Vedi Canada dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Canada è il secondo paese al mondo per superficie e vanta, assieme agli Stati Uniti, il singolare primato del confine più lungo tra due stati. I due paesi sono legati da solide relazioni bilaterali, in particolar modo in ambito economico. L’Accordo di libero scambio del Nord America (Nafta), siglato da Canada e Stati Uniti nel 1988 ed esteso al Messico nel 1994, ha rappresentato infatti un efficace strumento economico e commerciale per l’approfondimento della cooperazione tra gli stati membri.
Benché gli Stati Uniti restino il principale partner commerciale del Canada – con un interscambio commerciale che raggiunge l’80% del totale canadese – sin dai primi anni Settanta Ottawa ha avviato una strategia di diversificazione degli interlocutori commerciali, che ha identificato prima nell’Unione Europea (Eu) e poi nella Cina e nell’area del Pacifico i principali partner. I paesi dell’Eu costituiscono un importante polo commerciale per il Canada. Il tentativo di approfondimento delle relazioni commerciali è alla base dei negoziati, in corso dal maggio 2009, per la finalizzazione di un accordo economico e commerciale (il Comprehensive economic and trade agreement, Ceta) tra Canada e Eu, funzionale al miglioramento dell’integrazione economica e all’agevolazione dei flussi di investimento.
Sulla sponda pacifica, la crescita dell’interscambio commerciale con la Cina rende oggi Pechino il secondo partner commerciale del Canada. I due paesi sono andati intensificando la misura del dialogo anche in ambiti differenti rispetto a quello economico e commerciale: dagli scambi culturali alle politiche sanitarie per potenziare la ricerca medica ai programmi per promuovere lo sviluppo democratico e la salvaguardia dei diritti umani. Nell’area del Pacifico, il Canada va inoltre intensificando i rapporti con i paesi membri dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), di cui è membro fondatore.
Paese membro del G8 e del G20, nel giugno 2010 il Canada ha ospitato i due summit mondiali a Muskoka e a Toronto. In tale occasione il paese nordamericano ha auspicato una cooperazione economica internazionale solida e fondata sui valori della sostenibilità e dell’equilibrio. Inoltre il Canada ha insistito sulla necessità di coinvolgere nel dialogo internazionale in materia economico-commerciale i paesi non membri del G20, nonché di perseguire politiche comuni in materia di salute, ambiente, pace e sicurezza.
Sul piano politico, il Canada ha tradizionalmente posizioni di apertura al multilateralismo e di coinvolgimento attivo nelle organizzazioni internazionali. Il paese riveste infatti un ruolo rilevante nello scacchiere internazionale anche grazie alla presenza di contingenti nazionali in missioni di peacekeeping sia in ambito Nato, sia direttamente sotto le insegne delle Nazioni Unite. Attualmente lo sforzo maggiore dell’esercito canadese è concentrato in Afghanistan, dove sono acquartierati circa 2500 uomini, nell’ambito della missione Isaf della Nato. Molte altre sono le missioni canadesi nel mondo, tra cui Bosnia-Erzegovina, Sierra Leone e Haiti.
Il Canada ha ottenuto la piena indipendenza nel 1931, a seguito dello Statuto di Westminster, con cui si stabiliva il pieno passaggio dei poteri alle autorità canadesi che, fino a qual momento, continuavano a dipendere dal Regno Unito, specie in relazione agli affari internazionali.
Pur essendo de facto un sistema parlamentare, quella canadese è formalmente una monarchia costituzionale con un sistema federale che comprende dieci province e tre territori. La Corona britannica è rappresentata da un governatore generale, nominato dal monarca per cinque anni su raccomandazione del primo ministro. A quest’ultimo compete la gestione del potere esecutivo sulla base della nomina da parte della Camera dei comuni, la quale conferisce al governo la fiducia. In Canada vige infatti un sistema bicamerale imperfetto, con una camera bassa elettiva, la Camera dei comuni, e una camera alta, il Senato. La Camera, eletta a suffragio universale per un mandato di cinque anni, consta di 308 membri, mentre il Senato è composto da 105 membri nominati dal governatore generale su proposta del primo ministro sulla base di un criterio di rappresentatività geografica e in carica fino all’età di 75 anni. Accanto alle istituzioni federali, ogni provincia ha una propria camera legislativa, con competenze in varie aree quali la sanità, la pubblica istruzione, l’agricoltura – in un bilanciamento tra istituzioni centrali e locali che vede le prime, al contrario di quanto accade in altri sistemi federali, molto più rilevanti delle seconde.
