CARBONE (VIII, p. 953)
Carboni naturali. - La produzione mondiale (p. 956). - La lenta ma continua ascesa che aveva caratterizzato l'andamento della produzione mondiale di carbone (litantraci ed antraciti) dal 1922 al 1929 è stata bruscamente interrotta nel 1930 dalla depressione economica mondiale. La minore attività delle principali industrie durante il quadriennio 1930-33 causò una generale riduzione dei consumi di combustibili solidi fossili e un più accentuato disagio dell'industria carbonifera, le cui possibilità di produzione superavano quelle di smercio.
La situazione economica mondiale è tornata alla normalità lentamente, tanto che il primato raggiunto dalla produzione carbonifera nel 1929 (1.319 milioni di t.) è stato superato soltanto nel 1938. Nel decennio che precede la seconda Guerra mondiale, la produzione di carbone, espressa in milioni di tonnellate metriche, ha avuto il seguente andamento:
Nel periodo considerato, l'estrazione del carbone ha subìto un notevole declino negli S. U. (da 552 a 352 milioni di t. annue), in Gran Bretagna (da 262 a 231 milioni di t.) e in Polonia (da 46,2 a 38,1 milioni di t.); ha, invece, registrato un forte incremento nell'URSS (da 42 a 133 milioni di t.) e nell'Unione Sudafricana (da 13 a 18,6 milioni di t.), mentre alla produzione tedesca si aggiungeva anche quella della Sarre (circa 14 milioni di t.).
L'inizio della guerra ha avuto immediate ripercussioni sulla produzione carbonifera europea. Quasi tutti i paesi belligeranti hanno dovuto ridurre la manodopera impiegata nelle miniere, andando incontro a notevoli riduzioni della produzione. Il limitato grado di meccanizzazione delle miniere e la grande profondità raggiunta dai lavori in alcune di esse hanno impedito alla Francia ed all'Inghilterra di neutralizzare, almeno in parte, gli effetti del minore impiego di maestranze. La produzione britannica è scesa, quindi, da 235 milioni di t. nel 1939 a circa 196 milioni nel 1944. La sospensione delle esportazioni e lo stretto razionamento dei consumi non essenziali allo sforzo bellico hanno tuttavia consentito alla Gran Bretagna di superare il periodo critico della guerra senza dover ridurre l'attività delle principali industrie. Le miniere francesi, pur non essendo state danneggiate durante il periodo dell'occupazione nazista sprovviste di legname da armamento e a corto di manodopera, hanno ridotto a tal punto la loro attività da causare una grave crisi economica in tutto il paese. Un sensibile declino della produzione carbonifera si è verificato anche nel Belgio e in Olanda.
La Germania, impossessatasi, fin dall'inizio della guerra, delle risorse carbonifere della Polonia, ne iniziava immediatamente lo sfruttamento intensivo, valendosi di manodopera reclutata con sistemi coercitivi. Dal 1941 al 1943, i Tedeschi riuscivano a ricavare dalle miniere della Slesia polacca circa 300 milioni di t., quantitativo che, aggiunto a quello proveniente dalle miniere della Cecoslovacchia e degli altri paesi occupati dell'Europa Occidentale, poneva il terzo Reich al riparo da qualsiasi crisi dei suoi approvvigionamenti di carbone. Nel periodo menzionato, la Germania controllava infatti una produzione annua oscillante intorno a 350 milioni di t., cifra superiore del 75% circa alle disponibilità inglesi.
La guerra, estendendosi rapidamente in Ucraina, causava gravi danni all'attrezzatura del bacino carbonifero del Donec, dal quale l'URSS traeva circa l'80% della sua produzione. L'Unione Sovietica dovette quindi fare assegnamento sulle risorse carbonifere della penisola di Sachalin e su quelle esistenti al di là degli Urali, che tuttavia potevano sostituire soltanto in parte la produzione del Donec. Il più intenso sfruttamento dei giacimenti situati nella regione di Mosca, durante la seconda fase della guerra, non ha contribuito in misura apprezzabile ad attenuare la grave crisi degli approvvigionamenti di carbone verificatasi nel periodo bellico.
