CANTATA (fr. cantate; sp. cantada; ted. Kantate; ingl. cantata)
Composizione vocale-strumentale, intesa di solito all'espressione di più momenti spirituali e assai varia nelle forme secondo la scuola e soprattutto secondo i generi: da camera e da chiesa. - La cantata da camera o profana è una forma essenzialmente lirica principalmente determinata, in Italia, dalle idee del Rinascimento. Dopo il grande sviluppo del polifonismo cinquecentesco, giunto nel madrigale (v.) a un grado di geniale raffinatezza, i musicisti italiani tra la fine del sec. XVI e il principio del XVII compiono svariate e feconde esperienze nel trapasso dallo stile polifonico-contrappuntistico a quello monodico-armonico. È naturale quindi che dapprincipio la cantata non si definisca subito con caratteri proprî nell'insieme delle espressioni monodiche, unica essendo l'intima natura di tali espressioni soltanto più tardi ricorrenti a tipi tra loro differenziati; ma alle ragioni spirituali - bisogno di espressione analitica, individuale, soggettiva, di contro al tramonto degl'ideali cinquecenteschi - si aggiungono anche quelle pratiche: l'immensa fortuna della cantata si spiega col fatto ch'essa sostituisce le forme polifoniche della musica da camera, che nel Cinquecento non soltanto venivano ampiamente coltivate dai musicisti e cantori di professione, ma anche dai dilettanti di musica. Del resto, già il madrigale, forma eccellente, ma difficile e complessa, del polifonismo cinquecentesco, aveva subìto caratteristiche riduzioni e semplificazioni nella pratica musicale in uso verso la fine del sec. XVI: la parte superiore era cantata, mentre le altre venivano eseguite sul cembalo o sul liuto, raggruppate in accordi. Lo sviluppo della cantata è inoltre in stretta relazione con l'estendersi del canto monodico nel gusto secentesco, quindi esso procede contemporaneo e parallelo allo sviluppo dell'opera: in un certo senso però si può dire che il canto monodico trionfa meglio nella cantata dove la qualità essenzialmente lirica, non distratta da elementi scenografici e drammatici, acquista possibilità di maggiore rilievo e di più nitido e raffinato carattere. Lo sviluppo storico delle due forme riprova la loro connessione spirituale: affermatasi a Firenze nei primi anni del Seicento, l'opera si diffonde nel corso del secolo a Roma e a Venezia; verso la fine del sec. XVII e per gran parte del XVIII abbiamo la grande fioritura dell'opera a Napoli. Contemporaneamente la cantata è coltivata da numerosi compositori delle scuole romana, veneta e napoletana: a queste bisogna aggiungere, nella seconda metà del Seicento, una notevole affermazione della scuola bolognese. Il nome "cantata" ebbe, specialmeme nel periodo delle origini e della prima fioritura, significato alquanto generico, come si riscontra analogamente nella musica strumentale per il termine "sonata"; infatti essa designava, con notevole larghezza, una composizione musicale a una o più voci, con accompagnamento strumentale realizzato sul basso continuo. Sino alla metà del Seicento, e anche un poco oltre, i compositori non segnano nettamente i limiti fra la cantata e le altre composizioni chiamate arie e madrigali. È nel 1620, in una raccolta di Alessandro Grandi, intitolata Cantade, che compare per la prima volta il nome destinato in seguito ad avere maggior precisione di significato. I titoli più diversi compaiono accanto alle principali designazioni: capricci, affetti, dialoghi, echi, enigmi, scherzi, e titoli anche più bizzarri come Fuggilotio musicale (Caccini, 1613), Recreatione armonica (Anerio, 1611), Grazie ed affetti di musica modena (Negro, 1613), Strali d'amore (Boschetti, 1618), Fanfalughe (Donati, 1630), ecc. Alla varietà del titolo corrisponde in realtà la varietà del carattere della cantata stessa, la quale può a volta a volta essere una canzonetta spigliata e giocosa, un'aria più spesso elegiaca, più raramente buffa, lirica o drammatica, o anche ampliarsi in una scena in cui si dispiega un episodio esposto in modo narrativo e dialogico, in un susseguirsi di arie e recitativi. I musicisti secenteschi prediligono fra i poeti maggiori il Petrarca e il Tasso, fra i contemporanei il Chiabrera, il Testi, il Guarini, ecc.; a questi sono ancora da aggiungere verseggiatori dilettanti e librettisti d'opera: il Benigni, Francesco Buti, Giovanni Filippo Apollonio, Prospero Mandosio, Francesco Melosio e il Rospigliosi.