Storicamente, non è mai accaduto che la Camera dei comuni restasse in carica per i cinque anni previsti dalla Costituzione: il governatore generale, generalmente su richiesta del primo ministro, ha sempre sciolto il Parlamento entro al massimo quattro anni dalle elezioni. Ciò è stato dovuto, in parte, a un bipartitismo imperfetto che affiancava ai due partiti politici maggiori (Partito Conservatore e Partito Liberale) formazioni minoritarie, che talvolta risultavano determinanti nel sostegno parlamentare alla maggioranza. Ciò era accaduto anche nelle elezioni parlamentari del 2008, a seguito delle quali il Blocco del Quebec e il Nuovo Partito Democratico avevano ottenuto un numero di seggi tale per cui i due partiti principali non erano arrivati a conseguire i 155 seggi necessari per la maggioranza assoluta. Il governo che si era formato, capeggiato dal conservatore Stephen Harper, era dunque esso stesso un esecutivo di minoranza. Le elezioni anticipate nel maggio 2011, a seguito del voto di sfiducia parlamentare nei confronti di Harper, sembrano però aver invertito tale tendenza, assegnando ai conservatori la maggioranza assoluta dei seggi e rafforzando la posizione del primo ministro. Inoltre, per la prima volta, il maggior partito di opposizione è divenuto il Nuovo Partito Democratico, a scapito del Partito Liberale, mentre il Blocco del Quebec è passato da 47 a soli 4 seggi.
La densità abitativa canadese, con 3,8 abitanti per chilometro quadrato, è tra le più basse al mondo. La maggior parte della popolazione vive nelle città situate ai confini con gli Stati Uniti. Toronto conta circa 2.600.000 di abitanti, Montreal 1.650.000, Calgary 1.100.000, Ottawa, la capitale, circa 900.000.
La speranza di vita alla nascita è aumentata e, grazie soprattutto ai flussi di immigrazione, anche le nascite sono in crescita e la popolazione aumenta con uno dei ritmi più alti tra quelli dei paesi del G8. Inglese e francese sono le due lingue ufficiali del Canada: circa il 68% della popolazione parla solo inglese, poco più del 13% parla solo francese, mentre il 17,4% è bilingue.
La seconda voce di spesa pubblica canadese, dopo quella sanitaria, è destinata all’istruzione – ad accesso libero e gratuito per tutti, ivi compresi i rifugiati e gli immigrati, sia a livello primario sia secondario.
Il sistema universitario canadese è tra i migliori al mondo. Secondo l’indice della QS World University, basato sui parametri peer review, rapporto docenti/studenti, tasso di internazionalizzazione e numero delle citazioni nelle pubblicazioni scientifiche, il Canada vanta la McGill University di Montreal e la University of Toronto tra le prime 20 migliori università al mondo.
La spesa pubblica per la sanità è molto alta e supera l’11% del pil. Una riforma del 1984 (il Canada Health Act) stabilisce che il sistema sanitario debba poggiarsi su cinque pilastri: universalità, globalità, accessibilità, validità all’estero e pubblica amministrazione. In altre parole, la spesa sanitaria è finanziata per il 70% dallo stato e la copertura medica è universale e gratuita. Ciò nonostante, due terzi dei canadesi opta per un’assicurazione privata che garantisca le prestazioni mediche non coperte dal sistema sanitario statale.
Il Canada è uno dei primi paesi al mondo per indice di democrazia. Il livello di corruzione percepita è tra i più bassi al mondo e i diritti politici e civili sono pienamente rispettati: il Canada è al 10° posto della classifica mondiale di Transparency International sulla corruzione percepita, la miglior prestazione all’interno del G8.