La mobilitazione di migliaia di minatori ha messo in luce, durante la seconda Guerra mondiale, i grandi vantaggi derivanti dal moderno equipaggiamento delle miniere. Quasi tutti i paesi coinvolti nel conflitto hanno lamentato la penuria di manodopera specializzata da adibire ai lavori minerarî e la conseguente riduzione della produzione dell'industria estrattiva. Gli Stati Uniti sono stati l'unico paese forte produttore di carbone che, pur avendo registrato durante la guerra una sostanziale riduzione del numero dei lavoratori addetti alle miniere di carbone, sia riuscito ad aumentare notevolmente la produzione. Nel 1939, l'industria carbonifera statunitense, impiegando 481.828 lavoratori, aveva estratto 403 milioni di t. di combustibile (carbone bituminoso e antracite). Nel 1944, con soli 457.500 dipendenti, la produzione di questo vitale settore industriale raggiunse i 620 milioni di tonnellate.
L'ultima fase della guerra, mentre ha lasciato pressoché indenni le miniere francesi del nord, ha causato danni gravi a quelle della Ruhr e della Slesia tedesca e polacca. L'effetto di tali danni è stato accentuato dalle difficoltà verificatesi alla fine del conflitto, quasi ovunque, per l'avviamento al lavoro di manodopera specializzata, nonché col basso rendimento dei minatori in servizio.
Il crollo della produzione carbonifera tedesca e la grave crisi, non ancora superata, di quella inglese costituirono una delle principali cause del disagio economico dei paesi europei durante il biennio 1946-47. Nel periodo prebellico l'Europa traeva dalle sue miniere circa il 53% del carbone prodotto nel mondo (URSS esclusa) ed era in grado di rifornire i paesi compresi nel suo territorio, sprovvisti di adeguate risorse carbonifere. Nel 1947 i maggiori produttori europei, escluse la Polonia e la Francia, sono rimasti molto al disotto del livello produttivo prebellico. L'Inghilterra ha ottenuto una produzione pari soltanto all'85% di quella del 1938; le miniere della Ruhr hanno, dal canto loro, fornito appena il 64% del carbone estratto nell'anteguerra. In complesso queste fonti hanno dato nel 1947 circa 88 milioni di t. in meno del 1938, mentre il fabbisogno dei paesi europei è notevolmente aumentato rispetto a quello prebellico e la minore produzione inglese e tedesca è stata compensata soltanto in parte dalle esportazioni degli S. U. verso l'Europa (circa 33 milioni di t.).
Alla fine del 1947 la situazione dell'industria carbonifera inglese presentava un lieve miglioramento rispetto al 1946 ed era comunque tale da fare apparire infondate le previsioni pessimistiche di numerosi esperti circa gli effetti della nazionalizzazione delle miniere e della introduzione della settimana di 5 giorni lavorativi. Infatti, nonostante gli scioperi minerarî verificatisi nel corso dell'anno, la produzione aveva raggiunto i 200 milioni di t. preventivati all'inizio del 1947, facendo registrare un aumento del 4% circa nei confronti del 1946.
Il numero dei minatori in servizio è passato da 694.000 unità nel gennaio 1947 a 718.000 all'inizio del 1948; il rendimento medio giornaliero è salito nello stesso periodo da 1,07 ad 1,10 t. per minatore, mentre l'assenteismo è disceso dal 16,42 all'11,09%. In relazione all'introduzione dell'orario suppletivo di lavoro e alla progressiva attuazione del programma di rinnovamento dell'attrezzatura mineraria, predisposto dal National Coal Board, al quale fanno capo le miniere nazionalizzate, sono state preventivate per il 1948 una produzione di 211 milioni di t. ed esportazioni per circa 15 milioni di t. Così l'Inghilterra riprende il suo posto fra i maggiori esportatori di carbone.
Il crollo della Germania al termine della seconda Guerra mondiale ha avuto come immediata conseguenza una riduzione notevole della produzione di carbone nel bacino della Ruhr. Tale fenomeno è stato causato, più che dai danni sofferti dall'attrezzatura mineraria, dal basso rendimento dei minatori tedeschi. Nel 1946 la produzione della Ruhr e della regione di Aquisgrana era stata di 53,9 milioni di t., ma durante il 1947, la migliorata situazione alimentare della popolazione civile e le maggiori razioni accordate ai minatori hanno richiamato nelle miniere numerosi lavoratori, giovando altresì ad elevarne il rendimento. La produzione ha raggiunto i 71 milioni di t., superando, nella seconda metà dell'anno, le 250.000 t. giornaliere. Gli effettivi sono aumentati, da 217.000 unità del gennaio 1946, a 289.000 unità nel dicembre 1947, mentre il rendimento medio giornaliero è aumentato da 820 a 920 chilogrammi.