Fra le numerose forme liriche che costituiscono i precedenti storici della cantata si distinguono due tipi principali, il madrigale e l'aria, per una fondamentale opposizione del loro carattere. Il madrigale è composto su di un gruppo di versi, non di rado tratti da una composizione poetica assai più ampia, senza ripetizioni e senza suddivisioni di strofe; musicalmente risulta di una naturale fusione di passi declamati in stile recitativo, con passi melodici ampiamente "colorati" (cioè ornati) che consentono all'esecutore sfoggio di virtuosismi. L'aria è composta invece su di una poesia divisa in strofe cui strettamente aderisce la melodia, semplice e popolareggiante, talvolta con ritornello (canzone). La struttura musicale è varia perché le diverse strofe possono essere cantate sulla stessa melodia, oppure su melodia e basso continuo diversi, oppure su di una melodia che muta di strofe in strofe sempre restando identico il basso. Com'è naturale, durante il periodo delle origini che possiamo fissare sino al 1650 circa, la cantata non assume carattere indipendente, mentre nell'opera dei varî compositori mostra piuttosto la tendenza a fondere o alternare l'uso delle caratteristiche principali del madrigale e dell'aria. Questo si rileva non soltanto dalla raccolta citata del Grandi (1620) ma anche da quelle di Carlo Milanuzzi (8 libri, tra il 1622 e il 1635), Giovanni Pietro Berti (1624), Francesco Turini (1624), Giovanni Rovetta (1629), Francesco Manelli (1636), Filiberto Laurenzi (1641), Benedetto Ferrari (1633, 1637 e 1641), Domenico Mazzocchi (1640), Giov. Fel. Sances (1633 e 1648). Nelle cantate di questi autori, fra varianti di scarsa importanza predomina però il tipo che mantiene durante lo sviluppo della composizione un basso continuo cui si adatta la melodia delle varie strofe. Fra questi musicisti merita un cenno speciale Domenico Mazzocchi per alcune sue cantate in cui compare un tipo nuovo, con carattere narrativo più esplicito e con una struttura più ampia, costituita da arie e recitativi. Alcune sue cantate si riaccostano singolarmente al tipo del madrigale drammatico del Monteverdi e di Orazio Vecchi. Il Prunières, che ha studiato con particolare cura queste forme di transizione, ha avvicinato ad alcuni madrigali monteverdiani del VI (1606) e VII (1619) libro (Qui rise o Tirsi; Presso un fiume tranquillo; Non avea Febo ancora) il tipo di alcune cantate a più voci del Mazzocchi pubblicate nei Dialoghi e Sonetti del 1638. Significative sono quelle intitolate Dido furens, su testo tratto da Virgilio, e Olindo e Sofronia, dal Tasso, per l'originale vigore con cui il recitativo informa lo stile dell'intera composizione; è evidente, nella seconda cantata, la derivazione spirituale dal Combattimento di Tancredi e Clorinda monteverdiano. Intorno alla metà del Seicento tre grandi musicisti, Giacomo Carissimi, Luigi Rossi e