Il sistema dei media è pluralistico, competitivo e libero da pressioni governative, nonostante esista un oligopolio dell’informazione. La Quebecor, con sede a Montreal, controlla il più importante network televisivo in lingua francese e la Sun Media Publishing possiede più di 100 tra quotidiani e riviste distribuiti su tutto il territorio. La Can West-Global, invece, controlla la maggioranza dei quotidiani distribuiti nelle città canadesi più popolose e la Global Television Network. Bell Canada, infine, la più grande compagnia telefonica del paese, amministra la CTV Television, il satellite-tv Bell ExpressVu e il quotidiano nazionale The Globe and Mail.
Il 22% dei posti in parlamento sono occupati da donne ed esse sono ben rappresentate anche nelle più importanti categorie lavorative. A seguito di due anni di acceso dibattito interno, nel 2004 la Corte suprema ha sancito la legalità del matrimonio tra individui dello stesso sesso, garantito da una legge nazionale approvata nel febbraio successivo.
Il Canada è uno dei paesi più sviluppati al mondo, con un pil che supera i 1700 miliardi di dollari. Il paese ha subito nel 2009 la sua prima recessione economica (-2,8%) dal 1991, come effetto della crisi globale che ha interessato gran parte delle economie mondiali, ma dal 2010 ha dimostrato una solida tendenza al recupero, con una crescita costantemente superiore al 2% annuo, che si prevede durerà anche nei prossimi anni. Il settore dei servizi è di gran lunga il più importante: impiega circa i tre quarti della forza lavoro e rappresenta due terzi del pil totale.
A livello strutturale, una caratteristica che differenzia il Canada rispetto alle grandi economie del resto del pianeta è che il paese risulta essere un esportatore netto di energia, pur avendo uno dei consumi più alti in tutto il mondo. Ciò è dovuto alla presenza di ingenti risorse naturali e di idrocarburi. Il Canada è anche il terzo produttore al mondo di uranio, dietro l’Australia e il Kazakistan. Il paese vanta inoltre importanti giacimenti di diamanti, tanto che la produzione diamantifera di Ottawa rappresenta quasi il 10% di tutta l’industria mondiale delle gemme preziose. Il Canada è il sesto produttore mondiale di grano, esportato per la maggior parte negli Stati Uniti. Il settore della pesca, tradizionalmente molto sviluppato, negli ultimi anni ha subito un progressivo declino, dal momento che vi è stato uno sfruttamento del settore oltre le capacità produttive.
Gli Stati Uniti sono il partner commerciale più importante di Ottawa: questi assorbono il 78% delle esportazioni canadesi e forniscono più del 58% delle importazioni. Il commercio tra Stati Uniti e Canada si è intensificato notevolmente con la costituzione del NAFTA. Grazie a un interscambio che ha superato dal 2009 i 50 miliardi di dollari, la Cina è divenuta il secondo partner commerciale del Canada – generando tuttavia un deficit di bilancia, da parte canadese, di oltre 40 miliardi di dollari. In generale, invece, la bilancia commerciale del Canada è in attivo di 1,4 miliardi di dollari, grazie anche alle alte quotazioni del greggio.
Le infrastrutture rivestono un ruolo fondamentale, viste le distanze che dividono longitudinalmente il Canada: non a caso, il paese vanta un sistema di trasporto ferroviario che, per lunghezza, è il terzo di tutti i paesi facenti parte dell’Oecd, dietro Stati Uniti e Germania.