Nonostante questi progressi, l'andamento della produzione alla fine del 1947 era ben lontano dalla normalità. L'occupazione aveva raggiunto il 105% nei confronti della media degli anni 1935-38, ma la produzione non superava il 64% del livello medio produttivo di tale periodo, durante il quale il rendimento medio individuale giornaliero dei minatori tedeschi oscillava intorno a 1800 kg. Le esportazioni dalla Ruhr, che nel periodo prebellico costituivano più dei due terzi delle esportazioni tedesche di carbone, sono scese a 9,8 milioni di t. nel 1946 e a 8,6 milioni nel 1947. I programmi di sviluppo della produzione industriale nella zona di occupazione anglo-americana comportano, nel 1948 e negli anni successivi, un crescente consumo di carbone, ciò che dovrà pregiudicare una rapida ripresa delle esportazioni dalla Ruhr, se il ritmo di estrazione non sarà adeguatamente intensificato.
La Francia, con un consumo annuo di carbone che tende a stabilizzarsi intorno ai 70 milioni di t. e una produzione di circa 46 milioni di t. si è trovata nel dopoguerra di fronte all'alternativa di continuare a importare circa un terzo del combustibile di cui ha bisogno o di compiere un grande sforzo per elevare notevolmente il ritmo produttivo delle sue miniere.
Allo scopo di affrancare il paese da ingenti e onerose importazioni che accentuano il già grave squilibrio della bilancia commerciale francese, il piano Monnet ha posto fra i suoi principali obiettivi l'aumento della produzione nazionale a 65 milioni di t. entro il 1950, da conseguire soprattutto con la modernizzazione e la meccanizzazione dell'attrezzatura mineraria. Il governo francese ha poi proceduto, fin dal 1945, alla nazionalizzazione delle miniere.
Durante il 1946 la produzione di carbone in Francia ha raggiunto i 49,3 milioni di t., cifra che corrisponde a un aumento del 4% del livello produttivo prebellico ed è lievemente inferiore a quella prevista dal piano Monnet (49,4 milioni di t.). Nel 1947 l'estrazione è scesa a 47 milioni di t., raggiungendo soltanto l'85% della produzione in programma. Il basso rendimento dei minatori (944 kg. alla fine del 1947) e le assenze dal lavoro (scioperi e assenteismo), insieme ad altri fattori negativi, influenzarono l'andamento della produzione nel 1947; inoltre sono mancati alcuni presupposti tecnici per il raggiungimento dei 55,5 milioni di t. previsti dal piano.
L'unione alla Francia della Sarre offre, tuttavia, all'amministrazione dei carboni di Francia, la possibilità di ridurre più rapidamente del previsto lo squilibrio fra produzione e consumo. Durante il 1947 le miniere di questo bacino, con un impiego di minatori inferiore alla media normale, hanno estratto 10 milioni di t. di carbone, sfiorando nel mese di ottobre la media mensile del periodo prebellico. Per non turbare bruscamente gli approvvigionamenti di altri paesi, è stato convenuto fra gli Alleati occidentali che la Francia potrà acquisire l'intera produzione della Sarre soltanto nell'aprile 1949. Frattanto la Francia ha dovuto importare, nel solo 1947, 16,5 milioni di t. di cui 12 dagli S. U.
I problemi che si presentano al Belgio nel settore del carbone sono di modesta entità. La produzione prebellica era stabilizzata sui 29,5 milioni di tonnellate annue, mentre il consumo oscillava fra 28 e 34 milioni di t. Nel dopoguerra, a causa soprattutto della scarsezza di manodopera e del basso rendimento individuale, la produzione è stata inferiore a quella prebellica (24,1 milioni di t. nel 1947). Tuttavia lo squilibrio fra produzione e consumo sarebbe rimasto entro limiti tollerabili, se il governo belga non avesse deciso di riprendere le esportazioni, trovandosi poi costretto a importare durante il 1947 più di 500.000 t. mensili di carbone di qualità inferiore a quella del combustibile esportato. Il reclutamento dei minatori stranieri e il rimpatrio dei prigionieri di guerra impiegati nelle miniere dovrebbero consentire di normalizzare la produzione entro il 1948.