Antonio Cesti dànno grande impulso alla cantata, la quale con essi giunge a grande eccellenza come forma d'arte. Luigi Rossi (1598-1653) fu l'artista che forse più d'ogni altro sentì corrispondere la cantata al suo temperamento di musicista. Nella sua produzione copiosissima Luigi Rossi mostra una grande versatilità e un chiaro svolgimento delle forme primitive in stile recitativo o di canzonetta, sino alle forme più elaborate e complesse. Fra le cantate in stile recitativo è degna di essere ricordata quella per la morte di Gustavo Adolfo re di Svezia (1632): Un ferito cavalier. Un tipo speciale di cantata è quello che raggruppa un certo numero di arie suddivise in varie parti di diverso movimento unite da brevi recitativi. In alcune altre il Rossi ritorna al tipo già usato da Monteverdi, Grandi, Rovetta, Ferrari e altri, ove le diverse strofe del testo poetico si cantano su melodie differenti, ma sempre sullo stesso basso. La cantata Gelosia, oggi conosciuta per la pubblicazione fattane dal Gevaert, presenta ancora una struttura assai originale: essa è divisa in tre parti, ciascuna delle quali è suddivisa a sua volta in tre movimenti diversi. Giacomo Carissimi (1605-1674) palesa nelle sue non numerose cantate un singolare equilibrio formale, nonché un fine senso della varietà tonale che conferisce alla composizione un carattere di consapevole, ma naturale ricerca armonica. Tra le sue cantate alcune illustrano soggetti anche umoristici (Testamento d'un asino; I filosofi a pié di un verde alloro; Heraclitus et Democritus); famosa è la cantata per soprano e basso continuo in morte di Maria Stuart dove la naturale mestizia melodica del Carissimi si colora di tinte più drammatiche. Nella scuola romana, intorno al Rossi e al Carisssimi, furono fecondi compositori di cantate Ant. Franc. Tenaglia, Giov. Pagliardi, Ercole Bernabei, Carlo Caproli, Vinc. Albrici, Franc. Federici, Gius. Corsi, Bernardo Pasquini, P. Simone Agostini, Giov. Ant. Boretti, Giov. Bicilli ecc. Alessandro Stradella (m. nel 1682) merita un cenno a parte non soltanto per la sua fecondità (compose più di 200 cantate), ma per la concezione vigorosa del suo stile che naturalmente risente di quello da lui usato nelle opere. L'accompagnamento strumentale comincia ad assumere speciale importanza: la tecnica è ardita e abile, viva e originale l'armonia. Nella scuola veneziana primeggiano, oltre il già ricordato A. Cesti (1623-1669), Giovanni Legrenzi (1626-1690), tipico per il carattere strumentale di alcuni suoi atteggiamenti melodici, Ruggiero Fedeli, Carlo Pallavicino, Ant. Biffi, Domenico Zanata, Carlo F. Pollaroli, ecc.; nella scuola bolognese Giov. P. Colonna, Domenico Gabrielli, Francesco Petrobelli, Maurizio Cazzati, Giov. M. Bononcini, nell'opera del quale la cantata si amplia a scena drammatica, G. B. Alveri, Pirro Albergati, P. Antonii, Francesco Gasparini, ecc.