Come già accennato, il Canada è un esportatore netto di energia, quasi esclusivamente verso gli Stati Uniti, di cui è il primo fornitore mondiale di petrolio (circa 2 milioni di barili al giorno). Sul proprio territorio il Canada ha le terze riserve stimate di petrolio al mondo (175,2 miliardi di barili), dietro soltanto al Venezuela e all’Arabia Saudita. Allo stesso tempo, Ottawa è il terzo produttore mondiale di gas naturale, con circa 170 miliardi di metri cubi all’anno (Gmc/a), dopo Russia e Stati Uniti. Il problema principale di tali risorse consiste nel fatto che si tratta di petrolio derivante da sabbie bituminose, la cui estrazione è allo stesso tempo costosa e inquinante. Inoltre, la concentrazione dei giacimenti nell’ovest del paese fa sì che per il Canada sia più conveniente esportare il petrolio direttamente negli Stati Uniti occidentali, piuttosto che internamente, verso la propria area orientale. Anche per questo motivo, nonostante sia un produttore, il Canada importa ingenti quantità di petrolio – circa 2 milioni di barili al giorno – per lo più dall’Algeria, principale partner commerciale in Africa, dalla Norvegia e dagli stessi Stati Uniti. Il consumo interno di gas naturale è invece di circa 85 Gmc/a, il che permette al Canada di avere un surplus che gli consente di esportare anche gas naturale (circa 60 Gmc/a) verso gli Stati Uniti.
Oltre alle risorse di idrocarburi, Ottawa ha altre due fonti principali di produzione di energia elettrica: l’energia idroelettrica e il nucleare. Il Canada è anche il secondo produttore mondiale di energia idroelettrica dietro la Cina. Gli impianti di generazione di energia nucleare, che pesano per il 15% della produzione totale di energia elettrica, sono invece concentrati soprattutto in Ontario, nell’est del paese.
Il Canada, tra i primi dieci paesi al mondo per emissioni di CO2, ha ratificato nel 2002 il Protocollo di Kyoto, ma poi è stato il primo paese a ritirarsi dall’accordo, nel dicembre 2011. Alla base della decisione, la preoccupazione del governo che i pesanti vincoli ambientali potessero compromettere l’andamento dell’economia, a fronte di una congiuntura economica particolarmente difficile. La scelta di abbandonare il Protocollo di Kyoto è stata anche influenzata dalla volontà di sfruttare i giacimenti petroliferi non convenzionali.
Le forze armate canadesi sono composte da circa 65.000 militari in servizio attivo e l’esercito del Canada è tecnologicamente avanzato, anche grazie ai rapporti con i vicini Stati Uniti. Nel 2008 il governo canadese ha approvato il nuovo programma ventennale per l’ammodernamento delle forze armate e la ridefinizione del concetto strategico (denominato ‘Canada First’), individuando le priorità che possano rendere le forze militari più adeguate ad affrontare le nuove sfide per la sicurezza del paese. In particolar modo, la sfida maggiore con cui il Canada ritiene di doversi confrontare nei prossimi anni è costituita dalla competizione per l’accesso alle rotte – principalmente quella del Passaggio a nord-ovest – e per lo sfruttamento delle risorse naturali della regione dell’Artico.
Anche in questa direzione stanno andando gli investimenti del governo canadese nell’ammodernamento delle forze armate e, in questa prospettiva, il Canada coopera con il governo statunitense, anche in ambito Norad.
Il Canada è presente in Afghanistan con un contingente di circa 500 effettivi nell’ambito della missione Isaf della Nato, ed è uno dei primi contributori alla missione, oltre a essere il terzo paese per numero di vittime, dietro gli Stati Uniti e il Regno Unito. A partire dalla fine del 2011, il Canada ha modificato la natura della propria presenza nel paese centrasiatico, sospendendo le attività di combattimento e concentrando le risorse nelle attività di formazione delle forze armate afghane.
Sempre sotto le insegne Nato, nel 2011 il Canada è stato anche direttamente coinvolto nell’operazioni Unified Protector in Libia, a cui ha partecipato con forze marittime. Inoltre, il comando operativo di tutte le attività è stato affidato a un generale canadese, Charles Bouchard.
