegliati, come la resa approssimativa dei panneggi e del paesaggio, con altri di squisita delicatezza esecutiva, come il profilo della Vergine identico a quello dipinto dallo Scarsellino nell’Annunciazione per la stessa chiesa di S. Andrea (Ferrara, Pinacoteca nazionale). Mentre Scarsellino fu sempre più prezioso ed elegante del suo allievo, la paternità di quest’ultimo è evidente nelle tipologie degli ingenui ritrattini dei coniugi che in atteggiamento orante si affidano con paziente rassegnazione al volere divino.
Negli stessi anni Ricci dovette eseguire la Madonna di Reggio venerata da s. Carlo Borromeo, commissionata dai conti Roverella per la chiesa del loro feudo di Monteleone nei pressi di Rimini (cfr. Ghelfi, 2011, pp. 123 s., diversamente da Pasini, 2004). Le forme rigide riflettono i modi del pittore nella sua fase giovanile e sono accostabili agli esiti coevi del collega Cesare Cromer. Una datazione intorno al 1615 sembrerebbe confermata dall’iconografia con la rara associazione Carlo Borromeo-Madonna di Reggio, che deriva dal modello di Giacomo Bambini per la chiesa ferrarese di S. Giovanni Battista.
Ricci riprende la rigida icona di Bambini conferendo al santo una posa più dinamica e inserendo la mensa squadrata, gli angeli musicanti tra le nubi a groviglio e una gamma cromatica di intonazione naturale, tutti elementi che fanno pensare anche al S. Carlo Borromeo di Carlo Bononi per la chiesa della Madonnina (1611).
Occorre ricordare che i riferimenti documentari relativi alla produzione di Ricci sono davvero pochi: tra questi l’Autoritratto della Pinacoteca nazionale di Ferrara, datato 1618 sulla base di un’antica iscrizione oggi non più visibile.
Con una lettera inviata a Cesare d’Este, duca di Modena e Reggio, il 23 ottobre 1620, il marchese Ottavio Thiene chiedeva che la stanza in Corte vecchia, già concessa allo Scarsellino, che sarebbe morto qualche giorno più tardi, venisse data «a ms. Camillo Ricci pur ferrarese et allievo del medesimo Scarsellino; pagando quel tanto che sarà concordato con questi suoi ministri» (Archivio di Stato di Modena, Archivio per materie, Pittori, b. 15, Ricci Camillo; Baracchi, 1996, pp. 177 s.).
Nel 1621 gli agenti ducali si rivolgevano a Ricci per portare a termine alcune decorazioni nella residenza che il duca Cesare aveva ereditato dal padre Alfonso, marchese di Montecchio, attigua al palazzo dei Diamanti, dove a quel tempo risiedevano i conti Rossetti. Il 23 novembre Ricci riceveva 44 lire «per lavori fatti nel palagio vecchio di S.A. habitato dai signori conti Rossetti» (Archivio di Stato di Modena, Camera ducale, Agenzia di Ferrara, b. 108; Baracchi, 1996, pp. 177 s.). La nota autografa degli interventi eseguiti porta la data del 16 dicembre 1621 e registra diversi lavori, tra cui la decorazione del solaio (Ghelfi, 2011, p. 253, doc. 46).
Nello stesso anno licenziò la Vergine che appare a s. Francesca Romana nell’omonima chiesa di Ferrara, che reca appunto la data 1621 in un angolo del libro retto dall’angelo (Ghetti, in corso di stampa).
Considerata una delle sue opere migliori, qui il pittore aderisce all’iconografia controriformata dell’apparizione della Vergine alla santa fondatrice dell’ordine delle oblate benedettine (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, classe I 427, Brisighella, 1704-1735 circa, c. 233; Brisighella, 1991, pp. 366 s., n. 7; Giovannucci Vigi, 1993, pp. 306, 309). Con grande affabilità, Ricci ha rappresentato in primo piano un angioletto che rivolto al fedele gli mostra nel libro aperto i versetti dell’Ufficio della Vergine, mentre in alto alcuni puttini in pose giocose si abbracciano, si distendono sulle nuvole o discorrono con estrema naturalezza.