La produzione carbonifera polacca interamente nazionalizzata, è passata dai 38 milioni di t. del 1938 a 59 milioni di t. nel 1947, superando le stesse previsioni del piano economico triennale (57,5 milioni di t. nel 1947). Questi risultati vanno posti in relazione con le profonde trasformazioni avvenute nella struttura dell'economia polacca del dopoguerra e con il potenziamento in corso di tutte le principali forze produttive. A essi hanno contribuito l'incremento dell'occupazione nelle miniere, passata da 177.000 unità nel 1945 a 211.000 nel 1947, e quello del rendimento medio individuale.
Il piano triennale ha fissato le cifre della produzione per il 1948 e il 1949 rispettivamente in 67,5 e 77,5 milioni di t., contemplando quindi un aumento del 77% e del 100% del livello produttivo prebellico. Questi obiettivi comportano il perfezionamento dell'attrezzatura mineraria e una estesa meccanizzazione dei varî servizî, misure che il governo polacco sta ormai attuando già da due anni. Per il 1948 è previsto l'investimento di 132,8 milioni di dollari nelle miniere nazionalizzate di carbone, dei quali 25,2 destinati all'acquisto di macchinarî necessarî per migliorare l'attrezzatura mineraria in questo importante settore.
Durante il 1947 le esportazioni di carbone dalla Polonia hanno raggiunto i 17 milioni di t., di cui 10,5 destinate ai paesi europei e 6,5 all'URSS. Le esportazioni verso l'Europa sono state preventivate in 16,5 milioni per il 1948. Per facilitare il deflusso del combustibile verso i mercati esteri, il governo polacco sta provvedendo a migliorare l'attrezzatura portuale di Gdynia e Danzica. La Polonia è divenuta quindi il maggiore esportatore europeo di carbone.
In Cecoslovacchia la produzione era tornata alla normalità già nel 1947 (16,2 milioni di t.), mentre in Olanda, sebbene tutte le miniere di carbone siano passate nel 1945 nelle mani dello stato, l'estrazione è ancora lontana dalle cifre prebelliche. In Iugoslavia il piano quinquennale prevede che la produzione prebellica di combustibili solidi fossili valutata in 6 milioni di t., aumenti nella misura del 272%, entro il 1951.
Sull'andamento della produzione di carbone nell'URSS dal 1940 in poi mancano notizie precise. Da fonte ufficiale è stato comunicato, fin dalla prima metà del 1946, che la riattivazione delle miniere del bacino del Donec era stata completata e che erano stati disposti lavori di ricerca per aumentare notevolmente l'estrazione in questo bacino entro il 1950. Successivamente, sempre da fonte ufficiale, è stato annunziato che entro il 1950 la produzione carbonifera al di là degli Urali, cioè nelle miniere di Kuzneck e Karaganda, raggiungerà al termine del piano quinquennale in corso il 47,5% della produzione totale sovietica. Se gli obiettivi del piano quinquennale saranno raggiunti, nel 1950 la produzione dell'URSS dovrebbe superare i 200 milioni di t. annue.
La produzione italiana di carbone, in seguito alla perdita delle miniere dell'Arsa (Istria) si è concentrata principalmente nel bacino sardo del Sulcis, che ha fornito t. 1.031.040 nel 1946, impiegando circa 15 mila minatori, e 1,2 milioni di t. nel 1947. La produzione annua di antracite si aggira intorno a 100.000 t., mentre quella di ligniti, che aveva superato nel 1946 1,5 milioni di t., è notevolmente diminuita nella seconda metà del 1947 a causa delle crescenti difficoltà di collocamento. Sono in corso lavori per il raddoppiamento della capacità di estrazione nelle miniere del Sulcis, ma la produzione in questo bacino si svolge con risultati nettamente antieconomici, soprattutto a causa del basso rendimento medio individuale dei minatori, che alla fine del 1947 non aveva ancora superato i 400 kg. giornalieri. Questa situazione ha costretto il governo a concedere larghi sussidî alla gestione delle miniere.