La partecipazione a operazioni di peacekeeping è tradizione molto radicata nel Canada, che risulta essere uno degli attori internazionali maggiormente coinvolti in iniziative atte a promuovere lo sviluppo e la pacificazione di territori in guerra: proprio il Canada, grazie all’allora ministro per gli affari esteri Lester Pearson, fu il promotore della prima missione di questo tipo, nel 1957, a seguito della crisi di Suez, con la creazione della Forza di emergenza delle Nazioni Unite (Unef). Attualmente, le truppe canadesi sono impegnate su diversi fronti: Egitto, Haiti, Sierra Leone, Kosovo.
Ottawa è anche molto attiva sul fronte della diplomazia per la sicurezza, come dimostrato dalla circostanza che la convenzione internazionale per la messa al bando delle mine anti-uomo fu firmata, nel 1997, proprio nella capitale canadese, da cui prese la denominazione informale di ‘Trattato di Ottawa’.
Tra Stati Uniti e Canada esiste una stretta relazione che si sostanzia sia a livello globale sia a livello regionale. Dal primo punto di vista, i due paesi hanno ruoli di primo piano e collaborano strettamente in seno a organizzazioni e conferenze internazionali quali la Nato, il G8, il G20 e l’Apec. Principale eccezione all’intesa bilaterale è stata costituita dall’operazione Iraqi Freedom, lanciata dalla Casa Bianca nel marzo 2003, in assenza di un mandato da parte delle Nazioni Unite. Nell’occasione, il governo canadese ha deciso di non inviare il proprio esercito in Iraq, ma ha tuttavia intensificato la propria presenza in Afghanistan, liberando così delle truppe statunitensi per l’intervento in Iraq. Il Canada, inoltre, ha contribuito attivamente alla ricostruzione economica dell’Iraq.
È tuttavia a livello regionale, e soprattutto sul piano economico, che i due paesi nordamericani hanno sviluppato più profondamente la loro cooperazione. Ogni giorno circa 300.000 persone e un volume di beni commerciali pari a circa 1,6 miliardi di dollari attraversano il confine tra i due stati.
Rilevante è inoltre la misura della cooperazione alla sicurezza nella difesa del territorio: un esempio è fornito dal Comando nordamericano di difesa aerospaziale (Norad) che, istituito nel 1958, è tutt’ora tra i più efficienti strumenti di collaborazione bilaterale. A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, Ottawa e Washington hanno inoltre costituito, in chiave anti-terroristica, le Squadre di controllo integrato dei confini (Ibets). Ad esse è demandato il compito di garantire l’integrità e la sicurezza dei confini condivisi e dei porti.
Patti bilaterali sono stati siglati anche per la salvaguardia dell’ambiente. Canada e Stati Uniti, infatti, condividono la regione dei Grandi Laghi, dove sorgono città molto popolose e dove il controllo dei livelli d’inquinamento dipende dal reciproco impegno.
Il numero abbastanza elevato di nuovi immigranti che il Canada riceve ogni anno (attualmente circa 250.000 persone per anno) ha sensibilmente incrementato la diversità etno-culturale del paese. Secondo il censimento del 2006 coesistono in Canada oltre 200 diversi gruppi etnici, mentre quello del 1901 ne riportava solo 25. La grande maggioranza dei nuovi arrivati inoltre proviene dall’Asia e dal Medio Oriente e non più come fino a pochi decenni fa dall’Europa. Più del 20% degli attuali cittadini canadesi sono nati fuori dal Canada. Nelle aeree urbane tale percentuale è sensibilmente superiore (per esempio a Toronto è del 50% e a Vancouver del 40%). Si prevede inoltre che la percentuale nazionale dei cittadini nati fuori dal Canada raggiungerà il 46% nel 2031. Ne risulta che solo il 32,2% della popolazione canadese (corrispondente a circa 10 milioni di persone) identifica come ‘canadese’ la propria origine etnica e in quasi la metà dei casi non da sola ma in combinazione con un’altra. Le altre origini citate più frequentemente, da sole o in combinazioni con altre, sono in ordine decrescente: inglese (6,6 milioni), francese (4,9), scozzese (4,7), irlandese (4,4), tedesca (3,2), italiana (1,4), cinese (1,2), indiana d’America (1,3), ucraina (1,2) e olandese (1 milione). V’è anche da notare che nel censimento del 1991, per esempio, in cui il termine ‘canadese’ non era suggerito tra gli esempi di origini etniche, solo il 3,8% delle persone definì la propria origine etnica come ‘canadese’ da sola o in combinazione con un’altra.
