CANOSA
(gr. Κανύσιον; lat. Canusium; od. Canosa di Puglia)
Cittadina della Puglia, posta al limite settentrionale della Terra di Bari. Antica città dauna, C. acquistò importanza in un primo tempo per l'ubicazione non lontano dal fiume Ofanto, che era in parte navigabile, e in seguito per la vicinanza alla via Traiana, che mantenne anche in età medievale la sua funzione di collegamento fra la Puglia e l'Italia centrale appenninica. In età tardoantica C. ebbe ruolo di capoluogo della provincia (Grelle, 1992) e contemporaneamente definì la sua immagine di città cristiana e diocesi guida di gran parte della regione.Dopo la menzione del vescovo Stercoreo al concilio di Serdica (343-344; Mansi, III, col. 42), nella cronotassi vescovile canosina si registra un vuoto di ca. un secolo, fino al 465, quando il vescovo Probo sottoscrisse gli atti del sinodo che si tenne a Roma in quell'anno (Mansi, VII, col. 959). Per i decenni successivi sono da ricordare alcuni vescovi che attestano la stretta dipendenza della diocesi di C. da Roma: Rufino, presente ai sinodi romani del 494-495 e del 499; Memore, attestato a quelli del 501 e del 502 e s. Sabino (514-566), una delle figure più luminose della Puglia cristiana. Sotto il lungo episcopato di quest'ultimo, la C. paleocristiana raggiunse l'apogeo, come è testimoniato da fonti e monumenti, cui seguì però un rapido declino anche a causa della guerra greco-gotica e dell'invasione franco-alamanna. Nonostante l'effimera ripresa bizantina dopo il 554, la diocesi canosina, ormai vacante, nel 591 venne affidata a Felice, vescovo di Siponto.Dalla Historia vitae, inventionis, translationis S. Sabini, redatta nei primi anni del sec. 9° (Martin, 1987), risulta che la primitiva chiesa episcopale di C. era probabilmente quella di S. Pietro, più volte menzionata, ubicata in posizione marginale rispetto al centro antico della città e di cui rimangono alcune tracce (D'Angela, 1992). Insieme con S. Pietro, altri monumenti cristiani sono verosimilmente antecedenti l'età sabiniana e fra questi la vasta chiesa tetraconca con deambulatorio c.d. di S. Leucio, uno degli edifici tardoantichi più significativi della penisola. Essa sorge sul colle omonimo, probabilmente fuori le mura della città antica, sul sito di un tempio italico di cui sfrutta conci e rocchi di colonne come materiale da costruzione; al pari dell'analogo caso di S. Angelo in Formis, il nuovo edificio reimpiegò il pavimento antico, almeno per l'area centrale (Falla Castelfranchi, 1985), mentre le esedre, l'abside principale e il deambulatorio furono ricoperti di mosaici pavimentali a disegni geometrici (Cassano, 1992). La sua tipologia a doppio tetraconco è attestata assai raramente in Italia (per es. in S. Lorenzo Maggiore a Milano), mentre risulta peculiare della Siria e dell'area balcanica, regioni in cui, nella maggior parte dei casi, questi edifici svolgevano il ruolo di cattedrale; all'interno di questo gruppo S. Leucio occupa decisamente, per il suo insediarsi sul tempio e per le vaste dimensioni, un ruolo preminente. L'edificio canosino presenta diverse fasi edilizie: una delle più significative è attribuibile all'intervento di Sabino, quando probabilmente l'ignota dedicazione originaria fu mutata in quella dei ss. Cosma e Damiano, come sembra potersi ipotizzare sulla base di un passo della Historia vitae S. Sabini.A un'epoca genericamente presabiniana si potrebbe attribuire anche la costruzione della chiesa di S. Maria, menzionata nella stessa fonte in relazione all'ubicazione del nuovo complesso episcopale canosino (Bertelli, Falla Castelfranchi, 1981). S. Sabino, ricordato nel testo come "venerabilis vir restaurator ecclesiarum", fece infatti costruire più tardi il nuovo polo episcopale dalla parte opposta della città, presso