Sul finire del Seicento la cantata assume nuovi aspetti e rinnovato vigore di espressione per opeta della scuola napoletana. Studî recenti hanno messo in luce il valore di Francesco Provenzale (m. nel 1704), ma è con Alessandro Scarlatti (m. nel 1725) che la cantata acquista un'importanza singolare: egli s'ispira naturalmente dapprincipio ai modelli forniti dalle scuole precedenti, ma ben presto s'innalza nella sua immensa produzione a tipi più personali. Nelle cantate della prima maniera lascia effondere le grazie della sua melodia, non di rado compiacendosi nell'indugio di fioriture vocali alquanto leziose. Con lo sviluppo della sua personalità lo Scarlatti amplia e approfondisce la cantata con accenti di drammaticità viva; egli accoglie allora le esigenze di una più ricca strumentazione, che a poco a poco si avvicina alla complessità della orchestra teatrale. Se in alcune cantate recitativi brevi, ma sovente arricchiti di frasi melodiche assai cantabili, servono da introduzione all'aria propriamente detta che forma il nucleo della composizione, nelle cantate in cui lo sviluppo strumentale dimostra nuove intenzioni espressive, per la novità della ricerca armonica e del gusto della modulazione, l'efficacia drammatica della declamazione si unisce a quella intensamente musicale del canto. La struttura più frequente delle cantate scarlattiane è quella che pone al centro un'aria, in mezzo a due recitativi, oppure al centro il recitativo, in mezzo a due arie. Già nel tardo Seicento alcuni operisti avevano usato l'aria col "da capo": lo Scarlatti accoglie e instaura definitivamente l'uso di questa forma, che tanto successo doveva conservare durante tutto il sec. XVIII. L'aria col "da capo" constava di due parti principali: la prima concedeva al cantante lo sfoggio del suo virtuosismo vocale, la seconda ripristinava, in un certo senso, i diritti della musica con la linea melodica più semplice e incisiva, sovente integrata da un accompagnamento strumentale più complesso. Finita questa parte veniva ripetuta la prima (di qui l'uso del termine "da capo"), talvolta senza nessuna variante, talvolta arricchita da nuovi vocalizzi od ornamenti liberamente inventati dal cantante stesso. Dopo Alessandro Scarlatti la cantata risente maggiormente., soprattutto presso i napoletani Leo, Vinci, D'Astorga, Pergolesi, Sarro, Mancini, ecc., dello stile teatrale, e la sua diffusione nel sec. XVIII è grandissima: anche i musicisti delle altre scuole, segnatamente i veneziani, si dedicano alla composizione in voga: Lotti, Caldara, Marcello, Vivaldi, Albinoni, Porpora e altri minori conferiscono alla cantata l'ampiezza di un quadro drammatico sovente assai vicino all'oratorio. Verso la fine del secolo XVIII la cantata ha esaurito in Italia le possibilità di un ulteriore sviluppo. Con il diffondersi della musica strumentale-sinfonica e con il romanticismo vengono innanzi altre esigenze, richieste da esperienze lontane da quello spirito di intimo lirismo che era stato il carattere dalla cantata nei suoi momenti migliori. Così si spiega l'irrimediabile decadimento di questo tipo di espressione lirica: la cantata nel secolo XIX è una grande composizione orchestrale con soli e coro, che non ha più caratteri distintivi e s'accomuna alle esperienze teatrali e sinfoniche.
La cantata profana da camera fu una forma essenzialmente italiana: venne tuttavia coltivata anche nel resto dell'Europa, assai scarsamente in Inghilterra al tempo del soggiorno londinese di G. F. Händel, un po' più ampiamente in Francia e in Germania, ma senza qualità originali e sottomessa sempre all'imitazione delle forme italiane. In Francia, la cantata assume talvolta un carattere idilliaco e pastorale e viene adottata da molti musicisti, anche tra i maggiori, ma nessuno di essi riesce ad infonderle un soffio di vita nuova e originale: la mediocrità, anche elegante e forbita, dell'espressione non viene superata da nessuno. Bisogna giungere al 1703 per trovare le cantate di Morin; seguono poi molti autori come Stuck, Campra, Montéclair, Clérambault, Destouches, Bernier, Boismortier, Campion, Lemaire, Aubert, Rameau. Della scarsa importanza, per la Francia, della cantata, è testimone J. J. Rousseau, il quale così scrive di essa nel suo Dictionnaire de Musique: "La mode des cantates nous est venue d'Italie, comme on le voit par leur nom qui est italien... Les cantates qu'on y fait aujourd'hui, sont de véritables pièces dramatiques à plusieurs acteurs, qui ne diffèrent des opéras, qu'en ce que ceux-ci se représentent au théâtre, et que les cantates ne s'exécutent qu'en concert: de sorte que la cantate est sur un sujet profane, ce qu'est l'oratorio sur un sujet sacré". Del resto, la cantata in Francia degenerò presto nella cantatille verso cui il Rousseau si mostrò assai severo, dicendo ch'essa, come genere, "vaut moins encore que celui de la cantate, auquel on l'a substitué parmi nous. Mais comme on n'y peut développer ni passions, ni tableaux, et qu'elle n'est susceptible que de gentillesse, c'est une ressource pour les petits faiseurs de vers, et pour les musiciens sans génie". Nel sec. XIX la cantata in Francia si ampliò in un grande quadro orchestrale, con coro e solisti, attraendo il Berlioz insieme ad altri musicisti teatrali che trattarono tale forma chiamata ode-symphonie.