Tale mosaico etnico si traduce in una identità nazionale basata principalmente sulla condivisione del principio del ‘pluralismo’, concepito non solo come rispetto delle diversità ma anche come fiera adozione delle stesse e loro elevazione a carattere distintivo e fondamentale della ‘nazione canadese’. Quello che fa dei canadesi una nazione, in altre parole, è il fatto che essi sono concordi nell’abbracciare le diversità che li caratterizza. Il governo canadese contribuisce al mantenimento di tali diversità attraverso la politica del ‘multiculturalismo’, che prevede la distribuzione di fondi a vari gruppi etnici per il mantenimento della loro cultura, o almeno degli aspetti più folkloristici della stessa, e la costruzione di centri comunitari a carattere etnico. Va detto però che la politica del multiculturalismo nacque accidentalmente in seguito all’adozione nel 1971 della politica del ‘biculturalismo e bilinguismo’ concepita come antidoto al crescente nazionalismo francofono in Quebec. Vari gruppi etnici, soprattutto a ovest del paese (dove la loro consistenza numerica era superiore a quella francofona), mal accolsero il ‘biculturalismo’, cosicché la politica del ‘biculturalismo e bilinguismo’ fu tramutata in quella del ‘multiculturalismo e bilinguismo’. Oltre al culto del pluralismo (e del multiculturalismo), la caratteristica forse più importante dell’identità canadese è il fatto che essa si definisce principalmente in negativo, vale a dire in opposizione a quella americana o statunitense. Essere canadese, in altri termini, vuol dire principalmente non essere e non voler essere americano (statunitense), il che si traduce in una certa dose di anti-americanismo. Sebbene secondo lo storico canadese J. L. Granatstein l’anti-americanismo canadese sia molto diverso da quello prevalente in altre parti del mondo e consista principalmente di un certo atteggiamento di disagio e sospetto nei confronti delle attività militari, politiche, culturali ed economiche del proprio vicino del sud, esso rappresenta spesso un ostacolo alla cooperazione tra i due paesi. Alla vigilia delle elezioni del 1988, per esempio, il 41% dei canadesi si dichiarava contrario all’accordo di libero scambio appena firmato con gli Stati Uniti (il 34% era favorevole e il 25% indeciso), che definiva come ‘perdita di sovranità’. Attualmente, la maggioranza dei canadesi si oppone all’adozione di una politica comune che regoli l’entrata delle persone in territorio canadese e statunitense (la formazione di un cosiddetto ‘perimetro continentale di sicurezza’), fortemente perorata dal settore industriale e di esportazione, per paura che esso possa mettere a repentaglio i ‘valori pluralisti’ canadesi. Di conseguenza il governo ha ripiegato su accordi di cooperazione limitatamente ad alcuni settori chiave, per esempio, il controllo dei viaggiatori in aereo.
Il Quebec è la provincia più grande del Canada per estensione territoriale e la seconda per popolazione dopo l’Ontario. Essa include infatti il 24% di tutti gli abitanti della Confederazione canadese.
La provincia del Quebec è stata colonia francese per circa due secoli, fino al 1763, anno in cui venne conquistata e colonizzata dall’Impero britannico. Nonostante ciò, ancora oggi il Quebec rappresenta una particolarità all’interno del Canada, essendo la sola provincia in cui l’unica lingua ufficialmente riconosciuta è il francese e la cultura francofona è ancora molto radicata. Per questo motivo è ancora in corso un dibattito interno sulla natura della provincia. Nel 1980, un referendum popolare indetto nel Quebec per promuovere la separazione dal Canada è stato rigettato con una maggioranza del 59,6% dei voti; nel 1995 è stato riproposto, registrando il medesimo risultato ma con una maggioranza più esigua: 50,6% contro 49,4%. Nel 2000, invece, ha acquisito forza di legge il Clarity Act. Questo, secondo quanto stabilito dalla Camera dei comuni, sancisce che il governo federale negozierebbe una secessione del Quebec solo se la domanda posta nel referendum fosse chiara e se si registrasse una maggioranza significativa dei sì. Il 50% più uno dei voti non sarebbe, dunque, sufficiente per l’approvazione del referendum.