La capacità di dosare la scioltezza di esecuzione, l’espressività dei gesti e l’inquietudine atmosferica mettono l’opera in rapporto con le coeve tele del Guercino, mentre la santa non è lontana dalla Vergine nella Pietà della chiesa delle Sacre Stimmate di Bononi (1622 circa), al cui stile Ricci orientò il proprio interesse dopo la morte dello Scarsellino (Mezzetti, 1970, p. 33; Riccomini, 1969, p. 34 n. 40; Curzietti, 2009, pp. 212-214; Ghelfi, 2011, p. 142).
Infatti, se nei quadri giovanili Ricci aveva adottato forme irrigidite e schemi arcaizzanti, a partire dagli anni Venti rivela una maggior scioltezza esecutiva e una più spiccata sensibilità verso i valori dinamici e luministici meditati sull’opera di Ludovico Carracci, di Carlo Bononi e del giovane Guercino. Pensata per una fruizione privata, l’Annunciazione di collezione privata (Ghelfi, 2006) si può stilisticamente ricondurre a questa fase, la più produttiva nella carriera del pittore, che oltre alla pala di S. Francesca Romana comprende opere come la Madonna del Buon Amore per la chiesa omonima (Ferrara, Fondazione Cavallini Sgarbi) e il Terremoto di Argenta in origine nel santuario della Beata Vergine della Celletta, oggi nel Museo civico di Argenta, eseguito tra il 1624 e il 1626.
Qui la ripresa di partiture arcaiche e la consueta accattivante ingenuità riconducono a una pittura di marcato intento devozionale.
Nella produzione destinata alla devozione privata e ispirata a temi e composizioni dello Scarsellino si inserisce anche la Sacra Famiglia con un angelo (Madonna della pappa) di collezione privata (Ghelfi, 2005). Si tratta anche in questo caso di un’opera della maturità, dove le forme sono ampie e morbide, di inedita pastosità, e la stesura del colore è «tenera, succosa e unita» (Mostra, 1964, pp. 83-85).
Ricci scomparve prematuramente: nel testamento del 27 luglio 1626, dove risultava risiedere nella contrada di S. Agostino, chiedeva di essere sepolto nella chiesa di S. Girolamo dei Gesuati (Archivio di Stato di Ferrara, Archivio notarile antico, Notaio Giovanni Guarini, matricola 904, 27 luglio 1626; Fughe e arrivi, 2002). Interessante l’elenco dei beni lasciati in eredità ad amici e collaboratori: al medico Nicolò Leoni quattro statue di gesso, una Venere che bacia un amorino e due teste di S. Giovanni e S. Andrea del Guercino; a Francesco Guitti dodici disegni a chiaroscuro di sua mano, dodici figure di Apostoli su rame, il Salvatore e la Madonna, dodici schizzi a penna, a Francesco Costanzo Catanio tre pennelli, il macinino e la pietra prestati; e ancora al pittore Alessandrino Casilieri (probabilmente Alessandro Casoli) numerosi disegni. Figurano come suoi eredi i nipoti Giovanni, Francesco, Caterina e Altabella. Il suo studio, quella «stanza del Cortile» già atelier dello Scarsellino, passò a Cesare Cromer, che assunse la custodia legale degli oggetti, tra cui diverse opere abbozzate da Ricci e dallo Scarsellino e centinaia di disegni.
La chiarezza ingenua della mise en scène di Ricci e il suo quieto e un po’ timido naturalismo sarebbero risultati preziosi per gli esordi di uno dei protagonisti della pittura ferrarese secentesca, cioè Francesco Costanzo Catanio, al quale, come risulta dal citato testamento, egli lasciò gli strumenti di lavoro.
Ricci venne sepolto nella chiesa di S. Girolamo il 29 luglio 1626 (Ferrara, Archivio storico comunale, Libro dei defunti, XVIII, 1626-1628, s.v.).
