Schmitt, Carl
Giurista e teorico della politica tedesco, fra i più influenti e discussi del Novecento, nato a Plettenberg nel 1888 e ivi morto nel 1985. Teorico del decisionismo, insegnò diritto pubblico a Greifswald, Bonn, Colonia, Berlino. A causa della sua compromissione con il regime nazista, nel dopoguerra venne allontanato dall’insegnamento.
S. accede a M. direttamente in italiano, e sofferma la propria attenzione più sul Principe che non sui Discorsi, dando di M. una lettura che, pur piuttosto convenzionale, risulta articolata, differenziata, rispondente a originali strategie intellettuali, ed esistenzialmente partecipata. In giovinezza e nella prima maturità S. riprende le tematiche tradizionali dell’antimachiavellismo cattolico: per lui M. è uno dei corresponsabili della pretesa della politica moderna di autogiustificarsi, rendendosi autonoma dalla morale, e della sua conseguente trasformazione in tecnica del potere che, indifferente a ogni finalità ulteriore, è destinata a sfociare nella «meccanica politica» tanto dei liberali quanto dei bolscevichi (Die Diktatur, 1921, trad. it. 1975, pp. 20-21; Römischer Katholizismus und politische Form, 1925, trad. it. 2010, p. 33). Tuttavia, S. riconosce a M. di avere scoperto la dura legge della necessità politica, cioè appunto la sua non moralità, originata dalla malvagità naturale degli uomini (Tagebücher, 2003, p. 163, 26 giugno 1914); un riconoscimento destinato a formare una seconda immagine, positiva, di Machiavelli.
Circa dalla metà degli anni Venti alla metà degli anni Quaranta del 20° sec. – a partire da Macchiavelli [sic]. Zum 22. Juni 1927, un articolo di giornale in occasione del 400° anniversario della morte di M. – M. non è più per S. il teorico dello Stato razionale, legale e tecnico: anzi, l’antropologia negativa e l’immoralismo di M., ora ricompresi nel naturalismo, fanno di lui un pensatore adeguato al ‘politico’ (inteso come rapporto amico/nemico) e quindi un correttivo alla deriva tecnica, legalistica e nichilistica dello Stato (benché, riguardo alla sua reale capacità politica, S. lo definisca un «povero diavolo», un vinto). In quanto M. è consapevole che il ‘politico’ fa parte della natura umana, e che quindi la forza non può non essere l’origine e l’essenza dello Stato, egli è portatore di «concretezza» antiformalistica (e ben lontano dall’irrazionalismo nietzschiano). Anche in Der Begriff des Politischen (1963, trad. it. 1972, p. 146) l’antropologia negativa – essenziale per «tutte le teorie politiche in senso proprio» – merita a M. di essere inserito fra i «pensatori politici in senso specifico», accanto a Thomas Hobbes, Jacques-Bénigne Bossuet, Johann Gottlieb Fichte e, con riserve, Georg Wilhelm Friedrich Hegel. S. aggiunge qui l’osservazione, già presente nel 1927 e poi in molti altri luoghi, che se M. fosse veramente stato un machiavellico avrebbe scritto un Anti-Machiavelli, e avrebbe travestito ipocritamente di idealità umanitarie le proprie dure scoperte politiche (p. 152).
Questo apprezzamento di M. non è centrato solo sull’antropologia: in Verfassungslehre (1928, trad. it. 1984, pp. 268, 294, 301, 379) S., riprendendo un accenno del 1927, legge il Principe come un trattato sul governo in una situazione nuova, «illegittima», vedendo in M. un pensatore che comprende la cesura epocale che dà origine alla modernità e rende ogni potere illegittimo, cioè post tradizionale. Questa valutazione positiva di M., come il meno formalistico fra i pensatori dello Stato moderno, diviene una vera strumentalizzazione quando, in L’era della politica integrale (1936), S. fa di M. il portatore di una statualità non legale-razionale ma energica, come quella del fascismo italiano.