le mura e probabilmente in relazione al tratto urbano della via Traiana, ma pur sempre lontano dal centro dell'impianto antico. Il complesso era articolato nel vasto battistero dodecagonale, con ambienti rettangolari, preceduto da un nartece a forcipe, tutt'oggi esistente, in una basilica a tre navate dedicata al Salvatore, che Sabino fece costruire davanti al battistero, e nella chiesa di S. Maria, forse più antica. Si venne così a costituire uno di quei complessi noti come 'cattedrali doppie' o ecclesiae geminatae, peculiari dell'età paleocristiana e altomedievale. Lo scavo recente di parte dell'area antistante il battistero ha confermato il testo dell'anonimo redattore della Historia vitae S. Sabini: è infatti venuta alla luce una basilica a tre navate, perfettamente in asse con l'edificio battesimale (Lavermicocca, 1987-1988), che a una prima analisi appare non molto vasta e quasi sproporzionata in rapporto al grande battistero. In relazione a tali documenti va rilevato che la dedicazione e l'ubicazione degli edifici restaurati e costruiti ex novo da s. Sabino possono trovare un rinvio puntuale in alcuni complessi di Roma, attestando i costanti legami storici della diocesi canosina con quest'ultima. La scultura architettonica superstite, di matrice greco-costantinopolitana, testimonia l'ancestrale vocazione della città all'Oriente; ne sono esempi: il pluteo decorato da una losanga, oggi reimpiegato nel muro di recinzione del mausoleo di Boemondo; i capitelli ionici di S. Leucio, probabilmente da attribuire al restauro operato in età sabiniana e databili alla prima metà del sec. 6°; il capitello a protomi e altri frammenti (Bertelli, Falla Castelfranchi, 1981).Per tutto il sec. 7° non si hanno notizie su C., entrata a far parte del ducato, poi gastaldato, beneventano. Alla fine del secolo, però, un significativo episodio, riportato ancora una volta dalla Historia vitae S. Sabini, testimonia della ripresa della città. A seguito dell'invenzione miracolosa del corpo di s. Sabino, occultato dai Canosini all'arrivo dei Longobardi, la duchessa Teoderada, moglie di Romualdo I (671-687), fece costruire a C. un nuovo sacello per accogliere la spoglia venerata, presso l'antica cattedrale di S. Pietro. Tale episodio coincise con la conversione al cristianesimo dei Longobardi del Sud, fino ad allora ariani, per opera soprattutto del vescovo di Benevento s. Barbato (m. nel 682) e della stessa Teoderada. Questo evento comportò la riscoperta del culto dei santi locali (Falla Castelfranchi, 1982-1983) e dunque probabilmente anche la dedicazione a s. Leucio del grande tetraconco canosino (Falla Castelfranchi, 1991).Venne così a delinearsi nel corso del sec. 8° una facies longobarda, che oggi emerge soprattutto dalla rivisitazione di alcuni monumenti, da interventi su edifici preesistenti e dall'analisi delle fonti, che già nel sec. 10° parlano di Canusium vetus, immagine che evoca quella di Canusium novum, città rinnovata e trasformata come Benevento stessa durante l'età longobarda (Falla Castelfranchi, 1984). Tra i monumenti di questo significativo momento è il modesto edificio di culto extramuraneo intitolato alla santa Sofia, che sorge presso l'ingresso della catacomba omonima, nell'area della necropoli romana di Lamapopoli. La basilichetta, forse più propriamente un recinto funerario absidato, mostra due chiare fasi edilizie: la più antica - di cui rimane solo un tratto inglobato in quella successiva - è in conci di tufo locale ed evoca le strutture murarie degli edifici paleocristiani di C.; la seconda fase, che sigla gran parte della costruzione, compresa l'abside, mostra invece una muratura regolare in opera listata, affine a quella di alcuni edifici di culto di area beneventana datati fra il sec. 8° e il 9° - in