In Germania la diffusione della cantata profana fu anche minore che in Francia, a causa della diversa aspirazione spirituale che volgeva i compositori piuttosto alla cantata religiosa. È significativo il fatto che l'influenza del nuovo stile recitativo italiano agì in Germania più con i Concerti ecclesiastici del Viadana che con le Arie del Caccini; i musicisti tedeschi si dimostrarono pronti ad accogliere le innovazioni tecniche, piuttosto che lo spirito artistico delle nuove musiche. Nella composizione profana si ebbero, invece delle monodie di tipo fiorentino, molti canti bensì su basso continuo ma a più voci, sì che l'antico spirito polifonico vi si mantenne, semplificandosi e adattandosi ai nuovi mezzi tecnici. Primi esempî di questi canti a più voci con basso continuo furono la Musica boscareccia (1621) e i Diletti pastorali (1624) di Hermann Schein. In Germania lo sviluppo della cantata fu meno libero che altrove, a causa di due speciali uffici che ad essa vollero assegnare i compositori: quello didattico, per l'insegnamento del canto, e quello per lo sviluppo della tecnica dell'accompagnamento con basso continuo in più ampie composizioni strumentali. Per il primo abbiamo, ad es., le Arie passeggiate (1623) di Nauwach e le Arien und Kantaten (1638) di Kittel; per il secondo, i Monophonetica (1636) di Seller e le Arien di Albert. Con Heinrich Albert (1604-1651) si afferma con speciale importanza in Germania il canto monodico, prima di lui usato sporadicamente anche per la mancanza di una corrispondente fioritura poetica; il facile e melodioso musicista tedesco ebbe infatti una spiccata personalità letteraria e fu membro di un circolo poetico. Si tenne sulla stessa via il suo successore, Adam Krieger, poi a poco a poco per tutto il Settecento venne coltivata la composizione della cantata di tipo italiano: ne fu il primo vero rappresentante Reinhard Keiser, il noto operista del teatro di Amburgo. A lui seguirono, componendo anche su testo italiano, J. Fischer, J. Greber, J. D. Heinichen, J. M. Molter, Telemann, Händel, Hasse, i due Graun, J. S. Bach e Chr. Friedrich Bach, Reutter, Haydn, Gassmann Wagenseil, Koželuh, Winter, Mozart, Reichardt, ecc. Al principio del sec. XIX la trasformazione della cantata era avvenuta: con Beethoven, Schubert e gli altri rappresentanti del primo romanticismo musicale tedesco la cantata diventa Kantatenlied e Lied, in una vastissima, indipendente fioritura.
Cantata da chiesa o sacra. - Come la cantata profana ebbe in Italia le sue origini dal madrigale cinquecentesco, così la cantata sacra derivò dal mottetto e si affermò, con caratteri religiosi non troppo dissimili, tra la fine del sec. XVI e il principio del XVII, durante il trapasso dallo stile polifonico a quello monodico. Come nel profano, anche nel campo religioso il termine "cantata" non ebbe subito un significato definito: rimane l'uso d'intitolare mottetto una composizione religiosa ad una o più voci con basso continuo, altre volte s'incontrano designazioni varie come: concerto, symphonia, dialogo, aria. Sono del 1602 i Concerti ecclesiastici del Viadana, seguono poi le Arie devote (1608) di Ottavio Durante, le Selve spirituali del Monteverde, ecc. Durante il sec. XVII la cantata da chiesa in Italia raggiunge il massimo suo sviluppo con Giacomo Carissimi (1604-1674), dopo che vi si era già provato con fortuna quel Domenico Mazzocchi che già abbiamo visto autore di numerose cantate profane. Anche più che in quella profana il genio del Carissimi rifulge nella cantata sacra: la semplice e intensa potenza dell'espressione musicale, declamata e melodica, il suo genio ispirato e austero innalzano la cantata ad alta dignità di stile, come dimostra l'efficacia avuta anche fuori d'Italia su musicisti come l'inglese H. Purcell e il francese M. Lalande.