L’esperienza, anche personale, dei pericoli del totalitarismo fa sì che S., in Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes (1938, trad. it. 2011, p. 88), definisca M. «umanissimo» e quindi estraneo alla vicenda moderna dello Stato-macchina. Più che insistere sulla sua «concretezza», ora S. esonera M. dalle colpe che il suo mito negativo gli ha ipocritamente cucito addosso, a partire dalla presunta responsabilità postuma per la notte di san Bartolomeo (p. 126). La precedente immagine di M. «povero diavolo» non vale solo per le sue scelte politiche, ma serve anche a negare l’efficacia politica storica del suo pensiero, che è interpretato come una onesta e indifesa testimonianza del ‘politico’. Dell’umanità di M., S. dopo il 1945 cerca di appropriarsi, facendo di M. lo specchio della propria condizione di vinto: in virtù di questa identificazione esistenziale egli denomina «San Casciano» la villetta di Plettenberg (Westfalia) in cui si ritira (ma il vero significato del nome implica un’allusione al martire Cassiano, trafitto dai propri discepoli: cfr. Galli 2008, pp. 98-99). In quest’ultima fase S. scopre che, come M. aveva colto e combattuto il rapporto premoderno fra potere e correzione del peccato, così gli sfugge l’equazione moderna fra potere e protezione del singolo dalla morte. La forma moderna della Macht, ossia il dominio, la ‘sovranità’, è infatti per S. una «facciata dinanzi alla morte», come lo è la «vita» che quel potere moderno garantisce; dell’essenza di «facciata» (cioè nichilistica e rappresentativa) dello Stato fu consapevole Hobbes, ma non certo M. (Glossarium, 1991, trad. it. 2001, pp. 57-58, 12 nov. 1947). Il quale è un pensatore del potere immediato, aperto, naturale, estraneo sia alla tecnica, allo Stato legale-razionale, sia all’elemento di mistero che caratterizza il potere politico moderno (nella sua forma di sovranità barocca e rappresentativa, ma anche nei meandri e nei tranelli del potere totalitario); parlare ingenuamente del potere come fa M. nel Principe è ormai vana chiacchiera, è «miseria» (p. 71, 24 nov. 1947). L’umanità di M. coincide quindi con la sua inefficacia politica e intellettuale, e con la sua inattualità.
Quando S. sottolinea in M. il lato della tecnica del potere è tributario della tradizione cattolica; quando vi vede il pensatore del potere e della forza come origine dello Stato, e della intrinseca moralità e della storica necessità della politica di potenza, S. si colloca in continuità rispetto a Fichte e a Hegel, e influenza posizioni come quella di Gerhard Ritter (→); quando valorizza l’antropologia negativa fa riferimento, pur con non pieno consenso, a Wilhelm Dilthey (Der Begriff des Politischen, cit., p. 144); e quando pone M. in una linea laterale rispetto allo Stato moderno si distacca polemicamente da Friedrich Meinecke (→), il quale invece lo considera all’origine della ragion di Stato (Zu Friedrich Meineckes “Idee der Staaträson”, «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», 1926, 1). Eppure, M. non fa parte della linea fondamentale dell’itinerario di S., che si forma su altre fonti (il pensiero giuridico tedesco; i reazionari cattolici francesi; Hobbes; Juan Donoso Cortés). Data la risonanza del nome di M., S. spesso vi cerca strumentalmente una conferma delle proprie tesi e delle loro trasformazioni nel corso degli anni; nel complesso, S. cerca di individuare in M. un illustre antesignano alla propria strategia volta a ridare energia politica allo Stato moderno, che l’ha perduta divenendo una macchina, uno Stato-di-leggi. Elementi di vicinanza fra i due autori sono il realismo e il panpoliticismo (la visione della politica come necessaria risposta a un generale e insuperabile disordine dell’essere), ma solo in parte il decisionismo. Infatti, è certo rinvenibile in M. il dovere di «entrare nel male, necessitato» (Principe xviii 15), ma la teoria dell’impeto di Principe xxv 12-27 non è l’antecedente della teoria schmittiana della decisione, che ha origine dalla filosofia del diritto di età guglielmina. S. non valorizza, per es., il «venire allo straordinario» di Discorsi I xviii 26, cioè il ricorso alla violenza per riordinare una città, e neppure le occorrenze della coppia amico/nemico presenti in M. (fra le altre, Discorsi II xix 10, sulla necessità del nemico interno ed esterno per una repubblica; Principe vii 43, sul dovere di «assicurarsi delli inimici, guadagnarsi degli amici»; Principe xxi 11, sull’opportunità di essere «vero amico e vero inimico»; Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, § 13: «ogni città, ogni stato, debbe reputare inimici tutti coloro che possono sperare di poterle occupare el suo, et da chi lei non si può difendere»).