Fonti e Bibl.: Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, classe I 427, C. Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture che adornano le Chiese et Oratorj della città di Ferrara, 1704-1735 circa, ms.; G. Baruffaldi, Vite de’ pittori e scultori ferraresi (1697-1730), II, Ferrara 1846, pp. 108-116; C. Barotti, Pitture e scolture che si trovano nelle chiese, luoghi pubblici, e sobborghi della città di Ferrara, Ferrara 1770, p. 22; G.A. Scalabrini, Memorie istoriche delle chiese di Ferrara e de’ suoi borghi, Ferrara 1773; C. Cittadella, Catalogo istorico de’ pittori e scultori ferraresi e delle opere loro..., III, Ferrara 1783, pp. 120-128; A. Frizzi, Guida del forestiere per la città di Ferrara, Ferrara 1787; L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo. Tomo quinto ove si descrivono le scuole bolognese e ferrarese, e quelle di Genova e del Piemonte, Bassano 1809, p. 252; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, p. 406; M.A. Novelli, Lo Scarsellino, Bologna 1955, pp. 42 s.; Mostra di opere d’arte restaurate (catal.), a cura di A. Mezzetti, Ferrara 1964, pp. 83-85; E. Riccomini, Il Seicento ferrarese, Milano 1969, pp. 32-35; A. Mezzetti, Postille ferraresi. Un seguace dello Scarsellino: C. R., in Paragone, XXI (1970), 245, pp. 30-46; D. Lenzi, R. C., in Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, IX, Torino 1975, p. 378; G. Frabetti, L’autunno dei manieristi a Ferrara, Bergamo 1978, pp. 84 s.; P. Savini, in Dipinti di maestri dei secoli XVI-XVIII (catal., Finale Emilia, Modena), s.l. 1982, pp. 10-13, nn. 3-4; A. Mezzetti - E. Mattaliano, Indice ragionato delle Vite de’ pittori e scultori ferraresi di Gerolamo Baruffaldi: artisti, opere, luoghi, III, Ferrara 1983, pp. 104 s.; Da Borso a Cesare d’Este: la scuola di Ferrara 1450-1628, a cura di E. Mattaliano, Ferrara 1986, pp. 126 s.; A. Frabetti, C. R., in La pittura in Italia, Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Milano 1989, p. 863; C. Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara, prima edizione a stampa a cura di M.A. Novelli, Ferrara 1991, s.v.; La Pinacoteca Nazionale di Ferrara. Catalogo generale, a cura di J. Bentini, s.l. 1992; B. Giovannucci Vigi, Le chiese di Ferrara nel Seicento, un secolo di pittura cosiddetta ‘minore’, in La pittura in Emilia e in Romagna, a cura di J. Bentini - L. Fornari Schianchi, Milano 1993, pp. 300-317; O. Baracchi, Arte alla corte di Cesare d’Este, in Atti e memorie. Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XVIII (1996), pp. 153-193; B. Ghelfi, in Lo spazio, il tempo, le opere. Il catalogo del patrimonio culturale (catal., Bologna), a cura di A. Stanzani - O. Orsi - C. Giudici, Cinisello Balsamo 2001, pp. 468 s., n. 154; Fughe e arrivi: per una storia del collezionismo d’arte a Ferrara nel Seicento, a cura di M. Mazzei Traina - L. Scardino, Ferrara 2002, doc. 11; P.G. Pasini, in Seicento inquieto. Arte e cultura a Rimini (catal., Rimini), a cura di A. Mazza - P.G. Pasini, Milano 2004, p. 70, n. 42; B. Ghelfi, scheda firmata C. R., La sacra famiglia con un angelo (La Madonna della pappa), in Invito al collezionismo. Quattro secoli di dipinti e disegni dal Cinquecento all’Ottocento (catal., Fondantico, arte e antiquariato), a cura di D. Benati, Bologna 2005, pp. 28 s., n. 7; Ead., in La gloria della pittura dal Francia ai Gandolfi (catal., Fondantico, arte e antiquariato), a cura di D. Benati, Bologna 2006, pp. 67-70, n. 14; J. Curzietti, Ferrara sotto l’egida dei Papi. L’arte del Seicento in una città di frontiera, in Immagine dell’invisibile. Spiritualità e iconografia devozionale nella Chiesa di Ferrara-Comacchio, a cura di R. Varese, Reggio Emilia 2009, pp. 193-233; B. Ghelfi, Pittura a Ferrara nel primo Seicento. Arte, committenza e spiritualità, Ferrara 2011, s.v.; Ead., C. R., in Una storia silenziosa. Il collezionismo privato a Ferrara nel Seicento, a cura di F. Cappelletti - B. Ghelfi - C. Vicentini, Venezia 2013, pp. 101 s., 212-216; E. Ghetti, Artisti a Ferrara nel primo Seicento. Da C. R. a Francesco Costanzo Catanio, da Jan Van Beyghem alla bottega di Carlo Bononi, in Arte cristiana, in corso di stampa.