In Germania la cantata da chiesa, corrispondendo ad una particolare disposizione religiosa dei musicisti ed a speciali caratteristiche del culto protestante, ebbe un'enorme diffusione. Alcuni elementi originali vanno rintracciati durante il sec. XVI negli usi liturgici, sin da quando si prese a cantare, nelle cerimonie, un mottetto o un corale prima e dopo il sermone in lingua tedesca. Verso la metà del sec. XVI vediamo, tra l'altro, stabilirsi una tradizione che prescrive per ogni domenica uno o più corali ispirati dalla lettura quotidiana del Vangelo, i quali vengono poi classificati nelle raccolte dei cantici nell'ordine dell'annata ecclesiastica. Abbiamo così i cantica mobilia che si possono invece cantare in qualunque domenica. La poesia tedesca ebbe così anche il compito di provvedere testi per il mottetto che si cantava tra il Vangelo e il sermone, e che doveva corrispondere perciò al Vangelo del giorno: così i poeti si prestarono a fornire interi cicli di testi per i mottetti, come più tardi nello stesso modo doveva accadere per i testi delle cantate. Sotto l'influenza sempre crescente dell'arte italiana, il mottetto s'arricchisce a poco a poco mediante l'introduzione dell'arioso e dei recitativi, spesso alternati col coro e coi solisti, e accompagnati dall'organo e dall'orchestra; segno, quest'ultimo, delle nuove tendenze e aspirazioni. Fu appunto con Heinrich Schütz (1585-1672) che la musica strumentale entrò nella composizione mottettistica ad accelerare la sua trasformazione nella cantata, la quale per molto tempo ancora si continuò a chiamare mottetto; con lui ha inizio il trionfo di quello stile chiesastico "concertante" che doveva riuscire, attraverso le svariate esperienze di numerosi musicisti tedeschi, ad altissima perfezione nell'opera di G. S. Bach. Nella Passione secondo S. Matteo e nelle Sette Parole sulla Croce, lo Schütz spiega il suo possente temperamento drammatico e religioso: i versetti della Bibbia, da lui scelti con grande accortezza, si rivestono di accenti musicali forti ed intensi, specialmente nelle parti a solo, efficacissime nell'espressione dolente e devota. Dopo di lui troviamo Andreas Hammerschmidt (1611-1675), autore di Devozioni musicali e Colloqui musicali sugli Evangeli che ebbero un'immensa diffusione. Per la particolare costituzione del culto protestante, ogni maestro di cappella tedesco doveva necessariamente diventare compositore, dato il grande numero di cantate che si richiedeva, almeno una per domenica.