In generale, l’energia politica per M. è la virtù, o l’impeto (→ riscontro), mentre per S. è la decisione sul caso d’eccezione, ovvero l’attivazione del ‘politico’: concetti a cui S. perviene indipendententemente da Machiavelli. La distanza nasce dal fatto che S. e M. hanno posizioni diverse rispetto al normativismo razionalistico formale dello Stato moderno: l’uno è collocato cronologicamente prima, l’altro invece si trova al suo punto di crisi estrema. Ovvero, sono divisi dalla sovranità e dal suo impianto di teologia politica secolarizzata; lo Stato che S. critica, al quale è tuttavia estremisticamente interno, è infatti quello di origine hobbesiana che neutralizza le guerre civili di religione del 16° e del 17° sec., che M. ovviamente ignora. Insomma, mentre M. rientra nel pensiero rinascimentale primo-moderno, che vede la politica come natura e come conflitto, S. appartiene, sia pure in modo decostruzionistico, al pensiero dello Stato come sovranità e come forma politica, che nasce nella modernità matura e avanzata; e rispetto alla sua crisi M. non è, per lui, che uno degli ingredienti, e neppure il principale, della soluzione.
Bibliografia: Die Diktatur, München-Leipzig 1921 (trad. it. La dittatura, Roma-Bari 1975); Römischer Katholizismus und politische Form, München 1923, 1925 (trad. it. Cattolicesimo romano e forma politica, Bologna 2010); Zu Friedrich Meineckes “Idee der Staaträson”, «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», 1926, 1, pp. 226-34 (trad. it. L’idea di Ragion di Stato secondo Friedrich Meinecke, in Id., Parlamentarismo e democrazia, Lungro 1999, pp. 162-75); Macchiavelli. Zum 22. Juni 1927, «Kölnische Volkszeitung», 1927, 68, 448, p. 1 (poi in Staat, Grossraum, Nomos, hrsg. G. Maschke, Berlin 1995, pp. 102-07); Verfassungslehre, Berlin 1928 (trad. it. Dottrina della costituzione, Milano 1984); Der Begriff des Politischen, Berlin 1932, 19635 (trad. it. Il concetto di ‘politico’, in Id., Le categorie del ‘politico’, Bologna 1972, pp. 87208); L’era della politica integrale, «Lo Stato», 1936, 4, pp. 193-96 (poi in Id., L’Unità del mondo, a cura di A. Campi, Roma 20033, pp. 87-89); Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes, Hamburg 1938 (trad. it. Il Leviatano nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes, in Id., Sul Leviatano, Bologna 2011, pp. 35-128); Glossarium. Aufzeichnungen der Jahre 1947-1951, Berlin 1991 (trad. it. Glossario. Annotazioni 1947-1951, Milano 2001); Tagebücher. Oktober 1912 bis Februar 1915, Berlin 2003.
Per gli studi critici si veda: C. Galli, Schmitt e Machiavelli, in Id., Lo sguardo di Giano. Saggi su Carl Schmitt, Bologna 2008, pp. 83-106.