particolare Santa Sofia di Benevento, la chiesa dell'Annunziata di Prata di Principato Ultra e S. Anastasia a Ponte -, alcuni dei quali hanno inoltre in comune con Santa Sofia di C. anche la pianta a navata unica di modeste dimensioni. Alla luce di queste chiare assonanze anche l'intitolazione alla santa Sofia andrebbe dunque riletta in chiave longobardo-beneventana, con riferimento alla più celebre Santa Sofia di Benevento. L'intervento longobardo a C., sede di uno dei più antichi gastaldati di Puglia (Caggiano, 1982), si individua anche nei restauri in opera listata effettuati sui monumenti cristiani di epoca precedente (S. Leucio, battistero, tomba di s. Sabino).In questo periodo, all'inizio del sec. 9°, a C. si registrarono anche significativi interventi urbanistici ed edilizi, con la costruzione della nuova cattedrale, dedicata ai ss. Giovanni e Paolo, nell'area del foro della città antica, fenomeno che si riscontra del resto anche in altri centri longobardi. Per l'occasione venne traslato dalla chiesa di S. Pietro il corpo di s. Sabino, che fu inumato in un sarcofago recentemente individuato, costituito in parte con lastre di spoglio e decorato internamente con due croci gemmate dipinte (D'Angela, 1981). A quest'ultimo intervento va riferita anche l'iscrizione altomedievale reimpiegata nel pavimento della cripta della cattedrale medievale, che recita "Petrus canusinus archiepiscopus posuit hic corpus beati Sabini". A questa fase della cattedrale vanno forse attribuiti alcuni frammenti decorati con il motivo dell'onda ricorrente (oggi reimpiegati nella cornice intorno alla finestra della cripta della cattedrale e nel recinto del mausoleo di Boemondo), l'iscrizione in latino che menziona il vescovo Pietro e il sarcofago di s. Sabino.Al periodo altomedievale risale anche la fondazione del monastero benedettino, dedicato a s. Quirico, menzionato in documenti latini e greci a partire dal sec. 10°, che sorgeva non lontano dalla vecchia cattedrale di S. Pietro e presso la chiesa di S. Eufemia (Falla Castelfranchi, 1984). Un piccolo edificio altomedievale absidato è stato inoltre recentemente individuato nell'area del tempio di Giove Toro (Cassano, Laganara Fabiano, Volpe, 1985).La riconquista di Bari, sede di un emiro arabo dall'847 all'871, da parte dei Bizantini nell'876, prelude al crescente potere di questa città, che divenne capoluogo del Tema di Longobardia e occupò in parte nel corso del sec. 11° il ruolo fino ad allora ricoperto da Canosa. Inoltre l'arrivo del corpo di s. Nicola da Mira a Bari nel 1087 inferse un colpo decisivo alla rivalità fra C. e Bari, dove d'altronde già in quegli stessi anni il clero andava confezionando un falso storico sulla presunta traslazione nel sec. 9° del corpo di s. Sabino da C. a Bari per legittimare, attraverso il possesso del corpo del santo, la supremazia della curia vescovile barese su quella canosina.Nello stesso sito della cattedrale altomedievale fu eretta, nel corso del sec. 11°, quella attuale. Si tratta di un edificio a pianta basilicale con transetto poco accentuato e unica abside e con cinque cupole ellittiche nella navata e nel transetto. L'aspetto originario è stato alterato da una serie di cappelle aggiunte sui fianchi e da un prolungamento, attuato alla fine del secolo scorso, della parte occidentale, cui fu anteposta una facciata moderna. All'interno le pareti sono ritmate da grandi colonne di spoglio - alcune delle quali in marmo di Tessaglia - sistemate in relazione ai punti di scarico delle cupole. Accostata solitamente dal punto di vista icnografico a edifici bizantini (Costantinopoli, Ss. Apostoli; Efeso, S. Giovanni nella fase giustinianea) oppure alle chiese a cupola cipriote, peraltro più tarde, si tratta in realtà di un edificio che si inserisce