CARAFA
. Questa famiglia, ch'ebbe dei momenti di grande splendore e potenza, è un ramo dei Caracciolo. Ne fu capostipite Gregorio Caracciolo, detto Carafa (perché concessionario, forse, della gabella sul vino, chiamata "campione della carafa"), che visse nella prima metà del sec. XII.
I C. acquistarono importanza al tempo di Bartolomeo III (pronipote, per figlio, di Bartolomeo I, secondogenito di Gregorio): per re Roberto, egli fu giustiziere in Terra di Bari nel 1309 e nel 1324; in Terra di Lavoro nel 1327; in Basilicata nel 1333; compì anche delle missioni in Roma e in Ungheria. Nella capitale fu uno degli "eletti" del seggio di Nilo nel 1331, e membro del "buon governo" nel 1350, dopo la cacciata degli Ungheresi. Le ricchezze da lui accumulate passarono ai successori, tra cui sono assai notevoli Nicola, ciambellano di Carlo III e di Ladislao; e Giacomo, figlio di lui, valentissimo capitano del medesimo re Ladislao.
Questo ramo, detto "della Spina" a cagione dello stemma, attraversato da un ramoscello spinoso, diede origine alle case, ricche a dismisura, dei conti di Policastro, e dei principi di Roccella. Il titolo principesco fu concesso il 24 maggio 1594 a Fabrizio I, signore di molti feudi in Calabria e altrove, che si segnalò per il valore, dimostrato nello stesso anno, difendendo Roccella contro il rinnegato Hassan Cigala, ma che si acquistò trista rinomanza per la sua persecuzione contro il Campanella. Degni di essere ricordati sono pure Carlo, quarto principe, che nel 1676 fu capitano generale in Sicilia; uno zio di lui, Girolamo, che riportò, con le navi di Malta, una vittoria navale nei Dardanelli contro i Turchi, anche nel 1676, e che fu eletto Gran Maestro dell'Ordine di Malta nel 1680. Ultime rappresentanti della casa furono due figlie del settimo principe: Giulia, andata sposa al duca di Cassano, e Mariantonia, principessa di Montemiletto. Esse, per gli aiuti dati alla repubblica partenopea nel 1799, meritarono il nome di "madri della patria", che scontarono poi con l'esilio.
Giovanni (figlio del già ricordato Giacomo) ebbe in feudo Policastro col titolo di conte per aver serbata fedeltà al re Ferrandino, nella discesa di Carlo VIII. Fu ambasciatore di quel re in Venezia, e per Federico in Ungheria. La tradizione guerriera venne continuata da Giovanni (fratello di Ettore, nono conte di Policastro), che nel sec. XVII fu nominato generale feld-maresciallo dall'imperatore. Un matrimonio fuse insieme il sangue e le ricchezze dei Roccella e dei Policastro.
Altro importante ramo della famiglia fu denominato "della Stadera" (strumento denotante giustizia, incrociato con lo stemma). Il capostipite ne fu Antonio, detto Malizia, per l'acume dimostrato nei negozî diplomatici, esercitati per Carlo III, Ladislao, e Giovanna II. Da lui discese Oliviero, ammiraglio pontificio, arcivescovo di Napoli nel 1458, poi cardinale, che dopo il 1498 fece costruire nel Duomo la magnifica cappella Carafa; edificò sul Quirinale un palazzo, che, ingrandito, divenne la reggia attuale; e in Napoli fece sorgere l'edifizio, detto la Sapienza, perché lo destinava a sede di un istituto di alta cultura. Per il fratello, Ettore, comprò la terra di Ruvo, con titolo di conte; un altro fratello Alessandro, gli successe come arcivescovo. Un nipote, Vincenzo, arcivescovo di Napoli anche lui nel 1504, fu nel 1527 fatto cardinale. Dei conti di Ruvo, divenuti poi duchi di Andria, sono degni di ricordo Fabrizio II, ucciso, insieme con Maria d'Avalos, dal marito di lei, Carlo Gesualdo, principe di Venosa; e Ettore, uno dei martiri del 1799. Attuale duca è Antonio, figlio del fu senatore Riccardo.
I conti di S. Severina, dello stesso ramo, ebbero per capostipite Andrea, che combatté per Alfonso II, Ferrante II e Federico, cui rimase fedele nell'esilio. Dopo aver preso parte alla battaglia di Ravenna, sostituì nel 1525 il viceré De Lannoy. Appartenne ai baroni di Foroli, Antonio, che divenne generale dell'imperatore, combatté in Ungheria, e prese parte con Sobieski, cui era stato mandato ambasciatore, alla liberazione di Vienna nel 1683. Fu nominato maresciallo nel 1688. Un nipote di lui, Francesco, fu cardinale del titolo di S. Clemente. Degno di ricordo è anche Giovanni Antonio, figlio di Tommaso Caracciolo, detto Carafa. Valente giureconsulto, consigliere dei re Alfonso I e Ferrante I, si dimise nel 1460 per attendere all'ufficio di "lettore di diritto civile e canonico", nell'Università degli studî di Napoli; più tardi divenne consigliere del Collaterale. Fu autore d'importanti opere sul diritto giustinianeo. Professore onorario di matematica fu, nel 1700, anche nella medesima università, Giovanni dei duchi di Nocera.
Da un ramo secondario, detto dei signori di Mariglianella, discese Carlo, che, lasciato l'ordine dei gesuiti (di cui un altro C., figlio di Fabrizio II di Andria, era stato generale) percorse la carriera delle armi sino al grado di generale. Pentitosi poi dei suoi disordini morali, si ritirò in solitudine e fondò l'ordine dei Pii Operarî (1620). Valente uomo d'armi fu anche Vincenzo, cavaliere di Malta, che combatté a Lepanto, nel Portogallo, e in Fiandra, e fu detto il priore d'Ungheria. Letterato fu Antonio, dei marchesi di Montenero, cardinale diacono nel 1568, autore delle Note apologetiche alla vita di Paolo IV, e curatore di un'edizione delle Decretali. Suo congiunto fu il marchese Girolamo, maestro generale di campo in Lombardia; generale di cavalleria in Napoli: luogotenente dell'imperatore, che lo nominò principe del Sacro Romano Impero. In Spagna fu viceré di Aragona. Per Tiberio, principe di Chiusano, v. sotto.
Potentissima fra le altre, e ricchissima, fu anche la casa dei conti di Maddaloni, che trasse inizio da Diomede (v.), figlio di Antonio Malizia. Il personaggio più illustre fu Gian Pietro dei conti di Montorio (v. paolo iv, papa). La sua morte segnò il principio della rovina di casa C. Fu condannato a morte in Roma, per istigazione della Spagna, il cardinal nipote Carlo C. (ma la sua memoria fu riabilitata); a un altro nipote, Giovanni, conte di Montorio, fu tagliata la testa, perchè accusato dell'uccisione della moglie. A stento si salvò il pronipote, cardinale Alfonso, figlio del marchese di Montebello, arcivescovo di Napoli e bibliotecario della Vaticana, il quale morì venticinquenne in Napoli nel 1565.
Non si deve tacere, infine, di Antonio, terzo principe di Stigliano, munifico e valoroso signore, che combatté anche a Lepanto. Ebbe vaste cognizioni in matematica. Francesco Maria C., duca di Nocera, fu anche lui appassionato cultore delle scienze. Figlia ed erede del terzo principe di Stigliano fu Donn'Anna, consorte del viceré duca di Medina Las Torres, la quale fece edificare, a Mergellina, il palazzo sul mare, che ancora ne serba il nome.