A causa delle grandi spese che incontrava il mantenimento, nelle cappelle musicali, del coro e dell'orchestra, soltanto nelle chiese delle grandi città era possibile l'esecuzione accurata delle cantate. Amburgo fu un centro musicale di primo ordine nel tempo in cui vi svolsero la loro attività due allievi dello Schütz, Matthias Weckmann (1621-1674) e Christoph Bernhard (1627-1692); Franz Tunder (1614-1667) e Dietrich Buxtehude (1637-1707) vissero e operarono a Lubecca, ambedue organisti tra i più insigni nel periodo anteriore a G. S. Bach. Quando l'opera italiana apparve in Germania, nel corso del Seicento, destò un entusiasmo generale; così si spiega l'influenza della musica teatrale sulla cantata religiosa, visibile p. es. nell'inserzione del recitativo parlato e delle arie con ritornello, mentre l'antica cantata era costituita soltanto da cori ed ariosi. Poiché la musica si drammatizza i testi biblici e le strofe dei corali non sono più sufficienti e, per soddisfare il gusto di novità che si diffonde sempre più, occorre comporre poesie con opportuni episodi, quasi in stile operistico. Un pastore di Amburgo, Neumeister, si dà alla composizione dei libretti per cantate, pur conservando i testi della Sacra Scrittura e dei corali, allo scopo di vincere le ultime resistenze dello spirito protestante tedesco, naturalmente volto a diffidare di innovazioni arieggianti troppo da vicino alla pratica e agli usi della vita profana. In breve l'esempio di Neumeister fu seguito da altri, fra i quali S. Frank; ambedue ispirarono con la loro poesia mistica il genio di Giovanni Sebastiano Bach (1685-1750). La cantata religiosa rappresenta uno degli aspetti più significativi e importanti dell'attività creatrice del sommo maestro tedesco e occorre perciò riferirsi all'intera personalità bachiana per apprezzare lo speciale valore che a questa forma artistica spetta nello svolgimento spirituale della sua arte. Per quel che concerne la pogizione di Bach nei riguardi della cantata bisogna ricordare ch'egli comparve nel momento in cui le nuove tendenze prevalevano: dapprima si attenne a cantate di tipo antico, poi si volse a quelle forme più libere che il suo genio richiedeva. Com'è facilmente comprensibile, la varietà stilistica delle cantate bachiane (forse 300, di cui conosciamo finora soltanto 190) è pressoché infinita: le più varie esperienze differenziano un gruppo dall'altro. Nelle prime cantate, in cui è più sensibile l'influenza italiana (ricordiamo come tipo assai modesto la giovanile Denn du wirst meine Seele) mancano i recitativi, ma è notevole l'uso degli elementi orchestrali e del coro; in esse il musicista redige il testo traendolo da passi di libri devoti e sacri, senza rivolgersi all'opera particolare d'un poeta. In seguito Bach infonde maggior vigore e più complesso pensiero alla cantata, che ne risulta generalmente costituita da una specie di sinfonia o preludio concertante, a cui segue una serie più o meno lunga di recitativi, di arie e di duetti; la composizione è chiusa per lo più da un coro in stile fugato o da un corale. Infine nelle ultime cantate Bach approfondisce e affina l'espressività del recitativo e delle arie, accogliendo sempre più frequentemente l'uso del corale, il quale, multiforme negli aspetti musicali, diventa a poco a poco il culmine dell'intera composizione, a cui serve di epilogo solenne. L'austera, spiritualissima ispirazione bachiana giunge a insuperate espressioni d'arte religiosa: dopo la varietà e l'intensità delle concezioni musicali di cui è stato capace il genio di Bach, la cantata religiosa decadde rapidamente, per un esaurimento storicamente giustificato. Nel sec. XIX la cantata religiosa fu trasformata nella sua essenza dai nuovi ideali artistici: se ne possono tuttavia ricordare alcune di C. M. von Weber (Ernte und Friedesfeier, Kampf und Sieg), di R. Schumann (Neujahrslied e Adventlied), F. Draeseke, M. Hauptmann, M. Bruch (Jubilate, Amen), M. Reger (Choralkantaten), M. E. Bossi (Canticum canticorum), ecc.
Bibl.: E. Schmitz, Geschichte der weltlichen Solokantate, Lipsia 1914; E. J. Dent, Italien chamber cantatas, in Mus. Antiquary, 1911; H. Riemann, Der basso ostinato und die Anfänge der K., in Sammelbände der int. Musik-Ges., XIII; H. Prunières, La cantate italienne à voix seule au XVIIe siècle, in Encyclopédie de la musique del Lavignac, Parigi 1930; P. Spitta, J. S. Bach, II, Lipsia 1916, v. anche la bibl. alla voce bach.