Nel 2006, tuttavia, la Camera dei comuni ha approvato una mozione simbolica che riconosce gli abitanti del Quebec come una ‘nazione all’interno del Canada’.
La particolarità delle riserve petrolifere del Canada sta nel fatto che, a differenza dei tradizionali giacimenti petroliferi, nel paese nordamericano questa risorsa si estrae per lo più dalle cosiddette sabbie bituminose. Si tratta di un tipo di petrolio molto più difficile da estrarre e da raffinare: le sabbie bituminose sono una miscela di argilla, acqua, sabbia, fango e – appunto – bitume. Quest’ultimo è un tipo di petrolio allo stato solido o semi-solido. La lavorazione del bitume per ottenere petrolio è molto più costosa, non solo in termini economici, ma anche ambientali. Si calcola che, se per ottenere un barile di petrolio ‘convenzionale’ si producono 29 kg di CO2, per un barile di petrolio dalle sabbie bituminose, si producano circa 125 kg di CO2.
L’Artico si estende per 30 milioni di km2 e conta circa quattro milioni di abitanti. Gli stati artici sono il Canada, la Danimarca (compresa la Groenlandia e le Isole Fær Øer), la Finlandia, l’Islanda, la Norvegia, la Russia, la Svezia e gli Stati Uniti.
Il Consiglio dell’Artico, che include tutti i paesi citati e alcune comunità indigene, è stato istituito nel 1996, attraverso la Dichiarazione di Ottawa, con l’intento di promuovere e mantenere la cooperazione, il coordinamento e l’interazione tra gli stati membri in materia di sviluppo sostenibile e di protezione ambientale.
Il valore geopolitico della regione artica è da imputarsi a due precise questioni: le risorse naturali e le rotte navali. L’Artico, infatti, si stima racchiuda il 25% delle risorse di idrocarburi non ancora esplorate del mondo e si ipotizza che, qualora il riscaldamento climatico continuasse agli attuali ritmi, esso potrà fornire due vie di comunicazione strategiche, attualmente utilizzabili solo per poche settimane nella stagione estiva. Si tratta del Passaggio a nord-ovest, attraverso l’arcipelago artico canadese, e il Passaggio a nord-est, lungo le coste della Siberia.
La posta in palio ha spinto i paesi artici (in particolare Canada, Danimarca, Norvegia, Russia e Usa) ad avanzare richieste di sovranità su territori internazionali – senza che, tuttavia, queste siano sfociate in aperte tensioni tra di essi.
Il Canada, in questo contesto, ha optato per una politica di riarmo che gli consenta di pattugliare con maggiore efficienza il territorio artico; in quest’ottica il Canada ha anche avviato un piano di controllo dello spazio aereo, il Norad, assieme agli Stati Uniti, nonostante questi siano potenzialmente un diretto concorrente per il controllo della regione.
I principali contenziosi canadesi riguardano il Passaggio a nord-ovest e il mare di Beaufort con gli Usa, e lo Stretto di Nares, tra la Groenlandia e l’isola di Ellesmere, con la Danimarca.
La Russia, però, rimane il paese artico più temibile e con le maggiori mire espansionistiche, in quanto le coste russe lambiscono buona parte della regione contesa, sotto la quale corre la piattaforma continentale che si origina dalle coste russe, dando adito a richieste di priorità. Nel complesso, gli obiettivi principali del Canada sono l’esercizio della sovranità sui propri territori in base ai titoli storici e al diritto internazionale, la cooperazione con gli altri paesi del Consiglio artico, soprattutto per quanto attiene la ricerca scientifica, e il controllo del Passaggio a nord-ovest.