Il consumo di carbone durante il biennio 1946-47 non riflette l'effettivo fabbisogno italiano, poiché nel corso di tali anni, a causa di difficoltà contingenti, l'industria nazionale e altri settori del consumo (servizî pubblici, trasporti terrestri e marittimi) hanno svolto un'attività ridotta. Il fabbisogno italiano di carbone, riferito a una situazione economica normale, può valutarsi pari a 14 milioni di t. annue di buon combustibile estero. Le importazioni italiane durante il 1947 hanno raggiunto circa i 10 milioni di t., di cui 7,5 provenienti dagli S. U., che hanno contribuito alle forniture gratuite di carbone effettuate all'Italia nel 1946-47 (programmi UNRRA e AUSA).
Alla notevole contrazione della produzione europea di carbone ha fatto riscontro nel dopoguerra l'espansione di quella degli S. U. Durante il 1946, sebbene i frequenti scioperi minerarî abbiano notevolmente inciso sul livello produttivo (in complesso sono state perdute 19,5 milioni di giornate lavorative con una corrispondente produzione di 112 milioni di t.), furono tuttavia estratti dalle miniere degli S. U. 534 milioni di t. (esclusa l'antracite), con un aumento del 35% circa rispetto alla produzione del 1939. Nel 1947 lo sfruttamento dei giacimenti statunitensi è stato intensificato fino a eguagliare, con circa 620 milioni di t. estratte, il primato del 1944. Lo sviluppo della produzione americana è dovuto soprattutto all'adozione nell'industria mineraria di sistemi meccanici di coltivazione, estrazione e trasporto. Circa il 90% delle miniere di carbone bituminoso adottavano nel 1946 tali sistemi, mentre nel 1947 soltanto il 25% della produzione globale di combustibili solidi fossili è stata caricata con mezzi manuali. In queste condizioni, il rendimento medio individuale dei minatori sfiora le 6 t. giornaliere. Durante il 1946-47 la produzione carbonifera americana ha dovuto adeguare il suo ritmo alla capacità dei trasporti ferroviarî, che non ha consentito di aumentare le spedizioni dalle miniere. Le esportazioni di carbone dagli S. U., che prima della guerra erano irrilevanti, hanno raggiunto nel 1946 i 43,6 milioni di t. (compresi il coke e l'antracite) e hanno superato, nel 1947, i 60 milioni di t. di cui circa 33 destinati ai paesi europei. I maggiori importatori di carbone americano sono stati la Francia e l'Italia.
Ad alleviare la crisi europea del carbone ha contribuito anche l'Unione Sudafricana, la cui produzione è salita, da circa 18 milioni di t. nel 1938, a 25 milioni nel 1947. Il carbone dell'Unione è stato spedito in Turchia, Grecia e Italia, oltre che nell'America Latina.
L'European Coal Organisation (ECO), organo collegiale delle Nazioni Unite con sede a Londra, ha provveduto durante il biennio 1946-47 alla ripartizione del carbone disponibile per l'Europa, predisponendo piani di assegnazioni trimestrali sulla base delle eccedenze esportabili dichiarate di volta in volta dai paesi produttori. Alla fine del 1947 le funzioni dell'ECO sono state devolute al Coal Committee della Commissione economica per l'Europa delle N. U.
Sul mercato mondiale, alla fine del 1947, erano praticate le seguenti quotazioni: S. U. (dollari per t. fob) carbone da gas, 10,99; da vapore, a basso tenore di materie volatili, 9,39; da coke, 11,18; Inghilterra (scellini per t. fob) Welsh, best Adl. ty, 54,4 ½; Durham, best da gas, 50; West Yorkshire, da vapore; 50,3; coke metallurgico, 64,6; Ruhr (dollari per t. fob), da vapore, 15; da gas e da coke, 14,50. I prezzi del carbone inglese sono rimasti stabili durante tutto il 1947 e, pur tenendo conto del deprezzamento della sterlina nei confronti del dollaro, sono risultati lievemente più alti di quelli del carbone americano. Poiché i noli dell'Inghilterra sono più bassi di quelli degli S. U. e la qualità del carbone inglese è superiore nettamente a quella del carbone americano, i consumatori europei hanno tuttavia convenienza a importare carbone inglese piuttosto che americano. Fino a metà del 1947 i prezzi del carbone della Ruhr, avuto riguardo anche alla qualità del carbone tedesco, erano i più bassi in Europa. Le autorità alleate hanno poi aumentato del 50% i prezzi (da 10 a 15 dollari la t.), ciò che ha equilibrato le quotazioni tedesche con quelle degli altri paesi esportatori.