perfettamente nella tradizione edilizia pugliese del pieno sec. 11°, dove, a partire dall'epoca longobarda, l'edificio con cupola in asse era stato ampiamente sperimentato, e mostra alcune affinità per es. con la chiesa di S. Basilio a Troia, peraltro di dimensioni più modeste e con il transetto maggiormente accentuato. Belli D'Elia (in Alle sorgenti del Romanico, 1975, pp. 21-25 nr. 21) anticipa la datazione dell'edificio, comunemente assegnato allo scorcio del sec. 11°, alla prima metà del secolo, sulla base soprattutto della presenza dell'ambone di Accetto. Tuttavia un'opera d'arte mobile non sembra prova sufficiente per datare con sicurezza un'impresa architettonica grandiosa quale la cattedrale canosina.Nella prima metà del secolo non ci sarebbero state inoltre le premesse storiche per la costruzione di un siffatto edificio, in un momento in cui la situazione registrava la crisi della dominazione bizantina e i primi interventi normanni. D'altronde il confronto tra i capitelli dell'ambone di Accetto (v.) - decorati con palmette e di chiara ispirazione bizantina - e quelli del transetto, a fusto allungato, che ben si inseriscono nel quadro della produzione plastica dell'Italia meridionale, oramai dominata dai Normanni, allo scorcio del sec. 11°, esclude che si tratti di opere coeve.La cattedrale fu sede del vescovo di C. e Bari fino alla fine del sec. 11°; un coinvolgimento diretto degli Altavilla (v.) nella sua riedificazione appare quindi verosimile, se si tiene conto anche che il vescovo Ursone fu trasferito dalla sede di Rapolla a C. nel 1079 dallo stesso Roberto il Guiscardo e che il figlio primogenito del Guiscardo, Boemondo, fece costruire il suo mausoleo presso la cattedrale. Sembra allora convincente attribuire la ricostruzione della cattedrale di C. alla committenza di Roberto il Guiscardo o del figlio Boemondo fra il 1079 e il 1089, in coincidenza cioè con l'episcopato del vescovo Ursone; si tratterebbe dunque di uno dei pochi edifici religiosi in Puglia a recare una committenza normanna. La dedicazione della cattedrale a s. Sabino nel 1101, alla presenza di papa Pasquale II, andrebbe anche interpretata come la risposta polemica di C. al potere di Bari, che proprio a s. Sabino aveva dedicato la sua nuova cattedrale, pretendendo di possederne il corpo. La presenza della cattedra di Ursone nell'abside della cattedrale di C. indica comunque che, almeno fino alla sua morte, presumibilmente nel 1089, la sede del vescovo di C. e Bari era ancora la cattedrale canosina.All'interno, tra l'arredo liturgico risalta l'ambone di Accetto, di cristallina purezza, che costituisce probabilmente una delle opere più mature del maestro, già noto nel 1039 e nel 1040 dai frammenti dei pulpiti di Monte Sant'Angelo e di Siponto, datati e firmati, e che si pone come il prodotto di un artista maturato nella Puglia ancora bizantina, come indicano soprattutto i capitelli, che riecheggiano la produzione mediobizantina dei secc. 10° e 11°, pur mescolata con elementi occidentali. Ad altri orizzonti rinvia il trono del vescovo Ursone nell'abside, che si inserisce nel solco della plastica dell'Italia meridionale allo scorcio del sec. 11° e che ne riflette, in ciascuna delle sue componenti, la vivida ed eterogenea realtà storica e culturale.In una delle cappelle di destra si conserva poi l'icona con la Vergine e il Bambino, del sec. 13°, paragonabile all'icona di Kyrinia (Cipro); un ambiente a sinistra ospitava il tesoro, con un gruppo di pregevoli opere, recentemente rubate, fra le quali una croce di avorio databile al sec. 12° e un codice miniato probabilmente degli inizi del sec. 14° (Bertelli, Falla Castelfranchi, 1981); si conservano ancora pezzi come il flabello liturgico di manifattura islamica (sec. 12°) e i c.d. guanti