Carlo Alberto, re di Sardegna
Il sogno dell'unità d'Italia
Carlo Alberto di Savoia-Carignano racchiuse in sé in modo drammatico il dilemma, proprio di fine Settecento-inizio Ottocento, della scelta tra vecchio e nuovo, tra rivoluzione e conservazione, tra difesa di ordinamenti sociali e politici di antica tradizione e loro sovvertimento in nome di nuove idee e nuovi valori
Carlo Alberto, nato a Torino nel 1798, fu dal 1831 al 1849 sovrano del Regno di Sardegna, che comprendeva anche il Piemonte e la Liguria. Egli fu il primo tra i capi degli Stati italiani preunitari a concepire il disegno di unificare la penisola in nome dei nuovi valori di libertà e nazionalità nati nel crogiolo degli eventi rivoluzionari francesi e aggiornati nella cultura politica del Romanticismo. E anche se non riuscì a realizzare il suo disegno di unificare l'Italia, fu però lui a dare nel 1848 al Regno di Sardegna quella carta costituzionale che venne poi mantenuta dal Regno d'Italia fino alla proclamazione della Repubblica.
Il dilemma della scelta tra rivoluzione e conservazione gli si pose già nel 1821. Nel turbine del moto rivoluzionario di marzo, Vittorio Emanuele I aveva abdicato; Carlo Felice, il nuovo sovrano, era temporaneamente assente da Torino, per cui Carlo Alberto, che apparteneva al ramo dei Carignano, il più prossimo alla linea centrale di Casa Savoia, fu nominato reggente. A corte, tuttavia, nessuno aveva compreso quanto pesassero nella formazione del giovane principe i primi studi effettuati a Parigi e a Ginevra, la sua milizia nell'esercito napoleonico, le sue frequentazioni degli ambienti liberal-rivoluzionari piemontesi.
Assunta la reggenza, si lasciò indurre dai circoli rivoluzionari piemontesi a concedere la costituzione di Spagna del 1812, molto più democratica di quella di Francia del 1814. I fatti dimostrarono subito quanto prematura fosse quella scelta. Lo zio Carlo Felice lo sconfessò e l'apparato repressivo della Santa Alleanza ebbe ben presto la meglio sui moti sia del Piemonte sia del Regno delle Due Sicilie.
Carlo Alberto uscì, quindi, sconfitto e nel peggiore dei modi: inviso ai liberali come un traditore e guardato con sospetto dai sovrani della Santa Alleanza per aver favorito il moto carbonaro nella sua fase iniziale. Per molti anni ‒ e in particolare a partire dal 1831, quan-do, morto Carlo Felice, ereditò la corona di Sardegna ‒ rimase incerto tra la tentazione di chiudersi al sicuro nella difesa di un ordinamento statuale consolidato ormai da oltre un secolo di vita e l'impulso a rischiare lo scontro con il grande apparato repressivo del cancelliere austriaco Metternich.
Sulle prime prevalse nettamente l'opzione conservatrice e Carlo Alberto represse duramente il movimento democratico mazziniano. Ma la logica sabauda di espansione nella Pianura Padana agiva in lui, a partire dal 1840, non meno della convinzione che lo sviluppo economico e civile della società piemontese imponesse un aggiornamento dell'apparato amministrativo e della politica economica dello Stato. Nuovi codici, apertura alla circolazione di nuove idee e impulso allo sviluppo del dibattito culturale furono le premesse del grande passo compiuto nel 1848, quando concesse lo Statuto e, sia pure tra forti dubbi, mosse guerra all'Austria. Alla coalizione che egli guidò resta il merito del più grande sforzo mai compiuto da forze politiche della penisola italiana per conquistare l'indipendenza e darsi un ordinamento politico unitario.
Dopo una prima fase in cui la fortuna delle armi sembrò arridergli, fu sconfitto duramente. Abdicò nel 1849 a favore del figlio Vittorio Emanuele II, ma senza ritirare la Costituzione concessa l'anno precedente. Andò in esilio volontario a Oporto, in Portogallo, dove morì in quello stesso anno senza poter misurare quanto il grande apparato repressivo austriaco, che lo aveva schiacciato, uscisse a sua volta compromesso dalla prova del 1848-49 e quanto la realizzazione del suo sogno di un'Italia unita e libera, per il quale si era battuto, fosse in realtà a portata di mano.