liturgici di s. Sabino, decorati da un clipeo ricamato, perlinato, con figura orante sul dorso (probabilmente tardo sec. 11°), accostabili a quelli del duomo di Bressanone.Al transetto meridionale della cattedrale è addossato il c.d. mausoleo di Boemondo, un tempietto marmoreo quadrangolare con unica abside, coperto da una cupoletta innestata su uno pseudo-tamburo ottagono animato esternamente da colonnette. L'icnografia, probabilmente di origine orientale, mostra strette affinità in pianta e in alzato per es. con il reliquiario architettonico proveniente da Antiochia (Aquisgrana, Domschatzkammer; fine sec. 10°-inizi 11°) e con una chiesa di Laodicea (Siria), posta in una zona controllata da Boemondo durante la prima crociata. Particolarmente complessi sembrano i problemi legati all'effettiva funzione di questo piccolo edificio e al legame con la chiesa cattedrale. A differenza di quanto era accaduto con la prima generazione di re normanni - fra cui lo stesso Roberto il Guiscardo (Falla Castelfranchi, 1982-1983) - che nella SS. Trinità di Venosa erano stati sepolti in un pantheon dinastico legato a una chiesa monastica, con Boemondo e con il fratello Ruggero Borsa (m. nel 1111 e sepolto nel quadriportico della cattedrale di Salerno in un sarcofago di spoglio) si inaugura una fase nuova, nella quale la tomba dinastica è direttamente legata alla chiesa cattedrale, riprendendo una tradizione già seguita nell'Italia meridionale per le sepolture dei vescovi e di molti duchi e principi longobardi e continuata in seguito dai re normanni di Sicilia. Nel caso del monumento in questione, si tratta di un mausoleo-reliquiario di marmo, che fonde in sé i diversi aspetti culturali della geografia 'boemondea', riassunta a sua volta nelle iscrizioni in latino incise sulla porta bronzea e sulla cornice del tamburo, che ricordano le sue leggendarie imprese. Se la Siria è evocata dall'involucro stesso, alla Grecia sembra rinviare la lastra marmorea all'interno, che trasmette il nome di Boemondo, decorata da una raffinata cornice con motivi islamici, che presenta strette affinità per es. con la lastra che chiude un sarcofago del sec. 10° nel katholikón di Hosios Lukas in Focide (Pazaras, 1984). La porta bronzea, opera di Ruggero di Melfi, interrompe la tradizione di quelle importate da Bisanzio (Cadei, 1990) e mostra un'impronta fortemente islamica, pur smorzata da innesti occidentali quali, per es., le tre figure forse rappresentazione di principi normanni, l'immagine, oggi scomparsa, della Vergine con il Bambino sull'anta sinistra e i due personaggi inginocchiati, con le mani levate verso una figura probabilmente di Cristo, anch'essa scomparsa.Se i monumenti tardoantichi e medievali di C. risultano ben indagati, manca invece uno studio sulla topografia della città in questo periodo. Il castello, sorto sulle rovine dell'acropoli della città antica, è di probabile fondazione normanna; se ne hanno però notizie certe soprattutto a partire dall'età sveva e angioina: lo stesso Pierre d'Angicourt - come tramandano i registri angioini - vi eseguì alcuni restauri e rifacimenti (Bertelli, Falla Castelfranchi, 1981).Nel Mus. Civ. Archeologico si conservano diversi pezzi tardoantichi e medievali: alcune lucerne cristiane di tipo africano (secc. 4°-5°), capitelli erratici (secc. 11°-12°) e un gruppo di ciotole in protomaiolica. Fra i pezzi di sicura provenienza canosina conservati presso musei stranieri si segnalano a Londra (British Mus.) la fibula Castellani, circolare, di oro, smalti e perle, che mostra strette affinità con alcune oreficerie di produzione longobarda, e a Baltimora (Walters Art Gall.) un calendario conservato in un messale latino e databile al pieno 11° secolo.
Bibl.:
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